4
fossero serviti da punto di riferimento per alcuni di quei fumettisti che tanto mi avevano
appassionato, chiudendo in questo modo il cerchio cominciato ai tempi della scuola.
Al momento della scelta dell’argomento per la mia tesi, la scelta cadde in modo naturale
sull’arte della Secessione; escluso Klimt, ben conosciuto anche in Italia, tra gli artisti di
questo movimento ero rimasto impressionato dalla grafica di Koloman Moser, un artista
al quale si accennava in tutti i libri sull’arte viennese di fine secolo come uno dei più
attivi promotori del movimento, ma di cui avevo viste riprodotte pochissime opere. La
mostra Gustav Klimt e le origini della secessione viennese che si tenne alla fondazione
Mazzotta nel 1999, mi fece conoscere meglio l’opera di Moser e quando giunse il
momento cominciai a lavorare alla raccolta del materiale necessario per la mia tesi.
Dopo un'approfondita ricerca bibliografica mi accorsi che l’artista era stato quasi del
tutto ignorato in Italia, dal 1918, anno della sua morte, ad oggi il solo libro che si
occupa della sua arte è il catalogo dell’unica mostra che si sia tenuta su di lui in Italia,
precisamente nel 1984 al Padiglione di Arte contemporanea di Milano e che si occupava
per lo più della sua attività di designer. La maggior parte dei libri su Moser era stata
pubblicata ovviamente in Austria e in Germania e così tramite il servizio del prestito
interbibliotecario dell’Università di Milano e grazie alla disponibilità della Biblioteca
Centrale di Vienna che ha fornito gran parte del materiale e grazie ad altre biblioteche
austriache, tedesche e statunitensi sono riuscito a procurarmi quasi tutto il materiale
pubblicato sull’artista, compreso il prezioso volume del 1895 Jugendschatz. Deutsche
Dichtungen da lui completamente illustrato e le opere Acht Jahre Secession di Ludwig
Hevesi e Secession di Hermann Bahr, grazie alle quali, dopo un lungo e paziente lavoro
di traduzione potei leggere i commenti contemporanei alla nascita e allo sviluppo
dell’arte della Secessione. A proposito del prestito bibliotecario volevo anticipare che
all’interno del testo, le citazioni tratte dalla tesi di Werner Fenz, Kolo Moser als
Grafischer Mitarbeiter der Wiener Zeitschrift Ver Sacrum, sostenuta all’Università di
Graz nel 1970, sono prive del numero della pagina di riferimento perché la copia
inviatami era dattiloscritta e l’inchiostro in alcuni punti era talmente sbiadito da rendere
difficile persino la lettura del testo.
Nella preparazione del lavoro su Moser, mi sono reso conto anche di come i libri che in
Italia si occupano di Gustav Klimt e della Secessione, contengono più o meno sempre le
stesse nozioni e la riproduzione delle stesse opere e come al loro interno è poco
esplorato come questa nuova arte fosse stata recepita nella Vienna di fine secolo. Questi
motivi mi hanno portato ad aggiungere al mio lavoro su Koloman Moser un capitolo
5
propedeutico sulla storia della Secessione viennese che attraverso i commenti
contemporanei di Hevesi e Bahr, gli scritti pubblicati sui cataloghi delle mostre della
Secessione e sulla rivista “Ver Sacrum”, e grazie al contributo del libro Quer Sacrum.
Wiener Parodien und Karikaturen der Jahrhundertwende di Hans Goldschmidt,
riuscisse a rendere un’immagine fresca, e per certi versi nuova, di questo movimento.
Nella parte dedicata a Moser, ho voluto mettere in luce, anche attraverso la
pubblicazione del più completo corpus di immagini dell’autore mai apparso in Italia,
l’importanza avuta dall’artista nello sviluppo di una grafica di estrema attualità, che
partendo dalla tradizione della grafica ottocentesca che nei paesi di lingua tedesca aveva
in Max Klinger il suo rappresentante principale, era passata attraverso la sinuosità e
l’esasperazione della linea tipica dello Jugendstil per poi arrivare a soluzioni che hanno
anticipato esperienze astratte e sviluppato motivi che troveranno la loro piena maturità
circa sessant’anni più tardi con le ricerche dell’optical art.
Spero che questi miei intendimenti reggano alla lettura di un occhio esperto e forniscano
una vivida immagine del periodo a chi vi si avvicina per la prima volta o con alle spalle
una sua conoscenza superficiale.
Vorrei ringraziare calorosamente tutti coloro che mi hanno aiutato per questo lavoro
con i loro consigli e la loro disponibilità: il Professor Antonello Negri e la sua
assistente Silvia Bignami, la signora Maria Cipollone dell’Ufficio prestito
interbibliotecario dell’Università degli studi di Milano, Elena Sinisi e Claudia
Parravicini per l’insostituibile aiuto nella traduzione dei testi, Olivier Catenacci e il suo
diploma all’Istituto Europeo di design per l’impaginazione delle immagini, tutti i miei
amici per il supporto morale, mia sorella per l’uso della sua stampante a colori e
soprattutto i miei genitori per aver pazientato così a lungo.
6
“Verrà un’arte ridente, agile e veloce.
La pesantezza logica e la greve angoscia dei sensi sono passate;
l’atroce gioia maligna della realtà si inabissa.
E’ come uno sbocciar di rose,
un lieve rumore di germogli,
una danza del sole primaverile nella prima brezza dell’aurora
- è tutto un alato e celeste salire ed ondeggiare
nell’azzurra voluttà quando i nervi sfrenati sognano”
HERMANN BAHR
L’importante è avere una volta tanto, nella vita, una primavera incantata,
che vi accumuli in petto tanta luce,
tanto splendore, da dorare tutti i giorni a venire”
RAINER MARIA RILKE
7
2) LA SECESSIONE VIENNESE
I) L’età della Ringstraße
Nel 1857 l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe pubblicò un decreto in cui si
leggeva: “E’ mio volere che, il più presto possibile [...] vengano iniziati i lavori […] di
ampliamento urbano della città di Vienna”
1
. Con questo decreto si dava il via ai lavori
d'abbattimento delle antiche mura che isolavano il centro cittadino dal resto della città e
cominciava la cosiddetta epoca della Ringstraße.
L’apertura dei lavori di costruzione della Ringstraße costituì uno dei più imponenti
interventi d'ampliamento urbanistico del XIX secolo; solo l’intervento portato avanti a
Parigi dal barone Georges-Eugène Haussmann, tra il 1853 e il 1870, aveva avuto
dimensioni così imponenti. Il nuovo progetto di espansione, al posto delle antiche mura
che ormai strozzavano il centro della città, prevedeva la creazione di una cerchia di viali
alberati su cui dovevano affacciarsi i nuovi edifici, sede delle varie istituzioni culturali e
politiche dell’impero. I terreni non destinati ad uso pubblico furono lottizzati e
acquistati soprattutto dalle grandi famiglie dell’alta borghesia che in questo modo
poterono costruire i propri Mietpaläste (palazzi d’affitto)
2
e avvicinarsi al cuore del
potere imperiale dimostrando così il raggiungimento di un elevato status sociale. La
costruzione del Ring non soddisfaceva soltanto esigenze funzionali, ma aveva in sé un
alto contenuto simbolico; vinta la resistenza dei militari, che non volevano abbattere le
vecchie mura che nel 1529 e nel 1683 avevano difeso la città dagli assedi ottomani, il
nuovo progetto doveva creare una grandiosa rappresentazione dell’impero e offrire
un’immagine della sua potenza, immagine che si dimostrò però illusoria. Nel 1859, due
soli anni dopo l’inizio dei lavori di edificazione del Ring, l’impero austriaco fu sconfitto
a Solferino dai franco-piemontesi e dovette cedere la Lombardia, mentre nel 1866 la
disfatta di Sadowa contro la Prussia, ebbe come conseguenza la perdita del Veneto e
l’esclusione dell’Austria dalla Confederazione Germanica. Nel 1867 Francesco
Giuseppe fu inoltre costretto ad un compromesso istituzionale, l’Ausgleich, che innalzò
1
Vienna - Arte e architettura, a cura di Rolf Toman, Köln, Könemann Verlagsgesellschaft, 1999, p. 164.
2
Il Mietpalast ricalcava il modello barocco dell’Adelspalais (palazzo nobiliare), in esso il pian terreno era
destinato ad uso commerciale, il secondo piano ospitava uno o più spaziosi appartamenti ed era
considerato il piano nobile, il terzo e i successivi piani erano solitamente costituiti da appartamenti più
piccoli dati in affitto, che costituivano una fonte di reddito per la famiglia alto borghese che aveva
costruito il palazzo.
8
gli ungheresi a nazionalità dirigente insieme agli austriaci e segnò l’atto di nascita della
duplice monarchia d’Austria–Ungheria. La Ringstraße, restituiva quindi un’immagine
di potenza più desiderata che reale, cui però la corte, la nobiltà e l’alta borghesia
credevano ancora o a cui, per lo meno, si sforzavano di credere. In realtà il Ring
divenne più che altro un imponente monumento al regno pluridecennale di Francesco
Giuseppe, la cui edificazione si protrasse fin nel XX secolo con la fine dei lavori di
ampliamento dell’Hofburg, il palazzo imperiale, avvenuta nel 1913.
Se uno dei motivi alla base della costruzione della Ringstraße era stata la volontà di
integrare il centro della città alla periferia, il programma riuscì soltanto in apparenza, in
quanto i grandi viali alberati avevano sì preso il posto delle mura, ma ne avevano
comunque mantenuto la funzione di difesa del centro del potere; quando si cerca di
accedere al centro città dalla parte ovest del Ring, ci si trova infatti davanti ad una
lunghissima cancellata di ferro, allora alta cinque metri, le cui estremità erano costituite
da lunghe lance appuntite
1
. I punti diretti di accesso dal Ring al centro rimasero
obbligati, a testimonianza di come la Ringstraße possa essere presa ad esempio di un
rinnovato concetto di difesa che, nella seconda metà del XIX secolo, portò
all’abbattimento delle antiche mura medievali un po’ in tutte le grandi città europee.
Lo stile adottato nella costruzione dei palazzi, sia pubblici che privati, che si
affacciavano sul nuovo viale, non era assolutamente unitario e attingeva ai diversi stili
del passato secondo i principi di uno storicismo eclettico che, se all’inizio portò ad un
periodo di eccezionale fervore culturale, finì poi per paralizzare ogni tentativo di
sviluppo artistico. Un segnale di questo storicismo eclettico si era registrato ancora
prima dell’editto del 1857 con la costruzione della Votivkirche, iniziata nel 1856 e
terminata nel 1879 in stile neo-gotico da Heinrich von Ferstel. La Votivkirche, costruita
su ordine dell’arciduca Ferdinando Massimiliano fratello dell’imperatore Francesco
Giuseppe, per commemorare il fallito attentato che questi aveva subito nel 1853 da parte
di un ultranazionalista ungherese, era però estranea al progetto complessivo della
Ringstraße, che, se non era omogeneo dal punto di vista dello stile, era senz’altro basato
su un preciso progetto ideologico.
Se è vero che la Ringstraße nacque grazie ad un decreto imperiale, una grossa spinta alla
redazione di questo decreto venne dall’alta borghesia liberale che nella costruzione del
Parlamento e del Municipio vide riconosciuto il suo nuovo ruolo di guida politica della
nazione e nel Burgtheater e nei Musei vide realizzarsi il trionfo della cultura laica e
1
Vienna - Arte e architettura, a cura di Rolf Toman, Köln, Könemann Verlagsgesellschaft, 1999, pp.
167-168.
9
razionale sulla cultura cattolica di cui l’aristocrazia era stata per secoli espressione.
Anche il volantino che nel 1860 presentò al pubblico il piano regolatore della nuova
strada era espressione dell’ideologia della nuova classe dirigente (Fig. 1): sulla sinistra,
sotto l’allegoria dell’arte, si poteva leggere “Geschmückt durch kunst” (Abbellita in
virtù dell’arte), mentre sotto l’allegoria sulla destra, il motto “Stark durch Gesetz und
Frieden” (“La Forza garantita dalla Legge e dalla Pace”), sottolineava come le
istituzioni parlamentari avessero soppiantato il potere dell’esercito, fatto puntualizzato
da Carl E. Schorske: “Nella realizzazione urbana della Ringstraße, il terzo stato
celebrava architettonicamente il trionfo del Recht (Diritto) costituzionale sulla Macht
(potenza) imperiale”
1
. Non disponendo di un proprio stile, le nuove istituzioni borghesi
si espressero “[...] attraverso il linguaggio visivo del passato, prendendo in prestito lo
stile che offriva connessioni storiche idonee ai propositi rappresentativi di un
determinato edificio”
2
. A dimostrazione di questo programma, lo stile che l’architetto
danese Theophil von Hansen, autore della sede dell’Accademia e della Biblioteca
nazionale di Atene, impiegò per la costruzione del parlamento imperiale tra il 1874 e il
1883, doveva ricordare la nascita della democrazia avvenuta in Grecia durante l’età di
Pericle (Fig. 2). Tra il 1872 e il 1883, sulla stessa piazza, fu dato il via alla costruzione
del municipio, progettato in stile neo-gotico da Friedrich von Schmidt (Fig. 3), le forme
del nuovo edificio rimandavano all’architettura dei municipi medievali fiamminghi
3
e
volevano essere un omaggio alla nascita del libero comune di Vienna avvenuta durante
il Medioevo. Sulla stessa piazza dei due palazzi precedenti, furono edificati anche
l’Università e il Burgtheater: la prima fu costruita tra il1873 e il 1884 su progetto di von
Ferstel secondo una libera interpretazione dello stile rinascimentale, a ricordare la
grande fioritura delle arti e della cultura razionalista avvenuta in quell’epoca che aveva
segnato la fine della superstizione medievale; il secondo fu costruito tra il 1874 e il
1888 da Karl von Hasenauer e dal tedesco Gottfried Semper (Fig. 4), uno dei più
importanti architetti del secolo di cui parleremo più avanti, secondo lo stile del primo
barocco, il periodo in cui per la prima volta il teatro aveva unito il clero, la nobiltà e i
cittadini nella comune passione per le arti estetiche
4
. Emblematico dell’importanza
attribuita alla nuova strada è il fatto che gli ingressi di queste quattro costruzioni non si
affacciano sulla Rathausplatz, come sarebbe logico pensare, ma sulla Ringstraße.
1
Carl E. Schorske, Vienna fin de siècle. Politica e cultura, Milano, Bompiani, 1981. p. 27.
2
ibid., p. 33.
3
Vienna - Arte e architettura, a cura di Rolf Toman, Köln, Könemann Verlagsgesellschaft, 1999, p. 191.
4
Schorske, op. cit., p. 34
10
Tranne il teatro dell’opera di corte, eretto tra il 1861 e il 1869 in stile neo-
rinascimentale su progetto d'Eduard van der Nüll e August von Sicardsburg, le altre
opere realizzate sul Ring furono progettate dagli architetti che abbiamo visto impegnati
nella costruzione degli edifici precedenti. Sviluppando uno stile che mischia forme neo-
rinascimentali e forme neo- barocche, Semper e von Hasenauer progettarono i due
musei gemelli di storia dell’arte e di storia naturale costruiti tra il 1871 e il 1891 (Fig. 5)
e la nuova sezione dell’Hofburg iniziata nel 1881 e terminata nel 1913 quando i due
architetti erano già morti e l’impero prossimo alla caduta; tra il 1868 e il 1891 von
Ferstel realizzò il Museo dell’Arte e dell’Industria in mattoni crudi e decorazioni a
graffito (l’attuale Museo delle Arti applicate); per finire von Hansen progettò
l’Accademia delle belle arti, costruita tra il 1872 e il 1876 e il palazzo della Borsa
realizzato tra il 1874 e il 1877.
Se la costruzione della Ringstraße significò un periodo di grande fervore per ciò che
riguarda l’architettura, non bisogna dimenticare che essa portò anche ad un grande
sviluppo delle arti plastiche e delle arti applicate. Nelle piazze e nei parchi della città
furono innalzati numerosi monumenti la cui realizzazione provocò una notevole attività
per gli scultori; inoltre i nuovi palazzi, costruiti utilizzando i più diversi stili
architettonici necessitavano di una grande quantità di decorazioni plastiche per il loro
abbellimento. Queste decorazioni, scatenarono negli anni seguenti l’odio dei giovani
artisti per la loro falsità e la loro pretenziosità. Nel 1898 il giovane architetto Adolf
Loos, in un articolo dal titolo La città alla Potëmkin pubblicato in “Ver Sacrum”, la
rivista della Secessione viennese, denunciava come i dettagli ornamentali, le mensole, le
ghirlande di fiori, i cartocci e i dentelli applicati sulle facciate dei nuovi palazzi, fossero
realizzati in cemento trattato in modo da sembrare stucco
1
. A questo proposito sono
significative le parole dello scrittore e critico Hermann Bahr, che insieme a Ludwig
Hevesi diventerà uno dei più accesi sostenitori della futura Secessione:
“Das “Ringstraßenhaus” ist ein Schwindel, es ist unnatürlich, es verleugnet den Sinn des Bauens [...]
Dreißig Jahre lang ist die Architektur costumiert gewesen. Das ist uns unerträglich geworden. Weg mit
der Costum!“
2
1
Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, Adelphi edizioni, 1999, p. 105.
2
Hermann Bahr, Secession, Wien, Wiener Verlag, 1900, pp. 40-41. Trad.: „La casa da Ringstraße è
un’impostura, rinnega il senso del costruire. [...] Per trent’anni l’architettura è stata vestita in maschera.
Questo per noi è diventato insopportabile. Bando alle maschere!”
11
Il titolo dell’articolo di Loos sopracitato, intendeva riferirsi al generale russo Potëmkin
che aveva costruito: “Villaggi di tela e di cartone, [...] che avevano lo scopo di
trasformare agli occhi di Sua Maestà Imperiale (la zarina Caterina II) un deserto in un
paesaggio fiorente”
1
. Questa operazione secondo Loos era uguale a quella avvenuta a
Vienna con l’edificazione della Ringstraße, i cui abitanti avevano voluto: “[...]
realizzare l’impresa di indurre chi giunge a Vienna a credere di trovarsi in una città
abitata soltanto da nobili”
2
.
Un altro elemento di falsità di questi palazzi era costituito dai loro grandi portoni
d’ingresso e dai grandi scaloni padronali che dopo aver condotto al piano nobile si
trasformavano in scale di dimensioni più modeste, anche in questo caso le superfici
erano esagerate al fine di creare una fittizia immagine di grandezza.
Alcuni di questi edifici furono letteralmente coperti di piccole sculture, di fregi, di
capitelli con motivi vegetali e tra questi i due musei gemelli di Semper e von Hasenauer
spiccano per la grande quantità di elementi decorativi che ne ricopre le facciate e gli
interni. Ad aumentare l’imponenza della nuova piazza dei musei al suo centro fu posto
il complesso monumentale in omaggio all’imperatrice Maria Teresa, realizzato nel 1877
da Caspar von Zumbusch, uno dei principali scultori dell’epoca della Ringstraße autore
tra l’altro dei monumenti a Beethoven (1880), all’arciduca Alberto (1888-89) e al
maresciallo Radetzky (1892).
Il ruolo di Semper a Vienna, nonostante gli edifici realizzati in città non presentino
particolari caratteri d'originalità rispetto a quelli realizzati dall’architetto tedesco a
Dresda o a Zurigo, è stato in ogni caso fondamentale per lo sviluppo artistico della
capitale austriaca. Non è un caso che Semper sia l’unico artista dell’epoca della
Ringstraße ad essere elogiato da Bahr e da Hevesi, che in un articolo del 1898 a
proposito dell’architettura europea di quegli anni scrisse:
“Ach Semper! […] Seine Hoch- und Spätrenaissance wurde in den Händen der Zeitgenossen ein ödes
Schulprogramm oder geistloser Kopistenquark. Wie groß mag seine Enttäuschung gewesen sein, als er
die Welt immer mehr einem flunkernden, zusammengestohlenen, verlogenen Schmückedeinheimstil
verfallen sah. Nein, mit der Schimpansenkunst der Nachäffer geht es nicht weiter“
3
.
1
Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, Adelphi edizioni, 1999, p. 103.
2
ibid., p. 104.
3
Ludwig Hevesi, Acht Jahre Secession (März 1897-Juni 1905) - Kritik, Polemik, Chronik, Wien 1906,
Wiederherausgegeben und einbegleitet von Otto Breicha. Klagenfurt, Ritter Verlag (Reprint), 1984, p. 64.
Trad.: “Ah, Semper![…] Il suo primo e secondo rinascimento, nelle mani dei suoi contemporanei è
diventato un triste programma scolastico e una sciocchezza da copisti senza spirito. Come sarebbe stata
grande la sua delusione nel vedere sempre più il mondo decadere in uno stile decorativo falso, furtivo e
menzognero. No, con l’arte scimmiesca degli imitatori non si va da nessuna parte”. Lo stesso concetto era
12
Per avere un’idea dell’importanza che Semper ebbe soprattutto nel campo delle arti
decorative, bisogna comunque tornare al 1851 e trasferirsi a Londra, dove il primo
maggio fu inaugurata The great exhibition of Industry, la prima delle grandi esposizioni
universali che caratterizzarono la seconda metà del XIX secolo e in cui si volevano
celebrare le conquiste ottenute dalla nuova civiltà industriale. Gli occhi degli osservatori
più attenti poterono notare come l’industrializzazione, nonostante avesse sicuramente
portato ad un grande aumento della produzione e del numero dei beni di consumo a
disposizione della popolazione, avesse eliminato negli stessi oggetti ogni traccia di
valore artistico. Nel 1851 Semper, dopo essere fuggito da Dresda a causa dei moti
rivoluzionari del 1848, si trovava in esilio a Londra e dalla sua collaborazione alla
realizzazione di alcuni padiglioni dell’Esposizione Universale, trasse gli spunti per la
pubblicazione di uno scritto dal titolo Scienza, industria, ed arte: proposte per
l’incentivazione di un senso artistico nazionale in occasione della chiusura
dell’Esposizione Universale, in cui dava le indicazioni per uno sviluppo delle arti
applicate libero dall’influenza delle macchine e dai metodi di produzione industriali
1
, di
cui Semper riconosceva realisticamente l’importanza, poiché solo grazie alla
razionalizzazione industriale si erano eliminate la “crosta di affettazione” e la “mania di
antichità” che contrassegnavano la sua epoca
2
. Come affermò Alois Riegl in Problemi
di stile, secondo Semper: “[…] nello svolgersi di una forma artistica vanno prese in
considerazione pure la materia e la tecnica […]”
3
, quindi è logico che nella concezione
dell’architetto tedesco, l’artista nella creazione di un oggetto, debba avere come primo
obiettivo quello di rilevarne la funzione e metterne in risalto il materiale, solo in un
secondo tempo a questo oggetto si dovrà aggiungere la decorazione che non dovrà mai
essere eccessiva. Semper indicava come modello il linguaggio rinascimentale italiano i
cui concetti base di simmetria e proporzionalità, erano messi al servizio della
funzionalità dell’oggetto; inoltre, secondo l’architetto, chi progetta l’oggetto, non deve
saperlo unicamente disegnare, ma deve anche essere in possesso dell’abilità artigianale
necessaria alla sua creazione, deve conoscere le tecniche di lavorazione dei materiali
come l’intreccio, la modellazione, l’incastro, la costruzione. Per arrivare a questi
già stato espresso da Alois Riegl nel 1893 quasi con le stesse parole: ”Gottfried Semper […] non avrebbe
di sicuro voluto che fosse posto, in luogo della libera volontà creatrice dell’artista, un impulso imitativo
puramente meccanico e materiale”, in: Alois Riegl, Problemi di stile, Milano, Giangiacomo Feltrinelli
Editore, 1963, p. 3.
1
Werner Fenz, Koloman Moser. Internationaler Jugendstil und Wiener Secession, Wien, Herausgeber
Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Residenz Verlag, 1976, p. 9.
2
Werner Hofmann, I fondamenti dell’arte moderna. Volume II. Il novecento, Roma, Donzelli Editore,
1996, p. 86.
3
Alois Riegl, Problemi di stile, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1963, p. 2.
13
risultati Semper auspicava l’abbattimento dell’antica distinzione tra arti maggiori e arti
minori, poiché, a suo parere, le seconde erano alla base di tutta l’arte costruttiva
monumentale, bisognava inoltre portare avanti un programma di educazione del gusto
nazionale da realizzarsi sia tramite l’organizzazione di mostre di arte e di arte
industriale, sia attraverso l’educazione e l’insegnamento nei laboratori artigiani. Queste
idee furono accolte dalle autorità britanniche e portarono alla creazione di un ufficio
centrale per un unitario insegnamento dell’arte ed ebbero il loro peso anche nella
fondazione avvenuta nel 1852 del primo museo di arti applicate: il South Kensington
Museum, ovvero l’attuale Victoria and Albert Museum. Semper espresse le proprie idee
anche nella sua opera Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten (Lo stile
nelle arti tecniche e tettoniche) pubblicata tra il 1861 e il 1863, in cui affermò come
l’uso dell’ornamento fosse inscindibilmente legato al materiale e alla funzione
dell’oggetto.
Le idee di Semper non rimasero ignote agli studiosi dell’arte di Vienna, la loro
ricezione portò ad importanti decisioni che segnarono un deciso passo avanti in
direzione della modernizzazione della vita artistica del paese, gettando le premesse per
il grande sviluppo che l’arte applicata ebbe proprio a partire dall’età della Ringstraße e
in seguito con l’attività della Secessione e dei “Wiener Werkstätte” (“Laboratori
viennesi”). Nel 1862 a Londra si tenne una nuova Esposizione Universale in cui
l’Austria era presente con un gran numero di espositori. La relazione sull’evento fu
compilata da Rudolf von Eitelberger, che nel 1852 aveva ottenuto la nomina a
professore straordinario di storia dell’arte e dell’archeologia all’università di Vienna, la
seconda università europea ad attivare questo insegnamento dopo quella di Berlino nel
1844. Eitelberger, influenzato dalle teorie di Semper e dall’organizzazione del South
Kensington Museum, si adoperò per la nascita in Austria di un museo simile a quello
londinese. Nel 1863 l’imperatore Francesco Giuseppe diede la sua risposta ed esortò la
creazione di un Museo austriaco dell’Arte e dell’Industria
1
. Così, in modo del tutto
inaspettato, nella periferica Vienna, che in una guida turistica del 1843 si segnalava per i
suoi due alberghi contro i duecento di Londra
2
, fu fondato l’Österreichisches Museum
für Kunst und Industrie (Museo austriaco dell’Arte e dell’Industria), il primo di questo
genere sul continente.
1
Per una storia più dettagliata a proposito della fondazione dell'Österreichisches Museum für Kunst und
Industrie è utile consultare il saggio introduttivo di Wilhelm Mrazek al volume: Werner Fenz, Koloman
Moser. Internationaler Jugendstil und Wiener Secession, Wien, Herausgeber Österreichisches Museum
für angewandte Kunst, Residenz Verlag, 1976, pp. 7-20.
2
Vienna - Arte e architettura, a cura di Rolf Toman, Köln, Könemann Verlagsgesellschaft, 1999, p. 164.
14
Il nuovo museo poteva contare su una collezione di oltre 2000 pezzi provenienti dai
fondi imperiali, da chiese e chiostri oltre che da donazioni di privati. Nel 1867, in
ossequio al programma di Eitelberger, nominato direttore, e del primo curatore Jacob
von Falke, al museo fu collegata una Scuola di Arti applicate. A testimoniare
l’importanza di questa scuola per i futuri sviluppi dell’arte viennese si deve ricordare
che vi studieranno alcuni dei maggiori esponenti della Secessione viennese: da Gustav
Klimt a Friedrich König, da Johann Viktor Krämer a Maximilian Lenz, da Koloman
Moser ad Ernst Stöhr.
La figura di Rudolf von Eitelberger è fondamentale anche perché la sua opera è
considerata il punto di partenza per la nascita della “scuola di Vienna” nel campo della
critica d’arte, e non è un caso, se alcuni tra gli esponenti di questa scuola, tra cui Franz
Wickhoff e Riegl, svolsero un grande lavoro di rivalutazione delle arti applicate, cui
furono dedicati studi esemplari. Riegl in Problemi di stile, come nel giro di pochi anni
fecero i secessionisti, mise le arti applicate e la decorazione sullo stesso piano delle
cosiddette arti maggiori, che secondo l’autore possedevano addirittura minori
potenzialità rispetto alle prime. Un ulteriore elemento di affinità è l’attenzione che Riegl
riserva all’elemento geometrico “vero frutto di un elementare impulso artistico
ornamentale”
1
, che come vedremo sarà fondamentale per l’attività della Secessione e di
Koloman Moser in particolare. Per ciò che ancora concerne le arti applicate, bisogna
ricordare che nel 1873, sul terreno del Prater di Vienna, fu allestita la quinta
Esposizione Universale, la prima su un territorio di lingua tedesca. La manifestazione fu
però guastata da una grave crisi finanziaria e da un’epidemia di colera. Nel 1873 a
Monaco di Baviera si tenne una mostra di arte e arti applicate in cui si potè constatare
come in soli dieci anni dalla nascita della Scuola di Arti applicate, i prodotti viennesi,
creati attenendosi alle linee pure di gusto rinascimentale mutuate da Semper, avessero
ormai raggiunto il livello dei prodotti inglesi e francesi. Il pieno riconoscimento di
questo progresso arrivò nel 1878 in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi,
quando Julius Lessing, direttore del Museo di Arti applicate di Berlino, scrisse a
proposito dell’Austria:
“Das österreichisches Kunstgewerbe hat sich auf vielen der wichtigsten Gebiete von dem Französischen
Einfluß so gut wie völlig frei gemacht [...] Die Bewegung in Österreich ist einheitlich und systematisch
1
Alois Riegl, Problemi di stile, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1963, p. 34.
15
von dem Österreichisches Museum geleitet, das sich das eigentliche und hauptsächliche Verdienst um die
Herstellung des jetzigen Standes des österreichischen Kunstgewebes erworben hat“
1
.
Nel 1878, Klimt frequentava già da due anni la Scuola di Arti applicate, negli anni
seguenti altri suoi giovani colleghi compiranno la stessa scelta. Le arti applicate erano
ormai viste come un ambito di attività che possedeva lo stesso valore delle cosiddette
belle arti; e la Scuola di Arti applicate poteva essere ormai considerata una valida
alternativa all’Accademia. Allo stesso tempo, i metodi didattici della scuola, che si
basavano soprattutto su un approccio scientifico e museale e sulla ripresa degli stili del
passato, cominciarono a non essere più recepiti in maniera soddisfacente dalla nuova
generazione di allievi nata tra gli anni sessanta e settanta del secolo. L’imitazione del
passato non era più sentita come adeguata alla realtà di un tempo considerato di svolta,
si voleva trovare uno stile che fosse del proprio tempo. Gli stessi concetti furono
espressi da Bahr in un articolo dal titolo “La giovane Austria” apparso sulla “Deutsche
Zeitung” del 20 settembre 1893:
“[I giovani austriaci] Ammirano la tradizione. Non vogliono entrare in conflitto con essa. Vogliono
soltanto prenderla come base. Vorrebbero servirsi della vecchia opera dei padri per i nuovi tempi che
stanno vivendo. Vorrebbero aggiornarla. Vogliono essere austriaci, come lo erano quegli altri, ma
austriaci del 1890…”
2
.
Nel 1899, quando la Secessione si era ormai affermata Bahr tornò ancora più di una
volta ad attaccare la mancanza di originalità dell’arte della Ringstraße:
“Gehen wir über den Ring, so kommen wir uns wie in einem recht billigen Carneval vor. Alles ist
vermummt, alles ist verkleidet, alles hat Masken an. [...] Wir sind keine barocken Menschen, wir leben
nicht in der Renaissance, warum wollen wir so thun? Das Leben ist anders geworden, die Tracht ist
anders geworden, jeder Gedanke, jede Empfindung und die ganze art der Menschen ist anders geworden,
da muss auch das Bauen der Menschen anders werden, ihrem neuen Sinn und ihrem neuen Thun
gemaß“
3
.
1
Werner Fenz, Koloman Moser. Internationaler Jugendstil und Wiener Secession, Wien, Herausgeber
Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Residenz Verlag, 1976 p. 16. Trad.: “Le arti applicate
austriache si sono emancipate dall’influenza francese in molti dei campi più importanti. […] Il
movimento è diretto unitariamente e sistematicamente dal museo austriaco che ha il reale e principale
merito di acquisire l’attuale produzione delle arti applicate austriache”.
2
Hermann Bahr, Il superamento del naturalismo, a cura di Giovanni Tateo, Milano, SE, Milano, 1994, p.
118. Prima edizione: La Giovane Austria, “Deutsche Zeitung”, 20. September 1893, pp. 1-2
3
Hermann Bahr, Secession, Wien, Wiener Verlag, 1900, pp. 109-110. Trad.: „ Attraversiamo il Ring, ci
sembra di essere come in un vero e proprio carnevale a buon mercato. Tutto è mascherato, tutto è
travestito, tutti hanno delle maschere. [...] Noi non siamo uomini barocchi, non viviamo nel
16
Le parole di Bahr, interpretavano l’ansia di modernità che portò i giovani artisti a
rompere i rapporti con le istituzioni tradizionali per incamminarsi lungo un percorso
autonomo, indipendente, che rinnoverà del tutto l’arte e il modo di percepire l’arte dei
viennesi. Prima di incamminarci lungo questo percorso non possiamo però lasciare l’età
della Ringstraße senza aver fatto un accenno alla situazione della pittura.
Se la grande attività provocata dalla costruzione del nuovo viale riguardò soprattutto
l’architettura, la scultura e le arti applicate, gli interni dei grandi palazzi furono ricoperti
da imponenti decorazioni pittoriche e lo storicismo la fece da padrone anche in
quest'ambito. Nel momento in cui lo stile architettonico dei palazzi doveva evocare
precise epoche storiche, anche i temi scelti per le tele e gli affreschi monumentali
dovevano collegarsi allegoricamente alla funzione dell’edificio che li ospitava. Lo stile
scelto dai pittori di questi affreschi andava a riesumare la corporeità michelangiolesca,
come nella decorazione del soffitto dell’aula magna per l’Università di Vienna,
realizzata nel 1874 da Anselm Feuerbach, con il tema de La caduta dei Titani (Fig. 6);
oppure si rifaceva alla tradizione barocca, come nel caso della decorazione pittorica
dello scalone del Museo di Storia naturale, realizzata nel 1882 da Hans Canon, che
scelse come soggetto Il ciclo della vita (Fig. 7), due composizioni di gusto accademico,
senza alcun barlume di innovazione. Negli stessi anni in Francia, precisamente nel
1874, a Pierre Puvis de Chavannes era commissionata la decorazione del Pantheon di
Parigi con La vita di S. Genoveffa, i cui cartoni esposti alla prima mostra della
Secessione viennese nel 1898, suscitarono l’ammirazione di Hevesi che definì l’artista
francese il “Großmeister der modernen französischen Malerei”
1
. Nel 1883, Puvis de
Chavannes realizzò Il bosco sacro caro ai poeti e alle muse per il Palazzo delle Arti di
Lione, un’opera da collocarsi nell’ambito simbolista per il suo clima colto e raffinato, se
si pensa poi, che nel 1879, Edouard Manet era quasi riuscito ad ottenere l’incarico per la
decorazione dell’Hôtel de la Ville di Parigi
2
, si capisce come la situazione a Vienna, dal
punto di vista della pittura, fosse incredibilmente arretrata.
Il maestro incontrastato dell’epoca della Ringstraße era Hans Makart (Fig. 8), l’uomo
che amava organizzare feste in maschera cui si presentava vestito da Rubens e il cui
Rinascimento, perché vogliamo comportarci così? La vita è diventata qualcos’altro, i costumi sono
cambiati, ogni sentimento e l’intera natura degli uomini sono cambiati, quindi anche il costruire dovrebbe
diventare diverso, conforme alla nuova natura e ai nuovi comportamenti degli uomini”.
1
Ludwig Hevesi, Acht Jahre Secession (März 1897-Juni 1905) - Kritik, Polemik, Chronik, Wien 1906,
Wiederherausgegeben und einbegleitet von Otto Breicha. Klagenfurt, Ritter Verlag (Reprint), 1984, p. 13.
Trad.: “il gran maestro della grande pittura moderna francese”.
2
Patricia Mainardi, La fine del Salon. Arte e stato all’inizio della Terza Repubblica, Segrate, Nike, 1998,
p. 83.
17
atelier, come si vede in un acquerello del 1885 di Rudolf von Alt (Fig. 9), era un
ammasso degli oggetti più disparati: piante esotiche, tappeti lussuosi, mobili riccamente
intarsiati e colonne fatte di putti bronzei, un ambiente che oggi non si esiterebbe a
definire Kitsch, e che proprio grazie alla sua particolarità diede il via ad un vero e
proprio stile, il cosiddetto “stile Makart”, con il quale l’alta borghesia arredava i propri
palazzi. Non è un caso il fatto che il trionfo maggiore, Makart non lo ottenne per meriti
legati alla sua attività di pittore, ma per aver allestito l’apparato dei festeggiamenti
avvenuti nel 1879, in occasione delle nozze d’argento della coppia imperiale,
allestimento cui collaborò tra gli altri anche il giovane Klimt. Per ciò che invece
riguarda lo stile pittorico di Makart ci troviamo ancora nell’ambito dello storicismo, la
sua grande abilità stava nel comporre le proprie opere utilizzando un repertorio di
modelli tratti dall’antichità che venivano poi assemblati in composizioni sempre nuove;
il suo modo di dipingere si rifaceva direttamente al barocco, a Rubens in particolare, ai
maestri del Rinascimento veneziano, modelli di stile che poi l’artista rielaborava in
modo libero dando alle sue opere un'atmosfera di freschezza e di sensualità decadente,
come si può osservare nel suo quadro Il trionfo di Arianna del 1873 (Fig. 10). Più che
dalla corte Makart era molto richiesto dall’alta borghesia per le sue qualità di ritrattista,
soprattutto le donne amavano farsi ritrarre dal pittore nei panni di antichi personaggi
storici e mitologici (Fig. 11), oppure inserite in paesaggi esotici e lontani; anche il
campo della pittura era dunque utilizzato per offrire una maschera alla realtà, per
cercare di trasformare la finzione in qualcosa di concreto.
Questo tipo di pittura che guardava continuamente al passato ed era estranea a
qualsiasi novità tecnica proveniente dall’estero, era la pittura portata avanti dall’unica
associazione d'artisti di Vienna la “Genossenschaft bildender Künstler Wiens –
Künstlerhaus” (“Cooperativa degli artisti figurativi di Vienna – Casa degli artisti”),
fondata nel 1861. La maggioranza dei membri della Künstlerhaus era estranea ad ogni
innovazione, un sistema di protezione faceva sì che si promuovessero soltanto gli artisti
più affermati e che la politica espositiva della Cooperativa fosse guidata in prevalenza
da interessi commerciali attenti a non urtare il gusto conservatore e tradizionalista del
pubblico viennese.