2
Nella planimetria del recupero il perimetro segue quello dell’ambito estrattivo; il piano di
ripristino è suddiviso in zona a lago, in cui verrà effettuata tutta l’escavazione, e zona boscata.
La porzione più a sud è di proprietà del demanio pubblico e non potrà essere oggetto di scavi
(Art. 37 L.R. 8/8/98 n. 14 “Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze
minerali di cava”); ma sono consentiti solo interventi di riqualificazione ambientale e altre
opere di mitigazione degli impatti.
Le due zone saranno messe in comunicazione da un canale che permetterà il collegamento
idraulico tra il lago ed il fiume Po. Il canale presenterà una quota tale da risultare sommerso
solo periodicamente durante l’anno per l’innalzamento della falda freatica o in caso di piena.
L’attività estrattiva sarà attuata in 10 anni (fino ad un massimo di 13-15) con suddivisione
dell’area di cava in 10 lotti estrattivi di durata annua come indicato in figura 1.2.
Nella tabella 1.1 sono indicati i volumi estraibili e le superfici interessate ad esclusione
dell’area demaniale avente una superficie di 45.800 m
2
.
Per la suddivisione dei quantitativi estraibili in fabbisogno ordinario e straordinario verranno
posizionati sul terreno dei picchetti inamovibili quotati e georeferenziati e delle boe
galleggianti per identificare in acqua la linea di separazione.
Le superfici e i volumi complessivi sono riportati nella tabella 1.2.
Tabella 1.1 Superficie dei lotti e rispettivi volumi estraibili.
Lotti di attuazione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Superficie interessata (10
3
m
2
) 27,3 21,3 21,4 21,5 21,8 267 25,2 36,15 52,6 40,1
Cappellaccio per ripristini (10
3
m
3
) 41 32 32 33 32 40 37,8 54,2 78,9 60
Volume estraibile ordinario (10
3
m
3
) 110 110 110 110 110 50 25 25 25 25
Volume estraibile straordinario (10
3
m
3
) 114 113 113 113 114 173 358 366 296 303
Volume estraibile totale (10
3
m
3
) 224 223 223 223 224 223 383 391 321 328
Tabella 1.2. Superfici e volumi complessivi dell’intervento.
totale
Superficie interessata dall’attività estrattiva (m
2
) 294.050
Cappellaccio per ripristini ambientali (m
3
) 440.000
Volume estraibile ordinario (m
3
) 700.000
Volume estraibile straordinario (m
3
) 2.080.000
Volume estraibile totale (m
3
) 2.780.000
3
Figura 1.1 Planimetria del progetto di recupero: in blu il lago e in verde il rimboschimento.
Figura 1.2 Progetto di coltivazioni: lotti di attuazione.
L’attività di coltivazione è strutturata in tre fasi.
1. Asportazione del cappellaccio: scorticamento dei terreni di copertura (spessore medio
1,50 m) utilizzando ruspe, escavatori idraulici e pale gommate con stoccaggio in aree
limitrofe.
2. Realizzazione del corpo della cava (lago) con draga aspirante fino a 12,5 m dal piano
campagna. I materiali saranno lavorati nel cantiere dislocato in un’area facente parte
4
dell’ambito estrattivo, che verrà perciò rimosso nelle ultime fasi di escavazione per
poter usufruire di tutta l’area in concessione. Gli scarti di escavazione saranno
accumulati in aree limitrofe.
3. Interventi di sistemazione finale: saranno impiegate ruspe, escavatori idraulici e pale
gommate per riprofilare e modellare il bacino e riportare i terreni circostanti a piano
campagna.
I mezzi ed il personale utilizzato sono riassunti in tabella 1.3.
Tabella 1.3. Mezzi e personale impiegati nella coltivazione della cava e nel ripristino finale.
MEZZI E PERSONALE
ASPORTAZIONE CAPPELLACCIO
ESCAVAZIONE ARGILLE
SISTEMAZIONE MORFOLOGICA
ESCAVAZIONE SABBIE
Escavatore idraulico 1
Trattore cingolato 1
Dumper articolati 2
Pala gommata 1
Draghe aspiranti 1
Eventuali chiatte 2
Escavatoristi 1
Ruspisti 1
Autisti 2
piloti 3
Il personale del cantiere corrisponde perciò a 7 unità con un orario di lavoro variabile tra le 8
e le 10 ore.
Inizialmente il cantiere doveva trovarsi in zona extragolenale ed il materiale estratto,
miscelato con acqua, doveva essere trasportato con sistema fluidodinamico. Il percorso degli
autocarri era in questo modo limitato a 2 km fino al casello dell’autostrada.
In seguito il progetto è stato modificato, posizionando il cantiere in zona estrattiva adiacente a
Casina Isolone; il percorso su gomma ha subito un incremento di 5.5 km circa. Sono state
ipotizzate quindi una serie di misure per limitare la risospensione di polvere dal piano
stradale: asfaltatura, allargatura e bagnatura. Gli scarti di escavazione non verranno quindi
trasportati dalla cava agli impianti e ritorno, ma saranno subito disponibili in loco per le
operazioni di ripristino.
5
Figura 1.3 Schema dell’impianto in progetto. (Legenda non presentata)
Per quanto concerne il monitoraggio delle componenti ambientali durante le fasi di
coltivazione, è prevista la realizzazione di una postazione fissa (box prefabbricato) adibita a
laboratorio utilizzabile dal personale del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università
degli Studi di Parma; qui si potranno monitorare nel tempo le caratteristiche chimico-fisiche e
biologiche delle acque del lago durante e dopo l’attività estrattiva. Le tipologie di analisi
previste saranno contenute nel Protocollo di Collaborazione con l’Università, in analogia con
progetti di ricerca attualmente in essere con le società Bassanetti Srl e Caripe Srl per ambiti
estrattivi aventi caratteristiche simili.
1.3 Inquadramento normativo
La legge regionale che regola l’attività estrattiva è la L.R. 8 agosto 1998, n° 14 “Nuove
norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava”. Essa detta i criteri e le
direttive per la formazione dei piani provinciali delle attività estrattive e per i procedimenti
autorizzatori e le norme comuni, speciali, transitorie e finali.
La Provincia di Cremona è quindi regolamentata dal Piano Provinciale Cave (Bollettino
Ufficiale 10/07/03, 2° Supplemento straordinario) che
- individua i giacimenti sfruttabili;
- identifica gli ambiti territoriali estrattivi, compresi quelli ubicati nelle aree protette;
- definisce i bacini territoriali di produzione a livello provinciale;
- individua le aree di riserva di materiali inerti per le occorrenze di opere pubbliche;
- identifica le cave cessate da sottoporre a recupero ambientale;
6
- stabilisce la destinazione d’uso delle aree per la durata dei processi produttivi e la oro
destinazione finale al termine dell’attività estrattiva;
- determina i tipi e le quantità di sostanze estraibili, per ciascun ambito territoriale;
- stabilisce le normative generali applicabili a tutte le attività estrattive per la coltivazione
e il recupero ambientale che devono essere osservate per ciascun bacino territoriale di
produzione.
1.3.1 Pianificazione territoriale
Regione, Provincia e Comune gestiscono il territorio di propria competenza con piani
specifici.
Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR). Al fine di assicurare lo sviluppo
coordinato ed omogeneo delle attività di pianificazione territoriale ed urbanistica la Regione
stabilisce le seguenti disposizioni, che gli enti locali sono tenuti ad osservare:
- indirizzi, cioè norme di orientamento che i piani subregionali interpretano ed applicano alle
realtà locali;
-direttive, ovvero norme operative da osservare nell’attività di programmazione e nella
formulazione di atti amministrativi;
- prescrizioni, cioè norme vincolanti, relative a sistemi, zone ed elementi individuati nelle
tavole del PTPR, che prevalgono nei confronti di qualsiasi strumento di pianificazione
regionale e subregionale.
Il documento che contiene queste norme è il PTPR che costituisce parte tematica del Piano
Territoriale Regionale (PTR). Il PTPR, articolato coerentemente con le strategie europee e
nazionali di sviluppo del territorio, ha come scopo l’individuazione delle risorse storiche,
culturali, ambientali e paesaggistiche in ambito regionale e la definizione della disciplina per
la loro tutela e valorizzazione. La zona interessata dal progetto di escavazione rientra solo
nella “Carta della classificazione delle unità tipologiche di paesaggio” ed è indicata come
“Bassa pianura-paesaggio delle fasce fluviali”. Gli indirizzi di tutela per questa unità
riguardano “i caratteri di naturalità dei corsi d’acqua, i meandri dei piani golenali, gli argini e
i terrazzi di scorrimento. La tutela degli elementi geomorfologici, solo debolmente avvertibili,
sono importanti per diversificare una dominante paesaggistica di vasta ed uniforme pianura.
La tutela deve essere riferita all’intero ambito dove il corso d’acqua ha agito con la
costruzione di terrazzi e con la meandreazione attiva o fossile, oppure fin dove è intervenuto
7
l’uomo costruendo argini a difesa della mensilità. Le aree golenali devono mantenere i loro
caratteri propri di configurazione morfologica e scarsa edificazione. A tal fine gli strumenti
urbanistici e quelli di pianificazione territoriale devono garantire la salvaguardia del sistema
fluviale nella sua complessa caratterizzazione naturale e storico-antropica; va, inoltre,
garantita la percorribilità pedonale o ciclabile delle sponde e degli argini, ove esistenti. Va
potenziata la diffusione della vegetazione riparia, dei boschi e della flora dei greti. Si tratta di
opere che tendono all’incremento della continuità ‘verde’ lungo le fasce fluviali,
indispensabili per il mantenimento di ‘corridoi ecologici’ attraverso l’intera pianura padana.
Le attività agricole devono rispettare le morfologie evitando la proliferazione di bonifiche
agrarie tendenti all’alienazione delle discontinuità altimetriche”.
Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTPC) stabilisce l’assetto del
territorio provinciale in riferimento agli interessi sovracomunali, articolando le linee di azione
del PTR. Obiettivi specifici del PTCP sono la localizzazione di strutture e impianti, la
definizione dei caratteri di vulnerabilità e criticità di ogni zona, stabilendo le azioni di tutela.
Esso determina i criteri e i limiti d’uso delle risorse ambientali e territoriali, al fine di una
previsione urbanistica comunale sostenibile.
Nella “Carta degli indirizzi per il sistema paesistico-ambientale”, la zona oggetto di interesse
rientra nelle “Componenti paesaggistiche di interesse primario ovvero aree a marcata
sensibilità ambientale e a elevata valenza e potenzialità naturalistica, in genere strettamente
relazionate all’elemento idrico”. In particolare si tratta di “Valli fluviali: strutture
morfologiche formate dall’azione erosiva dei fiumi”. L’area adiacente all’alveo, delimitata dal
primo argine, insieme all’area demaniale sono evidenziate come corridoio ecologico di primo
livello. La zona demaniale viene indicata anche come areale di pregio da tutelare attraverso
l’istituzione di “Parchi Locali di interesse sovracomunale (PLIS)” (L.R. 86/83 art 34). Da
segnalare è la zona appartenente alla sponda opposta del Po che rientra nel progetto “Un Po di
foreste”. Dopo il rafforzamento della forestazione in sinistra Po e la riqualificazione della
cava in destra Po, questo tratto fluviale potrà diventare un nodo importante per la rete
ecologica provinciale e regionale.
Nella “Carta delle tutele e salvaguardie” il corso del Po viene delimitato da una fascia larga
circa 150 m; questa è soggetta a regime di tutela dalla legge 431/85 e dal D.lgs 490/99 come
fascia di rispetto del corso d’acqua. In questa carta è inoltre evidenziato il confine del Parco
del Po e del Morbasco.
8
Nella “Carta del degrado paesistico-ambientale” è segnato l’ambito estrattivo e sono
individuate le fasce di rispetto del Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI): tutta la golena,
compreso il paleolaveo “Po Morto”, rientra in fascia A, definita come “porzione d’alveo che
è sede prevalente del deflusso della corrente per la piena di riferimento” ovvero “che è
costituita dall’insieme delle forme fluviali riattivabili durante gli stati di piena”.
Gli strumenti di pianificazione pertinenti ai Comuni sono regolamentati dalla L.R. del 11
marzo 2005 n.12 “Legge per il governo del territorio”.
Il Piano di Governo del Territorio (PGT) definisce l’assetto dell’intero territorio
comunale; in particolare analizza le ulteriori trasformazioni che si possono attuare senza
compromettere l’integrità fisica e ambientale e l’identità culturale dello stesso. Si articola in
”Documento di piano”, “Piano dei servizi” e “Piano delle regole”.
I Piani Attuativi Comunali (PAC) tramite i quali avviene l’attuazione degli interventi di
trasformazione e sviluppo indicati nel documento di piano. Entrambi i Piani Comunali di
Gerre dè Caprioli e Stagno Lombardo classificano l’area in oggetto come “Zona golenale E3”,
la quale comprende “aree che, per la loro particolare collocazione, interposta tra gli argini del
fiume Po o dei canali ad esso affluenti, devono essere quanto più possibile preservate da
attività edilizie o urbanizzative e, possibilmente, conservate o restituite allo stato di natura al
fine di ricostituire l’equilibrio del tradizionale habitat e di fornire adeguata cornice
paesaggistica al fiume Po.”
Tra le attività di pianificazione è da considerare anche il Piano Stralcio per l’Assetto
Idrogeologico del Bacino del fiume Po (PAI), realizzato dall’Autorità di bacino ai sensi
della legge 183/89. Il Piano stralcio rappresenta l’atto di pianificazione per la difesa del suolo
dal rischio idraulico ed idrogeologico, conclusivo e unificante dei due strumenti
precedentemente approvati.
1. Il “Piano stralcio per la realizzazione degli interventi necessari al ripristino dell’assetto
idraulico, alla eliminazione delle situazioni di dissesto idrogeologico e alla
prevenzione dei rischi idrogeologici nonché per il ripristino delle aree di esondazione”
(PS 45), realizzato a seguito della piena del novembre 1994.
2. Il “Piano Stralcio delle Fasce Fluviali” (PSFF), relativo alla rete idrografica principale
del sottobacino del Po sotteso alla confluenza del Tanaro (territorio della Regione
Piemonte e Valle d’Aosta) e, per la restante parte del bacino, all’asta del Po e agli
affluenti emiliani e lombardi, limitatamente ai tratti arginati.
9
Il PAI si pone i seguenti obiettivi:
• garantire un livello di sicurezza adeguato sul territorio;
• conseguire un recupero della funzionalità dei sistemi naturali (anche tramite la riduzione
dell’artificialità conseguente alle opere di difesa), il ripristino, la riqualificazione e la tutela
delle caratteristiche ambientali del territorio e il recupero delle aree fluviali per utilizzi
ricreativi;
• conseguire il recupero degli ambiti fluviali e del sistema idrico quali elementi centrali
dell’assetto territoriale del bacino idrografico;
• raggiungere condizioni d’uso del suolo compatibili con le caratteristiche dei sistemi
idrografici e dei versanti, funzionali a conseguire effetti di stabilizzazione e consolidamento
dei terreni e riduzione dei deflussi di piena.
Il PAI si occupa anche della zonizzazione delle fasce A, B e C lungo i corsi d’acqua e
definisce quindi la destinazione d’uso e le tutele da rispettare in queste aree. Essendo,
l’ambito estrattivo, collocato in fascia A, ogni intervento deve rispettare le direttive del PAI
previste per la fascia di riferimento, soprattutto durante la fase di riqualificazione. In
particolare per la fascia A il Piano persegue l’obiettivo di “garantire le condizioni di sicurezza
assicurando il deflusso della piena di riferimento, il mantenimento e/o il recupero delle
condizioni di equilibrio dinamico dell’alveo, e quindi favorire, ovunque possibile,
l’evoluzione naturale del fiume in rapporto alle esigenze di stabilità delle difese e delle
fondazioni delle opere d’arte, nonché a quelle di mantenimento in quota dei livelli idrici di
magra”.
Nella figura 1.4 sono riportati i limiti della fascia A (in rosso) e il limite della fascia B (in
giallo). Non viene riportata la fascia C in quanto molto distante dall’ambito di studio.
10
Figura 1.4 Limiti delle fasce fluviali A(rosso) e B (giallo).
Sono previste norme anche per le aree demaniali, per le quali si prevede che i progetti di
utilizzo abbiano finalità di recupero ambientale e tutela del territorio.
1.4 Contesto e descrizione impatti considerati.
L’attività estrattiva è in forte espansione, le richieste di inerti, destinati alle grandi opere, è
molto elevato e in aumento. Sempre più forte è perciò l’esigenza di sviluppare e perseguire
una pianificazione delle attività estrattive non conflittuale ma di supporto alla sostenibilità dei
processi ecologici e alla salvaguardia della naturalità degli ambienti interessati. Particolare
attenzione merita la fascia golenale del fiume Po, fortemente interessata dalle attività
estrattive, la cui riqualificazione, se ben gestita, potrà portare alla creazione di ambiti di
pregio ambientale, funzionali alla protezione dal dissesto ambientale (Viaroli et al., 2001,
2003). Questo tipo di pianificazione ad ampia scala ha avuto inizio negli gli anni ’90 per
entrare recentemente a far parte delle normative di piano. In linea generale il progetto di
recupero ambientale di un ambito estrattivo non può tendere al ripristino delle condizioni
originarie; nel caso della golena di Po il corretto recupero dei giacimenti estinti può essere
sfruttato per migliorare la qualità della fascia riparia e degli ecotoni ad essa correlati (Spagni
et al., 1999). Negli ultimi decenni, infatti, l’impatto antropico in queste zone è stato rilevante,
determinando la semplificazione e la rettificazione del sistema fluviale, con la progressiva
scomparsa degli ambienti acquatici marginali e delle loro funzioni (Marchetti et al., 1993). La
rettificazione del corso del fiume, le estrazioni in alveo, la cementificazione degli argini che
11
ha portato ad un aumento della velocità della corrente, gli sbarramenti, sono elementi che, nel
loro complesso, hanno concorso all’abbassamento dei fondali, con la conseguente
pensilizzazione della golena e l’abbassamento della falda freatica (Viaroli et al, 2000).
Conseguenza diretta è la rarefazione degli ambienti umidi perifluviali sopravvissuti alle
storiche bonifiche operate per l’espansione dei terreni coltivabili. Le lanche tendono quindi a
colmarsi e la vegetazione igrofila regredisce; le funzioni ecologiche svolte dalle fasce
tampone scompaiono.
Con l’inclusione della progettazione ambientale nei piani di coltivazione delle cave e la
previsione della destinazione d’uso finale fin dalla fase di pianificazione si può avviare un
processo di ripristino degli equilibri ecologici caratterizzanti l’ecosistema fluviale (Viaroli et
al., 1996). Diverse indagini sono state svolte negli ambienti acquatici delle zone golenali del
Fiume Po tra Parma e Piacenza, ritenendo che lo studio di questi corpi d’acqua a diversi gradi
di “maturità” e soggetti a diverse tipologie, intensità e frequenze di disturbo, possa fornire
informazioni utili in vista dell’acquisizione di criteri gestionali degli ambienti artificiali, come
i laghi di cava, e del recupero idraulico e funzionale delle lanche (Viaroli et al, 2002).
La riqualificazione ambientale del sito oggetto di escavazione riguarda comunque la fase
finale. Durante l’esercizio dell’attività estrattiva esistono altri impatti ambientali che
necessitano anch’essi di una pianificazione per la loro mitigazione. Anche qui l’attenzione è
crescente e negli ultimi anni l’industria estrattiva ha perfezionato una serie di misure per
ridurre gli impatti, sia in ottemperanza a disposizioni di legge, sia tramite iniziative
volontarie. Le tipologie di impatti presi in considerazione all’interno della V.I.A.
(obbligatoria per la definizione del polo estrattivo) sono molteplici e riguardano:
ξ l’assetto geologico e geomorfologico,
ξ l’assetto idrogeologico,
ξ il suolo,
ξ la vegetazione spontanea e sulla fauna,
ξ l’atmosfera,
ξ il sistema insediativo,
ξ la salute e sulla sicurezza degli ambienti,
ξ il rischio di inquinamento elettromagnetico,
ξ la perdita di risorse rinnovabili.
In questa sede vengono presi in considerazione elementi aggiuntivi:
12
1. Emissioni di anidride carbonica: problematica attuale che da pochi anni viene
affrontata in ambito produttivo. Lo studio che seguirà rappresenta un primo esempio
della valutazione delle emissioni di un’attività estrattiva di sabbie e di studio delle
possibili opzioni di mitigazione in coerenza con l’ambiente interessato.
2. Sollevamento delle polveri determinato dal traffico pesante in uscita dal cantiere e
nei primi tratti di percorrenza in genere su strade vicinali o comunali. Anche in questo
caso la valutazione rappresenta una prima esperienza di stima della deposizione nei
diversi contesti viabilistici (terra battuta, asfalto).
3. Il contenuto in solidi sospesi delle acque che risultano dalle fasi di lavaggio inerti e
di separazione degli stessi nelle differenti classi granulometriche commerciabili e i
quantitativi d’acqua utilizzati.
4. La gestione delle acque reflue derivanti dalle opere accessorie dei cantieri (uffici,
alloggi, servizi igienici, ecc.). I parametri analizzati riguardano il riciclo all’interno
dell’attività produttiva ed il mantenimento di standard di qualità ambientale.
Ogni impatto verrà di seguito inquadrato nella normativa vigente per poi essere analizzato nei
capitoli successivi di valutazione e mitigazione.
1.4.1 Emissione di anidride carbonica
Nell’appendice 1 sono riportate le problematiche relative ai cambiamenti climatici e
all’evoluzione delle azioni intraprese a livello globale; vediamo ora in specifico il
riconoscimento della capacità fissativa del carbonio nella biomassa vegetale.
Il Protocollo di Kyoto agli articoli 3 e 12 riconosce alle foreste e ai suoli agricoli un ruolo
importante nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti del clima; le opzioni fornite sono 3:
creazione di nuove foreste, appropriata gestione delle foreste esistenti e dei suoli agricoli, uso
delle biomasse in sostituzione delle fonti fossili e di altri materiali. Specificatamente,
l’articolo 3.3 precisa che i paesi dell’Allegato I del Protocollo, vale a dire i paesi che hanno
assunto impegni di riduzione, possono servirsi degli assorbimenti di carbonio derivanti dalle
nuove piantagioni forestali realizzate su terreni già in precedenza forestali (Reforestation, nel
testo del Protocollo) e su terreni non forestali (Afforestation), al netto delle emissioni legate ai
processi di deforestazione (Deforestation), purché si siano verificati dal 1990 in poi.
Dopo la pubblicazione di un rapporto speciale redatto dall’Intergovernamental Panel on
Climate Change (IPCC), su richiesta della United Nations Convention on Climate Change
(UNFCCC), finalizzato a definire i dettagli relativi al ruolo da assegnare alle foreste e ai suoli
13
agricoli all’interno del Protocollo (IPCC, 2000), si è giunti a un accordo nel corso della
settima sessione della UNFCCC (COP-7), svoltasi a Marrakesh (Marocco) nel novembre del
2001. La riunione del 2001 ha sancito che le attività addizionali previste dall’articolo 3.4
dovessero essere la gestione forestale, la rivegetazione, la gestione dei suoli agrari, la gestione
dei prati e dei pascoli.
La prospettiva di ridurre l’accumulo di CO
2
nell’atmosfera attraverso attività forestali è stata
suggerita da numerosi studi. Questi dimostrano con molta nettezza il ruolo determinante delle
foreste nel regolare la concentrazione di CO
2
atmosferica e, allo stesso tempo nel fornire altri
benefici ambientali, quali la regimazione delle acque, la protezione dei suoli, il mantenimento
e l’arricchimento della biodiversità (IPCC, 2000), così come la possibilità di generare fonti di
reddito per le comunità locali.
Attraverso la regolazione dei cicli biologici connessi al ciclo del carbonio, le foreste
scambiano grandi quantità di CO
2
con l’atmosfera. Le piante assorbono CO
2
grazie alla
fotosintesi, per costruire zuccheri e altri composti organici, utili per la crescita ed il
metabolismo. Gli alberi immagazzinano il carbonio prevalentemente nei tessuti ligno-
cellulosici in modo persistente, fino a quando non muoiono e vanno incontro a
decomposizione, momento in cui il carbonio è rilasciato nell’atmosfera, oppure è incorporato
nel suolo sottoforma di sostanza organica a diversi livelli di refrattarietà e per periodi più o
meno lunghi, prima di essere restituito all’atmosfera.
Le foreste sono una grande riserva di carbonio organico, occupando circa 4 miliardi di ettari
di suolo, pari a circa il 30% della superficie terrestre (FAO, 2001). Le foreste contengono
oltre la metà del carbonio accumulato negli ecosistemi terrestri, per una quantità che è stata
stimata in 1200 Gt di C (Ciccarese, 2003); inoltre, costituiscono l’ecosistema con la più alta
quantità di C per unità di superficie in quanto il carbonio viene accumulato non solo nella
biomassa ma anche nei suoli e nelle lettiere che costituisce un’altra parte significativa dello
standing stock totale. A livello globale le riserve di carbonio dei suoli sono più della metà
delle riserve delle foreste.
I derivati e i manufatti del legno possono a loro volta costituire una riserva persistente del
carbonio fissato.
A livello globale, la quantità di carbonio potenzialmente fissabile attraverso le pratiche di
gestione della vegetazione è stato stimato tra 60 e 87 Gt di C nei prossimi 50 anni,
corrispondenti a una quantità compresa tra il 12 e il 25% delle emissioni globali previste per
lo stesso periodo a causa della combustione delle fonti fossili d’energia (IPCC, 2000).