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Il turismo è sempre stato, ed in parte ancora lo è, un’attività tipica delle classi sociali più
evolute e più agiate. Ciò nonostante, in conseguenza del fatto che vi è un numero sempre più
elevato di persone che decide di viaggiare, il livello socioeconomico dei turisti si è
notevolmente abbassato nel corso del tempo, quasi esclusivamente grazie alla classe media
che è oramai divenuta la classe turistica principale.
Anche in Italia il turismo rappresenta da sempre la più importante risorsa economica del
Paese e, in maniera particolare, la Sardegna si pone come punto di riferimento e di arrivo per
tantissimi turisti provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo che portano, insieme ad
importanti benefici economici per l’isola (ma soprattutto per certe zone dell’isola), tutta una
serie di altri fattori, sia individuali che sociali, che possono essere emotivi, cognitivi, culturali,
geografici e chi più ne ha più ne metta.
A tutto questo si aggiunge il fatto che raramente il “fenomeno del turismo” è stato studiato
approfonditamente all’infuori di quello che è, appunto, l’aspetto economico che porta con sé.
Chi si occupa di turismo (operatori turistici, imprenditori, enti, comuni, ecc..) tende, di fatto, a
considerare questa attività principalmente dal punto di vista geografico-economico, ignorando
(volutamente o no) gli aspetti testè considerati che sono invece da prendere in serio esame
laddove si voglia coniugare ed integrare il fare turismo con tutti quei fattori che su questa
attività tendono ad incidere in vario modo.
Si pensi, solo per citare alcuni di questi fattori, alla soddisfazione del turista per la vacanza, al
comportamento nella località di vacanza, alle intenzioni e alle motivazioni che spingono gli
individui a viaggiare, ai rapporti dei turisti coi locali, ai processi decisionali che portano alla
scelta di andare o no in vacanza.
Turismo, dunque, non soltanto come fatto economico ed organizzativo, ma anche come difesa
della salute psicologica dell’individuo nel momento in cui decide di evadere dai ritmi frenetici
della troppo stressante vita quotidiana.
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Oltre a questi, ci sono tanti altri aspetti da prendere in considerazione e che possono rientrare
tutti in quel nuovo ambito di studi che è stato definito, a ragion veduta, Psicologia Turistica.
I fattori psicologici sono stati, fra quelli che concorrono a delimitare l’ambito turistico, senza
dubbio fra quelli meno studiati nel corso del tempo e, di conseguenza, il rapporto tra la
psicologia ed il turismo solo recentemente si è andato consolidando ed intrecciando.
Ciò appare un po’ paradossale se si considera quanto detto in precedenza, cioè che l’attività
turistica rappresenta attualmente la più importante risorsa del mondo, e considerando il fatto
che la psicologia pervade oramai ogni ambiente della conoscenza e del comportamento
umano.
Ma, nonostante ciò, raramente scienza psicologica e attività turistica si sono ritrovati ad
interagire e a comunicare proficuamente.
Forse, a prima vista, questi due settori d’indagine possono sembrare appartenenti a campi
completamente lontani e a prospettive differenti. In primo luogo perché, come già detto, chi fa
turismo gestisce la propria attività prevalentemente in una prospettiva economica, di
guadagno immediato; in secondo luogo perché chi fa psicologia vuole soprattutto essere
d’aiuto a persone che si trovano in particolari stati e situazioni, spesso patologiche, e non si
occupa di turismo.
O almeno questa è l’idea che possiede la maggior parte della gente comune.
Ma è, senza alcun dubbio, una visione piuttosto limitata.
E’ vero, tuttavia, che la psicologia italiana ha cominciato a rispondere solo recentemente a
domande del tipo:
- Chi è il turista ? Cos’è il turismo ?
- Da cosa è motivato il turista ?
- Cosa significa soddisfazione (o insoddisfazione) turistica ?
- Quali sono le peculiarità dei processi di scelta del turista ?
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In particolare, la domanda “Chi è il turista ?” può apparire semplice e di immediata risposta
laddove si identifica, in modo piuttosto approssimativo e sbrigativo, il turista come il
viaggiatore che si reca a visitare luoghi nei quali non vive abitualmente ed il turismo come,
appunto, l’arte di viaggiare per visitare questi luoghi.
In realtà, le risposte non sono così scontate e superficiali.
Ad un esame appena più approfondito, infatti, si nota subito come il turismo sia un’attività
sulla quale influiscono numerosi e vari aspetti che rientrano a pieno titolo anche nell’ambito
di studi della psicologia; basti pensare ai molteplici fattori emotivi, sociali, cognitivi,
motivazionali, sempre e comunque presenti in ogni soggetto e che possono combinarsi coi
fattori più propriamente legati all’ambito turistico classico quali, ad esempio, quelli
economici, culturali e geografici.
A livello internazionale, la definizione più diffusa del “turista” lo identifica come quella
persona che si trova fuori dalla sua abituale sede di residenza per un tempo minimo (in genere
da uno a quattro giorni), in pratica chi si ritrova a dormire fuori casa per qualche giorno.
Altre definizioni aggiungono un ulteriore elemento e parlano di turista come chi spende il
proprio reddito in un luogo differente da quello in cui lo produce.
Comunque, queste definizioni appaiono subito poco convincenti.
Infatti, possiamo inserire fra gli individui che rientrano in queste categorie anche soggetti che
chiaramente non sono turisti, ad esempio militari che dormono nella caserma di un paese di
cui non sono residenti, ricoverati che sono costretti a stare all’ospedale, lavoratori che
spendono soldi nel luogo di lavoro che può non essere quello in cui abitano.
Proprio per questi motivi, a questi due elementi della definizione, “il dormire fuori” e “lo
spendere denaro in una sede lontana”, se ne aggiunge solitamente un terzo, un fattore
psicologico appunto, cioè la motivazione, lo stato d’animo col quale il soggetto affronta sia il
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viaggio che le spese. Così, la scelta del soggetto di viaggiare e spendere lontano da casa deve
essere una scelta libera, volontaria.
Il turismo viene allora definito sia come uno spostamento prolungato che come una spesa,
messi in atto dall’individuo volutamente e per motivi di piacere.
Soprattutto la ricerca scientifica, ma anche il senso comune, tende a considerare il turismo
come una situazione esclusivamente legata al tempo libero, con caratteristiche particolari che
la contraddistinguono. In particolare, la ricerca psicologica si è occupata soprattutto del
viaggio “voluto”, quindi volontario.
Di fatto, come scrive Marcello Cesa-Bianchi nella presentazione del libro “Psicologia del
turismo. Turismo, salute, cultura.” curato da Roberto Virdi e Angelo Traini del 1990:
“Ogni scelta turistica è indice certamente di una personale e sociale gestione del tempo
libero, ma è anche motivata da soggettive esigenze, che vanno ricercate dallo psicologo. Ogni
momento turistico è investito di una personale forte valenza emotiva, sociale, economica. E’
giusto, dunque che psicologi, tour operators, amministratori di diverse regioni, dirigenti di
diverse aziende di turismo e termali, si confrontino sui temi della formazione e della
informazione turistica, a favore di una piena fruizione delle risorse ambientali e turistiche”.
Il rapporto che intercorre tra turismo e spostamento in generale può, quindi, essere
rappresentato in sintesi, dal punto di vista psicologico, proprio in base alle motivazioni al
muoversi.
Occuparsi di Psicologia del Turismo vuol dire, perciò, allontanarsi da una prospettiva
esclusivamente geografica o economica per dedicarsi ad altri aspetti del turismo che lo
interpretano anche come scelta psicologica e come comportamento dell’individuo sul quale
incidono differenti e vari fattori (emotivi, cognitivi, sociali, ecc…) che si combinano e si
influenzano vicendevolmente.
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Per questi ed altri motivi è dunque utile fornire un’ immagine più precisa e, per certi versi,
nuova di questo settore di studi di così recente sviluppo, la Psicologia Turistica appunto.
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CAPITOLO 2
LE ORIGINI DEL TURISMO E
DELLA PSICOLOGIA DEL TURISMO
Il viaggiare è un’attività antichissima.
Già i primi uomini comparsi sulla terra, nella preistoria, erano soliti spostarsi e migrare,
soprattutto per motivi di sopravvivenza e sostentamento.
Ma se l’arte del viaggiare ha origini assai remote la stessa cosa non si può dire dell’attività
umana del “fare turismo”. Questa è un’attività piuttosto recente, al punto che non si è giunti
ancora a darne una definizione esaustiva e soddisfacente.
La nascita e l’affermarsi del turismo sono strettamente collegati al tempo libero.
L’attività turistica, infatti, può raccogliere al suo interno molte delle categorie e delle attività
legate al tempo libero.
Come scrive la Battilani (2001), il turismo comprende attività che vengono messe in atto
esclusivamente grazie al tempo libero: la socialità (ad esempio, si viaggia con parenti, amici,
soci di una particolare associazione), la coltivazione dello spirito e del corpo (ad esempio coi
viaggi religiosi o in località termali), il contatto con la natura (per esempio con i viaggi nei
parchi naturali o il diffondersi dell’escursionismo), l’attività ludica (si pensi, ad esempio, a
famose località turistiche di svago come Las Vegas negli U.S.A. o Eurodisney a Parigi), il
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consumismo (per esempio con i viaggi in quelle località che sono divenute dei veri e propri
negozi per turisti).
I tentativi di dare una definizione del turismo sono stati numerosissimi.
Gulotta (1997a) lo definisce, in linea generale, come:
“movimento temporaneo di persone in luoghi diversi da dove lavorano e risiedono, e le
attività intraprese all’arrivo e durante la permanenza in queste destinazioni”.
Ancora la Battilani (2001) distingue due grandi categorie di domanda turistica che si rifanno
allo sviluppo del viaggio e del turismo nel corso della storia: i viaggi, appunto, e la
villeggiatura.
Ad esse corrispondono servizi turistici differenti che si sono sviluppati in particolari periodi
storici.
Nel caso dei “viaggi” il periodo di sviluppo è quello del Duecento e del Trecento, ma
soprattutto quello del Grand Tour, cioè quell’istituzione del viaggio di formazione per i
giovani aristocratici europei diffusasi nel Cinquecento.
Il concetto di turismo inteso come villeggiatura ha, invece, origini più antiche e risale
all’impiego del tempo libero nelle antiche ville romane ma anche, in seguito, alle villeggiature
nelle campagne degli aristocratici europei nel corso del Cinquecento e del Seicento.
Ma partiamo dal principio.
Molto probabilmente la prima forma di turismo ad essere praticata nelle diverse civiltà
dell’antichità è stato il viaggio a scopo religioso. Secondo gli studiosi, i pellegrinaggi religiosi
erano già presenti nelle società tribali più antiche di tutto il pianeta. Nelle prime grandi civiltà
della storia (Sumeri, Assiro-Babilonesi, Egizi) il potere politico e quello religioso erano
strettamente legati e le città più grandi di queste civiltà attiravano tantissimi pellegrini in
visita nei luoghi sacri.
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Anche le prime prove scritte che raccontano delle esperienze di viaggio vengono fatte risalire
alle antiche civiltà mediorientali, asiatiche e mediterranee.
I primi viaggiatori “ufficiali” furono proprio quei popoli (Ittiti, Persiani, Greci, Medi, Unni,
Galli) che, all’incirca un milione e mezzo di anni fa, compivano spedizioni e lunghi tragitti
per conquistare nuove terre.
Ma è con i Greci ed i Romani che i viaggi, oltre ad avere come scopo il desiderio di conquista,
cominciano ad assumere un particolare e differente valore.
Si comincia a viaggiare con finalità educative e culturali, nascono i primi centri di turismo
internazionale (come Ercolano e Pompei in Italia) e sorge il turismo termale.
Il viaggio inizia a diventare, in questo periodo, una consuetudine.
Presso i Romani il tempo libero veniva considerato come un diritto e spettava agli uomini che,
per nascita e posizione sociale, ricoprivano le posizioni politiche più importanti. Solo al
cittadino nobile era riconosciuto il diritto all’otium, cioè ad un riposo che gli consentisse di
ritrovare se stesso, attraverso la letteratura, l’esercizio fisico e quant’altro. L’amore e
l’importanza data ai viaggi e alla villeggiatura presso gli antichi Romani era, tra l’altro,
espressa da una impressionante rete stradale della quale ancora oggi abbiamo testimonianza
concreta e che collegava Roma a tutto il mondo allora conosciuto.
Nell’alto Medioevo l’ozio, il tempo libero, è considerato come la causa dei vizi umani e, in tal
modo, perde quell’importanza che la cultura classica gli aveva attribuito. E’ il lavoro che
acquista quella dignità riservata, nell’antichità, al tempo libero. Vi è il progressivo abbandono
di quasi tutte le attività ricreative e le uniche che continuano ad essere considerate degne di
occupare il tempo libero sono quelle a carattere religioso; infatti, tra le tante forme di turismo
praticate nell’antichità, in quel periodo sopravvive solo il pellegrinaggio religioso. Il periodo
tra il XII ed il XIII secolo, in particolare, rappresentò il culmine del pellegrinaggio cristiano e
questa pratica assunse anche un forte prestigio sociale.
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E’ nel basso Medioevo che le attività ricreative del tempo libero riacquistano un loro spazio,
anche perché inizia quel processo di secolarizzazione che avrebbe portato alla separazione tra
dimensione religiosa e vita di tutti i giorni. In questo periodo ritornano di moda quelle forme
turistiche già presenti nell’antichità, come i soggiorni termali.
Tuttavia, fino al secolo XV, il viaggio ha come intento principale quello di visitare civiltà
sconosciute o luoghi sacri. E’ solo successivamente che l’arte del viaggiare si fa più abituale e
diversificata.
Durante il periodo dell’Illuminismo, il clima culturale favorisce lo sviluppo di una forma
particolare di viaggio che si associa ai temi della ragione ottimistica e del cosmopolitismo.
In particolare, dal Quattrocento, le trasformazioni culturali che portarono all’Umanesimo e,
successivamente, al Rinascimento, diffusero una concezione dell’individuo nella quale
assunsero importanza l’arte, la cultura e la scienza. La formazione artistica e letteraria degli
aristocratici diviene fondamentale e soprattutto l’Inghilterra si propone come il nuovo centro
del mondo, così come Londra aspira ad essere quello che Roma era stata nell’antichità. I suoi
abitanti si definivano cittadini del mondo e amavano viaggiare attraverso l’Europa, ma
soprattutto verso l’Italia..
Questa rivoluzione culturale modifica profondamente il modo di fare turismo.
Non si viaggia più verso santuari e luoghi sacri, bensì ci si reca nelle grandi città d’arte
dell’Europa centrale e mediterranea.
Nasce in quel periodo il fenomeno noto come Grand Tour.
Il termine, probabilmente già diffuso nel linguaggio parlato, compare per la prima volta nel
1960, nel libro di Richard Lassels “The Voyage of Italy, or A Complete Journey through
Italy”.
L’Italia assume un ruolo importante per i viaggiatori del periodo, diviene la meta obbligata
per i giovani aristocratici e borghesi, al punto che l’espressione “viaggio in Italia” veniva
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sovente usata per identificare il Grand Tour in generale. Ben presto questa forma di viaggio si
estese ad altre classi sociali e in tragitto verso l’Italia si misero persone dalle più svariate
estrazioni e professioni (artisti, filosofi, avventurieri, mercanti, studenti, ecc...).
Il viaggio assumeva, perciò, un valore formativo nell’Inghilterra di quel periodo. La futura
classe dirigente veniva educata anche attraverso l’incontro con altri popoli ed altre culture. I
giovani avevano anche la prima occasione di confrontarsi col mondo degli adulti ed erano
messi alla prova dalle fatiche e dalle esperienze del viaggio. L’Italia arrivò ad essere vista
quasi come un immenso museo in cui il visitatore ammirava le glorie del passato ma sovente
ne criticava l’organizzazione politica e sociale del periodo.
E’ solo in seguito alla rivoluzione industriale che nasce il turismo moderno.
Nel XIX secolo prende piede un nuovo ed ampio fenomeno che assume interesse
internazionale: il turismo di massa.
Si assiste così, in questo periodo, ai primi studi scientifici veri e propri sul turismo che si
affiancano alla tradizionale letteratura sui resoconti di viaggio.
Alla fine di questo secolo, in Germania, Wilhelm Wundt svolge i suoi studi sulla natura dei
gruppi e sulle interazioni fra culture, gettando le basi di quello che sarebbe stato il recente
interesse della Psicologia nei confronti dell’attività turistica.
Ma è nel XX secolo che, con la I Guerra Mondiale, si assiste ad una vero e proprio
sconvolgimento in campo turistico. Nasce il turismo inteso come divertimento, non più
caratteristico solo dell’aristocrazia e delle classi privilegiate.
Il grande aumento dei flussi turistici ha come conseguenza la nascita del fenomeno del
turismo di massa, che porta con sé delle trasformazioni profonde non solo dal punto di vista
quantitativo ma anche dal punto di vista dell’aumento e del miglioramento dei servizi e della
loro qualità.
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Burkart e Medlik (1974) lo definiscono così:
“Il turismo di massa si riferisce alla partecipazione al turismo di un numero elevato di
persone, un fenomeno che ha caratterizzato i paesi nel XX secolo. In questo senso il termine è
utilizzato in contrasto alla partecipazione limitata […] dei decenni precedenti. Turismo di
massa è una nozione essenzialmente quantitativa, basata sulla proporzione di popolazione
che fa turismo o sulla dimensione dell’attività turistica”.
In pratica, i fattori che hanno fatto sì che si sviluppasse il turismo di massa sono stati: il
mutare ed il miglioramento delle condizioni socio-economiche per tutti; la stabilità politica
con lunghi periodo di pace; lo sviluppo dei mezzi di trasporto più moderni e dei mezzi di
comunicazione.
E’ in seguito, nel periodo intorno alla II Guerra Mondiale, che la Psicologia comincia ad
interessarsi ai numerosi problemi connessi al turismo e alle conseguenze psicologiche del
viaggio.
Iniziano proprio in questo periodo i primi studi empirici sull’argomento.
Negli anni ’50, con l’emergere della Psicologia Ambientale come approccio che studia
l’interazione fra l’uomo ed il suo ambiente fisico e sociale, si aprono nuovi scenari nello
studio del comportamento turistico. Si cominciano ad integrare i numerosi fattori psicologici
con quelli ambientali e ciò offre un contributo fondamentale all’evolversi degli studi sul
turismo.
In questo periodo la maggior parte della ricerca psicologica sul turismo è ancora troppo
asistematica, legata esclusivamente ai risultati e poco ancorata alle richieste metodologiche.
Inoltre, le procedure e i concetti sono in genere derivati, con poche o nessuna modifiche, da
altre discipline.
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Solo nei decenni successivi, negli anni ’70 – ’80, la Psicologia del turismo si afferma come
settore di studi più complesso e accurato.
Iniziano a moltiplicarsi convegni e dibattiti sull’argomento, nascono le prime riviste,
aumentano i libri e gli articoli (spesso a carattere multidisciplinare). Inoltre, gli studi vengono
affrontati in maniera più sistematica dal punto di vista metodologico.
Sorgono anche organismi di ricerca e studio a livello mondiale.
In pratica, solo nella prima metà degli anni ’70, negli Stati Uniti e un po’ più tardi in Europa,
gli psicologi iniziano ad occuparsi “seriamente” di turismo e degli aspetti ad esso legati che
costituivano già settori di studio della Psicologia, ovvero: motivazioni, aspettative,
soddisfazione, presa di decisione, atteggiamenti, comportamenti, ecc...
In particolare, per quanto riguarda la Psicologia italiana, essa comincia ad interessarsi
ufficialmente a questo nuovo argomento nel 1984.
E’ di quell’anno, infatti, la giornata di studio dal titolo “Psicologia e turismo”, tenutasi a
margine di un congresso svoltosi a San Pellegrino Terme. Da questa importante giornata
furono gettate le basi per la nascita di un Comitato Scientifico Nazionale “Psicologia e
Turismo”, composto da docenti di Psicologia, Geografia, Economia, Diritto, ma anche da
medici sportivi e da altre figure inserite professionalmente nell’ambito turistico.
A questo primo incontro ne seguirono altri (San Gemini 1987, Sassari 1988, di nuovo San
Gemini 1990, Trento 1993, Ravello 1995, Milano 1997, Gorizia 1999) tutti importanti per
consolidare e stringere il rapporto fra questi due settori di studio apparentemente così lontani.
Nonostante gli evidenti e recenti progressi della disciplina (a livello nazionale ma, ancor di
più, internazionale), anche allo stato attuale delle cose, la relazione tra Psicologia e Turismo
rimane sempre ad un livello superficiale e occasionale, quasi casuale.
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Gli psicologi non sono stati, finora, capaci di dare unità e completezza ai vari studi, condotti
ancora troppo spesso in maniera frammentaria, disordinata e ancora troppo legati ad altre
discipline (ecologia, economia, sociologia, antropologia…).
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CAPITOLO 3
GLI STUDI PSICOLOGICI
SUL TURISMO
Il turismo è, come abbiamo visto, un fenomeno molto complesso che necessita di un’analisi
approfondita e sistematica.
E’ fondamentale, dunque, un’attività di studio più accurata e che utilizzi una prospettiva
interdisciplinare, in quanto non può essere compreso a fondo se è studiato esclusivamente
secondo i criteri ed i sistemi di una sola disciplina (Psicologia, Economia, Geografia,
Sociologia, ecc..).
Ed è proprio in quest’ ottica interdisciplinare che si inserisce, a pieno titolo, la Psicologia.
L’approccio psicologico può essere di fondamentale aiuto laddove si studino numerosi aspetti
dell’ambito turistico ma non è certo limpido e privo di incognite; si pensi, ad esempio, alla
molteplicità e alla varietà delle sue teorie (Psicologia Ambientale, Cognitiva, Sociale,
Psicoanalisi, ecc..), ai problemi di carattere metodologico ancora presenti in determinati
ambiti (compreso quello turistico appunto), alle inevitabili difficoltà di applicazione pratica di
nuovi spunti teorici.
La Psicologia, perciò, potrà essere applicata ai molteplici aspetti del turismo soltanto nel
momento in cui saranno trattati più approfonditamente e risolti questi ed altri problemi di