4
riassumere con l’immagine dell’immigrato che «toglie posti di lavoro agli
italiani», «non paga le tasse», «usufruisce gratuitamente dei servizi (sanità,
casa, scuola, etc.)», stereotipi che sono sempre più il risultato dell’azione
generalizzante dei mass media.
1
Nonostante questo atteggiamento sia presente
anche nei cittadini di Torino, con il passare del tempo, la città ha cercato di
capire questo nuovo fenomeno e si è mossa verso i nuovi cittadini, offrendo
loro una rete di appoggio e di opportunità che li renderà sempre più attivi e non
solo fruitori di servizi.
Successivamente si è reso utile riportare alcuni dati statistici sulla
popolazione straniera presente sul territorio della città di Torino; non si vuole
approfondire in modo tecnico questo aspetto, ma si tenta di dare al lettore una
chiave per comprendere il tipo di intervento che le realtà prese in
considerazione mettono in atto.
Sono essenzialmente due gli indicatori di cui si tiene conto: la composizione
per età e per sesso della popolazione straniera.
Si vedrà infatti che soprattutto due degli enti che si è deciso di presentare
hanno operato una “specializzazione” nell’organizzare attività e nel rispondere
a precisi bisogni espressi. La presenza di stranieri in città è sempre più
articolata, complessa, numerosa ed eterogenea e quindi si sta rendendo
indispensabile la capillarizzazione dei servizi ad hoc offerti a coloro che, con un
bagaglio di esperienze, conoscenze e difficoltà, hanno desiderio di inserirsi a
pieno titolo nella vita sociale della città.
Nonostante questo si può osservare come, ultimamente, le realtà coinvolte
quotidianamente nel lavoro di “integrazione”, siano esse del privato sociale o
della Pubblica Amministrazione, pensino che sia venuto il momento di passare
ad una fase più “universalistica” dei servizi, che dovranno essere sempre più
1
Per un approfondimento sul tema del ruolo dei mass media nella questione dell’immigrazione cfr.
Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici, pagg. 258-276, Laterza, 2004.
5
dedicati all’intera cittadinanza e non solo agli stranieri; questa evoluzione è
necessaria per adeguarsi a quella che l’Assessore Comunale alle Politiche per
l’Integrazione, Ilda Curti, ha definito «fase matura dell’immigrazione»,
concetto che verrà ripreso nel capitolo dedicato alla situazione torinese.
Dal punto di vista metodologico si è scelto di dare spazio non solo alle
descrizioni delle realtà prese in considerazione, ma anche alle persone che ne
fanno parte.
È stato utilizzato quindi lo strumento dell’intervista semi-strutturata a quattro
realtà (due del mondo dell’associazionismo e due della Pubblica
Amministrazione) in cui si è cercato di dare spazio all’esperienza personale
dell’intervistato, cogliendone punti di vista, difficoltà, esperienze pregresse e
motivazioni, oltre che ad aver cercato di dare risposta ad una serie di domande
più “tecniche”, relative al servizio che la persona rappresentava.
La scelta di mettere a confronto due servizi della Pubblica Amministrazione
con due appartenenti al mondo dell’associazionismo deriva ancora una volta
dall’esperienza pregressa di chi scrive, in quanto, per motivi di interesse
personale e di attività svolte nel tempo libero, è venuta a contatto con entrambi i
contesti e ne ha colto l’estrema diversità di approccio, di finalità e di
progettualità, che ovviamente, conduce a risultati differenti e non sempre
paragonabili.
Come si può comprendere dunque, questo elaborato si presenta come una
un’analisi di caso di quattro soggetti diversi tra di loro per tipologia di
interventi attuati in favore dell’integrazione degli stranieri; abbiamo preso in
considerazione ciò che si sta facendo attualmente per poter riuscire a formulare,
in futuro, delle proposte a coloro che si occupano quotidianamente di creare
cittadini e non numeri.
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1. BREVE EXCURSUS STORICO SUL FENOMENO
MIGRATORIO IN ITALIA
1.1 Dagli anni ’60 a oggi: breve storia dell’immigrazione extraeuropea
in Italia
Per ricostruire la storia del movimento migratorio in Italia ci siamo avvalsi
di alcuni dati e interventi presenti in alcune pubblicazioni statistiche di enti
privati e pubblici
2
e di testi di letteratura che affrontano la tematica dal punto di
vista storico e sociologico.
Possiamo iniziare il nostro excursus storico sull’immigrazione extraeuropea
in Italia partendo dall’affermazione di Colombo e Sciortino
3
:
«A partire dagli anni ’70 anche l’Italia esporta sempre meno lavoratori e
comincia, in sordina, a reclutarne».
Per comprendere tali mutamenti occorre prendere in considerazione non
soltanto le ragioni che spingono i migranti a dirigersi verso il nostro paese, ma
anche la situazione interna dell’economia e della società italiana che, per alcuni
aspetti, riflette quella della maggior parte dei paesi europei (crescita economica,
cambiamento demografico, struttura dei salari relativi, organizzazione del
welfare), ma che, per altri è peculiare del nostro sistema: importanza della
piccola e media impresa, elevata frammentazione territoriale, peso del settore
informale nell’economia nazionale.
2
Cfr. F.Pittau, 35 anni di immigrazione in Italia, in Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione
2005, IDOS Centro Studi e Ricerche, Roma, 2005, pp. 69-76;
ISMU, Decimo rapporto sulle migrazioni 2004 : dieci anni di immigrazione in Italia, Franco Angeli,
Milano, 2005;
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2005, www.istat.it, 27 ottobre 2005.
3
Cfr. A.Colombo, G.Sciortino, Gli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, p.13
7
Come già accennato, dunque, l’ingresso nel sistema migratorio
internazionale dell’Italia come paese d’importazione avviene a cavallo tra la
fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Non è facile ricostruire la storia dei
primi anni in quanto in quel periodo non esistevano vere e proprie politiche
migratorie; per un lungo periodo i politici e gli amministratori pubblici non
hanno tenuto conto del fenomeno e non hanno organizzato una raccolta di dati
statistici che permetta, oggi, un’analisi dettagliata degli avvenimenti. Il
problema era quindi che molti stranieri diventavano visibili solo dopo molto
tempo il loro ingresso nel nostro paese. Distinguendo tra immigrati “regolari”,
“irregolari” e “clandestini”, si deve specificare che tali attributi non sono parte
integrante della figura dell’immigrato, bensì descrivono il suo rapporto con le
istituzioni. Per immigrato “regolare” si intende colui che si trova in regola con
il permesso di soggiorno; sono clandestini gli stranieri che sono entrati in Italia
senza regolare visto di ingresso. Sono irregolari gli stranieri che hanno perduto i
requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale (es.: permesso di
soggiorno scaduto e non rinnovato), di cui erano però in possesso all'ingresso in
Italia. Secondo la normativa vigente tali immigrati devono essere respinti alla
frontiera o espulsi. In Italia, quindi, non si deve distinguere l’immigrazione
regolare da quella clandestina, ma bisogna chiarire che la forte presenza di
stranieri irregolari è dovuta alla forte domanda di lavoro straniero e all’assenza
di canali di ingresso legali.
È opportuno specificare che il flusso di migranti che arriva in Italia non è
frutto di un unico processo, bensì è il risultato di questa varietà di processi che
Colombo e Sciortino definiscono come «pluralità di sistemi migratori»,
4
normalmente caratterizzato da «precise opportunità di lavoro». Per esempio tra
la metà e la fine degli anni ’60, ci fu una forte immigrazione tunisina verso la
4
Ivi, p. 23
8
Sicilia, quale conseguenza del ritorno di imprenditori italiani dalla Tunisia in
seguito alla nazionalizzazione. Gli immigrati tunisini furono impiegati come
braccianti agricoli e nella pesca. In Friuli Venezia Giulia, nello stesso periodo e
quasi per gli stessi motivi, gli ingressi provenivano dall’Europa orientale e dai
Balcani.
In alcune città del centro-nord, come Roma e Milano, già negli anni ’60 si
assiste all’arrivo di migranti dai paesi ex-colonie, quali Eritrea e Libia. Un terzo
sottosistema migratorio derivò dai paesi in cui era presente una forte
componente missionaria come le Isole di Capo Verde e le Filippine.
Proseguendo cronologicamente, verso gli anni ’80 si assiste ad una
trasformazione caratterizzata da un rafforzamento dei legami tra le due sponde
del Mediterraneo. Ai tunisini quindi si aggiungono algerini, egiziani e
soprattutto marocchini; questi ultimi hanno visto crescere regolarmente la loro
presenza in termini numerici, anche se negli ultimi anni sono stati scavalcati da
rumeni e albanesi.
Negli anni ’90 si sviluppa un'altra fenomenologia migratoria, questa volta
proveniente dai paesi asiatici: Filippine (già presenti dagli anni ’60), Cina, Sri
Lanka a cui si aggiungono, nel decennio successivo, Pakistan e Bangladesh.
Ciò che caratterizza questo flusso, rispetto ai movimenti descritti in precedenza,
di cui erano protagonisti individui singoli, in prevalenza di sesso maschile è lo
spostamento di interi nuclei famigliari. Sempre in questo decennio si assiste a
una nuova ondata migratoria dall’Europa orientale e dai Balcani, vissuta e
ricordata come “l’arrivo degli albanesi” spinti fuori del loro paese da una
situazione interna piuttosto critica. Oltre agli albanesi arrivano in questo
periodo numerosi polacchi, russi, rumeni e ucraini. Nonostante le nazionalità
rappresentate siano molte, non si può parlare di immigrazione non strutturata,
anzi, negli ultimi anni, questo è risultato sicuramente falso, dal momento che si
sono consolidati alcuni flussi e altri sono scomparsi.
9
Prendendo ora in considerazione le modalità di insediamento degli stranieri
sul nostro territorio, torniamo a un concetto già enunciato e, cioè, il legame che
hanno i flussi migratori con le opportunità di lavoro offerte. In questo senso
sicuramente la maggiore presenza si registra al Nord, mentre diminuisce mano
a mano che ci si avvicina al meridione. Questo intreccio di aree di destinazione
e opportunità di lavoro si riflette sulla concentrazione di alcuni gruppi nazionali
in particolari aree geografiche o industriali.
10
1.2 Le politiche migratorie
Prima di condurre una breve e riassuntiva analisi della risposta istituzionale
e politica al fenomeno dell’immigrazione in Italia è utile cercare di inquadrare
l’atteggiamento della popolazione nei confronti dell’immigrazione.
Il punto di partenza è l’emigrazione, un’esperienza di senso inverso che ha
visto gli italiani per più di un secolo prendere le vie dell’esodo, con circa 28
milioni di espatri a partire dall’unità d’Italia. Ancora negli anni ’50 e ’60
lasciano l’Italia in media 300.000 persone l’anno; gli espatri scendono a
108.000 negli anni ’70, quando iniziano a prevalere i rimpatri, e a 55.000 negli
anni ’90 (e poco meno negli anni successivi). La forte riduzione delle partenze
per l’estero ben presto si accompagna con l’arrivo degli immigrati in Italia. Gli
anni ’70 e gli anni ’80 possono essere ricordati come il periodo della “curiosità”
o della “indifferenza” nei confronti di un fenomeno dalle proporzioni contenute.
I primi flussi sono in prevalenza costituiti da lavoratrici domestiche, che
hanno una scarsa visibilità societaria, e da richiedenti asilo, che spesso si
fermano poco tempo in Italia perché di passaggio verso paesi d’oltreoceano.
Tra la fine degli anni ’80 e la fine degli anni ’90 si colloca il periodo
dell’emergenza, che costringe gli italiani a confrontarsi, impreparati, con un
fenomeno che inizia ad assumere una dimensione quantitativa notevole. Le
leggi italiane sono però incomplete (la legge 943 del 1986 si occupa solo del
lavoro subordinato ma non di quello autonomo e del soggiorno) o molto
ambiziose e, in definitiva, inconcludenti (la legge Martelli del 1990 prevede una
modestissima copertura finanziaria per la prima accoglienza e le iniziative per
l’inserimento socio-culturale), a volte contraddittorie (il decreto legge del 1995,
emanato dal governo tecnico “Dini” accosta due filoni ben distinti, uno aperto
all’integrazione e l’altro decisamente improntato alla chiusura), sempre
caratterizzate da un supporto burocratico debole e dall’assenza di una strategia
11
di lunga durata (sono noti gli insuccessi dei decreti sui flussi che non
programmano i fabbisogni del mercato e, per questo, favoriscono la creazione
di sacche di irregolarità, puntualmente ricreate dopo ogni regolarizzazione).
L’ultima fase, iniziata con la legge Turco-Napolitano del 1998, si può
definire il periodo dell’organicità limitata e contrastata. La nuova legge, rispetto
al passato, presenta un’impostazione di sistema e cerca di affrontare i problemi
nel loro complesso, con aperture decisamente innovative (una programmazione
dei flussi più efficace, il recupero delle vittime della prostituzione, la venuta per
la ricerca del lavoro, un progetto di integrazione) secondo una visione proiettata
verso il futuro e collegata con i paesi di origine, anche se diversi aspetti della
normativa sono carenti. Il principale fallimento nell’attuazione pratica della
legge 40/98 riguarda l’obiettivo di stabilizzare la popolazione straniera. Per
esempio si sono rivelate inadeguate le norme relative alla carta di soggiorno,
che avrebbero dovuto facilitare gli stranieri residenti nelle operazioni di
rinnovo, ma che sono state interpretate in maniera restrittiva e che hanno avuto
risultati poco proficui.
Con la nuova maggioranza politica di centro-destra emersa con il voto
politico del 2001, ci si trovò nuovamente di fronte al problema di come
regolamentare i flussi migratori. Sebbene durante la campagna elettorale ci si
fosse concentrati sull’accusa al governo precedente di non aver saputo
controllare l’immigrazione irregolare e il nuovo potere esecutivo si impegnasse
a contrastare questo fenomeno, il disegno di legge fu molto diverso dalle
proposte fatte in campagna elettorale. Alcune erano addirittura
anticostituzionali e la maggior parte di esse incontravano la ferma opposizione
di alcuni settori della maggioranza.
La nuova legge 189/2002, detta “Bossi/Fini”, è caratterizzata da alcune
novità fortemente restrittive; per facilitarne l’iter di approvazione, però, il
governo l’ha affiancata a una nuova sanatoria. I principali punti della nuova
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legge sono: l’introduzione dell’obbligo di depositare le impronte digitali al
momento della richiesta del permesso di soggiorno e del suo rinnovo,
l’estensione dei motivi di espulsione, l’inasprimento delle pene in tema di
immigrazione irregolare o di non osservanza del decreto di espulsione,
l’introduzione di norme volte a rafforzare i controlli di frontiera, in particolare
delle frontiere marittime.
Le legge 189 rafforza inoltre le difficoltà di una politica attiva degli ingressi,
lasciando al presidente del Consiglio la decisione se emanare o meno, di anno
in anno, il cosiddetto «Decreto Flussi», legando spesso la decisione
esclusivamente alle condizioni del mercato del lavoro; condizione che potrebbe
essere considerata anche ragionevole, ma che, chiaramente, limita di molto le
possibilità per gli stranieri di arrivare nel nostro paese. Nel corso di quella
legislatura, i decreti sono stati emanati sì, ma hanno coinvolto spesso solo i
lavoratori stagionali e comunque in numero nettamente inferiore alle effettive
necessità del mercato. Questo ha provocato nuove sacche di immigrazione
irregolare a cui sono seguite numerose sanatorie, tra cui quella particolarmente
consistente del 2002.
Prendendo in considerazione la nuova situazione in cui, con questa legge, si
trovavano gli stranieri già residenti sul territorio, non si può certo affermare che
questa sia migliorata.
Viene infatti aumentato di un anno il periodo di permanenza necessario per
il rilascio della carta di soggiorno, è stato ridotta la durata dei diversi permessi,
contribuendo ad una burocratizzazione quasi estenuante sia per gli stranieri che
per gli impiegati e i funzionari degli uffici preposti.
Si può sicuramente affermare che l’Italia ha finora adottato politiche che
favoriscono la discrezionalità amministrativa e che non possono essere
considerate come attive nei confronti dei nuovi ingressi. Si è sempre cercato di
ritardare la stabilizzazione della popolazione straniera e pare che questi decenni
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di immigrazione siano serviti solo a prolungare l’impreparazione iniziale
rispetto a questo fenomeno.