6
argomenti che coinvolsero tutta la stampa italiana nel ventennio con il
progressivo asservimento dei giornali al regime, grazie anche alle varie
leggi che vennero emanate per far tacere le opposizioni.
Mussolini mise a tacere i quotidiani che non accettarono la sua ideologia
autoritaria e contemporaneamente sviluppò diverse tecniche per assicurarsi
l’appoggio incondizionato dei fogli rimasti in vita.
Attraverso cambi di proprietà e di direzione conquistò la stampa mettendo
uomini fedeli al fascismo alla guida delle varie testate. Un regime
autoritario ha la necessità di dettare l’agenda giornalistica per creare
consenso. Dunque instaurò un severo controllo delle notizie creando
istituzioni statali che avevano il compito di selezionare le informazioni che
potevano essere pubblicate, di dettare regole su come trattare gli argomenti,
non trascurando di dare “consigli” sullo stile e l’impostazione tipografica.
E’ noto il massiccio utilizzo delle “veline” che l’Ufficio stampa del capo
del governo prima, il Ministero della cultura popolare poi, inviavano
quotidianamente alle redazioni di tutte le testate.
Il fascismo e il suo capo, che della forza del giornalismo aveva da tempo
sperimentata l’efficacia, comprese perfettamente il potere della stampa
nella costruzione della realtà e per questo la utilizzò come una “quarta
arma” per propagandare le proprie idee.
A completare l’opera furono le leggi emanate nel corso del periodo fascista
che cancellarono la libertà di stampa e istituirono l’ordine dei giornalisti
che servì al regime come organo di selezione dei professionisti
dell’informazione.
La seconda parte è più specifica perché si concentra sulla situazione dei
quotidiani locali e in particolare sul “Telegrafo”.
Negli anni del fascismo la mappa dei quotidiani italiani era radicalmente
diverse da quella attuale. Le testate a diffusione nazionale erano poche,
mentre erano molte quelle pubblicate a livello locale o regionale. Una delle
7
cause di questa diffusione ristretta era l’arretratezza dei mezzi di trasporto
che rendevano lenta la distribuzione a livello nazionale.
La forza invece di questa stampa locale risiedeva – e tutt’ora risiede – nel
forte radicamento nel territorio di cui godeva nella zona di pubblicazione.
Oltre alle notizie di interesse nazionale dedicavano le pagine interne alla
cronaca cittadina dove venivano pubblicate notizie relative agli eventi che
si organizzavano nella città oppure alla cosiddetta cronaca nera. Questo
genere giornalistico ha da sempre dimostrato di avere capacità di generare
particolare, assai primario interesse nel lettore. Gli omicidi, i furti, i
processi e tutte le notizie che possono essere inserite all’interno di questo
genere erano e sono anche oggi le più lette e quelle che colpiscono
maggiormente il destinatario dell’informazione.
Oggi sono soprattutto i quotidiani locali a dedicare molto spazio alla
cronaca nera proprio per questi motivi. Durante il fascismo però la
presenza delle “cattive notizie” e il racconto dei “fattacci” furono
drasticamente ridimensionati. Il regime non poteva permettere che
attraverso i giornali passasse l’immagine dell’Italia come un Paese dove
non c’era ordine e disciplina. Tutto ciò che non contribuiva a far prevalere
l’idea che l’Italia fascista fosse quasi un paradiso, dove non c’erano
contestazioni al regime e dove non esistevano omicidi, suicidi o rapine, non
poteva essere pubblicato. Analizzando “Il Telegrafo” di quegli anni risulta
evidente come alla cronaca nera fosse riservato uno spazio minimo e come
si evitasse di mettere in evidenza quelle notizie.
L’Italia che veniva rappresentata attraverso gli organi di informazione – o
meglio, di propaganda – non rispecchiava quella reale. La censura era
presente ovunque, ossessivamente e burocratica fino alla comicità.
Ma non fu solo la cronaca nera a subire l’avvento del regime. Tutto il
lavoro del cronista e il giornalismo inteso come cronaca degli eventi
vennero istradati sulla via dell’apprezzamento quando non dell’esaltazione
8
dell’azione del fascismo. Una prova di questa situazione è data dalla totale
assenza delle testimonianze dirette, dalla mancanza di quella che può essere
chiamata “la voce del cittadino” che oggi è la forza dei quotidiani locali.
Il professionista dell’informazione contemporaneo deve cercare di
rispettare i criteri di veridicità, obiettività e imparzialità nello svolgimento
del suo mestiere. Durante il fascismo questa visione del giornalismo di
servizio democratico alla società civile non esisteva: il giornalista era un
funzionario del regime, suo compito era di propagandare, anche con
l’omissione l’ideologia, le azioni e le opere del regime. Aveva anche il
compito di istruire il popolo ma in una sola direzione, quella di creare il
consenso attorno al capo del governo e ai gerarchi del fascismo.
Nell’ultimo capitolo di questo elaborato ho analizzato alcuni articoli
pubblicati sul “Telegrafo” durante la direzione di Ansaldo, da cui risulta
evidente la funzione specificatamente propagandistica del quotidiano
livornese. Negli articoli che trattavano questioni nazionali o internazionali
si cercava sempre di mettere in risalto le qualità del Duce in opposizione
alle deficienze dei governi ostili. Inoltre paragonando le veline inviate alle
direzioni dei giornali e gli articoli pubblicati si comprende immediatamente
quale sia stato il rispetto delle regole imposte dall’alto. D’altronde le
disposizioni alla stampa erano tutt’altro che indirette: si trattava di ordini
chiari e precisi senza nessun giro di parole. La manipolazione
dell’informazione era palese oltre che insistente.
Interessanti anche gli editoriali e i commenti del direttore Ansaldo che
quasi giornalmente venivano pubblicati sul “Telegrafo”. Il “giornalista di
Ciano” analizzava infatti le questioni politiche di maggior rilievo e partiva
sempre da considerazioni storiche. Risulta evidente la posizione filo-
governativa di Ansaldo che, antifascista all’inizio del governo Mussolini,
in seguito si schierò nella parte fascista.
9
Nella conclusione di questo lavoro ho creduto opportuno far un
collegamento con i nostri giorni. “Il Telegrafo” nel secondo dopo guerra
come testata sparì e al suo posto venne fondato “Il Tirreno”, un quotidiano
che oggi è uno dei punti di forza della catena di giornali locali di proprietà
del gruppo Espresso.
Nell’ultimo capitolo ho brevemente riassunto la recente storia del
quotidiano della città labronica, dal crollo del fascismo fino ai giorni nostri,
grazie anche alla testimonianza diretta dell’attuale direttore del “Tirreno”
Bruno Manfellotto. Oggi il quotidiano livornese è una realtà complessa
formata da 13 redazioni locali che spingono proprio sulla cronaca relativa
al loro territorio con grande autonomia rispetto alla redazione centrale,
ovviamente nel rispetto della linea data dalla direzione.
10
1. La fascistizzazione dei giornali tra creazione del consenso e
modernità
1.1 La stampa come arma del regime
Uno dei criteri del giornalismo contemporaneo - si dice - è quello
sintetizzato nella frase “bad-news is a good-news”, ovvero “le cattive
notizie sono buone notizie”. Una regola nata nella stampa anglosassone ma
di certo non estranea al mondo dell’informazione italiano. Benito
Mussolini, dittatore nonché ottimo giornalista, conosceva probabilmente
questo principio; quello che è certo è che esso è stato bandito dalle
redazioni dei quotidiani dell’epoca. Riferendosi al discorso che Mussolini
fece a 70 direttori nell’“adunata” del 10 ottobre del 1928, Mario Isnenghi
afferma che una delle indicazioni che Mussolini diede ai giornali fu proprio
quella di sottolineare che “ciò che è nocivo si evita”
1
:
«In concreto, la funzione dei giornali in un ‘regime totalitario’ è uguale per
tutti: servire questo regime evitando ciò che è nocivo e facendo ciò che è
utile. Ma il giornalismo italiano è anche ‘come un’orchestra’. ‘Il la è
comune’ ma gli strumenti dell’orchestra sono diversi e c’è pure la diversità
‘dei temperamenti e degli artisti’. Ma tutti gli strumenti giornalistici – dal
quotidiano fascista serio e di tinta ufficiosa a quello d’assalto, dal foglio
specializzato a quelli nazionali, regionali o provinciali – devono servire il
regime ‘illustrandone l’opera quotidiana, creando e mantenendo un
ambiente di consenso intorno a quest’opera’
2
» .
I quotidiani italiani del periodo fascista non dovevano diffondere nessuna
notizia “cattiva”, ovvero che potesse recare danno al regime.
1
M. Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979, p. 321
2
P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.149; Il giornalismo
come missione, in B. Mussolini, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice,
1951-1962, vol. XXIII
11
Un limite imposto fin da subito, come testimoniano alcuni stralci delle
circolari, in stile telegrafico, spedite ai prefetti dal ministro dell’interno
Luigi Federzoni nel 1925: “…Converrà far intendere [ai] direttori [dei]
giornali, usando l’opportuna prudenza di linguaggio, che per assicurare [la]
normale e continuativa pubblicazione [i] giornali stessi dovranno evitare di
ricadere negli eccessi di ingiuriosa diffamazione del Governo e del
Fascismo e abbandonare [l’] intonazione scandalistica che ha per unico
effetto [la] denigrazione [del] Paese. In tal senso raccomandarsi a tutti
indistintamente gli organi [dell’] opinione pubblica di attenuare [la]
virulenza [delle] forme polemiche per non dare impressione [di una]
continua furibonda rissa che è in contrasto colla tranquillità laboriosa [dell’]
assoluta maggioranza [della] Nazione…. E’ pure consigliabile non
consentire l’elencazioni di sequestri, perquisizioni ed altre misure di polizia
che mirano a dare un quadro allarmistico della presente fase della vita
pubblica italiana… Dovrà essere in ogni modo ostacolata la pubblicazione
di tutti quei giornalucoli sedicenti umoristici e satirici che rappresentano
una speculazione libellistica e ricattatrice non compatibile con [la] dignità
[della] stampa… Signorie Loro tengano presente che quando un giornale
non si assoggetti a queste norme ed intenda continuare in atteggiamenti
pericolosi per l’ordine pubblico si dovranno insieme applicare, senza
indugio e senza riguardo, le misure del sequestro e della diffida con tutte le
conseguenti sanzioni di legge…Ho letto con rincrescimento [sui] giornali
descrizioni particolareggiate [di] raccapriccianti delitti [di] sangue avvenuti
[nelle] ultime settimane. Sarebbe stata cosa assai opportuna che tali giornali
fossero stati colpiti [da] immediato sequestro [o] diffida. Dette
pubblicazioni destano ingiustificato allarme [nella] popolazione [e] si
prestano [a] oblique speculazioni straniere [ai] danni [del] nostro paese e
possono diffondere pericolosi germi [di] criminose imitazioni [nell’] animo
[di] individui maldisposti… Richiamo attenzione SS.LL. sul grave sconcio
12
che si verifica quotidianamente ad opera dei giornali mediante [la]
riproduzione [di] fotografie di delinquenti arrestati sotto imputazione [per]
gravi reati. Tutti i giorni accade di veder riprodotte fotografie di omicidi,
ladri, adulteri, ecc. che sono così elevati agli onori della più biasimevole
pubblicità… Poiché tali fotografie sono consegnate ai giornali o dagli
uffici di questura o da funzionari stessi che compiono singoli servizi di
polizia, provvedere che tale abuso cessi immediatamente vietandosi altresì
ogni amplificazione di notizie che riesce a deviare [l’] opinione pubblica e
a rendere più difficile [il] compito [dei] magistrati inquirenti…”
3
.
Da questo primo documento si capisce subito – ma non è una novità - che il
Duce aveva ben compreso la forza della stampa sulla formazione
dell’opinione pubblica: «Giornali e giornalisti rivelano la loro genuina
natura ultima, non già di ‘quarto potere’, intimamente eversivo e dissidente,
bensì di ‘quarta arma’: la quale si viene volitivamente ad aggiungere alle
armi più tradizionali e materiali di cui lo stato dispone, sul piano sempre
più rilevante della mobilitazione psicologica, del morale civico e dello
scontro di interessi e di idee sul mondo e nel mondo»
4
. Non quindi, come si
intende oggi, “quarto potere” in grado anche di reagire duramente e in
modo critico all’autorità politica, ma “quarta arma” - come sostiene Mario
Isnenghi analizzando il giornalismo italiano di guerra - nel senso di uno
strumento atto a sostenere il regime in ogni occasione. Una “stampa tutta
riassorbita e devota alla ragion di stato, ai sentimenti e alle convenienze
della patria in armi; quando l’informazione può divenire - e, ciò che più
conta, accetta di divenire - preclusa come tradimento; censura ed
autocensura si intrecciano; l’opportunità pubblica diviene, per consenso
diffuso, criterio della comunicazione; il commento energetico e edificante
sormonta la notizia; dominano l’occultamento e la rimozione; la pedagogia
3
Cit. in M.Cesari, la censura nel periodo fascista, Liguori editore,1978 p.17-18
4
Mario Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979 p.278
13
e la favola; il comando sui “fatti” e la comunicazione dei fatti si restringe in
poche mani; il giornalista si fa e si avverte funzionario di un’idea; il
funzionario e il militante si avvicinano sino quasi a coincidere”
5
.
Ma se Mussolini mostra fin da subito di avere le idee chiare sapendo che
era fondamentale avere la stampa dalla propria parte, al contrario i
giornalisti non dettero l’impressione di essersi resi immediatamente conto
delle reali intenzioni del Regime nei loro riguardi.
Quando nel 1922 - in seguito alla marcia su Roma - Benito Mussolini entrò
prepotentemente sulla scena e prese il potere, quasi nessuna testata liberale
dell’epoca - sottolinea Paolo Murialdi - mostrò la sua opposizione e
nemmeno diede cenno di essere realmente preoccupata per quello che stava
avvenendo
6
. Le testate cattoliche manifestarono sia atteggiamenti di critica
sia di lode e, in particolare, alcune si astenerono dal commentare le azioni
delle camicie nere mentre altre sottolinearono la differenza tra gli squadristi
e Mussolini
7
. Solo la stampa di chiara impronta d’opposizione, come quella
comunista o socialista, prese pubblicamente posizione contro il Duce e le
sue azioni. La maggior parte dei giornali nazionali e provinciali italiani
degli anni Venti salutò il fascismo senza troppa enfasi e comunque non
prese una posizione netta, anzi. Al principio direttori e giornalisti dei
quotidiani guardarono l’arrivo al Governo di Mussolini come
un’opportunità per l’Italia che - sconvolta e ancora devastata dalle
conseguenze di una guerra che era stata vinta ma che aveva causato enormi
problemi - poteva ritrovare la sua anima e la sua unità. Benchè il fascismo
avesse dato prova di violenza e brutalità, la stampa credeva, o almeno
auspicava, che col tempo si sarebbe “normalizzato” e quindi il Paese
5
ibidem, p.309
6
P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.131
7
M. Forno, La stampa del ventennio.. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino, Napoli, 2005, p.231
14
avrebbe potuto mantenere i caratteri di uno Stato democratico
8
. Ma così
non fu e i giornali se ne accorsero presto, pagando con la propria
autonomia gli errori commessi nel sottovalutare la politica fascista e lo
stesso Mussolini.
Già prima che Mussolini fosse incaricato di guidare il Governo - legislatura
che prese avvio il 31 ottobre del 1922 - le violenze delle squadre fasciste
nei confronti dei giornali d’opposizione al fascismo si erano manifestate
9
.
Nel 1923, a quasi un anno dall’inizio del governo Mussolini, i direttori che
credevano nella “costituzionalizzazione” del fascismo furono smentiti. La
ripresa delle devastazioni delle redazioni e delle tipografie dei giornali, non
ancora allineati al regime, operate dalle camicie nere, e il regio decreto
sulla stampa (annunciato il 12 luglio 1923
10
ma entrato in vigore, con
disposizioni più severe, solo nel luglio 1924) dimostrarono la reale volontà
di Mussolini: cancellare la libertà di espressione utilizzando metodi legali
e illegali. L’evidente sterzata del governo verso posizioni estremiste
provocò dichiarazioni contrarie al regio decreto del “Corriere della sera”,
della “Stampa” e della Federazione della stampa; mentre alcuni giornali
liberali e cattolici continuarono a sperare nella “normalizzazione”; altri
invece condivisero l’idea fascista che la libertà di stampa doveva essere
ridimensionata
11
. Solo nel 1924 con l’uccisione di Giacomo Matteotti
12
,
segretario del partito socialista unitario avvenuta il 10 giugno, le testate
8
P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.131
9
M. Forno, La stampa del governo. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario, Rubettino,
Napoli, 2005, p.12
10
Il regio decreto prevedeva che il gerente del giornale fosse il direttore responsabile o uno dei
principali redattori. Inoltre dava ai prefetti la facoltà di diffidare il gerente.
11
P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.132
12
Cogliendo il pericolo dell’ascesa fascista, combatté il partito di Mussolini e fu più volte
oggetto di violenza. La sua opposizione culminò nel discorso del 30 maggio 1924 in cui
denunciò le intimidazioni e i brogli elettorali nelle elezioni tenute nell’aprile dello stesso anno.
In seguito a questo discorso fu ucciso da sicari fascisti. Il delitto, di cui Mussolini si assunse la
responsabilità politica e morale, suscitò la protesta antifascista dell’Aventino.
15
italiane reagiscono e tentano di mettere in evidenza la brutalità e la non
democraticità interne al fascismo
13
. Ma Mussolini aveva una carta in più: il
regio decreto sulla stampa lasciato in sospeso dal 1923 era utile per far
cadere nel silenzio le accuse rivolte a lui e al suo governo probabilmente
implicato, sostenevano alcuni come “Il corriere della sera” e “La Stampa”,
nell’omicidio del deputato
14
. Come scrive Mauro Forno, fu proprio questa
reazione della stampa a convincere Mussolini che era arrivata l’ora di
attuare il regio decreto
15
, che entrò in vigore l’8 luglio del 1924
16
.
L’ intento dichiarato era quello di eliminare i giornali di opposizione e di
conquistare i restanti, in modo da creare una visione dell’Italia come un
Paese dove tutto era allineato all’ideologia fascista: “si organizzò un piano
d’intervento che doveva porsi tre obiettivi: il primo consisteva nell’imporre
l’autorità assoluta dello stato sulla stampa fascista, riducendola,
specialmente nei centri minori; il secondo nel controllare i giornali non
fascisti e portarli ad appoggiare il regime; e infine il terzo obiettivo era
l’eliminazione radicale di ogni foglio d’opposizione”
17
.
Il fascismo controllando insistentemente il contenuto dei giornali doveva
imporre la sua visione politica del mondo. Insomma Mussolini – per usare
le parole di Mario Isnenghi – instaurò un “regime fondato sulle parole”
18
e
si servì della stampa per “poter di continuo riformulare l’immagine delle
13
ibidem, p.134
14
M. Forno, La stampa del governo. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario, Rubettino,
Napoli, 2005, p.43
15
Ibidem, p.46
16
Il regio decreto del ‘24 dava, in tema di sequestro, maggiori facoltà ai prefetti che potevano
procedere al sequestro senza far precedere la diffida.
17
M.Cesari, la censura nel periodo fascista, Liguori editore,1978 p.16
18
Mario Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979 p. 105
16
cose detenendo il dominio sulle parole”
19
. Manipolando le informazioni si
poteva quindi rappresentare l’Italia come una Nazione nuova, rinata, dopo
lo scompiglio bellico, dal “disordine” dei precedenti governi liberali: “tutti
i giornali si adegueranno a questa linea mistificante, sforzandosi di
veicolare l’immagine di un paese ideale non corrispondente a quello reale e
di liberare il lettore da qualsiasi sforzo di interpretazione autonoma”
20
.
Quello che si trovava sui quotidiani dell’epoca era dunque “una cronaca
del Palazzo tutta interna alle esigenze e alle imbeccate specifiche e
programmate di questo; un predominio dell’ufficialità e della notizia
preconfezionata”
21
. Ovviamente non c’era spazio per i commenti e le
critiche a meno che non fossero anch’esse dettate dal regime. Tutti i
giornali, nazionali e di provincia, ricevevano le disposizioni su come e
quali notizie pubblicare dall’Ufficio stampa del capo del governo, elevato,
dopo vari passaggi e relativi decreti, a Ministero della stampa e della
propaganda nel 1935
22
. Questo stretto controllo dell’informazione da parte
del regime faceva sì che tra i vari giornali pubblicati durante il ventennio
non ci fosse quasi nessuna differenza né a livello di contenuti né a livello
tipografico e di impaginazione, una situazione che non sfuggiva certamente
agli uomini dell’epoca. In un articolo anonimo apparso nell’agosto del
1928 sulla rivista “Critica Fascista”, diretta da Giuseppe Bottai, un
giornalista definì la realtà in cui operavano i professionisti
dell’informazione come il “regno dell’uniformità e della noia”
23
e delineò
19
ibidem p.107
20
M. Forno, La stampa del ventennio. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino editore, 2005 p.124
21
M. Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979 p.281
22
N. Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943. Le veline del Minculpop per orientare
l’informazione, Bompiani, Milano, 2005
23
Cit. in M.Forno, La stampa del ventennio. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino editore, 2005, p.124
17
chiaramente i caratteri imposti ai giornali: “tono terribilmente uniforme
della stampa fascista, da cui si cerca di bandire, in nome della disciplina,
ogni tendenza al ragionamento, alla critica, a quella concorde discordia da
cui sola possono nascere, non diciamo le idee, ma le convinzioni”
24
.
Anche se nella pratica i giornali sembravano scritti tutti dalla stessa mano,
Mussolini - durante il discorso ai direttori del 1928
25
- definì la stampa
italiana “come un’orchestra, il la è comune ma gli strumenti sono diversi”
26
e d’altronde - come sottolinea Mauro Forno - “il regime avrebbe sempre
tollerato, accanto a una stampa intransigentemente fascista, la presenza di
una stampa meno allineata, nella consapevolezza chi il lettore borghese
sarebbe forse riuscito col tempo a digerire, se non ad accettare, il fascismo
fattosi stato ma non avrebbe mai ammesso la violenza verbale di certi suoi
fogli”
27
. Mario Isnenghi spiega bene quale era il modo in cui i gerarchi del
fascismo si ponevano nei confronti della carta stampata: “Giornale radio
unico e di stato, sì; scuola di stato, sì; giornalismo come scuola degli adulti,
dentro lo stato e dentro l’area di legittimità successivamente definita dalle
circostanze politiche di governo, pure; non però giornale unico, non però
quotidiano di stato”
28
. La realtà delle cose viene bene evidenziata da Forno
quando afferma che “una relativa differenziazione tra giornali fu in parte
voluta, in parte tollerata, in parte subita dal regime, sia per le influenze dei
particolari contesti ambientali in cui ogni testata si trovava ad operare, sia –
24
Cit. in M.Forno, La stampa del ventennio. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino editore, 2005, p.124
25
Il 10 ottobre del 1928 Mussolini convoca 70 direttori che, sotto la guida di Amicucci,
partecipano all’adunata durante la quale il Duce ribadisce la missione della stampa ormai
fascistizzata.
26
Il giornalismo come missione, in B. Mussolini, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel,
Firenze, La Fenice, 1951-1962, vol. XXIII
27
Mauro Forno, La stampa del ventennio. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino editore, 2005 p.72-73
28
Mario Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979 p.307-308
18
appunto – per il diverso peso politico dei direttori responsabili che furono
posti alla sua guida, sia infine per la scarsa coesione manifestata dagli
organi periferici preposti al suo controllo”
29
.
Comunque, anche durante il discorso ai direttori Mussolini ribadì la sua
concezione della missione del giornalismo: “Serve soltanto una causa e un
regime”
30
. Infatti attraverso le pagine dei quotidiani doveva passare
l’immagine di un’Italia serena, dove vigeva l’ordine e la disciplina perché
“occorreva dare l’impressione agli italiani che la vita sociale era stabile e
ordinata, che i delitti tendevano a scomparire, così i suicidi e gli scandali di
vario genere: tutto ciò, naturalmente grazie al Regime fascista”
31
; una
manovra questa che avrebbe giovato al regime sia sul fronte interno sia su
quello esterno.
Per quanto riguarda i rapporti internazionali Mussolini sapeva bene che era
fondamentale dare l’idea di essere a capo di un Governo che portava
beneficio al Paese, che non fosse totalmente illiberale e che non utilizzava
metodi illegali per ottenere consenso. Il mondo non doveva avere alcuna
possibilità di criticare l’operato del suo regime. Per quanto riguarda invece
la pubblica opinione nazionale, la stampa aveva il compito di creare un
clima di fiducia e di consenso verso la dittatura che andava instaurandosi.
Inoltre bisognava rinnovare le persone, creando “il tipo dell’italiano nuovo,
tutto devoto alla patria e conscio dei propri doveri verso di essa”
32
.
Situazione evidenziata da Maurizio Cesari: “Il maggiore sforzo del Regime
in questo periodo fu quello di propagandare il tema della “nuova Italia”
stabile, ordinata e vigorosa, a cui gli italiani avrebbero dovuto adattarsi
29
Mauro Forno, La stampa del ventennio. Strutture e trasformazioni nello stato totalitario,
Rubettino editore, 2005 p.158
30
Il giornalismo come missione, in B. Mussolini, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel,
Firenze, La Fenice, 1951-1962, vol. XXIII
31
M. Cesari, La censura nel periodo fascista, Liguori editore, 1978 p.30
32
Ibidem, p.27-28
19
perfettamente, dando il pieno consenso al fascismo. L’Ufficio-stampa lottò
dunque contro tutto ciò che poteva ricordare la vecchia Italia liberale,
cercando, attraverso i convincimenti e i mezzi repressivi di spingere i
giornali al rinnovamento”
33
.
Il fascismo raggiunse il suo obiettivo di controllare i mezzi di
comunicazione: “pur non esistendo una vera e propria censura “preventiva”,
le numerose disposizioni che l’Ufficio-stampa emanava ormai quasi
giornalmente, condizionarono la libera espressione della stampa su
qualsiasi argomento; anzi le imposizioni si estendevano anche
all’impostazione tipografica e all’impaginazione del giornale”
34
, anche se
“l’interesse iniziale del regime verso i mezzi di comunicazione di massa fu
dettato da necessità di controllo e di censura; solo in un secondo tempo,
contemporaneamente al perfezionamento di tali mezzi, il governo fascista li
usò come martellanti strumenti di propaganda”
35
.
Esercitando costantemente il suo potere sugli organi di diffusione delle
informazioni, piccoli e grandi, Mussolini - per parafrasare Isnenghi -
“tramuta Palazzo Venezia in una sorta di grande ufficio stampa e di
Tribunale supremo dell’informazione”
36
.
33
Ibidem, p.33
34
Ibidem, p. 30
35
Ibidem, p.19
36
M. Isnenghi, L’italia del fascio, Torino, 1979, p.106