2
allentamento delle barriere all’entrata e un conseguente aumento delle pressioni
concorrenziali. La necessità di mantenere le quote di mercato possedute ha imposto alle
banche un processo di ristrutturazione, finalizzato al recupero di efficienza e redditività.
Tale ristrutturazione è stata realizzata principalmente facendo ricorso a operazioni di
concentrazione, considerate lo strumento più efficace al raggiungimento degli obiettivi
citati. Il nostro sistema bancario, caratterizzato da bassi livelli sia di concentrazione che
di concorrenzialità, è stato profondamente modificato dall’ingente numero di fusioni e
acquisizioni realizzate dagli istituti nazionali. Un ruolo fondamentale, per il caso
italiano, va riconosciuto all’innovazione normativa, che ha apertamente incentivato il
ricorso alle operazioni citate.
Se, come visto, le concentrazioni hanno costituito la principale risposta alle accresciute
sfide competitive, è opportuno analizzare nel dettaglio tali operazioni.
Si considerano le forme, le motivazioni e le problematiche di mergers&acquisitions
(M&A). Vi sono diverse modalità attraverso cui possono essere realizzate operazioni di
concentrazione. La loro scelta risponde a esigenze differenti, e produce risultati diversi.
Riguardo le motivazioni, si è visto come le principali siano il recupero di efficienza e
redditività. Tali obiettivi possono essere raggiunti sfruttando le opportunità offerte da
M&A, come la diversificazione dei rischi e il rafforzamento del potere di mercato. Ma le
motivazioni possono riguardare anche il salvataggio di imprese in crisi, oppure
rispondere a esigenze di natura extra-economica, riconducibili alla massimizzazione
dell’utilità del management. Tra le motivazioni extra-economiche, una teoria
interessante è quella dell’”herd instinct” (“istinto del branco”). Essa sostiene che alcune
operazioni siano state attuate a seguito di comportamenti imitativi, volti a seguire la
tendenza generale, indipendentemente da valutazioni sull’effettiva convenienza delle
stesse.
M&A sono infatti operazioni complesse, che presentano diverse problematiche, sia nella
fase presedente l’accordo di fusione (scelta del partner, soluzione di conflitti interni,
fissazione del rapporto di concambio, autorizzazione delle Autorità di vigilanza), sia
nella fase di pianificazione (redazione del progetto industriale), sia, infine, nella fase di
implementazione (integrazione organizzativa, riduzione del personale e armonizzazione
3
delle diverse culture amministrative, gestione dei rapporti con la clientela). Tali fasi
sono strettamente correlate fra loro, e un errore commesso in una di esse può
ripercuotersi sulle successive, pregiudicando il risultato finale.
Dopo aver visto le motivazioni alla base delle concentrazioni, si vuole comprendere se i
risultati raggiunti abbiano corrisposto alle attese. Quindi, si dà conto di alcuni studi
empirici (riferiti alla realtà italiana ed europea), volti a verificare l’impatto di M&A su
vari aspetti gestionali, e in particolare sull’efficienza, nelle sue componenti tipiche (X-
efficiency, scale efficiency, scope efficiency). Le indicazioni che emergono dalla dottrina
non sono univoche, e in ogni caso invitano a diffidare di conclusioni nette su una
relazione diretta e stretta tra concentrazione e miglioramento dell’efficienza.
Inoltre, le fusioni hanno conseguenze non solo per le aziende coinvolte, ma anche per
una serie di portatori di interessi. Qui si analizzano gli effetti di M&A sulla disponibilità
di credito per le imprese italiane, in particolare di quelle piccole e medie, fortemente
legate al finanziamento bancario.
M&A possono avere effetti pro-concorrenziali ma anche determinare un aumento del
potere di mercato per le banche coinvolte, con conseguenze negative per la clientela e
per la collettività. E’ quindi necessaria un’attenta verifica, da parte delle Autorità
preposte, dei progetti di aggregazione degli istituti creditizi, che permetta di valorizzare
gli aspetti della concentrazione favorevoli alla concorrenza e neutralizzare quelli ad essa
avversi. Il legislatore nazionale ha riconosciuto, come visto, l’importanza della
concorrenza e la sua autonomia rispetto agli altri obiettivi di stabilità ed efficienza,
superando l’impostazione che vedeva nella competizione una minaccia all’equilibrio del
sistema bancario.
Nel secondo capitolo si affronta innanzitutto il problema della tutela della stabilità nel
settore da parte delle Autorità preposte, e dell’importanza della regolamentazione nel
perseguire tale obiettivo congiuntamente agli altri due sopra citati. Si dà conto, in
4
particolare, del nuovo modello di tutela rappresentato dall’Accordo di Basilea 2,
orientato verso una vigilanza di tipo prudenziale anziché strutturale.
In secondo luogo si analizza la legge n. 287 del 1990, che disciplina l’attività di tutela e
promozione della concorrenza. Della normativa si prendono in considerazione,
innanzitutto, le fattispecie vietate (intese, abuso di posizione dominante, operazioni di
concentrazione lesive della concorrenza). Quindi il nodo dell’attribuzione della
competenza antitrust per il settore creditizio alla Banca d’Italia, oggetto di un intenso
dibattito in dottrina. L’assetto di controllo è stato riformato dalla recente legge sul
risparmio (l. n. 262 del 2005). Si fa cenno anche all’applicazione della disciplina
antitrust comunitaria al settore bancario, visto il ruolo sempre più rilevante che
acquisterà, in seguito alla crescente attività cross border e intersettoriale dei sistemi
creditizi e finanziari.
Infine si dà conto dei criteri seguiti e delle metodologie adottate dalla Banca d’Italia e
dalla Commissione Europea nel valutare l’impatto sulla concorrenza delle aggregazioni
da autorizzare. In particolare, dopo aver individuato il “mercato rilevante” in cui le
concentrazioni producono effetti, le Autorità di vigilanza quantificano il potere di
mercato raggiunto dagli istituti coinvolti nell’operazione.
Secondo le più recenti impostazioni teoriche, il “potere di mercato” non va identificato
unicamente con “la quota” posseduta, ma vanno considerate le fonti di potere di mercato
derivanti dalle specificità dell’attività creditizia (tra le altre, la scarsa sostuibilità del
credito bancario con altre forme di finanziamento esterno, i costi di cambiamento, le
barriere all’entrata determinate dalla presenza di asimmetrie informative). Alcune di
queste fonti sono di natura regolamentare e possono essere modificate solo con
provvedimenti normativi.
Si è visto come l’ondata di concentrazioni nel nostro sistema, generata essenzialmente
dalla necessità delle banche di far fronte alle accresciute pressioni concorrenziali, abbia
a sua volta contribuito a incrementare il livello di concorrenza.
5
Le valutazioni sull’entità di tale miglioramento sono influenzate dall’approccio
utilizzato nell’interpretare le condizioni concorrenziali di un mercato. Per questo, nel
terzo capitolo, si propone innanzitutto una rassegna delle principali teorie interpretative
della concorrenza. Come detto, a seconda dello schema di riferimento adottato da
un’indagine empirica, si può giungere a valutazioni differenti dei medesimi dati.
In secondo luogo si dà conto, da un lato, degli studi volti ad analizzare gli effetti della
concentrazione sulla concorrenza, dall’altro dei lavori miranti a delineare l’evoluzione
del livello concorrenziale in Italia.
Infine, si ripercorrono le fasi principali del consolidamento bancario nel nostro Paese,
con particolare riferimento all’andamento di alcuni indicatori della performance delle
banche. In chiusura si ricostruisce brevemente il processo di formazione dei maggiori
gruppi nazionali, che ha dominato il periodo 1998-2003. Le vicende recentissime che
coinvolgono alcune grandi banche italiane (vedi la fusione tra Banca Intesa e San Paolo
Imi) ci introducono agli argomenti trattati nel quarto capitolo, in cui si prova a
individuare alcune questioni riguardanti il futuro dei settori creditizi, tanto nazionali
quanto europei.
Se è vero, infatti, che la creazione del Mercato Unico Europeo ha determinato, fino ad
ora, soprattutto un’accelerazione del processo di consolidamento all’interno dei confini
nazionali, è opinione diffusa che l’aumento delle dimensioni medie delle banche e la
differente struttura assunta dai sistemi bancari, incoraggino una crescente apertura
internazionale degli istituti creditizi, guidata da obiettivi di diversificazione dell’attività
sotto il profilo geografico e produttivo, e dalla ricerca di opportunità di profitto.
Nel quarto capitolo si analizzano innanzitutto, dopo una breve ricostruzione del
processo di consolidamento avvenuto in Europa nel corso degli anni Novanta, le
strategie di internazionalizzazione perseguite dalle banche europee, e italiane in
particolare. L’integrazione nella Core Europe è ancora ridotta, mentre è stata rilevante la
penetrazione di gruppi, anche nazionali, nei mercati dell’Europa centro-orientale,
favorita anche dall’ingresso di quei paesi nell’Unione Europea. Quindi si dà conto dei
6
principali ostacoli che, fino ad ora, hanno determinato un ricorso molto ridotto a
operazioni di M&A cross border. Tra le motivazioni citate, un ruolo importante lo ha
giocato l’incertezza degli operatori circa i risultati in termini di efficienza di tali
aggregazioni. A tal proposito si considerano alcuni recenti studi volti a valutare
l’impatto sulle varie componenti dell’efficienza delle fusioni bancarie transfrontaliere.
Al pari di analoghe indagini riguardanti M&A nazionali, le indicazioni che emergono
non sono univoche.
In secondo luogo, si dà conto delle principali operazioni cross border finora realizzate, e
del dibattito in dottrina circa gli sviluppi futuri di tale fenomeno. Il nostro sistema
bancario è stato direttamente coinvolto in fusioni e acquisizioni transfrontaliere, quindi è
importante fornire qualche indicazione sul ruolo, attuale e prospettico, che i maggiori
gruppi creditizi nazionali giocheranno in questa nuova fase.
Infine, si prende in considerazione un importante aspetto collegato agli argomenti
trattati: l’evoluzione del contesto regolamentare europeo. La revisione delle pratiche
regolatorie e di vigilanza risponde a due necessità: da un lato favorire e incentivare una
maggiore attività internazionale degli istituti bancari e finanziari; dall’altro, rendere più
efficace l’attività di controllo, in vista dei nuovi assetti determinati dalla crescente
integrazione. A tal proposito, il Rapporto Lamfalussy, del 2001, pone come obiettivo di
medio termine la creazione di un livello europeo di vigilanza.
Un altro elemento da considerare è l’adeguamento nelle legislazioni nazionali in seguito
all’implementazione di alcune importanti direttive europee. In questa sede se ne citano
due: la prima è la direttiva sulle Offerte Pubbliche di Acquisto, del 2004, volta a favorire
uguali prospettive di successo dei take over in tutti gli stati membri; la seconda è la
direttiva di implementazione del nuovo Accordo di Basilea, detto Basilea 2. E’ opinione
diffusa che tale Accordo avrà profonde conseguenze strutturali per i sistemi bancari
europei e internazionali, e potrà fornire incentivi per un’ulteriore, nuova fase di
consolidamento.
7
1. IL FENOMENO DELLE INTEGRAZIONI TRA BANCHE
Dall’inizio degli anni Novanta, la combinazione di una serie di fattori ha avuto come
conseguenza per i sistemi bancari dell’Europa continentale una forte riduzione delle
barriere all’entrata e un conseguente aumento delle pressioni competitive. Il pericolo di
erosione delle quote di mercato possedute ha imposto alle banche un intenso processo di
ristrutturazione per il recupero di efficienza e redditività.
Il sistema bancario italiano ha registrato trasformazioni profonde, “tutte in ultima analisi
riconducibili a un aumento della concorrenza”.
1
Nel primo capitolo si dà conto innanzitutto dei fattori che hanno determinato un nuovo
contesto competitivo per le banche italiane. Essi sono in parte comuni ai principali paesi
europei, e in parte riflettono peculiarità del sistema creditizio nazionale.
In secondo luogo si considerano le forme, gli obiettivi e le problematiche della
concentrazione bancaria, che costituisce la principale risposta degli istituti nazionali alle
accresciute sfide concorrenziali.
Infine si analizzano gli effetti del consolidamento bancario, da un lato, sull’efficienza
operativa degli istituti coinvolti in operazioni di M&A, dall’altro, sulla disponibilità di
credito per le imprese italiane.
1.1 I fattori propulsivi della dinamica concorrenziale
1.1.1 L’evoluzione del contesto normativo-istituzionale in Italia
Negli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale, il sistema creditizio italiano
si caratterizzava per la presenza di un elevato numero di “banche miste”, cioè di banche
legate da uno stretto legame con le imprese industriali sostenute durante il periodo della
ricostruzione postbellica.
1
Panetta (2004a), p. 15
8
Il sopraggiungere della crisi internazionale del 1929 ha prodotto effetti destabilizzanti
che hanno reso indispensabile l’adozione di una serie di provvedimenti straordinari per
il salvataggio delle imprese in dissesto e per la ristrutturazione del sistema economico,
tra cui vanno ricordati la costituzione dell’IMI (1931) e dell’IRI (1932),e soprattutto
l’approvazione della legge bancaria del 1936.
Quest’ultima nasce con l’essenziale finalità di tutelare la stabilità del sistema bancario e,
conseguentemente, di evitare che le “tensioni concorrenziali”
2
potessero indurre le
banche ad adottare comportamenti poco prudenti. Vengono, quindi, introdotti alcuni
criteri ordinatori fondamentali: il principio della specializzazione del credito sotto il
profilo istituzionale, temporale, operativo
3
; il principio della separatezza fra banca e
industria
4
; il principio della vigilanza strutturale.
In particolare il principio della vigilanza strutturale, in virtù del quale si attribuiscono
alla Banca d’Italia ampi poteri che le permettono di delineare a discrezione la struttura
del mercato creditizio, ha contribuito a creare un “sistema amministrato” che, se da un
lato ha comportato una forte segmentazione dei mercati a scapito della competizione,
dall’altro ha effettivamente favorito il raggiungimento di adeguati livelli di stabilità.
La necessità, avvertita dalle Autorità di vigilanza,di stimolare la concorrenza nel sistema
bancario italiano ha cominciato a manifestarsi, seppur lentamente, già nel corso degli
anni Settanta.
5
Per quanto le Autorità avessero imposto, nel tentativo di fronteggiare le condizioni di
fragilità dell’economia italiana
6
, due controlli di natura amministrativa, il massimale
sugli impieghi e il vincolo di portafoglio, che avevano prodotto il mantenimento di
2
Desario (1996), p. 3
3
La specializzazione istituzionale, codificando l’esistenza di diverse categorie giuridiche di aziende di credito, aveva
consentito di attribuire alle stesse ruoli differenziati in relazione alla rispettiva focalizzazione territoriale e alla
segmentazione della clientela; la specializzazione temporale aveva consentito di separare le aziende di credito ordinario,
dedicate prevalentemente all’esercizio dell’attività di intermediazione a breve termine, dagli istituti di credito speciale,
orientati prevalentemente all’attività di intermediazione a medio e lungo termine; la specializzazione operativa
rifletteva, nel caso di aziende di credito ordinario, soprattutto il concetto di competenza territoriale, mentre, nel caso
degli istituti di credito speciale, richiamava anche il principio di specializzazione settoriale.
4
Il principio della separatezza tra banca e industria nasce dall’intento di prevenire il rischio di svalutazione delle attività
di bilancio delle istituzioni creditizie in seguito alle forti commistioni con il mondo imprenditoriale. Vedi La Francesca,
(2004).
5
Per un’analisi dei principali provvedimenti adottati dalle Autorità di vigilanza negli anni Settanta, miranti a stimolare
la concorrenza, vedi Forestieri (1980), pp. 72-73.
6
Alla quale avevano contribuito, in particolare, gli elevati tassi di inflazione conseguenti agli shock petroliferi e gli alti
tassi di interesse. Vedi, fra gli altri, Rossi (2003), Graziani (2005)
9
condizioni non ottimali sul piano della concorrenza, le stesse, nell’attuazione dei “Piani
Nazionali Sportelli”
7
, avevano inteso favorire una graduale espansione delle banche già
operanti nel rispetto della distribuzione territoriale del sistema nel suo complesso.
Ma è soprattutto a partire dagli anni Ottanta che si diffondono provvedimenti finalizzati
a correggere le contraddizioni di un sistema impermeabile agli impulsi del mercato.
Un primo forte segnale di “svolta” è stato fornito dal legislatore italiano, il quale, nel
recepire nell’ordinamento nazionale la prima direttiva comunitaria di coordinamento in
materia bancaria (77/780) con il d.p.r. n. 350/85, ha introdotto un elemento di novità
rispetto al passato, riconoscendo all’attività bancaria il carattere di imprenditorialità.
Tale nuovo orientamento, associato alla “liberalizzazione dell’apertura degli sportelli
bancari”, attuata nel 1990, ha favorito l’ulteriore crescita del livello competitivo del
sistema creditizio italiano, grazie anche al superamento della competenza territoriale per
le diverse categorie di aziende di credito.
Un altro importante elemento dell’evoluzione normativa che ha contribuito a correggere
le “distorsioni” di un sistema per anni insensibile agli impulsi del mercato, è costituito
dalla legge n. 328/1990, nota come “Legge Amato”.
Con la “Legge Amato” si è innanzitutto consentito agli enti creditizi pubblici di
trasformarsi in società per azioni, al fine di favorire le concentrazioni, ritenute
indispensabili per fronteggiare il rischio di perdita di competitività del nostro sistema in
un contesto internazionale. Inoltre si è introdotta la disciplina del gruppo creditizio,
quale forma organizzativa ottimale per mettere le banche in condizione di far fronte alla
maggiore complessità gestionale derivante dall’ampliamento dei propri ambiti operativi.
Infine si sono poste le premesse per la creazione di un contesto ambientale che avrebbe
favorito la realizzazione di comportamenti maggiormente orientati al rafforzamento
della shareholders view.
8
.
La puntuale e inequivocabile riaffermazione della natura di impresa della banca e la
definitiva valorizzazione della concorrenza si ha con l’introduzione della legge n. 287
7
Il primo Piano Sportelli risale al 1978, il secondo al 1982 e il terzo al 1986.
8
Forestieri (2000), p. 37
10
del 1990, e poi con il decreto legislativo 385/1993, ovvero il Testo Unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia (TUB).
Di particolare interesse è il comma 1 dell’art. 5 del TUB, il quale recita: “le autorità
creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo,
avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità
complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché
all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”.
Dalla lettura del disposto normativo risulta evidente: da un lato, come la “sana e
prudente” gestione
9
degli enti vigilati costituisca un obiettivo intermedio dell’attività di
supervisione, attraverso cui perseguire gli obiettivi finali cui deve tendere l’attività di
vigilanza; dall’altro, come il valore della concorrenza, la cui valenza e autonomia
rispetto agli altri obiettivi di stabilità ed efficienza è già stata affermata dal legislatore
nella legge antitrust, sia ora un obiettivo autonomo non più semplicemente strumentale
al perseguimento degli altri. Viene superato lo storico contrasto tra concorrenza e
stabilità e viene assegnata al mercato, e alle leggi che lo governano, una valenza più
positiva rispetto al passato. Dagli stessi principi guida
10
del TUB ha tratto ispirazione il
Testo Unico della finanza (TUF) che di questo, peraltro, costituisce un testo
assolutamente complementare. In particolare alle banche è concessa la facoltà di operare
anche nell’ambito dei servizi di investimenti, quali la negoziazione di strumenti
finanziari per conto proprio o per conto terzi, il collocamento con o senza garanzia, la
ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, la mediazione e la gestione di
patrimoni individuali, attività queste che costituivano l’area tipica di business delle Sim.
Da quanto detto risulta evidente come siano progressivamente cadute le barriere
“normative” all’entrata e come si siano sempre più attenuate le separazioni istituzionali
9
La “sana” gestione rinvia alla necessità che gli intermediari operino ispirandosi a criteri di piena efficienza funzionale
(rispetto agli obiettivi di aziendali, di norma il profitto) e di correttezza nello svolgimento degli affari. La “prudente”
gestione è riferita al grado di avversione al rischio dei soggetti vigilati. La possibilità di scaricare sui depositanti (o sulla
collettività) larga parte dei costi di eventuali fallimenti può indurre gli intermediari ad assumere rischi eccessivi:
occorrono regole che scoraggino siffatti comportamenti. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale per il 1993, in Onado
(1996), p. 99
10
Che Ciocca (2000b), p. 120 riassume in “imprenditorialità, concorrenza, apertura internazionale, efficienza stabilità e
trasparenza”.