2
Nel raccontare il mutamento e l’evoluzione sociale, una funzione
fondamentale viene svolta però anche dalla cronaca, che deve selezionare e
segnalare, tra gli infiniti fatti che avvengono ogni giorno nel mondo, anche e
soprattutto quegli eventi che sono un indice rilevante dei processi sociali in atto. I
quotidiani e la cronaca in essi contenuta sono, per questo motivo, essenziali alla
comprensione del mondo in cui viviamo, in una concezione che intende il mestiere di
giornalista alla stregua di uno “storiografo del presente”.
Oggetto della tesi è il cambiamento di costume avvenuto in Italia negli anni
’60, con particolare riferimento alla posizione della donna nella società meridionale.
Il lavoro svolto intende documentare come, in un’epoca così densa di trasformazioni
sociali, i quotidiani abbiano raccontato e influenzato i processo sociali in atto.
L’analisi si sofferma, in particolare, sul modo in cui la sfida al cambiamento viene
raccolta in Sicilia, terra da sempre soggetta ad una condizione di ritardo socio-
culturale nei confronti del resto della penisola.
Due sono i fatti di cronaca su cui mi sono soffermato: il caso Franca Viola e il
delitto commesso da Gaetano Furnari, entrambi svoltisi tra il 1964 e il 1966. I due
casi suscitarono una grande eco mediatica, fungendo da stimolo per aprire sulla
stampa un ampio dibattito sulla condizione femminile e sull’esigenza di svecchiare
una legislazione, quella italiana, non più al passo con i tempi.
Nella stesura del lavoro mi sono concentrato in particolare su due testate: il
Giornale di Sicilia, quotidiano più letto nell’isola, e L’Ora, in quanto suo
concorrente diretto, con un ampio bacino di lettori soprattutto a Palermo. Il corpus di
edizioni trattate racchiude entrambe le vicende di cronaca, il caso Viola dal
rapimento della giovane alla conclusione del processo, il caso Furnari solo per quel
che riguarda le vicende processuali, fino alla condanna dell’omicida a 2 anni e 11
mesi di reclusione. Oggetto d’analisi è quindi un periodo della durata di circa un
anno, che va dal 14 dicembre 1965 (il giorno precedente all’inizio del processo
contro Gaetano Furnari) al 20 dicembre 1966 (due giorni dopo la sentenza di
condanna per Filippo Melodia, il rapitore di Franca Viola).
3
Gli anni ’60 e l’emancipazione femminile in Italia
La svolta è nell’aria, ma la legislazione rimane “sessista”
Gettando uno sguardo sulla condizione della donna italiana fin dai primi anni
’60, sono molti i segnali del processo di emancipazione che si stava avviando
all’epoca. Alcuni di essi arrivano dalla strada, dall’abbigliamento e dalla moda, con
la voglia di “scoprirsi” e di fare del proprio corpo un uso meno inibito, quasi a
rivendicarne il possesso e l’autonomia nei confronti degli uomini. Si tratta di un
periodo in cui il cinema italiano conosce con il genere della commedia brillante un
vero e proprio boom, e dalla seconda metà del decennio le dive italiane non
avrebbero più avuto i visi e i corpi rassicuranti di Sofia Loren e di Gina Lollobrigida,
ma quelli inquieti di Monica Vitti, Mariangela Melato e Stefania Sandrelli.
Anche in Italia arriva l’eco del femminismo d’oltreoceano, e vengono
pubblicati “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir e “La mistica della femminilità”
di Betty Friedan, due bestseller in cui si lancia la sfida della donna al maschilismo
imperante nella società.
Ma nonostante il cambiamento fosse già nell’aria, il nostro paese presenta
ancora una legislazione antimoderna e sessista. Tanti sono i punti da mettere in
discussione: dal divieto, per le donne, di accedere ad alcune carriere come quella in
magistratura, abolito solo nel ’63, alla patria potestà, che poneva la donna in
posizione subordinata rispetto all’uomo in famiglia e infine alla punibilità
dell’adulterio solo per le donne e non per i loro mariti, prevista dall’articolo 559 del
Codice penale.
Tappa fondamentale dell’emancipazione femminile è sicuramente l’arrivo in
Italia del farmaco che rivoluzionerà il costume delle coppie e darà nuova libertà alla
donna: la pillola anticoncezionale. Il 21 aprile 1967, il Consiglio superiore della
Sanità dà il suo parere favorevole all’uso della “pillola”, ed è il primo passo per
togliere le norme restrittive sulla propaganda e sul commercio dei farmaci
anticoncezionali nel territorio italiano. La condanna senza appelli arriva netta dalla
Chiesa, il 28 luglio del 1968, attraverso l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Il
giorno dopo il quotidiano torinese La Stampa titola su due colonne: “La pillola non è
4
lecita. Dura enciclica del Papa”. Nell’occhiello si legge: “Il divieto più drastico del
previsto”.
Anche se la lotta per ottenere in Italia il “divorzio” non può essere
considerata, alla stregua di quella per la pillola, una lotta quasi esclusivamente “al
femminile”, le donne italiane svolgono sicuramente un ruolo di primo piano anche
nell’introduzione di una norma così rivoluzionaria per il nostro paese. Il problema
del divorzio era anche e soprattutto una questione di sovranità: la pretesa della
Chiesa cattolica di esercitare la pienezza della giurisdizione su tutti gli effetti civili
del matrimonio concordatario, diveniva conflittuale con l’ordinamento giuridico
italiano. La proposta di legge volta ad introdurre, anche se in casi limitati, lo
scioglimento del matrimonio arriva l’1 ottobre del 1965; la presenta il deputato
socialista Loris Fortuna. Dopo una lunga battaglia parlamentare, condotta con grande
incisività soprattutto dalla Lega italiana divorzisti, il 9 ottobre 1970 il Senato approva
il divorzio, che diviene legge dello Stato l’1 dicembre del 1970. Determinante il
contributo dei radicali, guidati dal leader Marco Pannella, che dimostrano come la
forza ideale di una minoranza, ricorrendo a metodi politici innovativi come
manifestazioni, volantinaggio, scioperi della fame, era riuscita ad imporre una legge
forse già maturata nella coscienza civile del Paese. La battaglia si conclude
definitivamente solo 4 anni dopo, con la vittoria dei divorzisti al referendum
abrogativo della legge: il 59,1 per cento dei votanti dice “no” alla cancellazione del
divorzio, solo il 40,9 per cento è per il “sì”. Fondamentale è l’apporto del settimanale
Abc, con un’iniziativa che consisteva nell’invito ai lettori a far pervenire
all’onorevole Fortuna cartoline di adesione al progetto di legge per il divorzio:
vengono inviate circa 32 mila cartoline e 4 mila lettere.
Una pubblicazione come Abc, definita dai più “un giornaletto per soli
uomini”, svolge quindi una funzione di importante spinta all’innovazione sociale.
Prima del suo addio a questa testata, così si esprime Marco Pannella su Notizie
radicali, nel luglio del 1968: “Presentato come un giornale pornografico, Abc è stato
invece (in modo certo contraddittorio, a volte inadeguato) un grande giornale
popolare democratico. Per il gusto prevalente della borghesia, certamente, era
volgare. Ma i silenzi dei suoi concorrenti, tanto più ‘prestigiosi’ e ‘stilé’, ci appaiono
sul piano morale e del costume infinitamente più gravi delle mancanze di gusto e
5
delle compiacenze pseudopornografiche imputate ad Abc”
3
. Dopo il referendum il
quotidiano cattolico l’Avvenire, fa trasparire l’incredulità per la sconfitta scrivendo:
“Anche se milioni di italiani hanno votato contro il divorzio, hanno prevalso i no.
Dobbiamo prendere coscienza che si é dinanzi a un mutamento di costume e di
cultura”.
La condizione femminile in Sicilia
In Sicilia la condizione della donna negli anni ’60 era di una completa
mancanza di libertà rispetto all’uomo. Lo testimoniano le deludenti cifre sulle donne
siciliane inserite nel mondo del lavoro e quelle relative alla loro partecipazione
politica, tra le più basse d’Italia.
Una mancanza di libertà che si rifletteva, anzi era ancora maggiore, nella
sfera sentimentale e sessuale, in cui i vincoli imposti dalla tradizione erano
rigidissimi. Le donne che venivano meno a questi vincoli, mostrando una, seppur
minima, voglia di emanciparsi e di essere indipendenti, erano soggette alla critica
feroce e all’esclusione dal contesto sociale. Alla base di tutto c’era il concetto di
“onore”, che nel caso delle donne coincideva con l’integrità fisica prima del
matrimonio, ovvero con l’assoluto valore della verginità. Qualsiasi donna o ragazza
trascurasse questi valori, finiva per essere definita una “svergognata”.
Il termine fu utilizzato in un libro che descrive bene questa situazione, scritto
da Lieta Harrison nel 1963, e intitolato appunto “Le svergognate”. Si tratta di
un’inchiesta giornalistica che assume toni letterari e drammatici, in cui si raccontano
le vicende reali di tutte quelle donne che, per evitare la perdita dell’onore, si erano
trasformate loro malgrado in assassine, vendicandosi degli uomini che le avevano
oltraggiate, magari con una promessa di matrimonio non mantenuta. La loro
convinzione della necessità di ricorrere all’omicidio per “lavare l’offesa” subita, e la
conseguente rassegnata accettazione della condanna e del carcere, fanno
comprendere come una mentalità arretrata e maschilista fosse diffusa nella Sicilia
dell’epoca anche tra le donne stesse.
3
M. Pannella, Saluto ad Abc e a Sabàto, Notizie radicali, 16 luglio 1968.
6
Il caso Franca Viola e il delitto Furnari
Sarà un fatto di cronaca eclatante a costituire la prima rottura nei confronti di
alcune consolidate tradizioni siciliane che imponevano alle donne la subordinazione
al sesso maschile.
Il 26 dicembre del 1965, Franca Viola, una giovane ragazza di Alcamo, viene
rapita e violentata dal suo ex fidanzato, Filippo Melodia. Liberata dopo otto giorni e
tornata a casa dei suoi genitori, la ragazza rifiuterà di sposare il suo rapitore. E’ la
prima ribellione alla consuetudine del “matrimonio riparatore”, che secondo il
costume siciliano sarebbe stato l’unico modo per lavare il “disonore” della perduta
illibatezza.
Filippo Melodia finisce così in carcere, non potendo avvalersi dell’articolo
544 del Codice penale, che estingueva il reato di “corruzione di minorenne” in caso
di successivo matrimonio con il consenso della ragazza e della sua famiglia.
Franca diventa per tutti “la ragazza che disse di no”, emblema di una
generazione di donne che vuole trasformare in maniera decisiva la sua condizione
sociale. Ma ci vorranno ancora 20 anni da questa vicenda, per vedere eliminati, con
la riforma del 1981, tutti gli elementi arcaici e sessisti del Codice penale, come
l’articolo 544 e il 587 sul delitto d’onore.
Scopo della mia analisi è quello di far emergere innanzitutto le differenze
stilistiche due importanti testate tra loro in concorrenza, il Giornale di Sicilia e
L’Ora, entrambe soggette in quel periodo a un forte processo di rinnovamento
dell’identità di testata, nella trattazione di un caso che provoca una rivoluzione dei
costumi come la vicenda Viola. Inoltre volevo far emergere il modo in cui i
quotidiani in genere possono raccontare e influenzare il mutamento di costume
partendo da importanti eventi di cronaca, e assumendo atteggiamenti più o meno
conservatori di fronte all’evoluzione sociale.
In questo fatto di cronaca l’evento “che fa notizia” è la trasgressione a quelle
che sono le consuetudini siciliane della “fuitina”, ovvero il ratto di una donna, la
perdita della verginità da parte sua e quindi anche “dell’onore” della famiglia e il
conseguente matrimonio riparatore. Una trasgressione che viene in gran parte
7
attribuita dalla stampa nazionale a Franca Viola, ma che in realtà è in primo luogo
una scelta di suo padre, in profondo contrasto con l’ex ragazzo della figlia.
In questa scelta ci sono quindi tanti elementi innovatori del costume siciliano,
come l’indifferenza alla perdità d’onore e la ribellione alla violenza e
all’intimidazione, di tipo mafioso, che la famiglia subisce dal giovane malfattore.
Dopo aver raccontato il dramma del rapimento, i quotidiani passano, nei
giorni successivi, alla narrazione dell’attesa e dell’angoscia per il destino della
ragazza, ancora in mano ai suoi rapitori. Se letti con attenzione i due giornali
sembrano avere un atteggiamento differente sugli sviluppi del sequestro.
L’Ora titola drammaticamente: “La Giulietta dei rapitori trovata sporca di
sangue. Emessi i mandati di cattura”
4
. Nella foto la didascalia appella i rapitori come
“i terribili 8 di Alcamo”. L’angoscia è data proprio dal ritrovamento dell’auto dei
rapitori a Castellammare, nell’articolo si teme per l’incolumità di Franca. Il Giornale
di Sicilia ha una diversa strategia per creare l’attesa, concentrandosi non tanto sulle
sorti della ragazza, tanto su quelle dei rapitori, e quindi sull’esito dell’operazione di
polizia. Infatti il titolo è: “Braccati nelle campagne i rapitori di Francesca”
5
, con le
foto di Filippo Melodia e di Ignazio Lipari a corredo dell’articolo.
La distinzione tra i due quotidiani nel trattare la notizia diviene abbastanza
chiara nei giorni successivi: il Giornale di Sicilia sembra dare maggiormente risalto
all’attesa legata all’esito delle indagini e alla capacità delle forze dell’ordine di
assicurare i malviventi alla giustizia, e quindi crea una suspence quasi da “film
poliziesco”. L’Ora, invece, guarda più al dramma della famiglia e della rapita,
optando per una strategia più “emozionale”. In questo modo nei lettori non viene a
crearsi tanto l’attesa, quanto una sottile “angoscia” per il destino della ragazza.
Alle 11 del 2 gennaio, si ha l’epilogo del sequestro di Franca Viola: la polizia
riesce a liberarla dal covo in cui era rinchiusa, arrestando il suo pretendente Filippo
Melodia e gli altri rapitori.
La notizia trova spazio nelle prime pagine del Giornale di Sicilia e de L’Ora,
che, sia nella titolazione che nei rispettivi articoli, rimangono fino alla fine coerenti
con le proprie scelte “contenutistiche” utilizzate nei giorni precedenti. Per il Giornale
di Sicilia, il dramma è ancora “poliziesco. Niente di tutto ciò troviamo invece su
4
L’Ora 28-29 dicembre 1965
8
L’Ora, dove tutto si concentra sulla ragazza, la disavventura vissuta e il suo futuro. Il
titolo del pezzo, collocato nel taglio medio della prima pagina è: “I terribili dieci
giorni della ragazza di Alcamo”
6
. Quello che ci sembra a posteriori il commento più
importante arriva a metà dell’articolo: “I genitori non vogliono però che la loro
figliola sposi ora il giovane che l’ha rapita con la forza e contro la sua volontà.
Stavolta non ci dovrebbe essere il ‘matrimonio all’italiana’ che conclude di solito
avventure del genere…”
7
.
Il rapimento di Franca Viola assume poi i caratteri di una vera e propria
rivoluzione per gli arretrati costumi dell’Isola: l’onore sarà messo in secondo piano e
la ragazza non si piegherà alla volontà e alla violenza del suo rapitore. Una scelta che
in entrambi i quotidiani viene a delinearsi con certezza: “Spezzando una incivile
tradizione, e sia pure con molte perplessità, i genitori di Franca Viola, posti davanti
una scelta drammatica avrebbero deciso. Avevano già detto no a Filippo Melodia
prima del ratto, a maggior ragione dicono no adesso”
8
.
Quando ormai è chiaro che si è di fronte ad una notizia che provocherà uno
vero e proprio scossone ai costumi meridionali, i due quotidiani adottano una
strategia comunicativa simile. Ciò avviene nell’edizione di mercoledì 5 gennaio, in
cui anche la titolazione è quasi identica, per il Giornale di Sicilia: “Franca Viola non
sposerà l’individuo che l’ha rapita”, così anche L’Ora, che riporta le parole della
diciottenne: “Non lo sposerò. Non mi piego alla violenza e ai pregiudizi”
9
.
Il rifiuto di Franca Viola assume così anche i connotati di una scelta personale
e ragionata da parte della coraggiosa ragazza, che si trova quindi d’accordo con i
genitori. Questo il ritratto che ne fa L’Ora: “A parlare così, a usare un linguaggio
nuovo e quasi ‘rivoluzionario’ per certe zone della nostra isola è una ragazza di 18
anni…”
10
. Franca Viola è ormai un’eronia, e così viene dipinta anche dal Giornale di
Sicilia, che però mantiene un atteggiamento più prudente (anche più coerente con gli
articoli dei giorni precedenti): “Ella è rientrata, a fronte alta, con dignità e
fermezza….La famiglia Viola, con alla testa la minore Francesca, con la sua
5
Giornale di Sicilia 28 dicembre 1965
6
L’Ora 3-4 gennaio 1966
7
Ibidem.
8
Ibidem.
9
L’Ora 5-6 gennaio 1966
10
Ibidem.
9
decisione di ribellione ad un passato, vuole aprirsi una nuova via nella vita per
condannare un passato di oscurantismo”
11
.
Diversamente da quanto avvenuto su L’Ora, in cui Franca Viola saliva al
rango di unica protagonista, dipinta come ragazza coraggiosa, sul Giornale di Sicilia
tutto l’articolo sottolinea il ruolo sia della famiglia che della ragazza, nella difficile
scelta: “Ammirevole il comportamento della famiglia Viola, essa non si piega alla
prepotenza, reagisce con umiltà, fermezza, coraggio….”.
La principale protagonista della vicenda, Franca Viola, diventa presto per la
stampa nazionale e per l’opinione pubblica italiana “la ragazza che disse di no”,
ovvero l’emblema della ribellione alle regole arcaiche imposte dalla tradizione
siciliana. Ed è infatti con questo appellativo che L’Ora titola le pagine speciali di
approfondimento dedicate al caso e pubblicate prima che il processo abbia inizio, a
circa un anno di distanza dal rapimento, per ricostruire nei particolari la vicenda e i
suoi attori principali
12
.
A pochi giorni dal processo, un nuova figura entra prepotentemente nella
rappresentazione fatta dai due quotidiani locali, scalzando ben presto la ragazza dal
ruolo di protagonista assoluta della vicenda: si tratta del padre Bernardo Viola. Il suo
ingresso nel cuore della notizia è però accompagnato da altri due elementi, tra loro
correlati, che costituiscono una vera e propria svolta nel racconto dell’evento: la
“paura” e quindi “la mafia”.
Se in precedenza era stato il quotidiano L’Ora a concentrare tutta la sua
strategia comunicativa sulla ragazza, adesso è il Giornale di Sicilia a cavalcare
l’onda nella creazione di un nuovo protagonista: il padre Bernardo. Il vecchio
contadino conquista così la prima pagina, l’articolo è collocato in spalla ed è
intitolato: “Difendiamo una nuova Sicilia”
13
. A corredo del testo una grande foto che
rappresenta il signor Viola vestito della sua inseparabile “coppola siciliana”. La
costruzione che quindi il Giornale di Sicilia fa del personaggio del padre, portandolo
alla ribalta, ci sembra più corretta di quella fatta in precedenza dal suo diretto
concorrente L’Ora, per Franca Viola, in quanto è realizzata principalmente
riportando ciò che emerge dalle indagini e dal processo, ed in particolare dalle
11
Giornale di Sicilia 5 gennaio 1966
12
L’Ora 26-27, 28-29 novembre e 1-2 dicembre 1966
13
Giornale di Sicilia 14 dicembre 1966
10
strategie della difesa e dell’accusa. Anche L’Ora si adegua ai nuovi sviluppi del caso,
dando ancora una volta maggiore spazio ai commenti, in questo caso sapientemente
relegati in un box dal titolo: “Di chi ha paura Bernardo Viola?”.
14
Strategie comunicative più simili tra i due quotidiani si possono notare invece
per l’altro caso: il delitto commesso da Gaetano Furnari.
Trovare dei parallelismi tra la storia di una ragazza che rifiuta di sposare chi
l’aveva rapita e violentata, come una barbara tradizione imponeva, e la storia di un
padre che uccide l’amante della figlia, non è a prima vista un’operazione semplice. Si
tratta innanzitutto di due vicende che hanno in comune il luogo che è stato teatro
degli avvenimenti, ovvero la nostra Sicilia, e anche il contesto temporale, in quanto
gli eventi si sono svolti entrambi nel periodo compreso dal 1964 e il 1966.
Abbiamo già analizzato nei particolari la vicenda di Franca Viola, possiamo
ora confrontarla con quello che i giornali dell’epoca definirono “l’omicidio Furnari”.
Gaetano Furnari è un maestro elementare di Piazza Armerina, conosciuto e stimato
da tutto il paese per la sua onestà e dedizione al lavoro. La figlia Maria Catena, di 20
anni, frequenta il secondo anno di Università a Catania, nella facoltà del Magistero,
dove svolge i suoi studi con ottimo profitto. La tragedia scoppia alle 18 del 20
ottobre 1964, quando il tranquillo maestro Furnari si trasforma in omicida: la vittima
è Francesco Speranza, docente di Geografia del Magistero catanese, che viene
freddato da cinque revolverate mentre si trovava in un aula della facoltà. Il movente?
Gaetano Furnari ha scoperto la relazione tra la figlia e lo stesso docente, molto più
grande di lei, e cieco di rabbia, ha afferrato la sua pistola legalmente detenuta e si è
recato a Catania con la stessa Maria Catena, dove ha commesso l’omicidio.
Una storia come tante per la Sicilia dell’epoca, in cui il delitto d’onore era tra
i casi di cronaca nera che più spesso riempivano le pagine dei quotidiani. Ma
qualcosa stava cambiando nei costumi dei siciliani, e la lieve sentenza stabilita dalla
corte per l’assassino, che in altri tempi non avrebbe destato stupore, riuscì a scatenare
un acceso dibattito. Al centro della polemica vi era ancora una volta l’articolo 587
del Codice penale, che individuava nell’onore un’attenuante di grande peso dal punto
di vista giuridico, capace di far ridurre di quasi un terzo la pena per il reo.
14
L’Ora 13-14 dicembre 1966
11
Secondo quanto analizzato dal punto di vista contenutistico sul caso Franca
Viola e tenuto conto delle diverse strategie utilizzate dai due quotidiani presi in
considerazione, abbiamo notato la facilità con cui i giornali costruiscono le loro
“storie” in maniera quasi letteraria, attribuendo ai personaggi ruoli ben definiti e
stereotipati, senza però mantenerne intatta l’identità con il trascorrere dei giorni in
cui il caso si sviluppa. Con l’analisi del caso Furnari, possiamo notare come questi
ruoli siano assolutamente intercambiabili passando da un fatto di cronaca ad un altro,
a discapito della coerenza narrativa e interpretativa, che invece dovrebbe costituire
l’identità di una testata e dovrebbe aiutare il lettore a percepire i mutamenti sociali e
di costume in atto nella sua epoca.
Ancora una volta, i protagonisti della vicenda sono una giovane ragazza, suo
padre e l’amante di lei. Siamo di nuovo di fronte ad una storia in cui è in ballo
l’onore della famiglia. Il dramma, per quanto riguarda il caso Furnari, è di maggiore
intensità, in quanto c’è di mezzo un omicidio. L’opposizione tra i due padri, il
“valoroso” Bernardo Viola, che spezza una buia consuetudine con il suo rifiuto a far
sposare la figlia con un violento, e il maestro Gaetano Furnari, che invece uccide
l’amante della figlia perché ferito nell’onore, dovrebbe essere spontanea e immediata
per i giornalisti che analizzano le due vicende. Il primo è un eroe che si ribella alle
tradizioni sbagliate, il secondo è l’uomo ancorato ai “disvalori” della Sicilia più
arcaica, che commette un reato protetto da una discutibile norma del nostro
ordinamento. Eppure sia L’Ora che il Giornale di Sicilia, riescono a confondere i
loro lettori con giudizi di valore incoerenti. E’ come se il cambiamento di costume
vagheggiato e lodato durante gli avvenimenti che riguardavano la ragazza di Alcamo,
fosse, solo pochi giorni prima e nel caso dell’omicidio commesso dal maestro
Furnari, ancora sconosciuto e non desiderato dalla stampa locale. Leggiamo cosa
scrivono i due quotidiani del caso Furnari.
Un episodio importante avviene durante il dibattimento: il figlio della vittima
approfitta della distrazione delle guardie presenti nell’aula giudiziaria, si avvicina a
Maria Catena Furnari e la schiaffeggia. Così il giornalista descrive i fatti: “Maria
Catena Furnari si trovava a transitare da quella stanza per raggiungere il luogo dove
in compagnia della madre sosta mentre si svolge il dibattimento, allorché si è
imbattuta nel figlio del prof. Speranza, Domenico di 23 anni. Questi appena ha visto
12
la donna che era stata la causa indiretta della morte del proprio genitore l’ha prima
urtata, poi l’ha schiaffeggiata, quindi le ha rivolto un atroce insulto”
15
. Anche il
quotidiano L’Ora, in queste prime fasi del dibattimento, mostra un atteggiamento di
“comprensione” per l’omicida e di condanna per la figlia. Con queste parole infatti
viene descritta la ragazza: “Dall’interrogatorio emersero i fatti ed il torbido
retroscena che aveva armato la mano dell’uomo che gli errori della figlia - più
sventata che ingenua - avevano fatto diventare un assassino”.
Più della sentenza sembra che i giornali si preoccupino del destino della
ragazza, considerata la “colpevole morale” della vicenda: “Ora la giovane donna
appare sconvolta, disillusa, sfiduciata…si preoccupa solamente per il suo futuro,
sapendo che difficilmente potrà tornare in famiglia, che i suoi non sono più in grado
di mantenerla… Una drammatica domanda, che rende le prospettive della vita
futura della studentessa da trenta e lode ancora più squallide dell’intera vicenda”
16
.
Individuato il colpevole nella ragazza, non resta che trovare la vittima, e
questi è, anche per la grande risonanza e incisività che hanno le dure parole
dell’accusa, il padre Gaetano Furnari, autore materiale dell’omicidio. L’Ora del 20-
21 dicembre 1965 titola, in proposito: “Clamorosa arringa del pm al processo di
Catania. Tutte le attenuanti al maestro assassino”. Finalmente sul quotidiano
emergono dubbi in merito alla visione di condanna attribuita dall’opinione pubblica
solo alla ragazza. Secondo il pm Inserra: “Il solo galantuomo di questa singolare
drammaticissima vicenda, sta dentro la gabbia. E malgrado ciò dobbiamo
condannarlo, perché l’uccisione di Speranza resta pur sempre un delitto che la società
non può ammettere giacchè la vita umana è sacra, a chiunque appartenga…”. E le
parole sono condivise dal giornalista, in quanto egli scrive: “Il maestro Furnari si
stacca dalle pagine di questo processo in cui tutti gli altri personaggi rimangono
affossati e di infangati…”. Anche sul Giornale di Sicilia si adotta il punto di vista
della pubblica accusa. Così infatti il giornalista Orazio Francica Nava commenta
“l’invettiva” del pm Inserra: “La colpa moralmente più grave dello Speranza è stata
quella di aver abusato della sua qualifica e della sua posizione per soddisfare le sue
voglie. Egli è un Dongiovanni da fumetto, un uomo pavido, un uomo isterico, come
15
Giornale di Sicilia 17 dicembre 1965
16
L’Ora 17-18 dicembre 1965
13
che è giunto sulla soglia dei cinquant’anni di età”
17
. Quindi, a differenza del caso
Franca Viola, abbiamo stavolta un atto violento, l’omicidio, che non viene
condannato con la stessa forza così come verranno condannati fin dall’inizio il
rapimento e la violenza sulla ragazza di Alcamo.
Franca Viola verrà definita dai quotidiani “la ragazza che disse di no”, Maria
Catena diventa sarcasticamente, per entrambi i giornali, “la ragazza da trenta e lode”,
alimentando il sospetto che la sua relazione con il docente Speranza fosse finalizzata
ad un maggior profitto negli studi.
Il 23 dicembre 1965 arriva la sentenza: il maestro d’elementari Gaetano
Furnari è condannato a 2 anni e 11 mesi, in quanto la Corte ha accettato di
considerare le attenuanti del “delitto d’onore” previste dall’articolo 587 del Codice
penale. I due quotidiani, che fino a questo momento avevano entrambi mostrato un
atteggiamento di implicito e forse quasi “inconscio” appoggio nei confronti
dell’omicida, cambiano improvvisamente atteggiamento. L’Ora titola: “Ultim’ora: 2
anni e 11 mesi all’assassino del professore!”
18
, con tanto di punto esclamativo, il
Giornale di Sicilia risponde: “Due anni e 11 mesi al maestro Furnari”
19
e in basso il
perentorio commento di Roberto Ciuni, intitolato: “Un’altra Sicilia non applaude”.
Dalla cronaca si passa quindi nei giorni successivi al dibattito, e ancora una volta,
così come nel “caso Franca Viola” c’è da abbattere un altro ostacolo legislativo che
si frappone all’avanzare del mutamento sociale: per la vicenda della “ragazza che
disse di no” si trattava dell’articolo 544 sul “matrimonio riparatore”, l’imputato ora è
invece l’articolo 587 del Codice penale, in materia di “delitto d’onore”. E ancora una
volta i quotidiani siciliani, al termine della vicenda, oltrepassano la mera cronaca per
fornire dei giudizi in articoli separati, affidati alle loro migliori firme, che presentano
le riflessioni più interessanti. Così Roberto Ciuni commenta la sentenza di Catania
sul Giornale di Sicilia: “Non vogliamo discutere la legge sul delitto d’onore,
sbagliata e vecchia…Il punto è un altro. Fa impressione il clima maturato nel
dibattito giudiziario; è grave l’aura trionfalistica decretata intorno al condannato
dopo la sentenza favorevole….Il mito che difende chi ha ucciso per onore è vecchio
17
Giornale di Sicilia 21 dicembre 1965.
18
L’Ora 23-24 dicembre 1965.
19
Giornale di Sicilia 23 dicembre 1965
14
e si arrocca su una legge vecchia..”
20
. Una condanna senza appello per la legislazione
italiana.
Conclusioni
L’analisi sui casi Viola e Furnari, proposta da L’Ora e dal Giornale di Sicilia,
ha fatto emergere la difficoltà nelle vicende di costume di tenere distinti nella
rappresentazione i fatti dai commenti. All’interno degli stessi articoli di cronaca, i
giudizi e a volte i “pregiudizi” si nascondono nelle pieghe del linguaggio, anche nei
posti più impensabili, come la didascalia di una foto o il sommario di un titolo.
Ricordiamo, tra i tanti esempi, come nel caso Furnari, la figlia del maestro venisse
definita allusivamente “la ragazza da trenta e lode”, lasciando intendere che la sua
relazione con il docente Speranza avesse lo scopo di utilizzare lo strumento della
seduzione e del coinvolgimento sentimentale per rendere più agevole la carriera
universitaria. Quello che interessa è capire, innanzitutto, se questi giudizi siano
portatori di una sorta di “progresso”, inteso come spinta al mutamento sociale e di
costume, o se nascondano, in alcuni casi, una “ideologia” conservatrice.
Nonostante le diverse strategie comunicative e le conseguenti scelte stilistiche
adottate da L’Ora e dal Giornale di Sicilia, esistono punti in comune. Per quanto
riguarda il caso di Franca Viola, abbiamo sottolineato come l’evento che “fa notizia”
sia la rottura di una tradizione siciliana consolidata, ovvero il rifiuto di un
“matrimonio riparatore”, dopo il rapimento e la violenza subita dalla donna. Di
grande interesse, per comprendere il modo in cui la cronaca di questi fatti possa agire
in funzione del mutamento sociale, sembra essere l’analisi di Milly Buonanno nello
studio Immagini sociali della donna nella cronaca della stampa quotidiana
21
.
“La cronaca tradisce, insieme ad una visione semplificatrice del reale, una
sostanziale inservibilità ai fini di conoscenza oggettiva. Nessuna indicazione aiuta a
ricostruire l’identità dei personaggi della cronaca, se non quelle che si riferiscono a
tratti generici della persona umana: un nome, un’età, un corpo”
22
. Una dichiarazione
perentoria, che si può però accettare come guida interpretativa della nostra analisi.
20
Ibidem.
21 M. Buonanno, La donna nella stampa, Editori riuniti, Roma 1981, pp. 95-121.
22 Ibidem.
15
D’altronde la cronaca non ha nei suoi presupposti l’approfondimento degli aspetti
della realtà che tratta, ma solo il suo racconto, il più sintetico e immediato possibile.
Ma non per questo si deve dimenticare la funzione di comprensione del reale che il
giornalismo deve svolgere: “Spiegazioni tecniche, quali la rigidità dei ritmi del
lavoro giornalistico, che non consentirebbero di acquisire gli elementi necessari in
tempo utile in realtà spiegano poco: niente obbliga il resoconto istantaneo, se non la
presupposizione che il significato di un evento coincida con la sua dinamica e che
l’azione in sé stessa definisce i soggetti”
23
.
Nei primi giorni della vicenda Franca Viola, l’unico spazio di descrizione dei
protagonisti era affidato a una serie di attributi disseminati nel racconto: i rapitori
erano “giovinastri”, “i terribili otto”, Franca era “una giovane donna”, “la fanciulla di
Alcamo”, “la ragazza che disse di no”. L’evento che fa notizia, nei primi giorni, non
è tanto il rapimento, ma la violenza con la quale esso viene compiuto. Una violenza
descritta nei particolari dell’irruzione in casa Viola e delle percosse subite dalla
madre, ma di cui non si dice altro, non si azzarda una spiegazione.
L’assunto che la cronaca dia per scontato l’agire sociale dei suoi personaggi,
senza tentarne spiegazioni e senza farne critiche, non può essere del tutto applicato
né agli articoli de L’Ora né a quelli del Giornale di Sicilia, che riescono, anche se in
maniera discontinua e a volte in modo spettacolare, a sollevare la questione del
“cambiamento”, della necessaria ribellione ai costumi arcaici, facendone diventare
“portabandiera” prima Franca Viola e poi il padre Bernardo. Ciò avviene soprattutto
durante il processo, quando emerge la “verità giudiziaria”.
Non per questo però i due quotidiani siciliani riescono a sfuggire del tutto al
rischio maggiore segnalato dalla Buonanno per quanto riguarda il racconto di
cronaca, ovvero “l’appiattimento alla sola dimensione temporale”. Con queste parole
lo descrive la Buonanno: “A parte la cronologia, nient’altro rileva. Il resoconto di
cronaca sfugge a qualsiasi interrogazione cause/funzioni, sul contesto sociale degli
accadimenti, isolandoli in uno spazio che con quello di tutti gli altri eventi intrattiene
il solo rapporto della contemporaneità, ma non stabilisce alcuna interrelazione”
24
.
23 Ibidem.
24 Ibidem.
16
Alla base della notizia di cronaca vi è quindi la rottura della normalità,
l’evento inatteso. Sui quotidiani oggetto di analisi non sembra rientrare nella
categoria dell’inatteso il rapimento organizzato da Filippo Melodia, un personaggio
sul quale i giornali infatti non si soffermano molto e non tentano più di tanto di
spiegare il suo gesto.
“La funzione (della cronaca ndr) è quella di riconfermare la norma nel
momento stesso in cui viene infranta e di conferire all’infrazione il carattere di
eccezionalità…Forse anche una funzione di richiamo della normalità”
25
.
Non si dimentichi che nel nostro caso la realtà, la norma, è rappresentata in
quello scorcio degli anni Sessanta dalla consuetudine siciliana del matrimonio
riparatore, delle nozze imposte senza o addirittura contro la volontà della donna, che
viene infranta per la prima volta da Franca Viola. Neanche i giornalisti di cronaca
riescono quindi del tutto a spogliarsi dei loro panni di osservatore interno, di
“siciliano”, per abbandonare i loro pregiudizi e criticare questa consuetudine fin
dall’inizio. Ci riusciranno solo quando i tempi di analisi risulteranno più lunghi, negli
editoriali e negli articoli di fondo, a vicenda praticamente conclusa.
Un altro aspetto importante risulta essere la preponderanza che la sfera
privata riveste negli articoli di cronaca. “Sembra che nella presentazione dei fatti,
come si riscontra nella stampa quotidiana, l’attribuzione degli accadimenti che
turbano e sconvolgono la vita privata alla pura irruzione di intenzionalità non
socialmente determinate equivale infatti a una riconferma dell’autonomia del privato,
rispetto a una regolazione sociale diretta”.
La vita privata degli individui diviene quindi il regno dell’arbitrio e della
soggettività, da cui solo una regolazione sociale e istituzionale può proteggerci. Si
tratta della regolazione che viene richiamata continuamente dalla cronaca, la
normalità che ha sempre bisogno di essere confermata. Una regolazione sociale che
però nel nostro caso è costituita da una legislazione antimoderna, quella relativa
all’articolo 544 del Codice penale, sul matrimonio riparatore, insieme all’articolo
587 sul delitto d’onore. Quindi una regolazione che, durante il processo Franca
Viola, è giustamente biasimata dai due quotidiani.
25 Ibidem.
17
Concludendo: l’attribuzione dei fatti di cronaca analizzati alla sfera del
privato, quindi dell’ingovernabile, del caos, ha la funzione di richiamare la sfera del
pubblico, l’ordine, lo Stato e la sua legislazione. Richiamo che però risulta meno
efficace del previsto, in quanto tali eventi erano permessi, se non incoraggiati, dalla
stessa legislazione italiana (articoli 587 e 544 del Codice penale). I due quotidiani
riescono almeno nella funzione critica nei confronti di questa legislazione, negli
articoli di fondo e di commento a vicenda conclusa.
Il “no” di Franca Viola diventa così emblematico: Franca Viola in quanto
donna è regina della sfera privata e riesce, con la sua ribellione, a provocare un
mutamento nella sfera pubblica, o comunque a iniziare la rottura con la tradizione. I
due quotidiani dimostrano così il bisogno di avere eroi che operino rotture, e se da un
lato il racconto delle loro gesta fa nascere e indirizza il mutamento sociale, dall’altro
mostra la debolezza dei giornali nello stimolare questo mutamento, raccontando
anche fatti meno eclatanti e interrogandosi sul bisogno di rinnovare i costumi.
Sulle ragioni insite nell’ “ideologia della cronaca”, la Buonanno si sofferma
in particolare su due linee guida: “Una funzione potrebbe essere quella di evitare che
tutte le aspettative siano dislocate nell’ambito del mondo pubblico, delle istituzioni,
ed essa viene raggiunta conferendo intangibilità e sregolatezza al privato. L’altra
sarebbe quella di rafforzamento della solidarietà privata tra gli individui, che in
pratica non è altro che una specificazione della prima funzione; se il privato è il
regno del caos, solo mantenendo saldi i principi che regolano questa solidarietà, si
può sopravvivere senza essere travolti dall’irrazionale: “Il privato è godibile solo a
patto di saperne contenere la sua disorganizzazione”
26
.
26
Ibidem.