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relazione con l’elemento tragico, che è l’altra faccia della stessa
medaglia nelle opere che mi accingo ad analizzare.
Esauriti questi due aspetti preliminari, propongo un’analisi
strutturale, formale, contenutistica e linguistica delle “tragedias
grotescas” che appartengono al momento di massimo splendore del
“género grande” dell’autore.
Carlos Arniches divenne celebre nel XIX sec. come scrittore di
“sainetes” e “zarzuelas” e solo nel secondo decennio del secolo XX
dimostrò la sua grande abilità anche nella produzione di commedie,
farse e “ tragedias grotescas”.
Anziché separare l’ambito strutturale da quello contenutistico e
da quello linguistico, ho scelto di evidenziare i tratti salienti ora
dell’uno ora dell’altro aspetto in un’analisi complessiva, che segue
l’ordine cronologico degli eventi messi in scena e dei dialoghi tra i
personaggi che vi prendono parte.
Affinché la vicenda drammatica risulti chiara, fornirò una breve
sintesi della trama, che precederà di volta in volta lo studio vero e
proprio dell’opera in questione.
Nell’analisi riporterò delle citazioni, a parer mio, indispensabili
per cogliere i meccanismi di costruzione dell’intreccio e il ruolo dei
personaggi all’interno dell’opera. In nota offrirò la traduzione dei passi
citati ed alcune indicazioni sulle scelte traduttive.
Il mio principale obiettivo è evidenziare i modi in cui emergono nel
corso dell’opera le caratteristiche precipue del genere: l’agire di
personaggi-caricature che sono fonte di comicità, l’evolvere della loro
personalità, la scoperta dell’elemento tragico soggiacente all’intera
vicenda, il quale molto spesso valica i confini dell’opera stessa, e la
lezione morale enunciata da uno dei personaggi come riflessione sui
fatti drammatizzati.
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TRAIETTORIA BIOGRAFICA
1
E CREATIVA DI
CARLOS ARNICHES.
Carlos Arniches nasce ad Alicante nel 1866. Durante il decennio
1870-1880 la popolazione alicantina deve fronteggiare una difficile
situazione economica, causata dall’epidemia di febbre gialla nel 1870,
dal bombardamento della città nel 1873, dalle continue lotte politiche
interne e, infine, dallo straripamento del fiume Segura nel 1879.
Nel 1880 la famiglia del nostro autore, vessata dalle difficoltà
finanziarie, decide di trasferirsi a Barcellona, con la speranza di
trovare migliori condizioni di vita. Così, all’età di quattordici anni,
Arniches abbandona la sua città natale, a cui comunque rimarrà
profondamente affezionato per tutta la vita.
Nel 1885 il giovane Arniches lascia la famiglia e si trasferisce a
Madrid, a casa di parenti, per frequentare la Facoltà di Diritto. Ben
presto, però, scopre l’interesse per la scrittura ed inizia a trascurare gli
studi, motivo per cui si deteriorano i rapporti con la zia, di cui era
ospite.
Costretto a mantenersi da solo, Arniches lavora come giornalista
nelle redazioni di El Diario Universal, La Ilustración Artística Teatral
e El Resumen. Lo stipendio non è alto ed egli si ritrova a vivere
poveramente fino a che nel 1887 pubblica la sua prima opera: Cartilla
y Cuaderno de Lectura (Trazos de un reinado), esiguo libro sul regno di
Alfonso XII. Il Ministero dell’Economia ne compra mille copie per
distribuirle nelle scuole; il ricavato permette un miglioramento del
tenore di vita dell’autore.
In quegli stessi anni conosce Gonzalo Cantó, con il quale collabora
alla redazione della satira letteraria-musicale intitolata Casa
Editorial, che nel 1888 viene rappresentata per la prima volta e, grazie
all’accoglienza favorevole del pubblico e di buona parte della critica, da
quel momento Arniches può partecipare all’intensa attività teatrale
madrilena.
A partire dal 1889 la collaborazione di Arniches e Cantò si estende
a Celso Lucio, altro giovane drammaturgo. Il teatro in collaborazione
era una costante dell’epoca, soprattutto nell’ambito del “género chico” e
del “teatro por horas”, dove era richiesta una grande quantità di opere
in tempi brevi. Si tratta di un tipo di teatro a carattere popolare,
“costumbrista” e comico, che aveva un pubblico abbondante, ma anche
molti detrattori tra i critici. Questi vi scorgevano un eccessivo affanno
economico, una scarsa preoccupazione artistica, volgarità e ripetitività
di temi e soggetti.
1
Per uno studio approfondito della biografia di Carlos Arniches, il contributo più importante e
dettagliato è: RAMOS, Vicente, Vida y teatro de Carlos Arniches, Madrid, Alfaguara, 1966.
6
Arniches, Cantò e Lucio scrivono “sainetes”, “juguetes cómicos” e
“zarzuelas”, ossia coltivano tutte le modalità del teatro “minore”
dell’epoca. Queste opere, pur con le dovute differenze, hanno in comune
alcune importanti caratteristiche: un dialogo ricco di arguzie, giochi di
parole, doppi sensi e colloquialismi; l’inserimento di parti cantate,
molte volte in modo spiritoso; l’agire di personaggi-tipo (il “fresco”, il
“chulo”, la guardia municipale, il portiere, il “pícaro”, il “golfo”, etc...)
2
e la presenza di una critica sociale e morale.
Il genere a cui Arniches si dedicherà per molto tempo, anche
quando lavorerà solo, è il “sainete”, la cui origine si può far risalire ai
“pasos” di Lope de Rueda e agli “entremeses” di Cervantes e Quiñones
de Benavente, ossia quadri di costume, che ridicolizzano mode, usi
sociali ed atteggiamenti dei personaggi e il tutto con una finalità
didattica e moralizzante.
Nel 1892 si interrompe la collaborazione con Cantò, che è
gravemente ammalato, ma continua quella con Celso Lucio, con il
quale il nostro drammaturgo compone moltissime opere, tra cui Los
aparecidos (1892), Vía libre (1893), El reclamo (1893), Las amapolas
(1894).
Nel 1894 Arniches si sposa con Pilar Moltó Campo Redondo e da
questo matrimonio nasceranno cinque figli.
I primi grandi successi di Arniches, scritti senza collaboratori,
sono El santo de la Isidra e La fiesta de San Antón, entrambi del 1898.
E’ questa una data significativa per l’intera Spagna, è l’anno del
Desastre, cioè la perdita delle colonie spagnole di Cuba, Porto Rico e
Filippine. Le inevitabili ripercussioni sulla società e in modo
particolare sugli intellettuali dell’epoca, comportano un momento di
decadenza del teatro spagnolo, fatta eccezione per il “género chico”, che
in quegli anni raggiunge il suo massimo splendore.
Nel primo decennio del XX secolo Ramón Asensio Mas, Carlos
Fernández Shaw, Sinesio Delgado, José López Silva, Félix Quintana,
Joaquín Abati, Carlos Arniches e Enrique García Álvarez continuano a
produrre opere di questo genere.
Sono di questi anni El terrible Pérez (1903), El pobre Valbuena
(1904), El iluso Cañizares (1905), El pollo Tejada (1906), El fresco de
Goya (1912), opere ricchissime di battute di spirito e di situazioni
divertenti, accomunate dal tipo del “fresco” come protagonista, le cui
bugie vengono sempre scoperte e ridicolizzate. Suddetti titoli sono il
frutto della prolifera collaborazione tra García Álvarez e Arniches. Il
loro maggiore successo è però del 1907 con la commedia lirica di
2
Alcuni termini li ho lasciati in lingua originale, per l’impossibilità di darne una traduzione esatta
ed univoca; per definirli in italiano dovremmo ricorrere a precisazioni: il “fresco” è uno sfrontato
che tende inganni a persone rispettabili, il “chulo” è in alcune occasioni un uomo che vive a spese
di donne ricche che seduce e poi abbandona, in altri casi è semplicemente un giovanotto bullo ed
insolente...(cfr. Francisco Trinidad, Arniches: un estudio del habla popular madrileña, Madrid,
Góngora, 1969, pp.169-177). Per quanto riguarda il “golfo” e il “pícaro” sono entrambi
vagabondi furfanti, mossi dalla fame a rubare e ad usare l’astuzia per compiere malefatte.
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costume popolare intitolata Alma de Dios, che affronta un problema
morale: l’onore di una ragazza orfana, offeso dalla signorina presso cui
presta servizio.
Nonostante i numerosi lavori in collaborazione è di questi anni
anche un “sainete” scritto soltanto da Arniches: Las estrellas, che ha
per tema la collisione tra sogni e realtà.
La rottura nel 1912 con Enrique García Álvarez, coincide con la
decadenza del “género chico”. Gli anni 1912-1915 sono anni di
transizione in cui Arniches si dedica alle commedie e farse comiche,
prima di sperimentare il nuovo genere, che è oggetto di studio di questo
elaborato. Le opere fondamentali di questo triennio sono: La pobre
niña, La gentuza, La sobrina del cura, La casa de Quirós e il “sainete
extenso” El amigo Melquiades.
Nel 1916 la prima rappresentazione de La señorita de Trevélez
costituisce uno dei momenti più brillanti della traiettoria teatrale di
Arniches, ma non ottiene immediato successo, perché non viene
compresa appieno dal pubblico. A partire dagli articoli critici di Ramón
Pérez de Ayala, scritti nei successivi due anni, si assiste alla
rivalutazione dell’opera, a tal punto che viene anche portata al grande
schermo in due fortunate versioni (di Edgar Neville nel 1935, di Juan
A. Bardem nel 1956).
L’anno successivo viene messa in scena La venganza de la Petra,
eccellente e divertente farsa, in cui una giovane e bella donna
riconquista il marito comportandosi con lui in modo equivoco fino a
risvegliare la sua gelosia.
Una caratteristica significativa del teatro di Carlos Arniches è il
madrilenismo, che si manifesta con tutta la sua forza nei “sainetes”
brevi, raccolti nel libro Del Madrid castizo, pubblicato nel 1917.
In ognuno di essi emerge la profonda conoscenza della vita
popolare madrilena da parte dell’autore, la sua natura di scrittore
comico e la sua capacità di creare dialoghi che sviluppano una tesi
morale o sociale. Valgano a titolo d’esempio: Los culpables, che
presenta tutti i caratteri della letteratura regeneracionista dell’epoca e
che svela la soluzione proposta da Arniches contro tutti i mali della
Spagna, cioè la dedizione al lavoro; El premio de Nicanor, una spiritosa
apologia del risparmio e una concreta presa di posizione contro il gioco
d’azzardo e le lotterie; El zapatero filósofo, affermazione della
lamentabile immutabilità della vita del popolo spagnolo. Sono altresì
importanti: La risa del pueblo, critica diretta contro chi si diverte a
ridere del male altrui, tema presente anche ne La señorita de Trevélez;
La pareja científica, dove l’autore esprime la sua umanissima difesa del
“golfillo” madrileno, ossia la sua personale opinione sui furfanti che
agiscono mossi dalla fame e stufi della miseria più nera, il che ci
condizionerà nel giudizio di Bermejo, altro “golfo” del teatro arnichesco,
protagonista di ¡Que viene mi marido!.
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Suddetta opera, rappresentata per la prima volta nel 1918, è la
prima che Arniches definisce “tragedia grotesca” ed egli, anni dopo,
spiegherà il motivo di questo nuovo genere:
«Toda mi primera época, y durante muchos años, el momento del auge del
género breve, escribía, muchas veces en colaboración, bien sainetes, bien
libritos para zarzuelas. Obtenía grandes éxitos; era lo que el público entonces
exigía, y yo no me apuraba por superarme, por más que muchas veces me
acometieran deseos de elevar mi producción. Y vino el momento del género
grande, y yo, espontáneamente, evolucioné. Pero no me resignaba a realizar la
comedia común, como todos, sino que quería hacer algo mío, que tuviera mi
sello, y de ahí que me decidiera a crear la tragedia grotesca, ese género de un
tono especial del que son los títulos de todos mis últimos éxitos.»
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Nonostante l’ultima affermazione del drammaturgo, è difficile
stabilire quali dei suoi ultimi lavori siano effettivamente da
considerarsi appartenenti al nuovo genere, sicuramente non tutti come
egli dice; esistono opinioni discordanti tra i critici di Arniches, ma la
maggior parte di essi concorda nell’affermare che ben presto il genere
si converte in una formula e perde molto dell’originalità e dello
splendore di partenza. Inoltre, è opinione diffusa che il teatro del
nostro drammaturgo subisca un’inflessione a partire dalla seconda
metà degli anni venti e che, salvo rare eccezioni, egli non scriva più
opere così significative come quelle viste finora.
Premesso ciò, possiamo dire che le opere unanimamente
riconosciute come tragedie grottesche sono: ¡Que viene mi marido!
(1918), Es mi hombre (1921), La locura de don Juan (1923), La condesa
está triste (1930), El señor Badanas (1930), La diosa ríe (1931), El casto
don José (1933), tra le quali viene generalmente annoverata anche La
señorita de Trevélez.
Senza soffermarmi su quelle che analizzerò dettagliatamente in
seguito, vorrei soltanto fare un rapido cenno alla trama di queste
opere. La locura de don Juan ha per protagonista un timido e ridicolo
padre di famiglia, incapace di imporsi su moglie e figlia; per aiutarlo il
suo medico dice ai familiari che don Juan è impazzito e che la sua
situazione potrebbe peggiorare e farlo diventare molto aggressivo se
non viene fatto quello che egli desidera. La condesa está triste narra la
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« Tutto il mio primo periodo, nel corso di molti anni, il momento dell’auge del genere breve,
scrivevo, molte volte in collaborazione, sia “sainetes”, sia libretti per “zarzuelas”. Ottenevo
grandi successi; era quello che il pubblico di allora richiedeva ed io non mi affrettavo per
superarmi, anche se molte volte mi assaliva il desiderio di elevare la mia produzione. E venne il
momento del genere grande e io, spontaneamente, evoluzionai. Ma non mi rassegnavo a realizzare
la comune commedia, come tutti, volevo fare qualcosa di mio, che portasse il mio marchio, e
perciò mi decisi a creare la “tragedia grotesca”, questo genere con un tono speciale, di cui sono i
titoli di tutti i miei ultimi successi.» (La traduzione è mia, come anche oltre, salvo diversa
indicazione.) Cfr. “Está en Buenos Aires Carlos Arniches”, La Nación (Buenos Aires), 10-I-1937,
cit. in Manfred Lentzen, “La tragedia grotesca de Arniches y el teatro grotesco contemporáneo”, in
Estudios sobre Carlos Arniches, a cura di Juan A. Ríos Carratalá, Alicante, Inst. Juan Gil Albert,
1993, p.62.
9
storia di un’anziana contessa vedova, la quale si innamora di un
giovane pigro ed imbroglione, che vede nel matrimonio con la donna la
possibilità di salvare dalla miseria se stesso e i suoi due figli. El señor
Badanas è la storia di un uomo buono e semplice che, in seguito ad un
avanzamento di carriera, si ritrova a ricoprire un ruolo di
responsabilità e pertanto a fingere una determinazione ed una severità
che egli realmente non possiede; quando involontariamente commette
un’ingiustizia si manifesta tutta la tragicità della sua situazione,
perché egli è tormentato dal rimorso. Infine, La diosa ríe ci presenta il
profondo dramma umano dei due protagonisti che vivono lo scontro tra
sogni e realtà; un uomo normale e un’artista ricca e famosa si
innamorano, ma le differenze tra i due mondi che frequentano
impediscono il lieto fine della storia d’amore.
Accanto a questo filone del teatro arnichesco, continuano a
rappresentarsi altre opere del drammaturgo: Los caciques (1920), La
heroica villa (1921), La chica del gato (1921) sono tre importanti lavori,
ricchi di critica sociale; il primo prende di mira il malgoverno, il
secondo l’invidia e l’odio, il terzo l’insensibilità, tutti vizi di paesi
spagnoli che, come Villanea ne La señorita de Trevélez, sono simboli
dell’intera Spagna dell’epoca, ossia uno Stato sterile, arretrato e
incapace di progredire.
Arniches è descritto dai contemporanei come un uomo dedito al
lavoro e alla famiglia, persona molto ospitale e generosa, seriamente
interessato al futuro della patria e al miglioramento morale del suo
popolo, come egli stesso dichiara:
«Aspiro sólo con mis sainetes y farsas a estimular las condiciones
generosas del pueblo y hacerle odiosos los malos instintos.»
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La vecchiaia di Arniches trascorre a Madrid anche durante la
Repubblica, ma allo scoppio della Guerra Civile (1936) egli, strenuo
difensore dell’armonia e della quiete, non può stare ad assistere a quei
drammatici eventi e si trasferisce in Argentina con la moglie. Lì
incontra tanti comici e autori spagnoli, con i quali ricomincia a lavorare
in teatro, nel cinema e perfino alla radio.
E’ del 1937 El Padre Pitillo, opera che esprime un desiderio di
armonia sociale e politica, contrastante con la situazione della Spagna
che egli ha abbandonato, ma non dimenticato. In Argentina rilascia la
seguente dichiarazione:
«Madrid era algo tan mío, tan de mi corazón, que entre sus ruinas ha
terminado mi vida de autor. ¡Trágico final, jamás soñado! Porque el Madrid que
venga que ¡ojalá sea el Madrid glorioso y magnífico que yo deseo, libre, fuerte y
culto, regido por la igualdad entre los hombres, la justicia y la paz!, ya no será
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« Con i miei “sainetes” e le mie farse aspiro solamente a stimolare le condizioni generose del
popolo e a rendergli odiosi i cattivi istinti.»; cfr. V. Ramos, Vida y teatro de Carlos Arniches, cit.,
p.6.
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el mío y le cantarán otros hombres, no con más amor que yo, pero sí con más
entonados y vibrantes acentos.»
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Nel 1940 Arniches e sua moglie ritornano a Madrid, ma nulla è
com’era quando egli traeva ispirazione da quella città e dai suoi
abitanti. Trascorre gli ultimi anni della sua vita in modo appartato,
senza scrivere più molto.
Nel 1943 giunge la notizia della morte di una delle sue figlie, che
infligge un grande dolore a quell’uomo votato alla famiglia. Il mese
successivo scrive l’ultima sua opera Don Verdades.
Il 16 aprile di quello stesso anno Carlos Arniches muore tra le
braccia della moglie.
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«Madrid era qualcosa di così mio, del mio cuore, che tra le sue rovine è finita la mia vita di
autore. Tragico finale, mai immaginato! Perchè il Madrid che verrà (magari sarà il Madrid glorioso
e magnifico che desidero, libero, forte e colto, retto dall’uguaglianza tra gli uomini, dalla giustizia
e dalla pace!) non sarà più il mio e lo canteranno altri uomini, non con più amore di me, ma con
più intonati e vibranti accenti.»; cfr. Crítica, Buenos Aires, 18-I-1937, cit. in Juan A. Ríos
Carratalá, “Introducción”, in: Carlos Arniches, La señorita de Trevélez. Los caciques, Madrid,
Castalia, 1997, pp.22-23.