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esempio, è dipesa dalle migrazioni la fondazione delle civiltà dei Cananei, degli
Assiri, dei Babilonesi, degli Ittiti, degli Etruschi, dei Greci e di altri popoli ancora.
Nella vicenda dei popoli che hanno vissuto sui territori eurasiatici e mediterranei, il
definitivo prevalere di insediamenti demografici stabilizzati è molto recente, e si può
collocare tra la fine del X secolo, con la sedentarizzazione degli Ungari, e la caduta di
Costantinopoli in mano ai Turchi (1452). Uno dei più radicati pregiudizi relativi alle
migrazioni associa le migrazioni dei Germani – i cosiddetti «barbari» – alla caduta
dell’Impero romano, ossia ad una sorta di catastrofe, di «fine della civiltà». Al
contrario, la romanizzazione dei Germani federati, conseguente alla concessione di
terre e di diritti di cittadinanza, in cambio di assunzione di costumi romani e di lealtà
alle istituzioni, ha allungato di qualche secolo la vita dell’Impero Romano, pur
allentandone la coesione. E l’Impero è caduto perché debole e consunto, e non a
causa di «barbari invasori». Nonostante la loro normalità, le migrazioni, come ogni
processo sociale, suscitano in noi valutazioni e reazioni antitetiche, che discendono
da opposti sentimenti e giudizi di ordine ideale, politico, morale
3
. Illudersi che le
migrazioni siano fenomeni a costo zero non è meno grave che dipingerli con i colori
scuri della catastrofe. Chi sottovaluta gli effetti delle migrazioni, esaltando oltre
misura il radioso futuro che ci schiudono, rischia di non ottenere risultati molto
diversi da chi sostiene – secondo uno schema coscientemente egoistico e vagamente
razzista – che l’immigrazione è la causa di tutti i mali, dalla droga alla prostituzione,
dalla delinquenza alla disoccupazione... I migranti non sono una minaccia, non
3
Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, 2005
5
rubano il lavoro a nessuno, non portano malattie, non aumentano i normali tassi di
criminalità, non mettono a repentaglio la vita civile. Non si deve ignorare che le
migrazioni costituiscono, tuttavia, un evento doppiamente traumatico: per chi,
partendo, deve lasciare la propria terra e i propri affetti per un futuro difficile e
incerto in un ambiente estraneo e potenzialmente ostile; per chi, accogliendo, deve
cimentarsi con soggetti estranei, portatori di una diversa cultura, e che pongono
complessi problemi di natura politica per il loro ottimale inserimento. Nella vicenda
dei paesi del nord del mondo industrializzazione, urbanizzazione e terziarizzazione
costituiscono tre fenomeni strettamente connessi, ma il tipo di rapporto intercorrente
tra loro è venuto mutando negli ultimi anni. Inizialmente l’industrializzazione ha
determinato l’urbanizzazione, ed entrambe hanno concorso a determinare la
terziarizzazione. Oggi le nuove opportunità nel settore terziario, consentite
dall’informatizzazione e dalla telematica, hanno determinato il decentramento degli
insediamenti industriali verso aree periferiche e meno sviluppate, sicché è semmai la
terziarizzazione in corso a sostenere i fenomeni di urbanizzazione. Almeno nel
mondo contemporaneo, l’esistenza delle migrazioni non è materia di decisione. Fino
a qualche decennio fa i paesi d’accoglienza potevano aprire o chiudere a loro
piacimento i rubinetti dell’immigrazione, oggi il fenomeno ha radici e proporzioni
troppo grandi perché questo possa accadere. L’esistenza di fenomeni migratori (in
entrata come in uscita) può essere determinata comparando tre diversi indicatori: la
quantità degli individui coinvolti; l’incidenza percentuale della popolazione coinvolta
sul totale della popolazione che insiste nel territorio in esame; il saldo migratorio,
6
ossia la differenza che intercorre tra il numero degli immigrati e il numero degli
emigrati nel periodo che si è scelto di considerare. Nel caso del paese d’invio, il
numero degli emigranti deve sopravanzare quello degli immigrati; viceversa, nel
paese d’accoglienza il numero degli immigrati deve sopravanzare quello degli
emigranti. Il periodo di tempo considerato deve essere abbastanza lungo, il dato
relativo al saldo migratorio deve manifestarsi con una certa costanza nel corso del
tempo. In generale, gli effetti negativi durevoli dei flussi migratori sono tanto più
grandi e gli effetti positivi durevoli sono tanto minori quanto più debole è stato
l’impegno inizialmente profuso per affrontarli. La scelta di abbandonare a se stessi i
flussi migratori non implica all’inizio né grandi interventi né grandi spese, ma quando
il fenomeno entra nella sua fase di maturità suscita tali e tanti problemi, tensioni e
conflitti, da esigere una mole ben più alta di interventi e di spese. Se affrontati per
tempo, gli effetti negativi delle migrazioni si stemperano progressivamente, anche se
danno qualche gatta da pelare nell’immediato. Una politica verso l’immigrazione non
necessariamente si attua attraverso provvedimenti normativi e espliciti interventi per
regolarla, ma può anche esprimersi attraverso l’assenza di provvedimenti e interventi.
E' quanto, ad esempio, ha fatto l’Italia per tutti gli anni ‘80, durante il primo decennio
in cui il fenomeno immigratorio si è manifestato. Intervistando il sindaco di una
grande città italiana una giornalista ha rivolto questa domanda: – L’immigrazione,
minaccia o speranza per una città? Questa la risposta del sindaco: “Credo che, prima
di giudicare, bisogna essere convinti che è un fatto inarrestabile, i giovani che stanno
dall’altra parte del Mediterraneo non possono non vedere che da questa parte c’è un
7
paese nel quale esiste una possibilità di futuro. Nella storia dell’umanità è sempre
andata così. Nei primi decenni di questo secolo gli italiani sono andati in Australia,
in Argentina, negli Stati Uniti...Noi siamo i destinatari di un flusso di immigrazione.
Io parto da questa osservazione molto oggettiva. Detto questo, bisogna lavorare
perché tutto ciò diventi una speranza per le nostre città. Non governare questo
processo potrebbe avere degli elementi di minaccia. Non governare con intelligenza,
con ricchezza di prospettive, il processo ineluttabile della storia, non avere gli
strumenti per padroneggiarlo, significa abbandonarlo a se stesso, significa
confinarlo soltanto nel territorio degli umori e delle paure. Se questo fenomeno sarà
governato in modo corretto, sarà una speranza per le nostre città. Persone di altre
razze, di altre religioni, di altre culture, che riescono a convivere, rispettandosi
reciprocamente con le popolazioni locali, questa è la storia di tutti i grandi paesi. Io
dico che le diversità sono una ricchezza. Aggiungo che è una ricchezza difficile da
costruire. Non possiamo abbandonarci alla poesia della diversità. La diversità è
anche una fatica. Richiede pazienza. Richiede cultura. Richiede maturità. Lo
spessore di umanità di una persona è sempre una conquista, non è mai un dato di
fatto. Di fronte a questa sfida noi, tutte le grandi città, siamo poco attrezzati. Non
basta essere buoni. Una solidarietà basata solo sui sentimenti è destinata a
naufragare di fronte a un rapporto duro con i diversi. Se vogliamo costruire speranze
dobbiamo lavorare molto”
4
. Una precisazione. L’immigrato è tale in quanto è giunto
4
AA.VV. Un pianeta in movimento, Viaggi nei fenomeni migratori, di Manitese – Cres CD ROM (per
media), Milano 1996
8
presso la società ospite; ma davanti a se stesso e per la società d’invio è un emigrante.
Proprio per includere ambedue i lati del rapporto (il «venir da» e il «venir a», l’«aver
lasciato» e l’«esser giunto»), è preferibile parlare di migranti anziché di immigrati ed
emigranti. L’identità del migrante è determinata dal rapporto con il suo essere sociale
(il suo mondo, le sue relazioni, i suoi affetti, il suo status) che seguita ad agire
nonostante sia fisicamente assente. Scrive in proposito Alessandro Dal Lago: «Il
paradosso dell’emigrante è che il suo essere sociale e culturale è presente, a partire
dal momento in cui arriva nella società ospitante, come una “memoria”
5
, ma non
come dimensione quotidiana e normale. In breve egli è legato ad un complesso di
relazioni affettive, simboliche e materiali che continuano a determinare la sua
identità, pur essendo assenti e sconosciute alla società ospitante. Le migrazioni
instaurano un rapporto circolare tra civiltà, uno scambio tra territori e culture che si
riflette sull’identità di tutti i soggetti coinvolti. Trasferendosi in un’altra cultura, un
migrante espone la propria cultura d’origine all’influenza di un contesto a lui in tutto
o in parte estraneo; contemporaneamente, sia pure in misura più ristretta, la sua
cultura d’origine interagisce con la cultura del paese d’accoglienza. Possiamo
osservare, a titolo di esempio, l’influenza sulla pittura di Picasso dei moduli dell’arte
africana scoperti dalla cultura occidentale nei primi decenni del ‘900. Analoghe
influenze potrebbero essere rintracciate, per limitarci alla sola pittura, su Paul
Gauguin, Henri Matisse, Paul Klee.
5
A. Dal Lago, Etnometologia, Il Mulino, Bologna, 1983
9
Le figure più eclatanti, ma minoritarie, tra i migranti contemporanei –
ambulanti, mendicanti, lavavetri, prostitute – inducono a rappresentazioni
mistificanti: nella stragrande maggioranza l’immigrato non è un lazzarone o un
parassita o un deviante, ma una persona che combatte e fatica duramente per la
propria sopravvivenza, in un ambiente sconosciuto, talvolta ostile. In ogni caso,
chiunque sia il migrante che abbiamo davanti, bianco o nero, colto o analfabeta, ricco
o povero, lo straniero non è l’Altro, un estraneo, un alieno che non interagisce con noi
sul piano culturale e civile e che tutt’al più lavora per noi, ma è – come scrive Dal
Lago – «l’ospite che resta»
6
, e come tale va considerato. I migranti non solo non sono
persone meno civili degli autoctoni, come vuole un diffuso pregiudizio, ma nemmeno
sono uomini senza qualità, privi di sapere, di risorse e di professionalità, come vuole
il senso comune. Al contrario, nei loro luoghi d’origine essi erano spesso i più
intraprendenti, i meno rassegnati, i più duttili, i più dotati di un multiforme bagaglio
di conoscenze. L’emigrazione, insomma è una scelta selettiva, che non tutti sono in
grado di compiere, e che coinvolge in modo non uniforme l’intero spettro della
popolazione. Scrive il sociologo americano Mayo Smith: «Sono i più qualificati, gli
ambiziosi, gli energici che cercano occasioni di successo nel paese da loro scelto e
cosí facendo corrono dei rischi; i poveri, gli inetti, i deboli e quelli in qualche modo
impediti restano a casa»
7
. I dati più elementari che descrivono i fenomeni migratori
sono lo spazio e il tempo. Lo spazio può essere connotato in almeno quattro sensi:
6
Ibidem
7
In www.volint.it la citazione è di M. Smith
10
geopolitico; demografico; economico-sociale; storico-culturale. Da quando lo spazio
geopolitico è definito dagli Stati nazionali, si parla di migrazioni a carattere
nazionale, quando hanno luogo all’interno del territorio della medesima compagine
statale, e a carattere internazionale, quando hanno luogo tra i territori di due diversi
stati. Le migrazioni internazionali possono essere distinte in migrazioni continentali o
intercontinentali, o in riferimento a comunità politiche sovranazionali, ecc. Queste
distinzioni sono scontate, ma non banali. Gli Stati nazionali sono un fenomeno storico
recente; e non necessariamente, anzi quasi mai, essi sono stati, sono e, in prospettiva,
saranno costituiti da un solo gruppo etnico.
Nell’epoca della globalizzazione e della formazione di poteri sovranazionali che
sfuggono alle tradizionali autorità di governo, lo «spazio» che conta non è quello
geopolitico, definito dagli Stati nazionali, ma quello economico-sociale
8
, definito
dallo sviluppo dualistico del sistema economico mondiale. Le migrazioni possono
prendere quattro direzioni: da un’area sviluppata ad una più o meno ugualmente
sviluppata; da un’area sviluppata ad una sottosviluppata; da un’area sottosviluppata
ad una sviluppata; da un’area sottosviluppata ad una più o meno ugualmente
sottosviluppata. Da almeno 150 anni
9
, invece, la direzione largamente maggioritaria
nei fenomeni migratori va da aree rurali arretrate ad aree urbane sviluppate, da aree
con eccedenza demografica ad aree in cui la domanda di lavoro non è soddisfatta
dall’insufficiente offerta di manodopera locale. Il mutamento di direzione è dipeso
8
Gozzini G., Migrazioni di ieri e di oggi – Una storia comparata, Bruno Mondadori 2005
9
Caritas, Migrantes, Immigrazione dossier Statistico 2002, Roma 2002
11
dalla rivoluzione agraria in Europa del XVIII-XIX secolo, che ha liberato enormi
risorse umane, attratte dagli emergenti poli di sviluppo industriale. Da circa un
ventennio, però, anche le altre direzioni stanno assumendo un certo rilievo, ma,
mentre le migrazioni che hanno origine nelle aree sviluppate coinvolgono per lo più
figure professionali altamente qualificate, la migrazione da aree sottosviluppate verso
altre aree sottosviluppate (che chiamiamo, per semplificare, migrazione Sud-Sud) è
determinata dalla presenza di peculiari poli d’attrazione. Nel mondo contemporaneo,
ravvicinato dalla mobilità globale e dai grandi processi di omologazione in atto, è
tuttora contrassegnato da una grande varietà di culture, di lingue, di religioni, di
tradizioni e di memorie storiche. I territori dove gli uomini
10
vivono sono anche
imbevuti di storia, di memorie, di esperienze. Perciò, per cogliere in quale scenario
vengono a cadere i fenomeni migratori, è bene fra i paesi che hanno o che non hanno
una precedente tradizione di immigrazionee quelli che presentano o che non
presentano una differenza –razziale, etnica, culturale, religiosa, economica, sociale...–
con i paesi d’invio.
Una analoga distinzione può essere fatta per i paesi di invio. Non è senza rilievo il
fatto che l’emigrazione sia un fenomeno consolidato e diffuso oppure recente e
marginale. Nel primo caso, ad esempio, si avranno verosimilmente delle catene
migratorie più strutturate, o vi sarà un impegno del governo del paese d’invio a tutela
dei propri emigranti. Soprattutto, l’esperienza della migrazione apparterrà al bagaglio
10
AA.VV. Un pianeta in movimento, Viaggi nei fenomeni migratori, di Manitese – Cres CD ROM
(ipermedia), Milano 1996
12
della cultura di vita collettiva, e chi partirà potrà attingere a questa esperienza,
facendone tesoro. Riguardo alla durata nel tempo, le migrazioni possono essere
considerate come processi, e in tal caso distinguiamo cicli migratori di lungo, di
medio e di breve termine, a seconda che siano più o meno strutturali o contingenti; o
come scelte individuali, e in tal caso distinguiamo migrazioni permanenti,
temporanee o cicliche.
Ad esempio, sono strutturali le migrazioni da aree sviluppate verso aree
sottosviluppate, che si manifestano ininterrottamente almeno dalla metà del XIX
secolo, mentre sono contingenti i movimenti di profughi e di rifugiati che hanno
coinvolto ora questa ora quell’area del pianeta. Un episodio migratorio è permanente
se il migrante non torna più a stabilirsi nel paese d’origine, temporaneo se il migrante
prima o poi vi rientra stabilmente, ciclico quando si ripete più volte, ad esempio
secondo un ritmo stagionale. La durata reale di un episodio migratorio non coincide
quasi mai con la durata ipotizzata dal progetto migratorio: accade comunemente che
migrazioni concepite come temporanee divengano definitive, e viceversa. Una terza
variabile per descrivere la morfologia delle migrazioni è il numero, inteso sia come
indicatore di grandezza, come quantità, sia come tipo di insieme. Dal punto di vista
quantitativo, parleremo di esodi di massa o di esodi ristretti. Dal punto di vista
dell’insieme, distinguiamo le migrazioni individuali, compiute in quanto singoli
individui senza vincoli interni, e quelle collettive compiute da gruppi, non importa
quanto estesi, uniti da vincoli coesivi stabili.
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I principali vincoli coesivi che aggregano stabilmente un gruppo di migranti sono
costituiti dai più svariati vincoli di appartenenza, possono essere della medesima etnia
(ad esempio gli Hutu rifugiatisi nel Congo Kinshasa), della medesima religione (ad
esempio gli ebrei che hanno dato vita allo Stato d’Israele), del medesimo movimento
politico (ad esempio gli antifascisti italiani esuli in Francia negli anni ‘20-’30), del
medesimo nucleo familiare, ristretto o allargato che sia ed infine di un territorio
colpito da qualche sciagura (una guerra, una carestia, una catastrofe naturale).