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1.La comunicazione
Nell’ambito in cui vuole svilupparsi questa tesi, il problema della
comunicazione assume una importante valenza, dal momento che
l’interazione tra persone ed i meccanismi coinvolti costituiscono lo
scenario preponderante.
La parola comunicazione deriva dal verbo “comunicare” (avere in
comune, condividere), implicando quindi l’idea di uno scambio, di
una reciproca relazione; nel suo valore originario e più profondo
significa perciò “scambio di messaggi”, un gioco sociale primario,
costituita da atti intenzionali e non, sinergicamente composti da segni
verbali e non verbali, un processo dinamico e circolare che richiede la
condivisione di codici astratti. Un elemento imprescindibile di questa
struttura è costituita dal fattore umano e sociale.
“Il signor Palomar soffre molto della sua difficoltà di rapporti col
prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la
cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono
a loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri a loro
agio; che movendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito
quando devono difendersene e prendere le loro distanze e quando
guadagnarsi la simpatia e la confidenza; che danno il meglio di sé nel
rapporto con gli altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio; che
sanno subito quale conto fare d’una persona in rapporto a sé e in
assoluto”
I. Calvino, Palomar, Einaudi
Ho scelto di riportare questo passo tratto da “Palomar” un romanzo-
saggio scritto da Italo Calvino, un’ autore particolarmente interessato
al processo comunicativo. Leggendolo sarà possibile delineare
l’immagine di una buona comunicazione interpersonale e nello stesso
tempo comprendere da quanti differenti aspetti essa risulti: le parole
certamente, ma anche gli atteggiamenti, i toni, i silenzi.
La psicologia intende la comunicazione in questi termini e ne studia i
meccanismi attraverso i quali l’individuo riesce ad esprimersi e gli
ostacoli che si frappongono nel raggiungimento di questo obiettivo.
7
In tale ottica tutti i rapporti interpersonali sono considerati come
sistemi che si autoregolano in base ai meccanismi circolari della
retroazione, nel senso che il comportamento di una persona influenza
ed è influenzato dal comportamento di un'altra persona.
L’uomo declinandosi come individuo singolare, diventa persona solo
nella relazione con gli altri, la quale è fondata sulla comunicazione,
che a sua volta poggia sul feed-back.
E’ possibile considerare quest’ultimo un fattore di controllo della
comunicazione, perché consente di verificare l'effetto che i nostri
messaggi producono sull'altro e attraverso il quale esprimiamo
assenso o dissenso, accettazione o rifiuto, comprensione o
incomprensione, chiarezza o confusione.
Questo importante assunto, di derivazione sistemica, è il mezzo grazie
al quale è possibile sostenere il principio che se due persone non
sanno come parlarsi, l’insorgere di problemi psicologici e sociali
risulterà più che probabile, compromettendo i legami e la
comprensione che potevano stabilirsi fra queste; una cattiva
comunicazione è spesso la causa di un lancinante malessere
psicologico.
Può accadere di non effettuare una corretta distinzione tra il
significato della parola “informazione” e quello della parola
“comunicazione”, è quest’ultima che meglio esprime ciò che può
avvenire quando due persone s’incontrano. Mentre l’informazione può
essere vera o falsa, completa o parziale, comprensibile oppure no, la
comunicazione può essere intesa come un insieme di messaggi che
vengono scambiati tra due o più persone.
La comunicazione è diventata una branca della psicologia come studio
dei processi che permettono ai flussi di messaggi di passare da un
individuo ad un altro, in modo che da una parte ne sia rispettato il
contenuto e dall’altra ci sia un contributo al miglioramento della
relazione.
La cura della malattia e quella della persona, che costituiscono
rispettivamente lo scopo scientifico e il fine antropologico della
medicina, coincidono perché è sempre unico il destinatario fatto
oggetto di cura. Per questo motivo il medico che vuole essere
professionalmente adeguato deve essere oggi non solo un buon clinico
ma anche un buon comunicatore ed essere consapevole delle
dinamiche di cui la comunicazione si compone, pur non potendone
8
fare una sintesi totale, saprà cogliere gli elementi basilari sui quali si
fondano i rapporti fra medico e paziente.
Nelle parole del professor Egidio A. Moja
2
, "strumento unico per
alcuni dei nuovi obiettivi della medicina è la capacità di gestire
consapevolmente la comunicazione e la relazione con il paziente"
2
Carlo Cipolli, Egidio A. Moja.” Psicologia medica” - Pubblicazione: Roma : Armando
Editore, c1991.
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2.Comunicazione medico- paziente
2.1 Introduzione
La comunicazione medico- paziente non è un fine in sé stesso da
perseguire con perfezione formale, ma è piuttosto lo strumento
necessario per costruire la relazione terapeutica. Siamo di fronte alla
più importante dimensione utilizzata in medicina per la diagnosi e per
la terapia.
La comunicazione è infatti determinante ai fini di una raccolta di
informazioni completa ed accurata, influenza la partecipazione del
paziente, la risposta ai trattamenti e la soddisfazione del medico e del
paziente, senza dimenticare che il rapporto tra il medico e il malato è
un rapporto prima di tutto umano oltre che professionale (Lazzari
3
).
Ciò nonostante buona parte dei medici continua a credere e
comportarsi come se la capacità di comunicare con il malato fosse una
dote innata o un’arte che studiando medicina si acquisisce
naturalmente e che non può essere né appresa né migliorata.
Non è quindi sorprendente che la storia della relazione tra medico e
paziente sia stata definita da Katz
4
una “storia del silenzio”.
Negli ultimi anni si segnala un crescente disagio da parte di medici di
medicina generale e specialisti che riconoscono le loro lacune nella
comunicazione con i pazienti.
Studi accurati che si basano su registrazioni di colloqui con i pazienti,
mostrano che medici con lunga esperienza professionale presentano le
stesse lacune nella comunicazione di medici che hanno da poco
conclusi gli studi. Fra quelle più frequentemente segnalate vi è ad
esempio lo scarso spazio di parola concesso al paziente.
Beckman
5
ha osservato in uno studio con i medici di famiglia come il
paziente è interrotto dal medico in media dopo diciotto secondi
dall’inizio del colloquio e che –se non interrotto- raramente parla più
di un minuto.
Questo testimonia che “i medici sottostimano spesso il desiderio di
informazione dei pazienti e dedicano quindi poco tempo ai bisogni del
paziente”. “ Spesso sono ignorate le aspettative di informazione
riguardo la diagnosi e la prognosi, alla garanzia di una presa in
carico ed agli aspetti preventivi (Beckman).
3
Carlo Lazzari. “Guida alla comunicazione tra medico e paziente”. Bologna: Pitagora
Editrice 1994.
4
Katz J.: “The silent world of doctor and patient”; Free Press, New York, 1984
5
Beckman H.B.: “The effect of physician behavior on the collection of data”; Ann. Int.
Med. 101,.1984
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Si constata come spesso il paziente non riceva quello che desidera e
che non si conosca ciò che egli effettivamente desidera.
Le ricerche condotte dagli psicologi in questo ambito hanno
notevolmente contribuito a chiarire certi aspetti della pratica medica,
tuttora complesso e riguardante gli aspetti interpersonali dell’atto
medico.
Questo campo assume valenze ‘scientifiche’ non solo perché si svolge
in luoghi della prassi scientifica (quella medica), ma anche perché
presuppone un passaggio di conoscenze dal medico al malato, e
viceversa.
L’ambito di ricerca può essere definito come un sapere che ha per
oggetto i processi interattivi fra medico e paziente ed in base al quale
il medico ridefinisce costantemente le sue prassi.
E’ bene ricordare che “il sistema comunicativo e sociale che rende
possibile una qualunque cura è in ogni caso- che ne siamo coscienti o
meno- ‘un ordine negoziato’ (Strauss
6
, 1992) fra il medico e il
paziente, cioè il risultato dinamico di un ininterrotto processo di
ordinamento, o meglio ancora di co-ordinamento, che si forma e si
riforma fra essi nel tempo” (Fisher, Todd
7
, 1983) .
2.2. Il processo di negoziazione
Secondo Michele Tomamichel, psichiatra, psicoterapeuta, capo del
Servizio di Psichiatria e Psicologia Medica di Lugano, il processo di
negoziazione fra medico e paziente ha come obiettivo prioritario la
definizione del problema da affrontare, gli obiettivi che si vogliono e
si possono raggiungere, gli strumenti (diagnostici e terapeutici) che
saranno utilizzati.
Il medico deve essere in grado di mettere il paziente nelle condizioni
di esprimere le sue aspettative, premesse e convinzioni.
6
Strauss A., L’Hôpital et son ordre negocié, in Bazsanger, éd., La trame de la
négociation: sociologie qualitative et interationnisme, L’Harmanattan, Paris 1992;
7
Fisher S., Todd A., eds., The social organization of Doctor-Pazient Communication,
Ablex Publishing, Norwood 1993.
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2.3. Le tre funzioni della comunicazione
Il modello della comunicazione in campo medico di Bird e Cohen-
Cole
8
, che distingue differenti funzioni, obiettivi e tecniche, fornisce
elementi utili per meglio strutturare il processo di negoziazione.
La comunicazione è intesa come processo circolare fra paziente,
familiari e curanti ed è analizzata nei suoi aspetti fondamentali:
a) La trasmissione di informazioni
b) L’attenzione alle emozioni
c) Il conseguimento di obiettivi terapeutici
Le tre dimensioni permettono di evidenziare la complessità del
processo comunicativo e distinguere l’importanza e la specificità dei
differenti livelli.
L’importanza di uno scambio di informazioni accurato è determinante
per la definizione del problema da affrontare nelle differenti fasi della
malattia.
L’ascolto attivo, il non interrompere il paziente, il tollerare pause di
silenzio, l’attenzione nei confronti di domande non chiaramente
formulate sono tecniche che pongono le basi per una relazione di cura.
L’attenzione alle emozioni è il presupposto necessario per creare uno
spazio di accoglienza che permetta al paziente di sentirsi
sufficientemente a suo agio per raccontare la sua storia e per
esprimere i suoi vissuti, riferiti alla malattia.
Questo presuppone che anche il medico riconosca le proprie emozioni
e rinunci al suo ruolo di “esperto” estraneo a quanto sta avvenendo
all’interno della relazione di cura. E’ forse la dimensione più delicata
e più difficile da apprendere.
“Il perseguire un obiettivo terapeutico” è la dimensione centrale e nel
processo comunicativo deve sempre essere il punto di riferimento per
definire i limiti in cui la trasmissione di informazioni e l’attenzione
alle emozioni si devono situare.
Per riassumere, secondo Cohen-Cole, la consultazione medica
rappresenta “the major medium of care” cioè “il miglior mediatore di
cura”. È infatti il momento in cui:
ξ il problema è presentato al medico;
ξ si costruisce la relazione medico-paziente, il quale è
fondamentale per soddisfare entrambi gli interlocutori;
8
Cohen-Cole S.A.: “The medical interview. The three functions approach”; Mosby Year
Book, St. Louis, 1991
12
ξ si costruisce il sapere in rapporto al contesto della malattia, il
quale può dare preziose indicazioni per una corretto trattamento
terapeutico;
ξ si accresce l’istruzione del paziente sulla propria malattia, sia a
livello di diagnosi, sia a livello di cura.
Le trasformazioni socio economiche e culturali degli ultimi dieci anni
hanno profondamente modificato i comportamenti del cittadino
rispetto ai temi della salute, con significative conseguenze anche nel
rapporto tra medico e paziente.
Tale rivoluzione ha interessato entrambi i soggetti: se da un lato il
paziente è più informato e ha maggiori aspettative nei confronti del
medico, dall’altro il curante ha modificato il suo approccio verso il
curato, che sta diventando parte sempre più attiva del processo
terapeutico.
In questo panorama svolge un ruolo essenziale il colloquio medico-
paziente che oggi mira ad essere centrato sul paziente, a differenza di
quello tradizionale fondato sui sintomi; questa distinzione sancisce un
importante passaggio.
Moja nel suo libro “La visita medica centrata sul paziente” sostiene
che la parola caratterizzante la medicina per molti decenni, è stata
senza dubbio “disease”, la malattia in senso biologico.
L'identificazione e il trattamento del disease guidano le parole del
medico durante le consultazioni, generando schemi d'intervento che
escludono altri aspetti che il paziente porta con sè, considerandoli
come ininfluenti.
La ricerca del disease è all'origine naturalmente dei grandi successi
della medicina, e si presenta come irrinunciabile. Ma la professionalità
dei medici e l'aspettativa dei pazienti stessi, che si manifesta in molti
modi, testimoniano anche che questo modello è insufficiente.
Medico: "... allora, mi dica ..." Paziente: "... senta ... io sono un po’
preoccupata perchè ho un dolore qui che mi risponde anche un pò qui
[la paziente si alza in piedi e indica il fianco e la regione lombare, a
destra] ... non so ..." Medico: "... oh, ma da quanto tempo ce l'ha ? ..."
Paziente: "... forse un pò ... è un pò e ... non so ... poi la mattina sono
troppo agitata sa ... come sono agitata la mattina ... non tutte le
mattine ... ma ci sono delle mattine che mi manca il fiato ... e ho
questo dolore tutto qui, dottore ... e poi come un pò mi prende che mi
preoccupo ..." Medico: "... perchè lei ha anche quel problema ..."
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Paziente: "... del seno ... sì, lo so ..." Medico: "... che dovrà essere
operata al seno ..." Paziente: "... ancora?" Medico: "... e beh, bisogna
sicuramente ... no?, non aveva un appuntamento per ..." Paziente: " ...
a settembre, quello a settembre ..." Medico: "... quindi probabilmente
quello un pò, la ..."
[il colloquio è un estratto di una consultazione videoregistrata,
integralmente riportata in E.A. Moja e E. Vegni, La visita medica
centrata sul paziente, Ed. Raffaello Cortina, 2000]
E' questo l'inizio di una visita, di una delle migliaia di visite che
avvengono ogni giorno in un ambulatorio di medicina generale, in cui
come sempre accade di fronte al medico c'è una malattia e c'è un
malato. Moja sostiene che “i medici non possono curare questa
paziente solo a colpi di disease: è necessario, se non a costo di una
visita dis-umana, raccogliere anche i sentimenti, le interpretazioni, le
aspettative del paziente”. La modalità operativa, e non retorica, per
raggiungere questo obiettivo è il nucleo che caratterizza una proposta
culturale assai complessa che va in letteratura sotto il nome di
“medicina patient centred”.
“Questo modello allargato non rinuncia certo alla scientificità della
medicina tradizionale centrata sul disease, ma amplia gli scopi della
visita medica indicando come irrinunciabile anche la capacità da
parte del medico di occuparsi del vissuto di malattia del
paziente”(Moja).
Strumento unico per questi nuovi obiettivi della medicina è la capacità
di gestire consapevolmente la relazione con il paziente.
Perciò entrando nel campo della comunicazione in medicina generale
è doveroso soffermarsi sui due modelli di approccio medico al
paziente: l’uno basato sulla cura della patologia organica -il disease-,
l’altro commisurato sul “vissuto” del malato. Non vi è alcuna
contrapposizione fra i due modelli, ma esiste una semplice
integrazione fra essi.
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2.4. Passaggio dal modello bio medico (disease centred) al
modello bio psicosociale (patient centred)
La “medicine disease centred” parte da presupposti clinici, biologici e
scientifici e giunge a proporre (o imporre) cure standardizzate, che si
ritengono universalmente efficaci al di là della personalità del malato.
Beninteso, è il modello clinico dominante vincente sino agli anni
Settanta del secolo scorso, quello che ha permesso i progressi più
vistosi in campo sanitario, che ha debellato le grandi epidemie, che ha
allungato la vita media della popolazione e ridotto drasticamente la
mortalità infantile. E’ una medicina che, abbandonati pregiudizi e
remore, ha fatto della ricerca biologica e scientifica il cardine di
sempre più avanzate conquiste per la salute umana.
Questo modello definito anche “biomedico”, prevede un intervento
terapeutico alla presenza del sintomo, il quale è unicamente affrontato
come conseguenza di un difetto organico. Al sintomo consegue la
diagnosi della malattia, ovvero la ricerca di un difetto o di una
modificazione di un organo, che sarà seguita dalla relativa terapia,
intesa come riparazione o eliminazione del “guasto”.
Ci troviamo di fronte, dunque, ad un approccio essenzialmente
“riduttivo”, in quanto esso non considera adeguatamente
l’interdipendenza e la complementarietà di ciascuna parte del corpo,
né la componente psicosociale dell’individuo.
Le caratteristiche della consultazione biomedica sono:
- approccio mirato all’organo-corpo: diagnosi e terapia
avvengono in presenza di disturbi somatici legati allo stato
patologico del paziente (non viene data rilevanza agli aspetti
psicologici, ecc.);
- focalizzazione sul medico: il paziente è portatore passivo della
malattia, il medico è
- l’esperto riguardo ad essa;
- chiara attribuzione e separazione dei ruoli: il paziente è visitato
e curato dal medico, il quale agisce sulla base del proprio
sapere;
- base del modello: difetto della macchina.
In questo caso, la relazione medico-paziente è da considerarsi
protettiva, gerarchica, unidirezionale ed autoritaria.