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Questo modello può essere applicato alla comunicazione inter-umana e
mette in evidenza il fatto che essa presuppone l’essenziale corrispondenza
fra il messaggio codificato dal trasmettitore e quello codificato dal
ricevitore; cioè, la comunicazione avviene con correttezza se esiste una
coincidenza tra il pensiero espresso dal locutore e il pensiero compreso
dall’uditore.
Il totale o parziale fallimento può dipendere da una distorta codificazione
dell’emittente, da una distorta de-codificazione del destinatario o da
entrambi gli eventi. Il primo evento si può presumere che sia di natura
difensiva e si può ritenere ineliminabile o comunque fuori dalla portata di
chi conduce il colloquio; il secondo e il terzo evento sono invece di natura
collusiva e quindi inevitabili e devono essere eliminati se si vuole che la
comunicazione si verifichi, cioè che il colloquio raggiunga il suo fine.
Perciò il ricevitore deve essere in grado di decodificare non solo il segnale
integrato al messaggio
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, ma anche gli errori di codificazione.
Eric Berne, negli anni ’50 ha elaborato la teoria dell’analisi transazionale e
l’ha spiegata in questo modo: “Se due o più persone si incontrano, prima o
poi l’una si metterà a parlare e darà qualche segno di aver percepito la
presenza dell’altro. Questo si chiama uno stimolo transazionale. L’altra
persona farà o dirà qualcosa in relazione a quello stimolo e questo è ciò che
chiamiamo una risposta transazionale. L’unità di rapporto interpersonale è
ciò che chiamiamo transazione, sinonimo di scambio” (E. Berne). È quindi
una teoria psicologica che studia l’individuo all’interno dell’ambiente in cui
vive, attraverso i comportamenti che manifesta.
L’analisi transazionale permette di leggere le relazioni umane e rende più
agevole attuare un cambiamento, inoltre consente di acquisire strumenti per
il miglior funzionamento di situazioni interpersonali e di gruppo, attraverso
una maggiore consapevolezza di sé.
Queste teorie ci portano alla conclusione che un buon intervistatore
dovrebbe prima di tutto fare un percorso per arrivare alla consapevolezza di
sé e dei propri meccanismi di difesa con lo scopo di imparare a gestirli nel
modo migliore non solo nella situazione di intervista ma anche nelle
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Il messaggio riguarda il contenuto di ciò che si dice, mentre il segnale riguarda ciò che viene espresso.
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relazioni di tutti i giorni. In un secondo momento diverrebbe capace di
utilizzare queste conoscenze per riconoscere correttamente i meccanismi di
difesa che si attivano nei candidati, dopodiché andrebbero affrontati e
svelati, ma solo nel caso in cui il loro attivarsi possa pregiudicare l’obiettivo
del colloquio.
Le difese fanno parte della struttura portante della persona poiché ognuno
effettua una propria scelta, sempre inconscia, fra tutti i possibili meccanismi
di difesa, utilizzandone soltanto alcuni che rimangono poi sempre gli stessi.
Per questo motivo riconoscere quali di essi vengono maggiormente utilizzati
dai soggetti potrebbe essere di aiuto nel predire il futuro adattamento
lavorativo dei candidati.
Con il presente elaborato verranno presentati i meccanismi di difesa con una
definizione il più possibile accurata che prenda in considerazione le varie
teorie che se ne sono occupate. Sarà inizialmente presentata una definizione
generale dei meccanismi per poi passare in rassegna ogni singola difesa;
l’ordine di presentazione delle difese è basato sulla classificazione della
scala di Christopher Perry, la “Defense mechanism rating scale” , in cui
vengono specificati i parametri da misurare attraverso una descrizione della
loro funzione e il metodo di valutazione utilizzato. Dopodiché, per ogni
meccanismo verrà riportata una valutazione qualitativa sulle difese
riscontrate nei colloqui di pre-selezione, osservati durante l’esperienza del
tirocinio al centro per l’impiego di Urbino. In tali colloqui intervistatore e
candidato saranno indicati rispettivamente con I e con C; tra parentesi
verranno riportati commenti sul tono emotivo o informazioni per una
migliore comprensione del testo. Per motivi di privacy nomi di persone o
aziende saranno sostituiti da quattro asterischi (****).
Nel secondo capitolo sarà presentata la “Defense Mechanism Rating Scale”
costruita da Perry con la relativa scheda di valutazione. Infine, in appendice,
verranno riportati i colloqui trascritti durante il periodo di tirocinio.
CAPITOLO 1
I MECCANISMI DI DIFESA
Un problema per la definizione del meccanismo di difesa sorge dal fatto che
non esiste una definizione consensuale. Esistono principalmente due
correnti di pensiero a proposito della classificazione dei meccanismi di
difesa, una segue un criterio “orizzontale”, l’altra “verticale”. La prima
prevede lo sviluppo e la comparsa dei meccanismi di difesa in base ad un
ordine cronologico e riguarda A. Freud, J. Piaget, P. Cramer. La seconda
ipotizza una loro organizzazione gerarchica basata su caratteristiche quali,
ad esempio, il grado di complessità o il livello di distorsione della realtà e
riguarda S. Freud, G. Vaillant, C. Perry.
Oltre a queste due correnti possiamo ripercorrere le modificazioni del
concetto di “meccanismo di difesa” nella storia partendo da S. Freud,
secondo il quale l’angoscia è una reazione alla situazione di pericolo che
viene risparmiata solo se l’Io mette in moto le sue difese. Ma la prima a
differenziare riconoscere e classificare i meccanismi di difesa fu sua figlia
A. Freud con il suo “L’Io e i meccanismi di difesa” in cui spiega la
dinamica della loro formazione, secondo la quale “per raggiungere una
soddisfazione, gli impulsi provenienti dall’Es devono attraversare il
territorio dell’Io, dove si trovano in un’atmosfera a loro estranea, inoltre
sono tenuti a rispettare le esigenze della realtà e a conformarsi alle leggi
morali con cui il Super-Io cerca di controllare il comportamento dell’Io.
Questi impulsi perciò corrono il rischio di non essere accettati dalle istanze,
vengono così criticati, respinti e subiscono varie modificazioni. Gli impulsi
istintuali continuano nel loro scopo ed effettuano delle incursioni ostili
nell’Io, attaccandolo di sorpresa nella speranza di sopraffarlo. L’Io diffida e
si porta al contrattacco invadendo il campo dell’Es: suo scopo è di mettere
fuori combattimento in modo definitivo gli istinti, con appropriate misure
difensive tendenti a proteggere i propri confini.” (A.Freud)
Negli anni ’70 J. Bowlby incomincia a sottolineare gli aspetti non
primariamente intrapsichici, ma ambientali e interpersonali, del concetto di
difesa.
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Sostanzialmente considera le difese come strategie cognitive fondate
sull’esperienza affettiva, che organizzano e programmano il
comportamento, diventando con il tempo automatizzate.
Oggi infatti l’attenzione si è spostata dal modello pulsionale al modello
relazionale. Gli autori che si rifanno alla teoria delle relazioni oggettuali e di
modelli di stampo interpersonale-relazionale preferiscono dare importanza
al ruolo dei meccanismi di difesa nel contesto delle relazioni e
dell’influenza ambientale sulla costruzione del Sé.
Nonostante le diverse teorizzazioni Christopher Perry ha sviluppato la
“Defense Mechanism Rating Scale” muovendosi nella direzione di un
terreno comune basato sull’esperienza.
Lo studio e la valutazione dei meccanismi di difesa, dalla descrizione di
comportamenti manifesti a quella di processi intrapsichici presunti, ci offre
la possibilità di integrare i modelli teorici con le osservazioni empiriche.
Pertanto i meccanismi di difesa possono essere definiti come “sentimenti,
pensieri o comportamenti tendenzialmente involontari, che sorgono in
risposta a percezioni di pericolo per il soggetto e sono finalizzati, in modo
più o meno adattivo, a nascondere o alleviare i conflitti o gli agenti
stressanti che danno origine ad ansietà o angoscia” (V. Lingiardi 2002).
I meccanismi di difesa sono relativamente inconsci e involontari,
distorcono la realtà interna ed esterna, distorcono la relazione tra affetto e
idea e tra soggetto ed oggetto, sono più spesso sani che patologici, mostrano
capacità maturative nel tempo ed infine tendono a specializzarsi nei diversi
individui, con l’utilizzazione caratteristica delle stesse difese nelle stesse
situazioni.
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1.1 DIFESE DI ACTING
1.1.1 ACTING OUT (agire)
Il soggetto per affrontare i conflitti emotivi e le fonti di stress agisce senza
riflettere o senza preoccuparsi delle possibili conseguenze negative. Ciò può
avvenire o perché la pulsione non è stata mai espressa verbalmente, o perché
è troppo intensa per potersi scaricare in parole, o perché il soggetto manca
di capacità di elaborazione. Secondo Fenichel è un agire che inconsciamente
diminuisce la tensione interna e comporta una scarica parziale degli impulsi
tenuti a freno; la situazione presente viene usata come occasione per la
scarica delle energie rimosse. L’acting out comporta l’espressione di
sentimenti, desideri o impulsi attraverso un comportamento incontrollato in
cui apparentemente non ci si cura delle possibili conseguenze a livello
personale o sociale. Solitamente si verifica in risposta ad eventi
interpersonali che coinvolgono persone significative nella vita del soggetto
come genitori, figure dotate di autorità, amici, partner o colleghi.
DMRS di Perry
y FUNZIONE
L’acting out permette al soggetto di scaricare o esprimere sentimenti o
impulsi anziché sopportarli e riflettere sui dolorosi avvenimenti che li hanno
provocati.
Sono presenti i seguenti elementi:
o Il soggetto ha impulsi o sentimenti che non può esprimere
o L’individuo evita la consapevolezza e abbandona ogni tentativo di
prendere tempo, di riflettere o di elaborare una strategia per affrontare
l’impulso o il sentimento. Esso viene invece direttamente espresso
attraverso un comportamento non preceduto da pensiero. Ciò comporta
l’espressione di impulsi piuttosto primitivi di tipo aggressivo, sessuale, di
attaccamento e alto genere senza tenere conto delle conseguenze.
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o Dopo aver agito il soggetto può riacquisire la capacità di riflettere, si
sente di solito colpevole o si aspetta delle punizioni, a meno che non entri in
gioco un’ulteriore difesa come la negazione o la razionalizzazione (“ero così
in collera che ho dovuto farlo. È colpa sua se l’ho fatto”)
L’acting out è un comportamento non adattivo perché non calma gli effetti
del conflitto interno e spesso procura al soggetto gravi conseguenze
negative esterne.
y METODO DI VALUTAZONE
0: durante il colloquio non si evidenziano né sono descritti esempi di acting
out al di fuori della situazione dell’intervista.
1: Uso probabile dell’acting out
a. Il soggetto ha descritto uno o due esempi limitati d comportamenti
quali abbuffate alimentari o sbronze, scappatelle sessuali, uso di droga,
guida pericolosa, mettersi nei guai… che non sono generalmente
caratteristici del soggetto e si verificano quando ha difficoltà interpersonali.
b. Il soggetto descrive alcuni dei comportamenti sopra menzionati che usa
per “annegare” certe delusioni o altre emozioni dolorose.
c. Il soggetto riferisce alcuni dei comportamenti sopra menzionati, ma
quando gli viene chiesto perché succedono non lo sa o dice che succedono
solo quando è triste, teso o irritabile.
d. Durante l’intervista il soggetto perde la calma una volta
e. Il soggetto risponde a delusioni o a disaccordi interpersonali con un
comportamento impulsivo che può avere conseguenze negative
2: Nel resoconto del colloquio è evidente l’uso dell’acting out. Tali episodi
devono verificarsi quando il soggetto non è sotto l’influenza di alcool o
sedativi.
a. Il soggetto descrive parecchi episodi di comportamenti incontrollati o
di accessi d’ira, che capitano quando si sente deluso, arrabbiato o rifiutato
da qualcuno.
b. Gli episodi di acting out del soggetto hanno comportato un certo
numero di conseguenze negative per la sua salute, per l’adattamento sociale
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o professionale ( per esempio ospedalizzazioni multiple, licenziamenti
ripetuti, seri problemi relazionali…)
c. Il soggetto ha una storia di due o più gesti impulsivi autodistruttivi (per
esempio overdose, guida pericolosa, tentativi di uccidersi…) che seguono
immediatamente a delusioni interpersonali significative.
d. Il soggetto esprime un profondo disagio per non essere in grado di
controllarsi durante episodi di acting out ritenendo di avere poco controllo
sui propri impulsi ( es. odio il sesso, solo che mi metto in situazioni così
sgradevoli che a volte non riesco a controllarmi e sempre con persone così
sgradevoli)
e. Il soggetto minaccia o fa qualcosa di minaccioso o perde la pazienza
due o più volte durante il colloquio.
f. Il soggetto risponde ad una delusione o a un contrasto interpersonale
con un comportamento impulsivo che ha conseguenze negative per le sue
relazioni (per esempio si alza e se ne va durante il colloquio).
y ESPERIENZA DEL TIROCINIO
1. Entra un uomo. Odora di vino e di fumo. L’Intervistatore mi dice che è
un ex-tossicodipendente.
Commento: l’utilizzo di droghe o alcool è un classico esempio di acting out.
2. Il marito di una cliente che sta facendo un colloquio, si siede accanto
alla moglie ed incomincia a dire che se non gli troviamo lavoro si lega fuori
dell’ufficio e “si ammazza”.
Commento: il soggetto è aggressivo e usa la minaccia per cercare di ottenere
ciò che vuole.
1.1.2 AGGRESSIONE PASSIVA
Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti esprimendo
aggressività verso gli altri in modo indiretto e passivo. Una facciata di
apparente compiacenza maschera resistenza, risentimento, od ostilità
profonde nei confronti di altre persone.