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addetti. Non mancano comunque le medio - grandi con un centinaio di
dipendenti. Proprio la prima categoria, che finora ha assicurato all'Italia il
primato nel settore, corre il rischio di diventare un punto debole. I
cambiamenti nel settore diventano indispensabili: la gestione familiare
non è più sufficiente per affrontare la globalità del mercato.
2. Posizione dell'industria della moda italiana sul mercato
internazionale.
Il made in Italy, nell'ambito della moda, ha sempre dettato legge in
Europa e nel mondo, anche se dopo il boom del 1994 - 1995 ha subito
una battuta d ' arresto nei fatturati, negli investimenti e nelle esportazioni
per poi riprendersi nel 1998.
L'obiettivo della moda industriale italiana è tornare, nell'ambito della
domanda interna, ai livelli della fine degli anni '80. Oggigiorno però gli
italiani destinano una fetta più piccola del loro reddito allo shopping: solo
l'8% a fronte del 10% dei primi anni '80, in linea col resto della UE.
Nelle esportazioni l'Italia resta leader (16.737 milioni di dollari nel 1996 ),
senza concorrenti diretti tra i Paesi industrializzati, seconda dietro gli
Stati uniti per la produzione.
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L'industria della moda si sta avviando verso una data fatidica: il 2005,
che vedrà lo smantellamento dell'accordo Multifibre, primo passo verso
la liberalizzazione completa degli scambi tra le macro aree produttive e
commerciali. Questo vuol dire:
1. abbattimento delle barriere doganali
2. niente più schermi di protezione tra Europa, America e Asia
3. razionalizzazione dei costi produttivi attraverso il trasferimento di
singole lavorazioni dove è più conveniente
4. regole anti -dumping
5. rispetto delle clausole sociali ed ecologiche.
Tutto ciò avrà effetti devastanti anche per i Paesi come l'Italia, leader
assoluto nelle produzioni ad alto valore aggiunto, dove creatività e
originalità hanno un grosso appeal sul consumatore.
Nel nostro paese però il costo del lavoro si rivela sproporzionato rispetto
ai principali competitori internazionali del settore. Così si sta puntando
sulla delocalizzazione produttiva, soprattutto nelle produzioni più basic.
Cresce anche l 'interesse degli Europei per gli investimenti diretti e
indiretti nel Far East dopo le svalutazioni delle monete asiatiche che
hanno reso ancor più concorrenziali i produttori di quell'area.
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In questo quadro le industrie del sistema moda italiano dovranno puntare
sulle nicchie produttive, oltre che sull'etichetta "made in Italy, per
distinguersi sul mercato internazionale dal flusso di articoli provenienti
dai Paesi concorrenti.
Originalità, tessuti innovativi, buon rapporto qualità/prezzo saranno la
chiave del controllo diretto della distribuzione.
Sul fronte europeo, l'introduzione della moneta unica, da una parte
dovrebbe ridurre i costi operativi, ma dall'altra non consentirà più di
compensare costi tipici del proprio Paese con la svalutazione del
cambio. Chi non si allineerà coi costi del resto dell'UE, puntando sul
fronte dell'efficienza e dell'efficacia, sarà espulso dal mercato.
Tra il 1994 e il 1997 si è registrato un calo delle esportazioni notevole: si
è passati da un +11.5% del 1994 a un +2.5% del 1997. Questo
appannamento dei risultati può essere attribuito alla crisi asiatica che ha
ridotto i consumi. Ma anche negli USA ci sono stati cali del "made in
Italy" dovuti forse alla forte concorrenza dei prodotti asiatici. Tuttavia il
prodotto italiano di alta moda vende ancora bene in America.
A contrastare il trend negativo registrato sui mercati più importanti per
l'export italiano(Corea e Giappone), è da registrare la crescita del
fatturato in Cina, Paese che sta sperimentando un aumento del reddito e
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quindi dei consumi. Il reddito sta avendo incrementi dell'8% annuo e
naturalmente è aumentata subito la domanda di beni di alta qualità come
quelli italiani. Inoltre, essendo la Cina un Paese con una grande
tradizione e cultura alle spalle, è stabile anche la sua crescita, elemento
indispensabile per la costruzione di una strategia di export.
Discorso simile si può fare, anche se in tono minore, per il mercato
russo. Almeno in parte così l'Italia riuscirà a colmare il vuoto lasciato da
Corea e Giappone, ricorrendo cioè a un serbatoio di clientela molto ricca
che punta decisamente al capo firmato.
Tutto ciò non deve far dimenticare che l'obiettivo italiano è quello di
conquistare una posizione di leadership in Europa e l'Italia ha tutte le
carte per farlo poiché nel sistema moda ha aziende già di dimensioni
mondiali.
3. Prospettive di espansione oltre confine dell'industria della moda
italiana e la conquista di nuovi mercati .
Sempre più importanza sta acquistando, nel gioco di conquista in
Europa, il traffico di perfezionamento passivo (TPP), che prevede la
confezione finale del prodotto (con basso contenuto di moda ,basso
rischio di acquisto e elevata manodopera) all'estero, dove la
manodopera costa meno. I mercati che attirano di più in questo settore
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sono quelli dell'Est europeo. A complicare le cose c 'è però il fenomeno
della rotazione delle merci nei negozi e tempi di consegna sempre più
rapidi per rispondere alla domanda stagionale. Paesi con gravi problemi
interni possono non reggere il ritmo (vedi Albania ).
4. Il sistema moda: consumi e strategie.
Nel 1997 gli italiani hanno speso 33.000 miliardi di lire in abbigliamento,
1000 in più del1996. Ma si tratta solo di una lieve ripresa su cui non si
può fare affidamento, in quanto questo settore tende a sbriciolarsi in
nicchie sempre più piccole: la griffe perde importanza, la gente guarda al
contenuto reale, combina i prodotti che già ha acquistato, vestendosi in
modo diverso dagli altri, secondo la propria personalità. Così sia i
produttori che i commercianti sono costantemente alla ricerca di apparire
differenti gli uni dagli altri, in contrapposizione (nel caso di questi ultimi)
ai negozi fotocopia così comuni nelle nostre strade. I produttori puntano
sul design, sui particolari, sulle finiture.
Una ripresa dei consumi in questi ultimi anni potrebbe essere dovuta alla
prospettiva della riduzione delle imposte, in vista della entrata in Europa.
Per prolungare questa tendenza bisognerebbe accelerare le
privatizzazioni.
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Tornando alla distribuzione, dal 1989, i negozi hanno perso terreno nelle
vendite, a favore della distribuzione organizzata, ipermercati, grandi
magazzini, che offrono articoli di vari prezzi e stili .
Sulle vendite ha grande importanza anche il marchio industriale,
intendendo con questo le società che producono moda stando un po'
discosti dalla moda, che immaginano tempi più lunghi di consunzione di
un'idea , come Marzotto, Max Mara, Genny. Questi marchi, soprattutto
per settori che non lasciano molto spazio a variazioni stilistiche, come
quello maschile, puntano sui piccoli dettagli strutturali, sulla vestibilità,
sulle proporzioni, sul tessuto. Se però si parla di grande diffusione
questo non basta: occorre la costruzione dell'immagine, con pubblicità
campagne stampa, eventi, sfilate. Diesel, ad esempio, sfrutta l'umorismo,
e un tipo di comunicazione sempre all'avanguardia. Nelle pubblicità della
Benetton non compare nemmeno più il prodotto perché l'attenzione è
rivolta all'informazione e all'educazione.
Accanto alle grandi aziende di distribuzione giocano un ruolo
fondamentale nel panorama del tessile - abbigliamento le aziende di
sartoria ( Kiton e Brioni tra le più note ) che occupano poco spazio ma
che comunque ci sono.
Entrando nei meccanismi produttivi negli ultimi anni si è assistito a un
progressivo "sveltimento" e "perfezionamento" della produzione, esi
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possibili da un uso più intenso dei computer e della robotica nella
modellistica, nella sala taglio e nella logistica. Velocità, collegamento,
informatizzazione e delocalizzazione sono le parole chiave del settore.
Un discorso a parte meritano le esternalità negative .Non bisogna
dimenticare come pigmenti, coloranti, agenti fissanti, additivi chimici
facciano pagare un caro prezzo all 'ambiente, inquinando atmosfera e
acque.
Oggigiorno gli investimenti per la depurazione rappresentano un capitolo
importante nella strategia di localizzazione produttiva sia in Italia che
all'estero. Si tratta di un problema complesso, a cui si è fatto fronte con
la creazione di marchi ed etichette ecologiche come ECOTEX ed
ECOLABEL, per ottenere i quali occorre rispettare severi livelli di
concentrazione degli inquinanti nelle varie fasi produttive. Così il
produttore che ha un buon rapporto di fiducia col cliente finisce per
fornire al consumatore, insieme al marchio, a garanzia di "buona
condotta ambientale". Ne sono un esempio Mark & Spencer in Gran
Bretagna e Benetton in Italia .
I distretti dell'industria moda hanno come obiettivo la creazione di poli
d'eccellenza settoriale o intersettoriale che diventino significativi per tutta
la regione interessata.
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In un mondo che cambia ad alta velocità ,in cui il consumatore è
continuamente stimolato dalle novità e chiede di risolvere un numero
sempre maggiore di problematiche, bisogna saper interpretare queste
richieste e dar loro una soluzione, che risponde sempre più a esigenze di
formazione. Una politica industriale moderna non può prescindere dalla
formazione: sono due elementi che si completano a vicenda.
Perla prima volta, nel triennio 1997/1999, sono stati istituiti corsi sia "sul"
lavoro che "al" lavoro (ovvero per chi non ha occupazione ) .
Le parole d'ordine per dare competitività al settore nel quadro europeo e
mondiale sembrano quindi essere :
ξ innovazione
ξ qualità
ξ formazione professionale
ξ globalizzazione
ξ assistenza
ξ ricerca continuata di mercati alternativi.