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Tale lavoro si compone di due parti: nella prima si è cercato di creare uno
sfondo teorico che mettesse in evidenzia il vero significato della legge
oggetto di studio, nella seconda parte invece viene effettuata una
comparazione tra due ambiti territoriali che in coerenza con il testo
legislativo hanno pianificato il sistema integrato dei servizi sociali.
Il primo capitolo è introduttivo in quanto permette di analizzare alcune
delle leggi che dagli anni ’90 ad oggi hanno apportato un vero è proprio
cambiamento sia nei rapporti tra le istituzioni che tra le persone in quanto
tali.
Tra queste vi è la legge 328 del 2000 che con l’articolo 19 presuppone una
vera è propria rivoluzione e soprattutto con il principio di sussidiarietà i
Comuni in particolare sono chiamati ad essere parte attiva del sistema.
Nel secondo capitolo l’argomentazione si stringe a trattare gli elementi
fondanti della legge 328 e quindi il tipo di modello organizzativo che viene
posto in rilievo, la gestione dei rapporti tra le istituzioni, il ruolo del
cittadino nel sistema.
Nella seconda parte invece verrà esposta una comparazione tra due distretti
territoriali e quindi un confronto tra le modalità di esecuzioni delle fasi di
programmazione del sistema integrato: dalla concertazione con il terzo
settore, alla rilevazione dei bisogni, all’analisi dei servizi esistenti.
Un ulteriore contributo viene dato dall’analisi dei vincoli e dei limiti
nazionali e regionali cui sono soggetti gli ambiti territoriali nelle loro
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scelte; infatti risulta importante il ruolo degli ambiti per quanto concerne
l’allocazione delle risorse economiche non vincolate.
Il lavoro avrà quindi lo scopo di osservare le differenze tra i due ambiti
territoriali sia nella modalità di gestione del FNPS ( solo la parte non
vincolata), sia nelle fasi di programmazione del sistema, tenendo conto dei
vincoli e dei limiti che condizionano le loro scelte di gestione.
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PARTE
PRIMA
FONDAMENTI
LEGISLATIVI
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CAPITOLO
PRIMO
UNA SOCIETA’ CHE CAMBIA
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1. 1 La crisi dell’integrazione
Nel corso degli anni si è assistito ad un profondo mutamento della società
in cui viviamo: esso ha contribuito a ridisegnare nuovi scenari dal punto di
vista politico, economico e sociale. Oggi si parla sempre di più della
globalizzazione come risultato di un nuovo capitalismo che si è insediato
soprattutto nelle società occidentali.
Alcuni studiosi affermano che la globalizzazione nasce nell’era del
colonialismo, per altri fa fede la nascita dei gruppi industriali o, in epoca
più recente, la fine dei cambi fissi di valuta e metaforicamente la caduta
del muro di Berlino (Sforza, 2005).
Oggi si parla di globalizzazione economica, tecnologica, ecologica e
culturale ma quello che risulta essere interessante è che già da tempo le
distanze del pianeta si sono ridotte e che i cittadini del mondo hanno
cominciato a adottare stili di vita transnazionali, spesso incompatibili con la
cultura elaborata nei loro paesi.
La maggior parte dei contesti tradizionali d’inclusione e appartenenza,
tipici della modernità sono stati messi in crisi dai processi di
planetarizzazione, da quelli a base territoriale – come lo Stato e la Nazione
- a quelli sociali - come la classe e il ceto - a quelli interpersonali - come la
famiglia e il vicinato (Bouman 1999; Beck, 1999; Giddens 2000).
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La crisi di queste forme d’integrazione ha comportato un progressivo
smantellamento degli automatismi di solidarietà obbligatoria previdenziale,
lasciando tuttavia dei vuoti (e dei timori) che le prospettive di scelte
assicurative individuali faticano a compensare.
Di enorme rilevanza è comprendere che contemporaneamente a questa crisi
manifesta di alcune forme di integrazione si assiste alla conseguente
formazione di una base sociale comune, per sostenere obiettivi politici di
vasto respiro, come la costruzione di entità transnazionali (in particolare
l’Europa), il consenso per alleanze internazionali, gli accesi dibattiti sulle
alleanze per il governo nazionale, i nuovi interessi per la qualità della vita e
delle comunità locali, le mobilitazioni per grandi temi non solo pratici ma
simbolici (giustizia, sicurezza, pace, solidarietà).
La questione dell’integrazione non si può coniugare quindi solo in termini
di assenza, ma piuttosto di modificazioni e ridislocazioni in corso. Per
alcuni l’integrazione si coniuga con la difesa, la diffidenza, l’esclusione,
fino ai tentativi d’invenzione di nuove patrie etniche e sviluppo di
movimenti che portano alla nascita di nazionalismi, l’esaltazione dei
localismi, la blindatura dei confini e la pulizia degli irregolari. Per altri
invece, si mette in rilievo la questione dell’uguaglianza dei diritti,
evidenziando la necessità della creazione di un nuovo patto di solidarietà
meno incerto di quello fornito dal mercato. Ciò mobilita in alcuni casi
grandi masse di persone che si riconoscono come “popolo”, “cittadini
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attivi solidali”. Gli orientamenti integrativi costituiscono quindi un rebus di
difficile interpretazione. Si può notare che, paradossalmente, anche tutto
ciò che è anti-integrativo, come la globalizzazione in campo economico e
l’esaltazione dell’individuo nel campo dei rapporti sociali, richiedono
nuove forme di aggregazione del consenso non più garantite dai mediatori
tradizionali, ma piuttosto da nuovi “connettori” come i media, le
tecnologie, i leader carismatici. La carenza che si ravvede oggi per quanto
concerne l’integrazione non pare poter trovare soluzione partendo solo da
esigenze economiche e strutturali, ma piuttosto inglobando anche ragioni
propriamente sociali, quali il bisogno di appartenenza e di riconoscimento.
“ La differenza è soltanto una parte dei rapporti fra gli esseri umani, mentre comunità,
solidarietà e comunicazione sono l’altra parte” ( Melucci 2000, pp. 51-52).
Si viene così a creare una forma di sofferenza che colpisce anche i nuovi
arrivati, si riscontra soprattutto nell’ambiente lavorativo,
nell’organizzazione sociale, nell’indifferenza della gente, nella scuola,
nella famiglia. Si ha pertanto una lacerazione della dimensione
comunitaria, una comunità che si riempie di rancori, diffidenza, dominio,
isolamento.
L’integrazione incompiuta pertanto, crea una serie di nuovi rischi di
malessere per le persone (i processi di esclusione, il mobbing che provoca
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aggressività, frantumazione e parcellizzazione dei diritti, solitudine
urbana), ma anche un bisogno ampiamente insoddisfatto di nuovo
benessere sociale (Mingione 1999). Le persone sentono la necessità di un
benessere sociale come parte fondamentale dei loro processi di salute e si
aspettano che questo benessere sia garantito dalle organizzazioni, dai
gruppi, dalle autorità che sovrintendono l’ordine sociale (Ruffolo, 1994).
Il benessere sociale non discende per decreto da qualche ordinanza “
dall’alto” o dalla definizione di norme, bensì da come le relazioni sociali
vengono vissute, da come riproducono il senso di coesione e integrazione.
Esso è il risultato e insieme la pre - condizione di una vita sociale
equilibrata ed evolutiva (Zaini, 1994).
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1. 2 - Politiche di comunità
Ci sono una serie di interventi possibili a livello territoriale che possono
favorire in modo diretto o indiretto, tanto l’integrazione quanto il benessere
sociale. Con “Politiche di comunità” ci si riferisce a interventi volti a
rafforzare il “senso di comunità”, appartenenza, di fiduciarietà, di
benessere sociale.
Una serie di politiche che nella loro complessità e eterogeneità sono stati
promotori di avviamento di un processo di cambiamento radicale, oggi si
possono distinguere una serie di interventi che hanno lo scopo di rafforzare
il senso di appartenenza e in particolare di conservare la cultura tipica di
una comunità, esaltarne le caratteristiche e la lingua.
Di enorme importanza rappresentano invece quelle tipologie di interventi
promotori dello sviluppo di reti di aiuto informali o volontarie e di
costruzione di legami solidali che hanno come fine ultimo la prevenzione
delle situazioni di disagio, soprattutto in ambienti particolarmente
sottosviluppati. In particolare oggi gli aiuti informali nonché i servizi
pubblici hanno l’obiettivo di rafforzare quelle fasce di popolazione che
vivono situazioni di difficoltà, migliorare il benessere soggettivo.
Inoltre per la costruzione di una comunità solida sono necessari interventi
tendenti a controllare le condizioni di vita, a sviluppare la partecipazione
dei cittadini, la costituzione di politiche di mediazione che permettono di
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superare le diffidenze e i pregiudizi e favorire il dialogo promuovendo una
migliore comprensione e coesione.
L’elemento comune di queste politiche è il rapporto fra i gruppi e la
costituzione di elementi che portano al senso di comunità, la promozione
della fiducia, l’eliminazione di conflitto, la creazione di una comunicazione
utile e reale fra singoli, gruppi e istituzioni. Politiche “leggere” ma non
improvvisate, che presuppongono un ascolto costante, strumenti coerenti,
tempismo negli interventi (McMillan e Chavis, 1986).
Questi elementi a partire dagli anni ’90 si sono inseriti all’interno di un
processo di cambiamento radicale che si è inaugurato in Italia con una serie
di interventi, disegni di legge, regolamenti, che hanno modificato sia la
gestione del territorio sia gli interventi assistenziali.
Si è assistito nel corso di questi ultimi anni ad una serie di modificazioni
circa la gestione del territorio che è diventata non più un’attività
esclusivamente riservata allo Stato - Nazione. In particolare, una serie di
interventi legislativi hanno snaturato lo Stato dal punto di vista delle sue
competenze, queste sono state trasferite alle collettività locali grazie
all’affermazione del principio di sussidiarietà: un processo di
decentramento avviato nel 1997 con la legge n. 59 (Delega al Governo per
il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed Enti locali, per la
riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione
amministrativa).
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La legge n. 59 del 15 marzo 1997 avvia un complesso processo di
trasferimenti delle competenze dallo Stato centrale alle sue articolazioni
amministrative.
Questo processo viene accompagnato da un altrettanto rilevante
riconoscimento di diritti nei confronti della P.A. in capo ai cittadini.
Come centralità vi è il trasferimento di tutte le funzioni ed i compiti
amministrativi relativi alla cura degli interessi ed alla promozione dello
sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni ed i compiti
amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da
qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrale o periferico,
ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici.
Il sistema che si produce porta ad un complessivo smantellamento dei
modelli organizzativi che nel tempo si sono affermati prepotentemente: si
introducono nuove metodologie per organizzare la cosa pubblica e nel
contempo cambia il modo di relazionarsi. Una relazione che diventa il
fulcro di questo processo, i soggetti sono chiamati a comunicare e sentirsi
parte di questo sistema alquanto complesso.
La legge cosiddetta Bassanini delinea un quadro all’interno del quale
vengono riconfigurati in maniera sostanziale i rapporti tra Stato e Regioni e
tra queste ultime e gli Enti Locali territoriali.
In particolare essa determina:
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- un progressivo ed ampio conferimento di funzioni amministrative
dallo Stato alle Regioni;
- la subdelega da parte delle Regioni ai Comuni ed alle Province di
tutte le funzioni conferite, sulla base del principio di sussidiarieità
escluse le sole funzioni programmatorie e quelle che richiedono un
esercizio unitario a livello regionale;
- la previsione di un intervento sostitutivo del Governo, nel caso in
cui le Regioni restassero inadempienti rispetto all’obbligo di
determinare le funzioni subdelegate; la costituzione di processi di
liberalizzazione e semplificazione in settori e materie di interesse
nevralgico (in tema di commercio e in tema di privatizzazione del
pubblico impiego);
- un ridisegno in termini fortemente riduttivi dell’esercizio dell’attività
di controllo esercitata dallo Stato alle Regioni
1
.
Non è più lo Stato ad essere il promotore esclusivo di interventi
programmativi, bensì tutti gli enti territoriali dalle Regioni alle Province
rientrano all’interno di un processo, in cui non c’è un solo protagonista ma
ognuno da un contributo essenziale allo sviluppo del territorio in relazione
alle competenze cui ha in affidamento.
Fino al 1997 malgrado quanto introdotto dall’art. 5 della Costituzione, lo
Stato era titolare di tutte le funzioni amministrative (escluse quelle riservate
1
legge n. 59 del 1997
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alle regioni dall’art. 117 della stessa carta Costituzionale) e da queste
attribuite o delegate agli enti locali territoriali a sua discrezione
2
.
Si pone pertanto in rilievo un sistema diverso dal punto di vista gerarchico
si parte dal centro verso la periferia, si ha un ribaltamento della titolarità
nell’esercizio delle funzioni amministrative.
La titolarità dell’esercizio delle funzioni viene stabilita sulla base di un
parametro oggettivo che è costituito dal territorio: regionale, provinciale
comunale. Questo ribaltamento genera nell’articolazione amministrativa
del Paese, un processo talmente complesso da poter sostenere che la sua
completa attuazione attraverso la promulgazione di decreti legislativi,
ancora non è conclusa. In tutto questo complesso processo di ribaltamento
assume un valore enorme il principio di sussidiarietà.
Il decreto legislativo 112/98 viene promulgato per dare attuazione alla
legge 59/’97 che mette in rilievo come fondamento il rovesciamento della
piramide.
2
D.lg. n. 267 del 2000