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Tale articolo costituisce un principio-guida, da cui la dottrina ha estrapolato
alcuni diritti che possono essere oggetto di azione immediata da parte delle
donne lavoratrici tutelate (per esempio, pari trattamento quanto alle
condizioni generali di lavoro; libertà di scelta e di accesso al posto di lavoro
senza alcun tipo di ostacolo o di impedimento legato a ragioni
discriminatorie; al diritto al riposo e alle ferie).
I principi costituzionali della parità di trattamento e delle pari opportunità
uomo-donna hanno trovato una piena attuazione con la legge 9 dicembre
1977, n. 903 (“Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro”) che ha garantito il principio di parità e di non discriminazione per
quanto riguarda l’accesso al lavoro; l’uguale retribuzione quando le
prestazioni svolte siano uguali o di pari valore, l’assegnazione delle
qualifiche, delle mansioni e della progressione della carriera, eliminando o
comunque vietando ogni tipo di discriminazione per ragioni di sesso.
In Italia il principio di pari opportunità nell’ambito lavorativo ha trovato un
primo riconoscimento con la legge 10 aprile 1991 n. 125 (“Azioni positive per
la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”), rivolta a favorire gli
interventi promozionali diretti esclusivamente alle donne e finalizzati a
valorizzarne le capacità professionali per creare l’uguaglianza sostanziale tra
uomini e donne nel lavoro.
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Si tratta, in altre parole, di misure concrete che tendono a recuperare
situazioni paritarie alterate dalle distorsioni presenti causate da vere e
proprie discriminazioni giuridiche, volte a predisporre un ambiente di lavoro
non svantaggioso, ma, anzi, favorevole al lavoro femminile.
Sulla scia tracciata dalla citata legge, si sono, nel tempo, interposti altri atti
normativi. Un importante contributo è stato offerto, in tal senso dalla legge
25 febbraio n. 215 del 1992(“Azioni positive per l’imprenditoria femminile”)
la quale ha inaugurato misure volte a favorire e sostenere questo ramo
dell’occupazione femminile, soprattutto in forma cooperativa ed ha
promosso la formazione imprenditoriale qualificando la professionalità delle
donne imprenditrici. La legge ha incentivato questo settore introducendo
una serie di agevolazioni finanziarie e promuovendo la presenza delle
imprese a conduzione femminile nei comparti più innovativi dei diversi
settori produttivi.
Dopo aver analizzato, in termini generali, la condizione sociale e giuridica
della donna soprattutto in ambito lavorativo, il presente lavoro esamina
diffusamente le forme di tutela previste dall’ordinamento per le lavoratrici
madri.
Il dettato costituzionale, sancisce all’art. 31, comma 2, la protezione della
maternità, dell’infanzia e della gioventù, favorendo gli istituti necessari a tali
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scopi. Questo principio ha trovato attuazione in una serie di provvedimenti
legislativi, applicati che hanno riconosciuto ed hanno esteso al padre
lavoratore ed ai genitori adottivi dei diritti che in precedenza erano garantiti
solo alla madre.
D’altra parte, la maternità è oggetto di una congrua tutela economica e
normativa che trova riscontro e fondamento nella legge 31 dicembre 1971
n. 1204, che ha tutelato la lavoratrice madre prevedendo l’astensione dal
lavoro (obbligatoria e/ facoltativa), diritto esteso successivamente al padre e
ai genitori preadottivi. L’astensione dal lavoro per gravidanza e di quella
post- partum prevede un trattamento economico disciplinato nel titolo II
della suddetta legge, i cui elementi verranno meglio esplicitati in seguito. La
legge prevede, altresì, riposi giornalieri e permessi per l’allattamento, volti
ad assicurare alla lavoratrice la possibilità di favorire l’assistenza diretta del
bambino tutelando il rapporto madre-figlio, particolarmente importante
durante le prime fasi dell’allattamento.
La tutela e il rispetto della condizione in cui versa la donna in caso di
maternità fino al settimo mese del bambino viene ulteriormente garantita
dalla previsione di un ambiente di lavoro salubre, non pericoloso e non
faticoso, affinché la donna possa svolgere le proprie mansioni senza
incorrere in rischi che potrebbero ostacolare il suo stato. Si può evidenziare
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che la legislazione protettiva nei confronti della lavoratrice madre offra una
tutela molto estesa, che ha come conseguenza il sacrificio delle ragioni
dell’impresa in vista della realizzazione di interessi di rilievo costituzionale,
quali, appunto, la tutela della maternità e la parità di trattamento della
donna rispetto all’uomo.
Recentemente, la legge n. 53 dell’8 marzo del 2000 (“Disposizioni per il
sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”), ha modificato la
legge n. 1204,del 1971 ampliandone i contenuti ed estendendono la tutela
prevista per la madre lavoratrice anche al padre. Le disposizioni della
presente legge sono rivolte ad una serie di obiettivi che possono enuclearsi
in: congedi di cura e congedi formativi, conciliazione tra vita personale e vita
lavorativa, passaggio dalla tutela della madre lavoratrice alla promozione del
lavoro di cura materno e paterno.
Chiude, infine, la complessa disciplina della materia il D.Lgs. 26 marzo 2001
n. 151(“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternità e della paternità”), il quale ha riformato la legge
1204 del 1971 in merito al periodo di astensione obbligatoria delle lavoratrici
in caso di maternità e ha, soprattutto, valorizzato il ruolo del padre
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lavoratore dando ad entrambi i genitori la possibilità di occuparsi in modo
alternato della cura e dell’assistenza del figlio nelle sue varie fasi evolutive.
Il lungo percorso legislativo, del quale il testo unico rappresenta un
importante punto di arrivo, è stato orientato, per altro verso, da numerosi
interventi provenienti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Punto
di partenza nel cammino della giustizia costituzionale è sicuramente la
sentenza n. 1 del 14 gennaio 1987, per mezzo della quale si è esteso al
padre il diritto dell’astensione obbligatoria e ai riposi nel caso in cui
l’assistenza al minore da parte della madre fosse impossibile per decesso o
grave malattia.
Con tale sentenza la Consulta ha voluto sottolineare l’esigenza di una uguale
partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole,
senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, soprattutto in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono
collegate allo sviluppo della personalità del bambino. Di non minore
importanza sono state anche le sentenze del 11 luglio 1991 n. 341, dell’1
aprile 2003, n. 104, e la sentenza 14 ottobre 2005, n. 385, che hanno esteso
al padre lavoratore affidatario o preadottivo, anche libero professionista gli
stessi diritti previsti per il padre naturale
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Alla luce di quanto esposto, si evince che lo scopo ultimo dell’ordinamento è
di tutelare le esigenze di protezione del minore, principalmente garantendo
un trattamento favorevole alla madre, non potendo non tenere in
considerazione l’indissolubile legame esistente tra madre e figlio. Nonostante
ciò, l’ordinamento e la giustizia costituzionale ha previsto e sancito la
possibilità che in caso di mancata presenza e assistenza della madre
lavoratrice, il padre lavoratore possa usufruire o godere di diritti e facoltà
prima ad esso negati, proprio perché l’uguaglianza dei coniugi nella cura e
nell’educazione della prole è fondamentale per mantenere l’integrità fisica e
psicologica del figlio.
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Capitolo primo
Prime riflessioni sul concetto sociale e giuridico di lavoro
Sommario: 1.1. Il concetto di lavoro; 1.2. Il lavoro come fenomeno giuridico;
1.3. Il lavoro nella Costituzione italiana; 1.4. Lo statuto dei lavoratori: diritti
personali e sindacali dei lavoratori.
1.1 Il concetto di lavoro
Il lavoro non è stato sempre un valore dominante, infatti influenze esterne
legate all’ambiente fisico ed economico, all’organizzazione del lavoro ne
hanno determinato la ripartizione nel tempo, il suo valore nonché la
posizione più o meno centrale nella vita quotidiana e nell’ideologia
dominante. Il dibattito sulla centralità del lavoro nella vita sociale rimane
ancora aperto; alcuni studiosi sostengono che al lavoro sia attribuita
un’importanza sempre minore a causa delle trasformazioni che sono in atto
non solo a livello organizzativo, come la riduzione dell’orario, ma soprattutto,
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per l’anticipazione del pensionamento, per l’astensione del tempo libero. Altri
autori, invece, criticando tale impostazione attribuiscono al lavoro un ruolo
cruciale in ambito personale, sociale e politico proprio per gli anni alla fine
del XX secolo.
Il lavoro, da sempre considerato come un fattore essenziale della vita e
della civiltà dell’uomo, assume nelle diverse epoche storiche una rilevanza
diversa. Nell’età antica il concetto di lavoro rinviava a quello di sofferenza,
pena, fatica, dolore, fino ad arrivare alla restrizione della libertà personale;
consisteva principalmente nell’impiego delle energie dell’uomo per la
coltivazione della terra, nello scambio dei beni richiesti dalle condizioni della
vita. Nella lunga età di mezzo, che abbraccia il periodo del Medioevo fino
all’affermazione della civiltà moderna, il lavoro rimane un’attività materiale,
al servizio delle prime forme di organizzazioni aziendali che vanno sorgendo
all’interno degli Stati. Soltanto nell’età moderna, intorno al XIX secolo, tale
concetto cominciò ad essere oggetto di studio di vari ambiti come l’economia
e la filosofia. In coincidenza con tali contributi, si verificarono innovazioni
nella produzione, grazie alla scoperta delle macchine; le attività industriali e
commerciali determinarono la diffusione di aziende di ampie dimensioni
organizzate in forma imprenditoriale, che richiedevano l’impiego di capitali di
cospicuo ammontare.
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I capitali, uscendo dall’immobilismo della proprietà agraria e urbana,
confluivano dove si ravvisava la possibilità di realizzare maggiori utili,
facendo dell’iniziativa economica e della libertà di concorrenza le linee
portanti della società capitalista.
Soltanto i detentori del capitale e del potere di iniziativa economica sono in
grado di fornire possibilità di lavoro e tendono ad approfittarne, offrendo
trattamenti retributivi insufficienti e condizioni di svolgimento dell’attività
lavorativa inadeguate, in modo da poter accrescere gli utili con il
contenimento del costo del lavoro, senza che i prestatori d’opera, cittadini
liberi e uguali nello Stato di diritto e tuttavia in condizione di debolezza
poiché dispongono soltanto delle proprie energie psicofisiche, possano
opporre una valida resistenza.
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1.2. Il lavoro come fenomeno giuridico
Del lavoro non si dà generalmente una definizione giuridica, perché,
trattandosi di un dato dell’esperienza comune, sono sufficienti gli elementi
normativi che consentono di effettuare un discorso rigoroso, determinando
l’attribuzione di diritti e di obblighi. La conclusione cui è possibile pervenire
è che il concetto di lavoro non è univoco: esistono, infatti, disposizioni che
identificano il lavoro con quello subordinato, altre con quello autonomo, altre
con qualsiasi attività relativa allo scambio di beni o di servizi, compresa
l’attività imprenditoriale, altre ancora con qualsiasi attività socialmente utile.
Quest’ultimo è certamente il senso degli articoli 1 e 4, comma, 2 Cost. in
cui il lavoro viene inteso come quell’attività o funzione che concorre al
progresso materiale o spirituale della società , comprendendo, quindi,
anche quelle attività artistiche, scientifiche, religiose, che pur non avendo o
avendo solo indirettamente un’utilità economica, costituiscono la massima
manifestazione della grandezza e nobiltà degli individui e dei popoli.
Diverso è il concetto di lavoro che si desume dall’art. 4, comma 1, Cost.,
nel quale è garantito “un fondamentale diritto di libertà della persona
umana, che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell’attività
lavorativa, imponendo ai poteri pubblici l’obbligo di adoperarsi per la
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creazione di condizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano
l’impiego di tutti i cittadini idonei al lavoro ”. Al contempo, in riferimento al
lavoro come attività socialmente utile, il fatto che esso sia assunto come
fondamento della Repubblica, e che perciò si debba assicurare a tutti quelli
che in tal senso lavorano piena partecipazione alla vita politica, economica e
sociale del Paese, significa che l’ordinamento debba essere congegnato in
modo da consentire il libero esercizio di tale attività.
In tal senso, vengono in considerazione non soltanto le norme che tutelano
il lavoro economicamente inteso, ma altresì quelle che promuovono la libera
esplicazione delle più alte attività spirituali, e cioè le disposizioni sulla libertà
di manifestazione del pensiero, sulla libertà dell’arte, sul diritto all’istruzione.
Se il lavoro, cioè la capacità lavorativa, è il criterio valutativo della posizione
da attribuire ai cittadini nello Stato, ne deriva, poi, che l’ordinamento deve
dare a tali capacità l’appropriato riconoscimento.
Per altro verso, il concetto di lavoro così inteso assume anche il significato
di dovere (articolo 4, comma 2, Cost.).