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Ma (mi si perdoni ancora), questo compito che mi sono proposta non potevo non
farlo precedere da un excursus preliminare, da una introduzione di sapore piuttosto
autobiografico.
Nel primo capitolo ho analizzato cosa intende Flores d’Arcais per discorso
pedagogico.
Point de dèpart della problematica agitata dal pedagogista padovano è che il
discorso pedagogico è essenzialmente “discorso filosofico”. Quando egli parla di “
fondazione teoretica” vuol dire, dunque, tout court, fondazione filosofica; Flores d’
Arcais è esplicito a questo riguardo, “ Convinto, dice, che non solo l’ educazione, ma
la stessa pedagogia, non possono prescindere da una considerazione deontologica ed
axiologica, sono disposto ad
accettare la probabile critica che il mio discorso si muove in un ambito filosofico e
che, di conseguenza, esso potrebbe apparire piuttosto fuori moda. Ma debbo
esplicitamente dichiarare che sono convinto che solo per siffatta via- cioè su solide
premesse teoretiche- sia possibile riscontrare la validità degli apporti che alla
pedagogia provengono dalla psicologia, dalla sociologia e dalle altre scienze dell’
uomo”.
2
Però il coraggio di quella che possiamo chiamare una ricostruzione filosofica
della pedagogia, dopo le demolizioni psicologistiche,sociologistiche e
sperimentalistiche è altamente meritorio e va additato come un contributo di grande
valore euristico e dottrinale. Fuori moda, in un certo qual senso, l’ impostazione di
2
FLORES d’ ARCAIS G., « Preliminari d’ una fondazione del discorso pedagogico », Padova 1964
5
Flores d’ Arcais, ma precorritrice, se è vero che assistiamo, dopo il distacco, al
“ritorno” della pedagogia alla filosofia, in guisa sempre più tangibile e determinata.
Il discorso pedagogico, dice Flores d’ Arcais, è un discorso sull’ educazione “in
quanto tale”; un discorso sulla “realtà educativa nella sua intrinseca essenza e nel suo
peculiare significato”.
Ed è un “discorso teoretico”, egli dice (alias filosofico), per il fatto che tale discorso è
fondamentalmente un “discorso critico” in quanto “ricerca delle condizioni che
rendono legittima e veramente valida l’ educazione”.
Il discorso critico, di cui Flores d’Arcais parla, mira a coglier nella sua purezza, onde
delimitarla rigorosamente ai fini della specificità dell’oggetto, che, insieme al
metodo, assicura autonomicità alla pedagogia, la realtà propria della educazione,
sceverandola e distinguendola, dunque, da tutte quelle attività che educazione non
sono e che sono oggetto di “altri discorsi” ( psicologico, sociologico, ecc.), ben
distinti da quello pedagogico.
Con ciò, per il pedagogista padovano, il discorso pedagogico diventa il discorso
del “possibile educativo”; un discorso che “copre tutta l’ area in cui si svolge l’
educazione”, così da compiere una analisi esauriente di tutti gli aspetti e di tutte le
componenti che costituiscono l’ educazione, in modo che nulla venga trascurato e
affinché tutto possa essere proposto e discusso in termini assolutamente esaustivi.
Ma non c’è anche un discorso che della educazione fanno le scienze, ossia un
discorso teoretico di tipo scientifico?
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C’è certamente e Flores d’Arcais lo prende in attenta considerazione. Ma è un
discorso che al pedagogista padovano appare inadeguato, spurio, addirittura tale da
falsare l’autenticità dell’educazione.
Per Flores d’Arcais le scienze sono generalizzatrici, mentre il soggetto
dell’educazione non è generalizzabile, essendo costituito dalla “singolarità della
persona”. “Se è vero che il metodo scientifico si muove sul piano della
generalizzazione, con il rilevamento di costanti del comportamento umano,
l’educazione non potrà non risolversi secondo modi di rilevamento e di conformismo,
e ciò perché i risultati della statistica si offrono come le uniche coordinate
dell’azione educativa, traducendosi facilmente in norme e regole per l’azione”.
Manca, aggiunge il pedagogista, “in siffatte formulazioni il riconoscimento
dell’autentico soggetto dell’educazione, che è sempre alcun che di irripetibile”.
Mi sembra che l’espulsione delle proposizioni scientifiche dal discorso
pedagogico sia perentoria. Quelle proposizioni si possono riferire ad un oggetto che
ha l’apparenza dell’educazione, ma educazione non è:
all’addestramento,all’adeguazione, non all’educazione, perché questa è del soggetto
singolare ed irripetibile, non del tipo, del gruppo, del genere, che sono oggetto delle
scienze sociologiche o psicologiche o antropologiche, allorché si applicano
all’educazione. Ed inoltre, codeste scienze condurrebbero alla fissazione di norme e
regole oggettive, mentre la pedagogia, attenta a cogliere l’irripetibile dell’educazione,
non mira a costruire sistemi normativi e regolistiche oggettive.
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La pedagogia, dice Flores d’Arcais ( è in ciò sta la sua autonomia e la sua
sistematicità), non può lasciare nulla fuori di sé. Il problema del valore deve farlo
suo, incorporarselo, senza accettare nulla di acriticamente presupposto e
dogmaticamente acquisito. “Come infatti accettare acriticamente che un valore
politico o culturale, religioso o artistico- si giustifichi anche- ipso facto- come valore
educativo? Non si avverte che su questa base sarebbe possibile ricognizione di tipo
costatativo, e perciò una storia dell’educazione o del costume educativo, mai
certamente una pedagogia, anzi nemmeno una educazione che voglia essere valutata
iuxta propria principia”, appunto, perché si tratta di addivenire ai “valori educativi”.
Ne viene che, in nome dei valori educativi, può essere negata la validità dei valori
affermata dalla politica, dalla religione, dalla filosofia anche, o possano essere
riproposti questi valori, ma da altro punto di vista. Si è dunque “richiamati”, afferma
Flores d’Arcais, “alla necessità per la pedagogia di riconvalidare, sul suo piano, il
valore, cosi che l’accettazione diventi, in ogni caso, critica e la pedagogia acquisti, o
riconfermi, la sua autonomia”.
Queste conclusioni sono di un’importanza enorme. Personalmente noto alla base
la soluzione del problema del rapporto tra la pedagogia e l’ideologia, o
l’affermazione che, per sua natura e in forza della sua autonomia, la pedagogia è
antideologica, se è pedagogia conforme al suo concetto. Ci vedo, cioè, l’affermazione
che la pedagogia non può essere subordinata ad alcuna ideologia e che possiede i
poteri critici ed epistemologici per istaurare un rapporto transazionale con l’ideologia,
nel senso che può ratificarla, riformarla, e rifiutarla. E c’è ancora la determinazione
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puntuale del rapporto dalla pedagogia con la politica ( su questo chiodo, e non
accidentalmente, Flores d’Arcais, batte insistentemente): il pedagogista padovano
rifiuta, non solo l’asservimento della pedagogia alla politica, ma qualsiasi forma
palese o velata di condizionamento.
Può, certamente, la pedagogia ratificare una politica, ma dopo averla sottoposta alla
propria critica e al proprio indipendente giudizio.
La rivendicazione dell’autonomia della pedagogia non poteva essere più decisa e
radicale di questa operata da Flores d’Arcais.
Si può dire che egli “celebri” l’autonomia della pedagogia ed offre alla meditazione
tali e tanti argomenti che è difficile, dopo di lui, tornare indietro. Questa
rivendicazione è, per di più, garanzia di libertà e di indipendenza per il pedagogista e
l’educatore; è garanzia di vita della pedagogia.
In ciò sta, a mio giudizio, la peculiarità del contributo dato da Giuseppe Flores
d’Arcais alla pedagogia, quel contributo da ascrivere a suo onore, nel momento in
cui, unanimi e solidali, tutti l’onoriamo come studioso.
Nel secondo capitolo affronto la riflessione di tipo storico come esigenza di
ricostruzione di momenti significativi nell’ evoluzione del campo pedagogico-
educativo,che rappresenta una costante negli studi del pedagogista padovano.
Il discorso torna dunque, ancora una volta, su quel criterio interpretativo o, più
esplicitamente, sulla teoria pedagogica che guida la ricostruzione storica.
L’obiettivo è discutere i complessi rapporti che intercorrono tra educazione,
pedagogia e storia, e soprattutto fra il lavoro del pedagogista e la ricerca dello storico.
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Il primo problema da affrontare è impostare “ l’oggetto di tale storia”, perché
affermare che esso si identifichi con l’ educazione e con la pedagogia significa
rimanere nel generico, per una ragione di fondo: l’ educazione riguarda l’ uomo tutto,
così che nulla può, e deve, essere escluso, come potrebbe fare, una storia dell’ uomo
che si classifichi come “storia generale”.
Una storia generale condurrebbe, secondo Flores d’Arcais, al dissolvimento della
dimensione educativo-pedagogica.
Importante è realizzare una “fusione-unione” di competenze: alle tradizionali
operazioni dello storico di selezione, organizzazione e interpretazione dei dati si
devono unire pertanto le specifiche operazioni del pedagogista che è chiamato ad
analogo compito di “selezione e qualificazione” dei dati “ sub specie educationis”,
cioè ponendosi dal punto di vista della disciplina.
Queste due prospettive di ricerca consentono di evitare per il pedagogista
padovano, un duplice rischio di “apriorismo”: l’apriorismo storico e l’apriorismo
pedagogico.
L’apriorismo non sta nell’adozione di un criterio teorico, ma nell’uso critico che di
tale criterio viene fatto. Secondo Flores d’Arcais occorre, invece, che lo storico sia, o
si faccia pedagogista, cioè costruttore di una teoria che insieme dovrà “ significare” l’
educazione, e perciò considerare tra i molteplici eventi storici che, riportati a siffatto
significato, si qualificheranno “educativi”.
La ricostruzione storica non può iniziare se non da una certa teoria pedagogica e
mettere in atto un certo progetto di lavoro, alcune ipotesi di ricerca.
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Gli storici delle Annales hanno sempre sostenuto la necessità di una storia
globale, cioè di una ricostruzione non limitata a singoli aspetti del processo storico,
ma capace di studiare l’ intero campo sociale.
Oggetto della storia è l’ uomo totale il quale non si dà che attraverso la “sua” storia,
cioè attraverso l’ insieme delle sue opere, della sua cultura, della sua società.
L’ uomo totale si coglie attraverso “fatti totali” in cui tutto confluisce perché tutto vi
è relazionato secondo modalità strutturali, anche i fatti educativi vanno considerati
quindi nel “contesto”, nella “struttura” cui appartengono: essi vanno ricostruiti
“ all’interno” di quei sistemi di relazioni sociali e culturali che sono stati prodotti
dagli uomini in un determinato spazio e che sono trasmessi nel tempo.
Inevitabile appare la denuncia della disattenzione per la prassi educativa, ciò che
in una certa cultura è stato elaborato ed è divenuto strumento di formazione umana
deve quindi trovare adeguata considerazione.
Una storia della pedagogia e dell’ educazione diventa, secondo il pedagogista
padovano, una storia dell’ educazione che si fa civiltà, come anche storia delle
intenzionalità educative, ossia delle proposte o dei progetti per un futuro.
Una pedagogia che non riuscisse a definirsi iuxta propria principia e accettasse di
porsi in posizione ancillare rispetto ad altri saperi, non consentirebbe di poter parlare
propriamente di storia
della pedagogia dal momento che non appare in grado di definire in termini autonomi
una forma dell’ esperienza umana ( pratica o teorica).
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Assumere come criterio storiografico una pedagogia autonoma vuol dire allora
indirizzare l’ indagine verso il quando, il dove e il come di quelle dimensioni
insopprimibili dell’ uomo che consentono veramente di parlare di educazione e di
distinguerla dai veri funzionalismi cui è stata spesso piegata nel corso del tempo.
Il terzo capitolo tratta un tema assai a Flores d’Arcais, il qualedurante la sua lunga
vita di pedagogista ha messo in luce gli svariati problemi della scuola italiana, con la
speranza che gli stessi educatori di ogni grado di scuola sentissero il bisogno di
risolverli, di rinnovarsi, non solo a parole ma a fatti.
Il problema scolastico è di primaria importanza, eppure si ha la precisa sensazione
che nulla di serio si pensi di fare per impostarlo correttamente.
Molti sono i problemi: da quello edilizio a quello economico.
Noi italiani non abbiamo una diretta esperienza dei vantaggi psicologici, spirituali e
fisici che offre una scuola comoda, pulita, luminosa, perché quasi sempre, come
alunni, siamo stati costretti ad accontentarci di surrogati.
Altra questione è il trattamento economico degli insegnanti.
Per Flores d’Arcais solo uno può essere il rimedio: stipendiare dignitosamente gli
insegnanti, per metterli in condizione di compiere uno dei loro doveri più elementari:
studiare, cosa di cui l’ottanta per cento degli stessi non si cura più da tempo.
Il pedagogista padovano è convinto che quella dell’ insegnante non è una
professione che si esaurisce nella pura e semplice lezione scolastica, ma nella
funzione di ideale da cui i discepoli debbono poter ritrarre elementi per la loro vita.
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L’ opera del maestro deve essere riconosciuta nella sua importanza, nella sua
originalità, in tutta la scuola: senza di che avremmo una scuola livellatrice, amorfa,
inerte, perché fondata esclusivamente sul presunto valore di un programma irrigidito
nei suoi schemi.
Non soltanto, ribadisce Flores d’Arcais, il maestro dovrebbe cambiare ogni anno l’
autore o l’ opera per la lettura. Il maestro è veramente tale quando e in quanto non
ripeta se stesso.
Oggi giorno la lezione è diventata meccanica ripetizione, senza vita, senza
spiritualità, inerte lettura di foglietti ingialliti.
Il pedagogista padovano esclude che di didattica si possa parlare solo in termini di
teoria, e dunque anche di istruzione o di insegnamento. Di didattica si può parlare
anzitutto, in termini di esperienza: quella che naturalmente si vive.
L’autonomia scolastica per Flores d’Arcais assume particolare rilievo quando
viene proposta in termini amministrativi ed organizzativi. Nessuna incertezza viene
manifestata circa la libertà didattica del docente, circa il giusto rapporto maestro-
scolaro, circa la necessità della partecipazione della famiglia o degli altri istituti
educativi.
Nell’ambito educativo devono prevalere le preoccupazioni di ordine educativo, e non
quelle immediatamente utilitaristiche dell’istruzione, o degli esiti meramente tecnici e
professionali.
Libertà didattica, significa per Flores d’Arcais caratterizzare anche l’educazione di
autenticità e libertà.
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Non è possibile mantenere, secondo Flores d’Arcais, una struttura scolastica di
tipo burocratico qual è quella odierna. La scuola non può infatti non riflettere le
condizioni e le ragioni della stessa società, essa di volta in volta deve modificarsi e
aggiornarsi se vuole contribuire veramente ed efficacemente alla riforma dei costumi.
Si deve, nota il pedagogista padovano, articolare la scuola in modo che essa possa
offrirsi in una molteplicità di indicazioni, atte ad accogliere il maggior numero di
interessi e il maggior numero di propositi.
Flores d’Arcais considera il metodo pedagogico come metodo che, pur aspirando
epistemologicamente ad un percorso dialettico, sempre si muove, in linea di fatto,
cioè di concretezza esistenziale, secondo metodologia retorica.
“Iuxta propria principia” potrebbe sintetizzare efficacemente la ricerca e
l’insegnamento della pedagogia dei Giuseppe Floresw d’Arcais, che ha formato
generazioni di giovani, sia nel lungo periodo dell’università di Padova, sia nel
trentennio dell’ università di Wurzburg.
La preoccupazione di un’autonomia epistemologicamente fondata della disciplina
ha costituito il filo conduttore di un cammino, dinamico e
propulsivo,nell’elaborazione teoretica, come nell’agire educativo: si è concretato in
tal modo,nella lunga durata del suo magistero universitario, lo stretto rapporto con
l’indagine scientifica,essenzialmente critica e progettuale.
La natura progettuale della pedagogia, problema cruciale,mai riducibile ad una
esposizione strettamente dottrinale, ha trovato nella forma del dialogo la sua
realizzazione più autentica.
14
Dialogo fra persone,considerate sempre nella loro interezza umana, il che implica, nei
discenti, l’impegno di partecipazione critica e, nello studioso docente, l’analitica
riflessione sull’esistente.
In tale costante impegno il personalismo di Flores d’Arcais ha respinto sia la
frammentazione della pedagogia nelle scienze dell’educazione, tuttora influenzate da
eccessivo didatticismo e psico-sociologismo,sia il funzionalismo pragmatico dettato
dall’ occasionalità economico-politica.
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CAPITOLO 1: FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE
1.1. PEDAGOGIA E PERSONA: UN DISCORSO APERTO
Flores d’Arcais è uno dei maggiori pedagogisti italiani che hanno vissuto e
contrassegnato la nostra cultura pedagogica, in un periodo di forti confronti e
cambiamenti, dominando il sapere pedagogico e filosofico, secondo un’ampiezza ed
un respiro che difficilmente troviamo nell’attuale momento storico, è questa
un’annotazione di non secondaria importanza, perché il loro modo di affrontare i
problemi, pur e proprio nella loro diversità, aveva come punto di riferimento
l’attenzione alle problematiche contemporanee,e, nello stesso tempo, la capacità di
misurarsi a tutto campo con un tessuto storico-culturale molto articolato, per cui le
loro riflessioni e soprattutto citazioni non risultano mai estemporanee ma selettive ed
entrano nel vivo delle questioni.
Tra tutti i problemi affrontati da Flores d’Arcais nel suo lungo ed operoso lavoro
culturale ed accademico ho scelto quello relativo alla persona, non solo perché ne
costituisce il centro ed il fondamento, ma in quanto aiuta a cogliere il senso e le
implicazioni di un dibattito.
Ne La ricerca pedagogica (1964) esplicitava la sostanza del suo percorso teorico
nell’affermazione: “Si tratta di fare si che l’uomo diventi veramente se stesso,
ciascuno uomo, ciascuna persona: perciò la stessa filosofia, che in quanto tale è
necessariamente discorso dell’universale, deve in qualche modo calarsi
nell’individuale, anzi meglio nel singolare, perché tale è veramente la persona,
16
soggetto dell’educazione”; e subito di seguito avvertiva:
“Si dimentica che la ricerca pedagogica non è semplicemente una ricerca di carattere
sperimentale, ma è quella ricerca che investe tutte le forme della educazione, e che ha
come suo oggetto l’uomo, anzi la persona, nel suo autentico valore significato e nel
suo peculiare, ed inalienabile, valore”
3
. Chi ha presente il dibattito sul rapporto tra
filosofia e pedagogia coglierà il senso della precisazione contenuta nell’intervento sul
tema La filosofia dell’educazione oggi nel numero di “Scuola e Città” del 1976 curato
da Bertin: “ Nella formazione dell’educatore la presenza della filosofia
dell’educazione sia da reperire all’interno dello stesso discorso pedagogico come
discorso critico, atto a considerare l’educazione non soltanto nel suo essere, bensì nel
suo potere e dovere essere, o addirittura nelle sue formulazioni utopistiche, quando
esse si presentino con una loro coerenza, e quindi ancora secondo un tessuto ed una
struttura logica, e dunque razionali”
4
.
Gli stessi temi furono trattati durante il seminario tenutosi a Padova il 22 ottobre
1992 sul tema che negli Atti assumerà il titolo Pedagogie personalistiche e/o
Pedagogia della persona.
3
FLORES d’ARCAIS G. ( a cura di), “La ricerca pedagogica”, Bari, Laterza 1964, pp. 66-67; Id., “La scuola per la
persona”, Brescia, La Scuola 1960.
STEFANINI L., “Il personalismo educativo”, Roma, Bocca 1955;
AGAZZI A., “Saggi sulla natura del fatto educativo”, Brescia, La Scuola 1951;
PERETTI M., “ Breve saggio d’una pedagogia personalistica”, Brescia, La Scuola 1978.
Per la posizioni di LAMBERTO BORGHI e di GIOVANNI M. BERTIN e per le tesi della pedagogia cattolica mi
permetto di rinviare a: FORNACA R., “La pedagogia italiana contemporanea”, Firenze, Sansoni1986.
4
FLORES d’ARCAIS G., “ La filosofia dell’educazione, oggi”, in “Scuola e Città”, n. 1-2, 1976, pp. 55-56. Su
precedenti interventi di FLORES d’ARCAIS ved.: “Il problema della pedagogia oggi”, in “ Rassegna di Pedagogia” ,
1955, 4, pp. 279-301; 1956, 1, pp. 12-64 e 3, pp. 191-200; 1957, 1, pp. 3-40
17
Non vi è dubbio che dal Seicento a oggi la centralità della persona si sia venuta
sempre più precisando, specie rispetto al più generico concetto di uomo e/o di
soggetto”
5
.
Da sottolineare le affermazioni: “ Una metafisica dell’essere costringe
inevitabilmente la persona entro l’orizzonte dell’essere… E’ l’impersonalità
dell’Essere che viene a pregiudicare irrimediabilmente per lo meno sul piano della
prassi, il primato della persona, e che dunque permette, solo per approssimazione di
parlare di persona e di personalismo”
6
.
Ma non meno esplicita era la conclusione “ Mi sono preoccupato, e sforzato,
rispondendo anch’io alla richiesta di Maritain, di evitare gli eccessi opposti: di
presentare una pedagogia della persona che, mentre permette il costituirsi di una
teoria iuxta propria principia sia in grado di evidenziare la centralità e, dunque, il
primato della persona, come soggetto-fine dell’agire educativo”
7
.
Nell’intervento su Autotestimonianza della pedagogia (1994) precisava: “In
definitiva: solo una pedagogia della persona sarebbe veramente pedagogica?...
L’essenziale è che il discorso non si costruisca su presupposti aprioristici dogmatici
e/ o ideologici, o che, se ciò è inevitabile, vengano ridotti al minimo, e comunque,
chiaramente esplicitati… Di qui la possibilità del confronto, del dialogo, anche del
dibattito, in una tensione verso la verità da raggiungere non per vie di compromessi,
ma per approfondimento di indagine mediante chiarezza di interpretazione… E se per
5[3]
FLORES d’ARCAIS G., op. cit., p. 135.
6[4]
FLORES d’ARCAIS G., op. cit., pp. 127-128
7[5]
FLORES d’ARCAIS G., op cit., p. 140. Id., « Le regioni di una teoria personalistica dell’educazione”, Brescia.
La Scuola 1987; Orizzonti della pedagogia, Pisa, Giardini 1989.