economici, ed in particolare politici, istituzionali e sociali, nella definizione di un
equilibrato rapporto con l’ambiente.
Il settore degli Enti Locali ha iniziato il proprio cammino di riforma istituzionale
all’inizio dell’ultimo decennio (L. 142/90), periodo dal quale ha inizio la mia analisi
inerente le trasformazioni del sistema istituzionale, conoscendo poi una fase di
relativa stasi nella parte centrale dello stesso ed una improvvisa radicale
accelerazione a partire dal 1997 (L. 59/97). Con la L. 142/90 l’Ente Locale ha
iniziato a porsi come il vero protagonista non solo della promozione sociale, ma
anche dello sviluppo economico e produttivo della comunità.
Le prime modifiche al modello introdotto dalla L. 142/90 intervengono ad opera di
una legislazione di emergenza quale la L. 498/92 (“Interventi urgenti in tema di
finanza pubblica”) che ha lo scopo di accelerare la costituzione di società miste ad
opera degli Enti Locali. A disciplinare gli aspetti sopra richiamati è intervenuto il
D.P.R. del 16 settembre 1996 n. 533 (regolamento recante norme sulla costituzione
di società miste in materia di servizi pubblici degli Enti Locali).
La disciplina dei servizi pubblici a tutela dell’utenza è stata arricchita dalla L.
481/95, che si prefigge, a completamento delle previsioni di cui alla L. 273/95, in
tema di definizione della carta dei servizi pubblici, lo scopo di raccordare
organicamente il processo di privatizzazione alle esigenze di efficienza ed equità
tariffaria dei servizi pubblici.
Il dibattito ha poi portato il legislatore ad un ulteriore intervento nella cosiddetta
legge Bassanini bis, L. 127/97 (“Misure urgenti per lo snellimento dell’attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”). In sintesi, la legge
Bassanini bis completa la procedura semplificata e agevolata per la trasformazione
delle Aziende speciali in società per azioni; la modifica del modulo della società
maggioritaria disciplinata dalla L. 142/90, correlato ora all’ambito territoriale e alla
natura del servizio; prevede il ricorso alla società a responsabilità limitata oltre alla
società per azioni; ammette anche la partecipazione dell’Ente Locale in società già
costituite.
Proprio quest’ultima è una considerazione che meriterà una breve approfondimento,
poiché evidenzia che nella prospettiva di forte decentramento amministrativo e di
valorizzazione delle autonomie locali si pone la questione di una nuova regolazione
6
dei rapporti tra queste e la Regione, oltre che tra le Regioni e le Amministrazioni
centrali.
Le trasformazioni di natura regolamentare prima e gestionale dopo riscontrabili a
partire dal 1990 nel settore della Pubblica Amministrazione, in generale, e, degli Enti
Locali, in particolare, non si sono ovviamente verificate in modo casuale ma trovano
la loro ragione d’essere nel mutuo contesto socio-economico complessivo.
Per l’Ente Locale questa evoluzione, associata al venire meno del centralismo
istituzionale delle politiche economiche, analizzata nella parte inerente le
trasformazioni del sistema economico, si traduce in nuove responsabilità sul piano
dello sviluppo economico locale e questo creerà una prospettiva di crescente
competitività dei territori.
Per meglio precisare la gestione dei servizi pubblici locali e la partecipazione dei
privati è stato importante introdurre una breve riflessione, che verrà poi approfondita
nei capitoli successivi, inerente la distinzione fatta dalla Corte Costituzionale tra
servizi pubblici a rilevanza economica e quelli non a rilevanza economica,
distinzione che evidenzia la difficoltà esistente di concettualizzare queste tematiche.
Infine, nella parte inerente le trasformazioni del sistema sociale è riscontrabile una
intrinseca contraddizione nell’evoluzione del rapporto tra cittadino ed Ente Locale:
all’aspettativa di sempre più qualificate e tempestive risposte ai bisogni espressi dalla
comunità, corrisponde un altrettanto crescente calo di fiducia nella capacità
dell’istituzione pubblica di elaborare soluzioni coerenti ed efficaci.
Tutto ciò viene contestualizzato all’interno di un sistema sociale definito con il
cosiddetto concetto di Welfare municipale il quale rappresenta, peraltro, una risposta
e una proposta che deve fare i conti con l'eterogeneità delle esperienze che
caratterizzano la nostra comune Europa.
L'idea di Welfare municipale nasce dentro questo scenario in cui la forma-Stato, la
forma-Europea e la forma-Mercato co-determinano profondamente quello che è oggi,
nella sua concretezza quotidiana, il sistema di risposte socio-assistenziali, socio-
sanitarie ma anche socio-educative che ognuno di noi può ricevere in qualità di
cittadino, ovvero di soggetto portatore di diritti e di doveri.
E proprio da qui che, partendo da alcuni documenti (Libro Bianco, Libro Verde,
Carta dei diritti fondamentali) che accomunano tutti gli Stati membri dell’Unione
7
Europea, inizia a svilupparsi il filo rosso di questa tesi: quello di Responsabilità
Sociale.
La Commissione Europea ha elaborato e presentato il Libro Verde nel quale sono
richiamati alcuni concetti importanti: il concetto di Responsabilità Sociale - si legge
in un capoverso di questo documento - delle Imprese significa essenzialmente che
esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società.
Nel momento in cui l'Unione Europea si sforza di identificare obiettivi comuni
adottando una Carta dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di imprese
riconosce in modo sempre più chiaro la propria responsabilità e la considera come
una delle componenti della propria identità.
La cultura dei diritti si alimenta se vi è una diffusa cultura della responsabilità ed è
per questa ragione che la questione della Responsabilità Sociale prima che un fatto
economico è un fatto culturale, che porta a considerare etica e business come due
aspetti integrati nella strategia di gestione aziendale.
Delineare le trasformazioni sopraccitate non sempre è risultato facile, in quanto la
linea che le divide risulta essere spesso troppo sottile; un sistema complesso, quale è
il contesto nel quale la Pubblica Amministrazione si colloca, è al contempo
caratterizzato da questa triplice presenza in cui ciò che emerge come punto di unione
tra l’aspetto istituzionale, economico e sociale, è la continua necessità del diffondersi
di una cultura aziendale come modello gestionale interno all’Ente Locale, inteso
come “Comune-sistema”
1
.
Infatti, la cultura aziendale può essere un modello gestionale interno all’Ente Locale
(“Comune-sistema”) in cui la cultura dei risultati non è sufficiente:
l’aziendalizzazione può valere come modello organizzativo gestionale interno al
Comune ed è pertanto importante scindere la funzione istituzionale da quella
organizzativa gestionale.
In realtà il Comune per rappresentare, curare e promuovere la comunità locale deve
assumere funzioni di snodo essenziale e centrale delle politiche territoriali di aree
vaste tanto che dopo la legge di riforma 328/2000 la programmazione locale nel
sistema dei servizi ha assunto una forma diversa.
1
L’espressione “Comune-sistema” mi è stata suggerita dal prof. Noli.
8
Un sistema che, nonostante le evoluzioni contingenti, non deve dimenticare il proprio
ruolo regolatore e di tutela e deve rappresentare, curare e promuovere rappresentando
il principio di responsabilità di tutela del bene comune che è in capo all’Ente Locale.
Nel secondo capitolo, si analizza nello specifico il processo di aziendalizzazione dei
servizi pubblici, discutendo la nozione di aziendalizzazione e delineando i caratteri di
aziendalità senza correre il rischio di mitizzare, come a volte accade, l’Azienda
dell’Ente Locale, che deve essere sempre considerata come strumento e mai come
fine.
La congiuntura economica ed il raffronto sempre più serrato con le altre realtà
amministrative dell’Unione Europea, in vista dell’integrazione, sono stati e
continuano ad essere la spinta motivazionale ad introdurre negli Enti Locali modelli
organizzativi di tipo aziendale, impostati su criteri di efficienza, efficacia ed
economicità della gestione, secondo principi di autonomia, flessibilità,
professionalità e responsabilità.
Gli Enti Locali debbono, autonomamente, darsi una organizzazione amministrativa
(aziendale) commisurata alle proprie necessità e possibilità economiche e finanziarie,
flessibile ed adattabile alle necessità sempre nuove e mutevoli dei servizi da erogare
alla cittadinanza, professionalmente coerente e relazionata alla evoluzione della
tecnica e della cultura gestionale, concretamente e direttamente responsabile verso
gli amministratori e gli utenti per scelte gestionali adottate ed i risultati raggiunti.
Enfatizzare la dimensione economica/aziendale di tali istituti significa sottolineare la
necessità di creare le condizioni affinché possano svolgere le proprie funzioni in
condizioni di economicità, efficienza ed efficacia ossia mantenendo nel tempo la
capacità di soddisfare i bisogni considerati di pubblico interesse compatibilmente con
le risorse a disposizione (economicità), garantendo adeguati livelli di coerenza tra
servizi erogati e bisogni da soddisfare (efficacia), nonché un ragionevole rapporto tra
risorse impiegate e servizi prodotti (efficienza).
Anche sotto questo aspetto l’inversione di tendenza a cui si è assistito dal 1990, e di
cui si è parlato in precedenza, ha prodotto un avvicinamento dell’azione svolta dagli
Enti Locali ad una forma di gestione compatibile con quella prospettata dai principi
economico-aziendali.
9
Viene presa in considerazione l’Azienda Sanitaria Locale, quale prima forma di
aziendalizzazione: l’intento è quello di osservare l’evoluzione del Sistema Sanitario
Nazionale partendo da un punto di vista macro, con un confronto con il quadro
europeo e statunitense, per poi passare al nostro sistema legislativo, con particolare
attenzione alle tre riforme, ed infine, con una parentesi nel modello socio-sanitario e
assistenziale adottato dalla Regione Lombardia.
La riorganizzazione del Servizio Sanitario Nazionale avviata con il D.Lgs. 502/92 ha
subito modifiche e rimodulazioni a seguito dell’approvazione del D.Lgs. 229/99.
Quest’ultimo provvedimento, per alcuni aspetti evidenzia una diversa tendenza di
politica sanitaria, limitando la competizione a favore di un approccio più cooperativo
e di integrazione, per altri aspetti, quello dell’aziendalizzazione, in particolare,
prosegue nella direzione segnata dalla riforma del 1992. A questo proposito il D.Lgs
229/1999 valorizza “l’autonomia imprenditoriale” delle Aziende Sanitarie, anche
attraverso l’introduzione di nuovi strumenti di governo.
Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 e la Legge 419/98 riconfermano
esplicitamente la scelta della “aziendalizzazione” come principio guida per la
organizzazione e la gestione dei servizi sanitari.
Nell'ambito più generale della riforma del Welfare State avviata già da alcuni anni
nel nostro Paese, il processo di aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale
assume un ruolo di particolare rilievo e significato politico, essendo la salute un bene
tutelato dalla Costituzione del nostro Stato. A tal fine, dopo le grandi riforme
promosse dalla L. 833/78 e dai D.Lgs. 502/92 e 517/94, il legislatore ha ritenuto
opportuno avviare il terzo riordino del Sistema, con l'emanazione della legge Delega
n. 419/98, i cui decreti attuativi sono stati poi presentati al Consiglio dei Ministri.
Per quanto riguarda il modello socio-sanitario e assistenziale adottato dalla Regione
Lombardia, la sua caratteristica essenziale è riconducibile alla separazione tra
soggetti acquirenti (A.S.L.) e soggetti erogatori (A.O., cui afferiscono la generalità
degli ospedali ed anche i poliambulatori specialistici, e soggetti privati accreditati).
Un sistema che intende valorizzare la libertà di scelta del cittadino tra le strutture
erogatrici e favorire la competizione tra i soggetti produttori, sulla base di regole
comuni di accreditamento, impegnandoli a migliorare qualità e quantità dei servizi
offerti, ma che pone particolare attenzione anche all’accessibilità delle prestazioni e
all’integrazione socio-sanitaria all’interno delle A.S.L.
10
La conclusione del capitolo considera, infine, i confini tra sociale e sanitario in
quanto, una volta identificati gli ambiti d’intervento, occorre immaginare i possibili
modelli d’integrazione tra l’Ente locale - e la sua Azienda- e l’A.S.L. Si tratta di
realtà che sono autonome nello svolgimento della propria attività, ma che
intervengono su bisogni complessi di natura al contempo sociale e sanitaria.
Il grado d’integrazione tra servizi socio-assistenziali a rilievo sanitario e socio-
assistenziali in senso stretto che si intende raggiungere, è uno dei quesiti strategici
cui si deve dare risposta prima di procedere alla scelta di una forma di gestione
piuttosto che di un’altra.
Nel terzo capitolo, l’attenzione si concentra nella recente nascita e sviluppo delle
Aziende speciali, con riferimento al dibattito che ha preceduto la loro costituzione e
che ha riguardato la definizione, le tendenze evolutive e le caratteristiche, la struttura
amministrativa e le diverse forme di gestione.
Tra queste si esamina il Consorzio, la Fondazione, la società per azioni, le società a
responsabilità limitata, con particolare attenzione a ciò per cui un’Azienda speciale si
distingue da queste forme appena elencate, provando, soprattutto, a sottolineare i pro
ed i contro. Si sono, inoltre, approfonditi alcuni aspetti relativi alla fase della
decisione politica sulla introduzione di una Azienda speciale in un territorio
composto da più Comuni. Si tratta di un momento essenziale dal punto di vista
organizzativo, poiché è proprio nella prima fase del dibattito sulla architettura
generale del Welfare locale che si mettono le basi per una corretta e produttiva
gestione comune dei servizi sociosanitari di un territorio
L’idea che un cambiamento organizzativo, solitamente l’introduzione di una Azienda
speciale, sia di per sé in grado di assicurare una migliore efficienza nella erogazione
dei servizi è molto comune; essa è probabilmente indotta dalla consapevolezza che le
modalità di gestione dei Servizi Sociali adottate dai Comuni sono spesso perfettibili e
che gli sprechi esistono e sono difficilmente contenibili senza fondamentali interventi
nella gestione complessiva del sistema.
Il fatto che frequentemente sia opportuno modificare integralmente le modalità di
gestione dei servizi, tuttavia, non significa necessariamente che si possa sempre e
comunque ricorrere ad una determinata forma di gestione per la soluzione del
problema.
11
Volendo affrontare il tema delle modalità organizzative dei Servizi Sociali di un
territorio, invece, è essenziale considerare che la introduzione di una nuova forma di
gestione deve essere innanzitutto compatibile e coerente con la realtà territoriale e
con le scelte di programmazione integrata operate con il Piano di Zona.
Si evidenzia che non esiste una forma di gestione ottimale in assoluto: solo l’analisi
della situazione di ogni territorio può suggerire agli amministratori le scelte più
opportune a livello organizzativo per la gestione dei servizi e che erroneamente
spesso si ritiene che la scelta della forma giuridica esaurisca e risolva buona parte
delle problematiche costitutive e dei relativi gradi di libertà istituzionali.
La seconda parte della tesi vuole caratterizzarsi per quell’aspetto empirico
sottolineato nelle prime righe di questa introduzione, e, pertanto, nel quarto capitolo
vengono descritte due Aziende lombarde: l’Azienda Speciale consortile “Comuni
Insieme per lo sviluppo sociale” di Bollate - presso la quale ho lavorato per circa un
anno come assistente sociale nell’ufficio tutela minori - e l’ ASPEF di Mantova – che
dal 1998 opera come Azienda speciale per la gestione dei servizi alla persona e alla
famiglia -. Nella tesi si analizza il perché si sono costituite, il contesto di riferimento,
la struttura organizzativa e i rapporti istituzionali, i servizi e le attività, la scelta del
tipo di contabilità con particolare attenzione alle prospettive future.
Il filo rosso, come sopra accennato, che ho voluto seguire tra i capitoli trova un
maggiore approfondimento nel quinto capitolo.
Parlare di Responsabilità Sociale mi è sembrato doveroso, non solo perché al
momento è al centro della discussione nazionale ed europea, ma perché il principio
della responsabilizzazione, ed in particolare come si vedrà quella economica,
correlato ad un efficiente presidio degli aspetti di acquisizione ed impiego delle
risorse, ai diversi livelli dell’Azienda nel suo insieme e di singoli ambiti e ruoli di
responsabilità, rappresenta un criterio guida per il rinnovamento e lo sviluppo
dell’Ente Locale.
Inoltre, rientrano nel concetto generale di responsabilizzazione anche gli aspetti di
efficiente impiego delle risorse e gli indicatori relativi ai processi costituiscono parte
integrante di valutazione della performance dell’Ente Locale, non più considerati
12
nella loro dimensione formale, quanto piuttosto nella relativa attitudine a produrre
risultati utilizzando al meglio le risorse disponibili.
Esistono meccanismi e sono stati costruiti indici, indicatori, si danno patenti di buona
responsabilità sociale o di buona responsabilizzazione sociale, a seconda che ci si
rivolga con attenzione rispettivamente ad un singolo o all'insieme degli stakeholders.
Queste azioni sono sicuramente interessanti e vanno nel senso di dilatare, sostenere,
qualificare le nozioni di Responsabilità Sociale e di migliorare gli strumenti che
realizzano e concretizzano la Responsabilità Sociale nella governance dell'impresa.
In particolare, appare necessaria la creazione di reti che favoriscano l’azione
coordinata e regolata di una pluralità di attori, anzi di tutta la comunità locale proprio
perché la responsabilità non è univoca, ma al contrario è nella comunità locale che si
esprimono, accanto ad una pluralità di bisogni, anche molteplici risorse umane,
progettuali e finanziarie per la predisposizione delle risposte e dei relativi servizi.
Ho così voluto considerare quelle che sono le reti di responsabilità provando a
definire per le Amministrazioni locali - come assistente sociale - per i Servizi Sociali
e per il Terzo settore – utilizzando la mia esperienza quotidiana di presidente di
un’Associazione non-profit, quelle che sono le responsabilità e i compiti che
quotidianamente dobbiamo considerare ed eseguire.
Emerge chiaramente la necessità, per i diversi attori, di assumere una logica di
investimento per definire e definirsi nell'ambito del Welfare municipale.
Nella prospettiva del Welfare municipale, ovvero di un Welfare che si gioca
all'interno del territorio tra gli attori che lo compongono e rispetto ai quali la
comunità locale si configura come compito di sviluppo cui sono a diverso titolo
chiamati, il problema diventa allora comprendere quanto e come i diversi attori
(settore pubblico, profit, non-profit,) effettivamente contribuiscano a questo scopo;
ovvero quanta utilità sociale questi riescono a produrre all'interno del loro contesto di
azione.
Questo aspetto implica però uno sforzo di riflessione tanto sui contenuti da
promuovere nella concretezza dell'azione quotidiana, quanto sugli strumenti e sulle
logiche per una metodologia dell'investire che aiutano a ragionare e a effettuare
scelte coerenti.
13
Studiare l’Ente Locale con una gestione aziendale non significa affatto far prevalere i
principi, la logica, i criteri di scelta economica ma significa affermare che il
maggiore o minore grado di razionalità con cui si svolgono i processi di acquisizione
di beni economici e di loro destinazione al soddisfacimento di bisogni possono
contribuire in termini positivi o negativi al perseguimento dei fini istituzionali, ad
esempio, di garantire la dignità della persona umana, la pacifica convivenza di
diversi gruppi sociali, l’esercizio di varie libertà.
E’ necessario che i Comuni operino con intenzionalità politica (ed i Servizi Sociali
con intenzionalità tecnico professionale) attraverso l’adozione di una metodologia di
concertazione locale che consenta di negoziare e di attivare un sistema di regole e
convenienze per tutti i soggetti in gioco, puntando alla realizzazione di ogni possibile
sinergia.
La qualità dei servizi alle persone e alle famiglie non può infatti compiutamente
realizzarsi se non si coniugano i saperi professionali con i saperi sociali; se non si
promuove una “cittadinanza attiva e competente” anche sapendo che ciò comporta
l’accettazione del rischio di una sfida alle regole consolidate della partecipazione
locale e di momenti di conflitto con le Amministrazioni ed i servizi locali.
Il processo che porta alla Responsabilità Sociale presenta differenti caratteristiche e
segue vie diverse a seconda dei contesti; in Italia, la presenza di un Terzo settore
forte e vivace può rappresentare un buon punto di partenza.
La produzione legislativa degli ultimi anni ha messo in moto una serie di importanti
innovazioni: la centralità del Comune e della comunità locale; il cittadino al centro
del sistema dei servizi; un ruolo crescente per cooperative sociali, volontariato,
ONLUS, associazioni di pubblica utilità; un nuovo ruolo per le fondazioni bancarie;
l’affermarsi del principio della sussidiarietà verticale dei servizi.
E’ evidente l’importanza che questi soggetti vengono ad assumere nel sistema dei
servizi se si considera che la legge di riforma prevede che gli Enti Locali riconoscano
ed agevolino il ruolo del Terzo settore non solo nella gestione - come già avviene -
ma anche nella programmazione e nella organizzazione del sistema integrato che ha,
tra gli altri scopi, la promozione della solidarietà (politica, economica e sociale) che
l’art. 2 della Costituzione definisce come dovere inderogabile dei cittadini e delle
formazioni sociali che essi esprimono.
14
In particolare, ho voluto riportare le mie considerazioni, i paradossi riscontarti in
questi anni, sul tema più complessivo del ruolo del Terzo settore e nello specifico
sulla costruzione del Welfare comunitario partecipando alla stesura dei Piani di zona.
Ritengo che un sistema di Welfare locale, che sappia promuovere la qualità della vita
complessiva della comunità di riferimento, necessiti della legittimazione piena del
ruolo di tutti gli attori coinvolti ed il Terzo settore investe la società tutta, nelle sue
dimensioni sociali, certo, ma anche in quelle politiche, culturali, economiche,
abitative, relazionali ed educative.
Inoltre, si è voluto considerare il nostro sistema inserito all’interno di un quadro più
ampio, quello dell’Unione Europea evidenziando anche qui quelli che sono i compiti
e le responsabilità specifici dei diversi livelli istituzionali. Infatti, la ripartizione delle
funzioni e dei poteri tra l’Unione e gli Stati membri crea una responsabilità comune
per l’Unione, da una parte, e le autorità pubbliche negli Stati membri, dall’altra.
Tuttavia, la definizione dettagliata dei servizi e l'erogazione degli stessi rimangono di
competenza degli Stati membri.
Per garantire, pertanto, una responsabilità comune dell’Unione e dei suoi Stati
membri nel suo Libro verde, la Commissione, ha già affermato che il trattato fornisce
alla Comunità una serie di mezzi per garantire che gli utenti possano beneficiare
nell’Unione Europea di servizi di interesse generale di alta qualità e a prezzi
accessibili.
Un accenno è poi stato fatto al bilancio sociale, quale strumento di rendicontazione
dell’azione sociale, che si configura sia come un processo interno ad una
organizzazione per la funzione di governo partecipato dell’organizzazione stessa, che
come un prodotto, uno strumento per dialogare e costruire reciprocità
responsabilizzanti con i portatori di interessi ritenuti importanti ai fini dell'operato
dell'organizzazione.
Credo che per riuscire a far avanzare il tema della responsabilità sociale oltre lo stato
attuale, con i suoi punti di forza e di debolezza, il bilancio sociale debba riuscire ad
integrarsi con il conto economico e finanziario. Produrre utilità sociale non significa
nulla per un’Azienda se essa non è misurabile effettivamente.
Si tratta a tutt’oggi di un compito ancora piuttosto arduo sia perché il movimento
culturale e scientifico della rendicontazione sociale sta sviluppandosi in modo
estremamente articolato e a partire da metodiche, teorie e con fini alquanto diversi;
15
sia perché esso si incrocia con altre importanti strumentazioni, quali quelle inerenti i
sistemi di qualità e i fenomeni partecipativi e di tutela dei clienti/utenti, che hanno
pure logiche proprie e non sempre integrabili.
Nelle conclusioni, infine, ho voluto esprimere alcune considerazioni personali
provando ad accennare alcune indicazioni per un buon lavoro e provando a ragionare
anche se e come questo nuovo strumento dell’Ente Locale, con cui le Aziende
speciali sono chiamate a definire la propria organizzazione e funzionamento, stia
effettivamente “liberando” l’attività gestionale dai vincoli di natura procedurale
proprie della Pubblica amministrazione, per realizzare il massimo grado di flessibilità
e dinamicità, al fine di assicurare la qualità dei servizi.
In particolare, ho voluto concludere con quello che è il mio punto di vista
considerando ciò che l’avvio di questo nuovo sistema di fornitura dei servizi ha
prodotto in me e negli operatori direttamente coinvolti in questa nuova realtà.
16
1 Crisi, riforme e cambiamenti dei modelli di gestione dei servizi
pubblici: le trasformazioni del sistema delle Pubbliche
Amministrazioni
Il presente capitolo, pur senza alcuna pretesa di esaustività, intende offrire qualche
spunto di riflessione sul tema relativo alla gestione dei servizi pubblici locali dando
particolare attenzione alle evoluzioni che con forte intensità dal 1990 hanno visto
coinvolti i principali istituti volti a permettere agli Enti Locali di intervenire, anche
sotto il profilo economico, nell’erogazione dei servizi pubblici.
Ogni Pubblica Amministrazione opera all’interno di un contesto più generale e che si
presta a diverse possibili chiavi di lettura ed interpretazione.
Per poter comprendere le dinamiche di evoluzione che spingono alcune di esse a
divenire aziende, la ricerca economica-aziendale considera che le dimensioni
istituzionale, economica e sociale abbiano un impatto significativo sui percorsi
evolutivi.
Negli ultimi anni la dimensione economica dell’ambiente ha assunto un rilievo
crescente, inducendo forte pressioni sulle amministrazioni sino a determinare
esigenze di radicale cambiamento di strategia di sviluppo.
Al tempo stesso permane la constatazione del fatto che vi siano aspetti di rilievo
anche di carattere extra-economici, ed in particolare politici, istituzionali e sociali,
nella definizione di un equilibrato rapporto con l’ambiente.
Il rapporto tra l’Ente ed il contesto nel suo complesso, è di natura dinamica e
presuppone caratteristiche di reciproca influenza.
L’Ente Locale può leggere, interpretare e interagire con l’evoluzione dell’ambiente
in una prospettiva globale, nazionale o più strettamente locale. Non si possono, così,
ignorare, alcune tendenze di fondo di trasformazione dell’economia mondiale (la
globalizzazione, la crescente affermazione di logiche di mercato, la ridefinizione del
ruolo del settore pubblico nel sistema economico, ecc.), della società, (le nuove
forme di organizzazione sociale e di rappresentanza degli interessi, l’evoluzione
culturale, le tendenze demografiche, ecc.).
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Al tempo stesso, tuttavia, si devono interpretare le dinamiche di cambiamento nel
nostro Paese sia sul versante economico (il processo di risanamento della finanza
pubblica, le caratteristiche del mercato del lavoro, ecc.) che extra-economico (la
trasformazione dei bisogni, dell’atteggiamento del cittadino verso il settore pubblico,
dei valori guida della società, ecc.).
Non da ultimo, la dimensione locale impone specifica conoscenza degli ambiti
territoriali di diretta competenza, i quali si presentano a loro volta molto differenziati
e richiedono quindi l’elaborazione di politiche e risposte ad hoc.
In conclusione, per poter ben interagire con un ambiente così mutevole e che
soprattutto manifesta differenti esigenze di adattamento e interazione con l’Ente, a
quest’ultimo è richiesto l’uso di sofisticate metodologie di analisi, decodifica e
soprattutto previsione dei mutamenti ambientali.
“Si riscontra la mancanza di una cultura consolidata del rilievo della conoscenza e
delle relazioni con l’ambiente e tale carenza ha tradizionalmente prodotto un ritardo
strutturale nei processi di trasformazione e adeguamento, si potrebbe affermare che
molto spesso l’Ente Locale subisce l’ambiente perché non lo conosce o lo conosce
troppo in ritardo. Ciò, se tutto sommato non ha provocato danni insanabili in passato
a fronte di relative condizioni di stabilità, diventa particolarmente rischioso in un
periodo caratterizzato da rapide, incalzanti ed intense trasformazioni. Il rischio che si
sta profilando nell’ultimo periodo è proprio quello di un contrasto crescente tra
staticità dell’ente e dinamica ambientale, che solo un atteggiamento più aperto ed
evoluto può contribuire a sanare”
1
.
Di seguito si sviluppano alcune considerazioni generali in merito alle trasformazioni
dell’ambiente istituzionale, economico e sociale dell’Ente Locale, con l’intento che
la separazione apportata nell’esplicitare i singoli sistemi non dia una visione
segmentata ma che, al contrario, aiuti a considerare gli aspetti complementari e
appartenenti ad un unico sistema di cambiamento.
1
G. Salotti, La riforma delle autonomie locali: dal sistema all’azienda, Egea, Milano, 2000, p. 62.
18
1.1 L’influenza delle trasformazioni del sistema istituzionale
"C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico..."
Questi versi iniziali dell’Aquilone di G. Pascoli bene si addicono, a mio avviso, alla
Pubblica Amministrazione (P.A.) in crisi; questo stato di crisi che, per così dire, si
può considerare storica, e quindi "antica", se la consideriamo legata al suo rapporto
conflittuale con il cittadino, assume oggi un "qualcosa di nuovo".
Questo nuovo aspetto della crisi della P.A. nasce al suo interno ed è causata da un
lato dalla esigenza di profondo cambiamento strutturale avvertito sempre più come
urgente a tutti i suoi livelli, ma proprio tali caratteristiche d’urgenza e profondità
avvertite da tutti suscitano un tale timore che questi finisce per paralizzare ancora di
più le spinte al cambiamento, così che la P.A. finisce per funzionare come una
struttura che più che gestire un servizio cerca di sopravvivere al quotidiano tentando
con risposte "just in time" di sopravvivere ai bisogni dei cittadini ai quali non riesce
più a dare risposte adeguate.
In questa visione non possiamo perciò esimerci dal partire da una analisi del contesto
istituzionale in cui la P.A. è inserita, e come abbia modificato le modalità di gestione
dei servizi pubblici, non tanto perchè essa ci possa fornire i presagi per il futuro, ma
perchè non possiamo capire il presente se non partiamo da una visione quanto più
oggettiva, pur senza alcuna pretesa di esaustività.
In risposta alla crisi della Pubblica Amministrazione sono state avviate, a partire
dagli anni ’90, una serie di riforme che hanno segnato il periodo della cosiddetta
aziendalizzazione. Peraltro, l’implementazione di tali riforme ha seguito un percorso
non lineare né continuo, tanto da far parlare di un lungo percorso mai concluso.
Il settore degli Enti Locali ha iniziato il proprio cammino di riforma istituzionale
all’inizio dell’ultimo decennio (L. 142/90), conoscendo una fase di relativa stasi nella
parte centrale dello stesso ed una improvvisa radicale accelerazione a partire dal
1997 (L. 59/97).
Esiste, evidentemente, una profonda differenza tra il primo ciclo di riforma sopra
individuato, da molti in effetti indicato come già di per sé fortemente innovatore ma
forzatamente limitato alle questioni di modernizzazione dell’ordinamento delle
autonomie locali ed il secondo periodo che apre ad una prospettiva ben più ampia di
19