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Le testimonianze lasciate in Valle da questi pittori sono dei documenti che possono
rappresentare una chiave di lettura della storia locale, ma rappresentano anche
vette, sebbene declinate in tono locale, di un periodo artistico particolarmente
significativo nel territorio bresciano e in tutta la penisola. Le informazioni relative
all’attività di tali protagonisti sono o destinate ad un pubblico di specialisti e quindi
poco divulgate, oppure limitate a brevi opuscoli, spesso non aggiornati, che non
possono dare una visione di insieme completa del fenomeno che ha interessato la
Valle.
Gli itinerari proposti nel seguente studio intendono quindi sopperire a tale lacuna
attraverso l’analisi delle emergenze monumentali disseminate nella bassa–media
Valle Camonica.
Il percorso sull’attività di Callisto Piazza inizia nella chiesa di Santa Maria del
Restello ad Erbanno, dove si può ammirare un ciclo rappresentante la Decollazione
del Battista, l’Assunzione della Vergine e San Giorgio che libera la principessa
abbattendo il drago. Si prosegue nella chiesa parrocchiale di Esine. Qui Callisto
Piazza dipinge una Deposizione, due tavole con i Santi Pietro e Paolo, l’Arcangelo
Gabriele e l’Annunciata e una Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Paolo. Nella
parrocchiale di Cividate l’artista firma e data una pala raffigurante la Madonna col
Bambino in trono fra i Santi Stefano, Lorenzo, Giovanni Battista e Girolamo.
L’itinerario continua nell’Oratorio di Sant’Antonio a Borno, dove l’artista ha
affrescato la lunetta della parete Sud con la Madonna ed il Bambino fra i Santi
Antonio Abate, Giovanni Battista, Rocco e Martino, e si conclude a Breno. Qui, nella
chiesa di Sant’Antonio, la pala di Callisto Piazza con la Beata Vergine in trono col
Bambino fra i Santi Sebastiano, Rocco, Antonio Abate, Siro e due angeli dettò al
Romanino le coordinate per le scansioni architettoniche degli affreschi che eseguì
qualche anno dopo. Nel Museo Civico di Breno, è possibile osservare la Deposizione,
olio su tela proveniente dalla chiesa di Sant’Antonio.
La Via del Romanino comincia nella Chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne,
dove l’imponente ciclo occupa la volta, l’arco santo, le pareti laterali e la facciata.
Prosegue nel presbiterio della Chiesa di Sant’Antonio a Breno e termina a Bienno,
nella chiesa di Santa Maria Annunciata.
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Infine, l’itinerario su Paolo da Caylina il Giovane interessa la chiesa di San Giovanni
Battista a Edolo, dove è possibile ammirare uno tra i più importanti cicli dell’artista,
e la Chiesa dei Santi Faustino e Giovita a Malonno, con una tela rappresentante il
Compianto sul Cristo morto con la Madonna, San Giovanni, San Faustino e San
Giovita.
Il progetto nasce, non solo da una attenta e precisa consultazione bibliografica, ma
soprattutto da un’analisi sul campo, visionando le opere di persona e scattando
numerose fotografie.
Nella seconda parte ho elaborato un piano di comunicazione per promuovere questi
percorsi. Il lavoro “contatti” è stato laborioso ed ha richiesto molto tempo per la
poca disponibilità delle persone contattate.
Ho realizzato tre questionari, con lo scopo di valutare la conoscenza degli itinerari
della pittura del Cinquecento in Valle Camonica e di verificare se vi è stata
un’adeguata opera di valorizzazione. I questionari sono stati inviati agli assessori
alla cultura dei principali comuni ed agli insegnanti di educazione artistica delle
scuole medie inferiori. Ho sottoposto di persona il terzo questionario ad un
considerevole numero di studenti delle scuole superiori e universitari e a varie
categorie di lavoratori, tutti residenti in Valle Camonica.
Inoltre ho preso visione del materiale promo-pubblicitario disponibile in tutta la
Valle e dei siti web che dovrebbero supportare un potenziale turista in Valle
Camonica.
Dopo aver analizzato i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce della
situazione attuale, ho proposto la creazione di una Via dell’Arte, incentrata sulla
pittura del Cinquecento in Valle Camonica. Questo progetto mi ha permesso di
creare un’ipotetica rete tra nove comuni della Valle Camonica e di ideare una serie
di iniziative, frutto della collaborazione tra le amministrazioni comunali, gli enti
pubblici e gli enti privati.
Si tratta di proposte divise in base ai target di riferimento individuati. Nascono così
anche attività per avvicinare i bambini al patrimonio artistico. Attraverso depliants-
gioco, laboratori e quiz, i bambini vivono l’opera d’arte in un modo divertente e
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coinvolgente. Propongo, inoltre, una serie di iniziative, per catturare l’attenzione del
pubblico adulto, che vanno da convegni sulla figura dell’artista, alla catechesi
attraverso l’arte, a proposte più mondane come, ad esempio, l’aperitivo artistico.
La “Via dell’Arte, pittura del Cinquecento” deve essere uno spunto per progetti
futuri che giungano alla creazione anche di una “Via dell’Arte, pittura del
Quattrocento”, di una “Via dell’Arte, architettura romanica”, di una “Via dell’Arte,
percorsi attraverso la stregoneria”…
L’immagine della Valle Camonica verrebbe, in questo modo, notevolmente arricchita
anche su questo fronte, contribuendo allo sviluppo turistico finora un po’ troppo
sottovalutato.
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1- IL CINQUECENTO A BRESCIA E IN VALLE CAMONICA
Brescia rimase sotto il dominio della Repubblica veneta dal 1426 al 1797. Venezia
non governò dispoticamente e per questo il suo dominio non suscitò risentimento,
né nel popolo, né nella nobiltà.
L’amministrazione cittadina rimase in mano ai bresciani e così pure le magistrature
municipali. Vennero incaricati due esponenti della Repubblica veneta per il
comando supremo: il Podestà ed il Capitano. Il primo si occupava della vita politica
e giudiziaria; il secondo era il capo delle forze militari e responsabile dell’ordine
pubblico. Le ostilità tra Venezia e Milano per il controllo di Brescia furono una
costante durante tutto il ‘400
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e sfociarono, nel ‘500, con la Battaglia di Agnadello
(Ghiara d’Adda), nel 1509, in cui l’esercito veneto venne sconfitto, in meno di tre
ore, da quello dalla Lega di Cambrai
2
.
Brescia si spaccò in due: chi si dichiarava fedele ai veneziani e chi parteggiava per i
francesi, visti forse come dei liberatori. Questi ultimi prevalsero e dodici
ambasciatori bresciani si recarono a Travagliato, dove Luigi XII era accampato, per
consegnargli le chiavi della città.
Il malcontento iniziò ben presto a dilagare; al popolo, e ancor più alla nobiltà,
furono invise l’arroganza dei francesi, la loro fiscalità così come i saccheggi e le
violenze delle truppe.
1
Nel 1437 l’esercito di Venezia, incalzato da quello visconteo, comandato da Piccinino, trovò
una via di fuga in Val Sabbia. In questo modo, però, lasciò la città di Brescia in preda ai
nemici. Nel 1438 cominciò l’assedio. Uomini e donne bresciane opposero strenua resistenza
e riuscirono così a respingere le truppe del Piccinino. Quest’ultimo decise di isolare la città,
bloccandole ogni via d’accesso. Pietro Avogadro venne inviato a Venezia a chiedere aiuti. La
Repubblica affidò il comando supremo delle sue milizie a Francesco Sforza, un tempo
capitano dei visconti. (Ritornerà dalla loro parte per una situazione di comodità, cioè dopo la
morte di Filippo Maria Visconti, di cui aveva sposato la figlia. Aiutò Milano a costituirsi come
Repubblica, obbligandola però a riconoscerlo come duca.) Nel 1440, a Soncino, le truppe
veneziane, riuscirono a sconfiggere il nemico. Venezia diede l’appellativo di “Brixia Fidelis”
alla città. Nel 1454, dopo la pace di Lodi (le parti in lotta erano sfinite e stanche di guerre e
la caduta di Costantinopoli, con lo sgomento che produsse in tutto l’occidente per una
possibile avanzata turca, indusse finalmente alla pace), Brescia visse un periodo di pace,
che durò per tutta la seconda metà del XV secolo. Nel 1478 – 79 la città fu colpita dalla
peste e si calcola che i morti furono all’incirca trenta mila.
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La Lega di Cambrai venne ideata nel 1508 da Papa Giulio II, preoccupato per il dilatarsi
della potenza veneta, e vi aderirono, tra gli altri, Massimiliano d’Austria, Ferdinando II di
Spagna e Luigi XII di Francia.
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Nel 1510 Papa Giulio II sciolse la Lega di Cambrai e nel 1511 costituì la Lega Santa,
una nuova Alleanza con i veneziani, gli spagnoli e gli svizzeri, contro l’alleato di un
tempo. Nel 1512 Luigi Avogadro organizzò una ribellione per riannettere Brescia alla
Repubblica veneta. La rivolta venne sedata. Un secondo tentativo di rivolta ebbe,
però, la meglio e i francesi si ritirarono nel castello.
Ciò provocò la dura reazione di quest’ultimi, che sfociò nel tragico sacco di Brescia.
E’ il comandante Gastone de Foix a elaborare un astuto piano: penetrare nel
castello, durante la notte, per la via sotterranea, detta “del Soccorso” e sorprendere
i difensori delle porte alle loro spalle, per consentire agli uomini che stavano fuori
dalle mura di accedere nella città. Fu una vera e propria strage che seminò terrore
nelle vie della città: uomini e ragazzi trucidati, donne violentate, chiese e monasteri
saccheggiati da parte di soldati francesi e di mercenari svizzeri e tedeschi. Il numero
dei morti, tra cui Luigi Avogadro
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, fu incalcolabile. Numerose condanne a morte e
all’esilio colpirono coloro che avevano tentato di favorire il ritorno del regime veneto.
I francesi trovarono un accordo con gli spagnoli, i quali s’impossessarono della
città, tradendo gli alleati veneti. I veneziani, nella speranza di riconquistarla, si
alleano ora con i francesi.
Nel 1515 la battaglia di Marignano, in cui fu decisivo l’aiuto delle truppe venete,
restituì il ducato di Milano ai francesi, e questi, com’era nel patto, approntarono un
esercito per aiutare i veneti a riconquistare Brescia. Iniziò l’assedio franco-veneto;
dopo un anno di battaglia, gli spagnoli si arresero e, con la pace di Noyon, stipulata
tra i francesi e gli spagnoli, Brescia diventò nuovamente veneta. La Repubblica
ordina che qualsiasi casa, villa, chiesa, monastero..., situati fuori dalle mura,
vengano rasi al suolo, con lo scopo di rendere scoperto e più visibile il terreno. Le
mura vennero ricostruite e rafforzate con una poderosa scarpata, con rocche e
bastioni.
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Venne decapitato con i suoi due figli ed i loro corpi furono appesi alle forche presso le
mura della città, ma così in basso che i cani potessero farne scempio.