diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Alcune di queste
violazioni appartengono alla classe dei crimini di guerra, mentre altre,
dato il loro carattere diffuso e sistematico, possono essere considerate
crimini contro l’umanità.
Le sistematiche atrocità commesse in Darfur hanno coinciso con il
decimo anniversario del genocidio rwandese. Ciò ha portato molti a
considerare il Darfur come una sorta di “test”, attraverso cui valutare
se la comunità internazionale abbia fatto o meno, nell’ultimo decen-
nio, dei passi avanti nella risposta al genocidio e ai crimini contro
l’umanità. A Ginevra, il 7 aprile 2004, il Segretario Generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan, durante la cerimonia di commemorazione
per la tragedia rwandese, ha sottolineato esplicitamente il legame tra
la responsabilità internazionale rispetto al Rwanda e rispetto al Darfur.
Parlando di pulizia etnica, egli ha dichiarato che “la comunità interna-
zionale non può rimanere inattiva”
1
di fronte a violazioni dei diritti
umani così estese.
Quale è stata, dunque, fino ad ora, la storia della risposta interna-
zionale al Darfur? Una storia di inattività e negazione, come nel caso
del Rwanda, o ci sono state, questa volta, azioni decisive? La comuni-
tà internazionale si è dimostrata inerme, come temuto da Annan, o al
1
Kofi Annan, Discorso presso la Commissione Onu per i diritti umani, Ginevra, 7 aprile 2004, UN
News Centre, www.un.org.
6
contrario, se ne è occupata? E, se se ne è occupata, lo ha fatto in modo
in modo efficace?
Attraverso questo lavoro si è cercato di trovare delle risposte a que-
ste domande, utilizzando il Darfur come case study per tracciare un
quadro generale di quello che è l’attuale stato della risposta umanitaria
internazionale in caso di gravi emergenze umanitarie.
Nella prima parte della trattazione si è cercato innanzi tutto di con-
testualizzare i fatti, descrivendo la regione presa in esame, tracciando-
ne un quadro storico-sociale generale e cercando di chiarire la cause
profonde che hanno portato nel 2003 allo scoppio della rivolta. Dopo-
dichè si è passati ad analizzare a fondo il conflitto stesso, descriven-
done la natura giuridica, i principali soggetti coinvolti e scandendone
le varie tappe.
La seconda parte è dedicato alla caratterizzazione legale dei fatti
svoltisi in Darfur. Per fare ciò sono state innanzitutto esposte le norme
di diritto internazionale umanitario e di diritto internazionale dei diritti
dell’uomo ( o, più semplicemente, diritti dell’uomo) di fronte alle qua-
li questi fatti dovrebbero essere giudicati, e gli obblighi internazionali
a cui le parti in conflitto sono vincolate.
7
Dopo questa rapida panoramica generale sono stati esposti nel det-
taglio i reati commessi dalle parti e le conseguenti violazioni del dirit-
to internazionale.
I successivi due capitoli si concentrano invece sulla risposta della
comunità internazione.
Nel quarto sono state esposte le modalità con cui due importanti
protagoniste della scena internazionale – l’ONU e l’Unione Africana –
hanno affrontato la nascita e gli sviluppi degli scontri generatisi in
Darfur e la crisi umanitaria che ne è conseguita; nel quinto sono stati
esaminati gli elementi che hanno caratterizzato la risposta internazio-
nale alla crisi, sottolineando soprattutto gli aspetti problematici e cer-
cando di valutarne l’effettiva efficacia. Sono state analizzate quindi, in
un primo momento, i tempi e le modalità di risposta in termini pura-
mente umanitari, e in un secondo momento la dimensione politica del-
la questione.
Nell’ultima parte del lavoro, richiamando i fallimenti della comuni-
tà internazionale nell’ultimo decennio in tema di intervento umanitario
ed esponendo il principio di “responsabilità di proteggere” si è tentato
di rispondere alla domanda se sia il caso o meno di intraprendere in
Darfur azioni più decisive e, in caso di risposta positiva, quali dovreb-
8
bero essere i criteri da seguire per far sì che tale intervento sia davvero
un intervento umanitario.
9
CAPITOLO 1
DARFUR: LE RAGIONI DI UNA GUERRA CIVILE
1. IL CONTESTO STORICO – SOCIALE
In Darfur, regione situata nella parte più occidentale del Sudan e
che conta una popolazione di circa 6 milioni di abitanti, dal febbraio
del 2003 è in corso quello che le Nazioni Unite hanno definito come
“il più grave disastro umanitario del pianeta”
2
.
La crisi, determinata dal conflitto che vede contrapposti da un lato i
due gruppi di ribelli - il Movimento di Liberazione del Popolo Suda-
nese (SPLM) e Il Movimento per l’Uguaglianza e la Giustizia (JEM) -
e dall’altro le milizie filogovernative dei Janjaweed, si manifesta nella
sua violenza a margine del ventennale conflitto tra il governo del pae-
se e le regioni meridionali, conclusosi nel gennaio 2005 con la firma
di un accordo di pace.
Fino a questo momento la crisi ha riguardato un numero sconcertan-
te di persone: 180.000 i morti e quasi 2 milioni gli sfollati, 200.000 dei
quali hanno cercato rifugio oltre i confini con il Chad.
2
Jan Egeland, Coordinatore per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite.
10
Per comprendere a fondo le cause che hanno portato a questa grave
emergenza, è opportuno inserire la situazione in un contesto più vasto,
analizzando la regione, e più in generale il Sudan, da un punto di vista
storico, geografico e sociale.
1.1 IL SUDAN
Il Sudan è lo stato più vasto dell’Africa, con un territorio di circa
2,5 milioni di Km
2
ed una popolazione che conta circa 39 milioni di
abitanti.
L’Islam è la religione predominante, soprattutto nei territori del
nord, mentre il Cristianesimo e le religioni animiste tradizionali pre-
valgono nel sud.
Dal punto di vista amministrativo, il Sudan è una repubblica federa-
le, suddivisa in 26 stati
3
(Wilayaat) formati a loro volta da circa 120
province (Mahaliyaat).
Gli elementi che costituiscono l’identità nazionale in Sudan sono
molto complessi: esistono una moltitudine di tribù e gli abitanti parla-
no più di 130 tra lingue e dialetti. Una cultura islamico-africana-araba
3
Dal 1994 il Sudan è composto da 26 stati chiamati wilayaas che dispongono di un governo e di un
consiglio legislativo: Alto Nilo, Mar Rosso, Bahr El Jebel, Gezira, Jungoli, Darfur Sud, Kordofan Sud,
Khartoum, Sinnar, Equatoria, Bahr El Ghazal du Nord, Darfur Nord, Kordofan Nord, Equatoria occi-
dentale, Alshimaliya, Bahr El Ghazal dell’Ovest, Darfur Ovest, Kordofan occidentale, Gaddarif, Kassa-
la, Nahr El Nil, Nil Blanc, Nil Bleu, Warap e Stato dell’unione.
11
è emersa nel corso degli anni ed è divenuta predominante nel nord del
paese. La lingua araba ora è parlata in tutto il territorio e costituisce
una sorta di “lingua franca” per la maggior parte dei sudanesi.
Il Sudan è considerato un “Least Developed Country” (LCD):
l’agricoltura commerciale, lo sviluppo industriale e un limitato sfrut-
tamento delle risorse naturali, hanno cominciato a svilupparsi solo ne-
gli ultimi anni, soprattutto dopo la scoperta del petrolio nei territori
centro-meridionali.
1.1.1 CENNI STORICI
Il Sudan fu una colonia britannica fino al primo gennaio 1956, gior-
no in cui ottenne finalmente l’indipendenza. Da quella data il paese ha
fluttuato tra regimi militari e governi democratici: nel corso dei 49 an-
ni di governo nazionale, il Sudan ha sperimentato 10 anni di democra-
zia nei periodi 1956-58, 1965-69 e tra il 1985 e il 1989. Nei restanti
periodi il paese è stato governato da regimi militari, saliti al potere
grazie a colpi di stato.
In seguito all’indipendenza, dopo i primi due anni di governo de-
mocratico, il Generale Ibrahim Abbud salì al potere con un colpo di
stato nel novembre del 1958.
12
Egli appoggiò la diffusione della lingua araba e dell’ Islam in tutto
il paese, ma questo movimento fu accolto con molta resistenza nelle
regioni del sud. Le agitazioni registrarono un incremento nel 1962, fi-
no allo scoppio di una vera e propria rivolta nel 1963. La repressione
governativa interessò tutto il paese e nel 1964 alcune proteste studen-
tesche a Khartoum portarono al disordine pubblico generale: Abbud
rassegnò le dimissioni come capo di stato e il potere passò nelle mani
di un governo di transizione, che programmò nuove elezioni per il
maggio del 1965. Un governo di coalizione guidato da un rappresen-
tante del partito Umma, Mohmmed Ahmed Mahjub, fu formato nel
giugno dello stesso anno, ma fallì nel tentativo di sviluppare concrete
politiche di riforma; di conseguenza, nel maggio del 1969, un gruppo
di militari capeggiati dal colonnello Gaafar Mohamed Al-Nimeiri pre-
se il potere.
Fu instaurato un governo monopartitico di ispirazione socialista,
che venne successivamente trasformato in governo islamico. Nel feb-
braio del 1972 Nimeiri firmò il cosiddetto “accordo di Addis Abeba”
con i ribelli del sud, che fornì ai territori meridionali una sorta di auto-
nomia; grazie a questo accordo la pace fu possibile per i successivi
undici anni.
13
Negli ultimi anni del suo governo Nimeiri adottò una serie di misu-
re atte a rafforzare il proprio potere. A seguito della scoperta di petro-
lio nelle regioni del sud, egli cercò di riunire al nord quei territori così
ricchi, cancellandone di fatto le garanzie di autonomia.
Inoltre nel settembre del 1983, sotto l’influenza di Hassan Al Tura-
bi, l’allora leader del National Islamic Front e del Muslim Brotherho-
od, Nimeiri introdusse la Sharia. Tutti questi provvedimenti portarono
a forti reazioni nel sud e allo scoppio nel 1983 della seconda guerra
nord-sud
4
.
Infine, nell’aprile del 1985, dopo 16 anni passati al potere, il gover-
no militare di Nimeiri fu rovesciato da un colpo di stato militare orga-
nizzato dagli ufficiali dell’esercito e fu costituito un Consiglio Milita-
re di Transizione, guidato dal Generale Abed Rahman Siwar Al-
Dahab.
Le nuove elezioni ebbero luogo nel 1986 e portarono alla vittoria
del leader del partito Umma, Sadiq Al-Mahdi, che divenne Primo Mi-
nistro. Il suo governo durò però meno di quattro anni. Durante questo
periodo iniziò ad attuare alcuni importanti provvedimenti, ma dovette
scontrarsi con prove molto difficili: la guerra civile nel sud, la siccità e
la desertificazione.
4
v. parag. 1.1.2
14
L’attuale Presidente del Sudan, il Generale Omar Hassan El-Bashir,
assunse il potere nel giugno del 1989, a seguito di un nuovo colpo di
stato organizzato in cooperazione con il Muslim Brotherhood. Dopo il
golpe molti sudanesi vennero arrestati o mandati in esilio; le proprietà
furono confiscate e i partiti politici vennero messi al bando.
El-Bashir, come Nimeiri, fu fortemente influenzato dal più impor-
tante ideologo del National Islamic Front: Hassan Al-Turabi. A partire
dal 1989 il sistema legale e quello giudiziario furono
significativamente modificati per essere adattati all’ideologia
fortemente islamica che ispirava il partito.
Il primo luglio 1998 fu varata una nuova Costituzione che rifletteva
ampiamente la severa base ideologica del governo, ma stabiliva un si-
stema di governo federale e garantiva comunque alcuni importanti di-
ritti di base.
A dicembre si tennero nuove elezioni, che furono però boicottate da
tutti i maggiori partiti di opposizione; El-Bashir ne uscì di nuovo vin-
citore, ottenendo per sé un nuovo mandato di cinque anni, e per il suo
partito 340 dei 360 seggi parlamentari. Turabi divenne il portavoce del
Parlamento. I membri del partito continuarono a mantenere posizioni
chiave e una forte influenza sul Governo, l’esercito, le forze di sicu-
rezza, la giustizia, le istituzioni accademiche e i media.
15
Nel 1999 una lotta di potere interna al Congresso Nazionale ebbe
come conseguenza la dichiarazione dello stato di emergenza da parte
di El-Bashir, la dissoluzione del Parlamento e la sospensione di
importanti clausole della Costituzione, comprese quelle riguardanti la
struttura dei governi locali dei vari stati.
A maggio del 2000, Turabi capeggiò una spaccatura all’interno del
Congresso Nazionale, creando un nuovo partito: il Congresso Popola-
re. Molti dei funzionari legati a Turabi furono allontanati dal Governo,
e lo stesso Turabi venne messo agli arresti domiciliari, accusato in se-
guito di aver organizzato un colpo di stato. Egli è tuttora in detenzio-
ne; almeno 70 importanti membri del Congresso Popolare sono al
momento detenuti senza imputazione o processo, e molti hanno lascia-
to il Sudan per l’esilio.
16
1.1.2 LA GUERRA NORD-SUD E LA FIRMA DELLA PACE
Da quando è scoppiata nel 1983, il conflitto interno tra il Nord e il
Sud del paese ha avuto conseguenze importanti sul Sudan da molti
punti di vista. Costituisce il conflitto più lungo del continente africano,
e ha implicato seri abusi dei diritti umani e gravi disastri umanitari.
Durante il conflitto più di 2 milioni di persone sono morte e 4,5 milio-
ni sono state allontanate forzatamente dalle loro abitazioni.
Ma, dopo anni di guerra e grazie ad una forte pressione internazio-
nale, il Governo e il gruppo ribelle più importate, il Sudan People’s
Liberation Movement / Army (SPLM/A), hanno aperto le trattative di
pace nel 2002. Il processo di pace, sotto gli auspici della Autorità In-
ter-Governativa sullo Sviluppo (IGAD)
5
e con il supporto di una Troi-
ca formata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia, ha fatto molti
progressi.
Nel luglio del 2002 le parti hanno firmato il Machakos Protocol,
con cui hanno raggiunto un accordo specifico su quella che sarebbe
dovuta essere la “struttura” generale della futura pace: principi e strut-
ture di governo, processo di transizione e il diritto di auto-
determinazione per i popoli del Sudan meridionale.
5
La “Inter-governative Authority on Development”(IGAD) è un’organizzazione sub-regionale compo-
sta dai paesi del Corno d’Africa e dell’Africa orientale, nata nel 1986 sotto forma di cooperazione eco-
nomica, con l’obiettivo di far fronte ai ciclici problemi legati alla siccità. Dal 1996 l’obiettivo primario
dell’organizzazione è diventato invece quello di prevenire e risolvere i conflitti nei paesi membri. Con
questo fine l’IGAD è diventata la maggiore mediatrice nei processi di pace in Somalia e in Sudan.
17
Si sono inoltre accordati per continuare i colloqui riguardanti la ri-
levante questione della divisione del potere e delle ricchezze e per
concordare un periodo di cessate il fuoco.
Il processo di pace mediato dall’IGAD ha fatto passi avanti sostan-
ziali con la firma a Naivasha (Kenya) di una serie di protocolli tra il
2003 e il 2004. Il 31 dicembre 2004, le parti hanno siglato due proto-
colli sulle modalità di realizzazione della pace, concordando anche un
cessate il fuoco permanente, segnando così la fine dei colloqui e delle
negoziazioni a Naivasha.
Il processo è giunto al suo culmine il 9 gennaio 2005 quando, du-
rante una cerimonia ufficiale, il Primo Vice Presidente Taha e il leader
dell’SPLM/A John Garang hanno sottoscritto il Comprehensive Peace
Agreement (CPA), comprendente tutti i documenti firmati in prece-
denza, incluso il protocollo del 31 dicembre 2004.
In concreto, l'accordo di pace ha ripreso i punti già concordati du-
rante le precedenti trattative: un periodo di transizione di sei anni, du-
rante quali il sud del paese dovrebbe rafforzare la sua autonomia con
un governo ed un esercito locale, in vista del referendum sull'indipen-
denza da tenere alla fine della transizione.; l'esercito, che sarà costitui-
to da una forza congiunta di 39 mila uomini nel caso in cui il sud de-
cidesse di non secedere; la legge islamica (Sharia) che resterà in vigo-
18
re nel nord ma non nel sud. Grandi discussioni hanno avuto luogo ri-
guardo alla distribuzione delle risorse, prima fra tutte il petrolio: si e'
giunti infine ad un accordo sull'equa distribuzione dei proventi ricavati
dall'estrazione del petrolio dal suolo a sud di Khartoum.
L’accordo inoltre prevede la creazione di una nuova Costituzione
transitoria, approvata all’unanimità dall’Assemblea nazionale il 7 lu-
glio del 2005, e la partecipazione degli ex ribelli del SPLA/M al Go-
verno.
Nonostante la situazione sia senza dubbio ancora “in progress”, la
ventennale guerra tra il Nord e il Sud sembra per il momento essere
giunta al termine; ora l’impegno maggiore del nuovo governo sarà
quello di ricostruire ciò che la guerra ha distrutto e riportare i propri
cittadini a condizioni di sicurezza e benessere, anche se la strada verso
la normalità si presenta molto, molto lunga.
Ma nel resto del paese si consumano ancora gravi tragedie, tragedie
che potrebbero anche mettere in pericolo i sottili equilibri raggiunti,
vanificando tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni: prima tra tutte,
la guerra civile nella regione occidentale del Darfur.
19