5
relativo know how tecnologico, sia gli elementi che in alcuni campi ne
frenano la sperimentazione e/o l’adozione su larga scala.
Nella realtà nazionale
1
emergono
contesti applicativi “consolidati” (quali
il controllo dell’avanzamento di produzione, in particolare nei settori degli
elettrodomestici e dell’automotive, la bigliettazione elettronica nel trasporto
pubblico locale, più in generale il ticketing ed il controllo di accessi, ed
infine l’identificazione e la gestione degli animali d’allevamento) in cui la
validità della tecnologia RFId è stata ampiamente documentata e le sue
applicazioni sono state accompagnate da una sostanziale riorganizzazione
dei processi impattati. In altri ambiti (quali la logistica di magazzino ed il
trasporto merci, la tracciabilità di oggetti di valore, l’identificazione dei
pazienti in ambito ospedaliero e l’uso di carte personali contactless) si
hanno limitate applicazioni già in fase esecutiva, spesso implementate a
scopo d’apprendimento, e molti progetti “pilota” realizzati per valutare
empiricamente le ripercussioni, tecniche, gestionali e soprattutto
economiche, di soluzioni basate sull’auto-identificazione tramite onde radio,
dopo averne constatata l’efficacia nello svolgimento di specifiche routine
operative. Infine, vi sono contesti che si posso definire come “futuribili”,
in quanto il potenziale della tecnologia RFId è già stato, almeno in parte,
immaginato a livello di concept, ma in cui devono ancora essere
adeguatamente progettate le soluzioni tecnologiche e/o gestionali che ne
diano concretezza e che ne consentano l’avvio di un’ampia sperimentazione.
Alcuni di essi riguardano le applicazioni finalizzate alla tracciabilità delle
merci nei beni di largo consumo, quelle di supporto alla gestione del
punto vendita nella GDO e quelle volte a potenziare le funzionalità di
prodotto, ambiti ancora pressoché inesplorati tranne per alcune
pionieristiche sperimentazioni che ne hanno saputo solo tratteggiare la
dirompente capacità innovativa.
Un’esaustiva valutazione di un concept di punto vendita caratterizzato
dalle applicazioni in store della tecnologia RFId, analisi da condurre nella
prospettiva dell’user e del retailer, non può prescindere dal confronto tra le
necessità espresse sia dai clienti-utilizzatori sia dagli operatori del
commercio al dettaglio, e le “risposte” che tali soluzioni tecnologiche,
innovative ed alternative rispetto a quelle tradizionalmente adottate, sono in
1 Risultati tratti dal report “RFId tra presente e futuro”, aprile 2005, documento che ha
sancito la nascita ufficiale dell’Osservatorio permanente sulla tecnologia RFId in
Italia, istituito presso il Politecnico di Milano.
6
grado di fornire. E’ evidente che nel processo evolutivo di cui è oggetto il
punto vendita si faccia ricorso anche alle moderne tecnologie per modellare
tale ambiente sempre più “a misura di consumatore”. Quest’ultimo, spesso
disinteressato od incapace di comprendere appieno i complicati meccanismi
che sovrintendono al funzionamento delle tecnologie stesse, utilizzate anche
se di sovente considerate alla stregua d’indecifrabili “scatole nere”, in molti
casi è propenso a modificare o mutare le proprie più comuni azioni,
abitudini di comportamento o parametri di scelta, dopo aver sperimentato
prodotti e/o servizi ad elevato contenuto tecnologico in grado d’incidere
positivamente sul proprio stile di vita. In riferimento alle modalità con cui
i consumatori compiono gli acquisti in un generico punto vendita della
grande distribuzione organizzata, le direttrici motivazionali capaci di
rimuovere l’inerzia che caratterizza comportamenti fortemente
standardizzati (alcuni dei quali hanno un impatto negativo sul grado di
soddisfazione complessiva espressa dal cliente in merito alla propria
shopping experience) possono essere con efficacia sintetizzate nell’assunto
“fast, easy and pleasure”. L’idea è di rendere l’esperienza d’acquisto
complessivamente più efficiente, eliminando le difficoltà connesse alle
principali operazioni da svolgere e le cause del verificarsi di tempi d’attesa
o di ricerca percepiti negativamente. A ciò si aggiunge la volontà di rendere
la shopping experience più “facile”, oltre che più “piacevole” da
compiere, consentendo ai consumatori di fruire di un ampio e
personalizzabile flusso d’informazioni, riferite al punto vendita, ai prodotti
acquistati o da acquistare, ed alle necessità-abitudini dei clienti stessi. Tali
obiettivi sono potenzialmente realizzabili sfruttando la tecnologia RFId, in
grado d’aiutare (e non di sostituire) il consumatore nel ricordare cosa
deve acquistare o cosa acquista di solito, nel cercare i beni all’interno
dell’area di vendita, e soprattutto nel conoscere meglio i vari prodotti.
La capacità delle etichette elettroniche di supportare (memorizzando e
trasportando) una base di dati autonoma (progettata dal produttore
dell’item sui cui l’etichetta è apposta e parzialmente modificabile dai
soggetti che intervengono nella filiera produttivo-distributiva dello stesso)
2
2 In relazione ai vincoli tecnologici che ancora permangono, tale capacità è riferita
all’intero “sistema RFId”, in cui le singole etichette elettroniche posizionate sui prodotti
fungono sia da elemento identificativo (poiché contengono un codice univoco che
permette d’identificare ogni singolo bene) e da “fattore di raccordo” alle informazioni
relative ai vari beni, contenute in un apposito database (quindi, non ancora direttamente
poste sull’etichetta stessa).
7
è il presupposto per poter “trasferire” tali informazioni al consumatore
immediatamente prima dell’atto d’acquisto, determinando così un
importante elemento di discontinuità nello statico processo decisionale che
caratterizza la formulazione delle scelte di consumo riferibili ad una vasta
gamma di beni. Tale flusso d’informazioni permetterebbe d’ampliare il
consideration set del consumatore o d’amplificare, a ridosso dell’acquisto,
gli effetti di una comunicazione pubblicitaria dal forte contenuto emotivo ed
evocativo, cruciale nella strategia di comunicazione approntata per alcune
ben precise tipologie di beni. Il benefit a più elevato valore aggiunto che tale
applicazione della tecnologia RFId consentirebbe di realizzare è legato alla
possibilità “d’interrogare selettivamente i prodotti”, ovvero di
discriminare razionalmente nell’insieme d’informazioni reso
disponibile dagli oggetti stessi, sulla base di bisogni, preferenze, gusti
personali, ecc, così da compiere più “coerenti” scelte d’acquisto. Nel suo
complesso, quindi, una così fatta shopping experience si potrebbe
implicitamente configurare come un attributo aggiuntivo comune al
paniere di beni acquistati, elemento qualificante alla base di un concetto di
prodotto “allargato” che ricadrebbe “a cascata” su ogni tipologia di beni
presente nel punto vendita ed in particolare sui FMCG (Fast Moving
Consumer Goods). Lo scenario di un consumatore non più interessato ad
acquistare, ad esempio, un semplice dentifricio, ma “l’esperienza di scelta”
di un dentifricio in un certo punto vendita, è molto più concreto e
presumibilmente profittevole di quanto si possa credere. Al retailer, la
predisposizione di un ambiente di vendita dotato di tutte le soluzioni
tecnologiche implementabili sfruttando tags RFId collocati sui singoli
prodotti, opportuni computer-readers e reti di comunicazione wireless,
permetterebbe di conseguire una più elevata efficienza gestionale potendo
ottimizzare la gran parte dei principali processi interni che lo caratterizzano,
grazie ad una loro conoscenza più approfondita, a dati più affidabili, e
soprattutto ad una gestione “real time”, ovvero priva di sfasamento
temporale tra osservazione dell’evento, inserimento del dato nel sistema
informativo ed avvio delle necessarie procedure operative. Inoltre,
l’integrazione tra i classici strumenti di “fidelizzazione” e la tecnologia
d’identificazione tramite onde radio, fornirebbe al retailer l’opportunità di
conoscere con precisione la struttura dei consumi dei propri clienti, e,
quindi, di monitorarne l’evoluzione in termini quantitativi e qualitativi nel
8
corso del tempo. Ciò, com’è intuibile, da un lato aumenterebbe in modo
esponenziale le problematiche connesse alla gestione di un più complesso
sistema informativo, che inevitabilmente si sommerebbero a quelle di
carattere tecnico per la sua completa implementazione, dall’altro
costituirebbe una straordinaria fonte d’informazioni su cui progettare
servizi e strategie di marketing fortemente personalizzate, cruciali
nell’attivare processi di loyalty ad oggi sempre più dominanti nelle
dinamiche competitive dei distributori finali. Le potenzialità di tali dati
raccolti a livello micro, ovvero per ogni singolo consumatore, vanno però
oltre alla definizione di “customizzati” communication-mix prospettandone
l’impatto sull’intero sistema produttivo-distributivo, l’intera Supply Chain,
strutturabile in modo “integrato” e rispondente just in time alle sollecitazioni
di una domanda costantemente monitorata ed orientata ad una logica di
flessibilità da un marketing one to one. Cardine di tale modello “avanzato”
di vendita al dettaglio è costituito dalla possibilità, fornita dalla tecnologia
RFId, di tracciare il movimento e controllare la posizione di ogni singolo
prodotto, in modo continuo, automatizzato e senza alcun rischio
d’errore, non solo all’interno del punto vendita ma lungo tutta la filiera.
In tale prospettiva, il contesto d’analisi definito in precedenza costituisce un
limitato segmento di un continuum che si avvia nel momento in cui su ogni
oggetto, in fase di fabbricazione, viene apposto un tag RFId e che
teoricamente potrebbe concludersi nella “casa” di ogni singolo consumatore.
Affrontare l’esame delle sole applicazioni in store fornisce, quindi, una
visione parziale e riduttiva della portata innovativa dello scenario
complessivamente descrivibile (omettendo, così, l’analisi degli
innumerevoli vantaggi che tutte le soluzioni operativo-gestionali basate
sulle etichette elettroniche potrebbero comportare impattando dalla fase di
produzione via via fino a quella d’acquisto e nel successivo post-vendita,
ovvero in ogni passaggio di una Supply Chain totalmente “estesa”), ma la
centralità di tale ristretto ambito è dovuta al realizzarsi in esso del primo
significativo momento d’interazione tra consumatore finale e prodotti
dotati di tag RFId.
Predisporre un ambiente sperimentale che ricrei il concept delineato ed in
cui il consumatore possa provare in totale libertà gli innovativi servizi a sua
disposizione, costituirebbe il paradigma ottimale per condurre la ricerca.
Purtroppo, gli elevati e rischiosi investimenti da destinarsi per la sua
9
completa realizzazione, anche se sostenuti da ampie partnership formate dai
principali “attori” interessati alla sperimentazione in field (produttori di beni
di largo consumo, retailers, sviluppatori-rivenditori dell’hardware, del
software e system integrators), ne limitano la presenza a pochissimi progetti
“pilota”, spesso caratterizzati da applicazioni prototipali non ancora
adeguatamente ingegnerizzate. Risulta più diffusa la sperimentazione di
soluzioni aventi funzionalità simili a quelle realizzabili sfruttando appieno le
potenzialità dell’RFId (applicazioni, ad esempio, per il self-scanning o per
il self-check-out
3
), nella maggior parte dei casi condotte adottando
tecnologie “inferiori”, vincolate, ad esempio, al tradizionale codice a barre.
Ne consegue, quindi, che i relativi risultati empirici siano inappropriati per
elaborare pertinenti valutazioni euristiche, sia sullo strumento sia sulla
funzione in sé, riferite alle più innovative soluzioni RFId-based. A ciò si
aggiunge la necessità di superare compiutamente le persistenti
problematiche di carattere strutturale connesse a tale tecnologia, capaci
d’incidere in modo negativo, seppur con diversa intensità, nei campi di
(possibile) utilizzo. Tali fattori, infatti, non solo determinano una difforme
velocità del processo di adozione, differenziata nei diversi ambiti d’impiego
e/o nelle diverse realtà geografiche, ma si configurano come vere e proprie
“barriere” alla sperimentazione laddove l’RFId potrebbe determinare un più
significativo e radicale cambiamento. Vincoli tecnologici
4
, incertezze
normative (in particolare riguardanti la standardizzazione delle frequenze di
utilizzo e l’architettura base delle singole applicazioni), e soprattutto i rischi
connessi alla potenziale violazione della privacy dei consumatori,
denunciati a partire da futuribili utilizzazioni di tale tecnologia (in alcuni
casi illegali) o paventati osservando incaute sperimentazioni della stessa,
definiscono le principali tipologie di tali problematiche. Tutto ciò si scontra
con uno scenario generale che nonostante i precedenti limiti si dimostra
tutt’altro che statico, soprattutto per la sempre più diffusa consapevolezza
3 In Italia, realizzate, ad esempio, nel progetto “Salvatempo” sperimentato in alcuni punti
vendita dell’insegna Coop.
4 Si pensi al costo di produzione dei singoli tag, ancora troppo elevato rispetto al basso
prezzo medio unitario della maggior parte dei beni di largo consumo (discrepanza che
introduce la necessità di una profonda riflessione sulle tipologie di beni che potrebbero,
nel breve periodo, beneficiare dell’impiego delle etichette elettroniche), alla necessità di
ricorrere ad una pluralità di soggetti fornitori del know how e dell’hardware necessario
per la realizzazione di tali soluzioni tecnologiche, ed ancora, alla complessità
dell’integrazione di tali applicazioni con l’infrastruttura e col sistema informativo
presente nelle aziende, retailers od organizzazioni pubbliche che siano.
10
delle enormi potenzialità legate all’impiego delle etichette elettroniche. A
partire dal gennaio 2005, il colosso americano della distribuzione
Wal*Mart ha “obbligato” i propri cento maggiori fornitori nazionali a
dotare i loro pallet o contenitori di trasporto di tag RFId; in Europa, i grandi
distributori Tesco, Carrefour e Metro sono fra i firmatari di un accordo per
accrescere l’impiego delle etichette elettroniche, optando per l’adozione di
uno standard, l’EPC (Electronic Product Code), assunto come riferimento
tecnico da Wal*Mart nel settore della distribuzione, da GlaxoSmithKline in
quello farmaceutico, da Nestlé e Pepsi nell’alimentare e da Prada
nell’abbigliamento (azienda che già dal maggio 2002, nel suo punto vendita
di New York, ha realizzato una tra le più interessanti applicazioni di tale
tecnologia volta al potenziamento dei servizi al cliente); Benetton, nei primi
mesi del 2004, ha dovuto bloccare il proprio progetto di sperimentazione (da
realizzare col supporto tecnico di Philips), in cui prevedeva di dotare tutti i
propri capi d’abbigliamento di una smart tag, sull’onda delle reiterate
proteste sollevate da varie associazioni di consumatori contro la possibile
violazione della privacy; nell’aprile 2003, il retailer Metro ha aperto a
Rheinberg, in Germania, l’Extra Future Store, grande magazzino teatro di
un’approfondita sperimentazione di servizi basati sull’RFId e sullo standard
wireless, utilizzati per il tracciamento di alcune linee di prodotti provenienti,
fra gli altri, da Gillette e Procter&Gamble; a maggio 2006 Levi
Strauss&Co. ha avviato, in alcuni punti vendita negli Stati Uniti,
un’interessante sperimentazione front office basata sull’utilizzo di smart tag
apposte su alcuni dei suoi principali prodotti esposti nell’area di vendita; e
così via.
Inoltre, il dibattito sulle tecnologie RFId, da un livello eccessivamente
astratto e basato spesso su idee stereotipate o su modelli oramai consunti, è
stato indirizzato verso la definizione di protocolli tecnologici e normativi
condivisibili, necessari per accelerarne i processi di sperimentazione e per
compierne una valutazione anche in una prospettiva di mercato. Nel
contesto italiano, sono da interpretarsi nell’ottica di tale trend l’affermarsi di
specifici centri di sviluppo e ricerca (presso il Lab-id o Datalogic), di
laboratori di studio a carattere permanente (l’Osservatorio sulla tecnologia
RFId istituito presso il Politecnico di Milano), l’emissione di appositi
provvedimenti legislativi (come, ad esempio, il pronunciamento avvenuto
nel marzo 2005 da parte del Garante per la protezione dei dati personali),
11
od ancora l’emergere di numerosi studi di fattibilità in seguito a cogenti
disposizioni normative, alcune delle quali, emesse a livello europeo, hanno
sancito i fondamentali principi di “tracciabilità e rintracciabilità” (da
applicare, ad esempio, nel comparto alimentare).
L’idea alla base dell’analisi contenuta nel presente lavoro nasce, quindi,
dalla summa delle precedenti considerazioni. Prima che un impiego
pervasivo della tecnologia RFId lungo tutta la Supply Chain determini
(anche) un profondo cambiamento dell’ambiente di vendita dei distributori
al dettaglio, innescando un’evoluzione delle modalità di comportamento dei
consumatori, in particolare riferita al processo che governa la realizzazione
delle scelte d’acquisto, è necessario che tramite l’applicazione delle
etichette elettroniche si realizzi un’innovazione dei prodotti. E’
presumibile che tale innovazione discenda dall’impatto che la tecnologia
RFId avrà sia sulla gestione dell’intero ciclo di vita del singolo bene sia
sull’estensione dell’insieme delle sue funzionalità. Nell’ambito
dell’analisi statistico-quantitativa che completa la ricerca, è stato adottato un
modello di segmentazione flessibile
5
con l’obiettivo di comprendere come le
innovative caratteristiche di un generico prodotto “intelligente” (“RFId-
intelligence”, conseguente alla presenza fisica del tag sul prodotto stesso)
debbano essere opportunamente modulate in ragione delle preferenze, e
quindi delle diverse necessità, espresse dai consumatori stessi.
Per avvalorare alcuni dei risultati emersi ha avuto un ruolo estremamente
interessante l’osservazione dei primi prodotti dotati di tag RFId (tra cui
prototipi o anche solo concepts), alcuni dei quali già presenti sul mercato.
Nel limitato panorama italiano, ad esempio, vi sono le sneakers marcate
Atlanta Game prodotte dalla padovana NewCom, dotate di smart tag
leggibile con i telefoni cellulari di ultima generazione, le lavatrici Ariston
prodotte da Merloni, capaci di programmarsi automaticamente sulla base
delle informazioni contenute nei transponders RFId di cui sono dotati alcuni
appositi capi d’abbigliamento (progetto sviluppato in collaborazione con
Benetton), il prototipo di pneumatico dove tale tecnologia consente di
monitorare costantemente l’usura del battistrada (realizzato da Eximia), od
5 Gli input informativi necessari alla realizzazione dell’analisi sono stati ottenuti tramite
una simulazione del comportamento di scelta dei consumatori rispetto differenti
alternative di un generico prodotto “intelligente”, compiuta nel corso dell’indagine
empirica, dati successivamente elaborati con due tecniche d’analisi statistica
multivariata, la Conjoint Analysis (Analisi Congiunta) e la Cluster Analysis (Analisi dei
Gruppi).
12
ancora i tappi “intelligenti” adottati dalla cantina umbra Arnaldo Caprai
per le proprie pregiate bottiglie di vino (soluzione brevettata da Lab-id).
Supposto che nel corso dei prossimi anni la tecnologia RFId possa incidere
prima sugli “oggetti” delle scelte di consumo e solo in un secondo momento
sullo stesso “processo di scelta”, la comprensione di come le aziende
debbano produrre beni dotati di etichette elettroniche e l’analisi delle loro
innovative potenzialità, diviene il presupposto teorico all’identificazione di
un ideale trade-off tecnologico che tra non molto potrebbe profondamente
caratterizzare i punti vendita della GDO e rivoluzionare il modo di far
acquisti dei consumatori.
13
1 LA TECNOLGIA RFId
La tecnologia RFId è collocabile nell’ambito dei sistemi di identificazione
automatica (AIDC, Automatic Identification and Data Capture) nati nella
seconda metà del novecento.
L’evoluzione di tale tecnologia parte dalla Seconda Guerra Mondiale,
in cui è stata per la prima volta impiegata per permettere alla contraerea
inglese di riconoscere i propri aerei da quelli nemici
6
, e nel corso degli
anni settanta ha visto svilupparsi alcuni dei suoi principali riferimenti
teorici
7
, spunto, nel decennio successivo, delle prime importanti
applicazioni
8
.
Nel 1999 viene creato, con sede presso il Massachusetts Institute of
Technology (MIT) di Boston, un centro di ricerca mondiale denominato
Auto-ID Center
9
, con lo scopo di progettare l’infrastruttura necessaria per
creare una rete mondiale aperta per l’identificazione di ogni singolo
prodotto, potendolo istantaneamente seguire, o rintracciare, attraverso una
Supply Chain globale. In tale missione si traduce l’idea di “Internet of
6 Nel corso del 1943, compresa l’importanza delle strumentazioni radar in grado
d’identificare, localizzare, determinare con precisione la posizione e la velocità di un
oggetto, molte tecnologie broadcast collegate all’RFID iniziarono ad essere esplorate,
ed infatti furono realizzati i primi sistemi di transponder a lungo raggio per
l’identificazione degli aerei “amici”, anche detti “Identification Friend or Foe” (IFF).
7 Nel 1970, ricercatori, società private, università e laboratori governativi lavorarono
attivamente allo sviluppo dell’RFID e notevoli progressi iniziarono a realizzarsi in
laboratori di ricerca ed istituti accademici come il Los Alamos Scientific Laboratory, la
Northwestern University e la Microwave Institute Foundation in Svezia. Nel 1975, un
importante sviluppo fu il lavoro, svolto a Los Alamos, presentato da Alfred Koelle,
Steven Depp e Robert Freyman, dal titolo “Short-range radio-telemetry for electronic
identification using modulated backscatter”.
8 In particolare, la tecnologia EAS, Electronic Article Surveillance, sviluppata per
contrastare i furti, è stata la prima applicazione RFId diffusa ad uso commerciale.
9 L’Auto-ID Center ha combinato la conoscenza tecnologica, pratica e teorica sia di tre
delle più importanti università del mondo, il Massachusetts Institute of Technology
(MIT) negli Stati Uniti, la University of Cambridge in Inghilterra e la University of
Adelaide in Australia, sia di decine di centri di ricerca privati, potendo, inoltre, contare
sulle risorse rese disponibili da oltre cinquanta multinazionali (tra cui Coca-Cola,
Gillette, Johnson&Johnson, Procter&Gamble, Unilever, UPS, Wal*Mart). Alla fine del
2003, con la nascita dell’EPCglobal, l’Audo-ID Center ha pubblicato una serie di
specifiche tecniche e documenti particolareggiati, al fine di permettere ai costruttori
dell’infrastruttura hardware e software legata all’RFId, di creare e sviluppare i relativi
prodotti e servizi. Inoltre, è stato portato a termine anche il test di tutta l’architettura di
rete, per assicurare ai venditori ed agli utenti che la tecnologia funzionasse in modo
ottimale.
14
things”, Internet delle cose
10
, che è la visione che l’Auto-ID Center ha del
futuro: così come Internet permette di collegare due persone in qualunque
parte del mondo, i tag RFId applicati su tutti gli oggetti potranno permettere
di localizzarli ovunque essi siano. Dalla chiusura ufficiale di tale consorzio
di aziende ed università, avvenuta ad ottobre 2003, sono nate due ulteriori
organizzazioni, l’EPCglobal e l’Auto-ID Labs. Quest’ultima sta
conducendo un fondamentale lavoro di ricerca tecnologica e studio
teorico
11
, mentre EPCglobal ha assunto il compito di realizzare, assieme ad
utenti finali, produttori di hardware, software e soluzioni integrate, la
suddetta infrastruttura (EPC Network
12
), supportandone le differenti
implementazioni e promovendo l’adozione di standard tecnologici a livello
industriale e commerciale
13
.
Negli ultimi anni, anche grazie all’affermarsi dell’insieme delle tecnologie
di comunicazione wireless, si sono determinate condizioni favorevoli
all’avvio di un ampio processo di sperimentazione della tecnologia di auto-
identificazione tramite onde radio nei più svariati settori d’impiego, ricerche
i cui positivi risultati stanno contribuendo alla realizzazione operativa,
fin’ora limitata a specifici contesti, d’innovative ed efficaci applicazioni.
10 Tale concetto è una delle idee portanti contenute nel progetto “Costumer Intelligence”
tra i cui principali promotori vi è Nicholas Negroponte, direttore del MIT Media Labs di
Boston. La rete Internet non viene identificata solo come “vettore dinamico”, in grado
di ridurre ogni distanza e di fruire staticamente di un’informazione globalizzata, bensì è
considerata anche il “luogo” in cui poter condividere un’informazione (o dati) creata da
utilizzatori (od oggetti) “dinamici”. La rete, in tale ottica, si presuppone che possa
divenire il “tessuto connettivo” di ogni dispositivo elettronico, dagli elettrodomestici
alle automobili, quindi avranno accesso ad Internet non solo i computer, <<ma si
connetterà, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, chiunque e qualunque cosa>>
(“Internet of things”, rapporto dell’agenzia ONU International Telecommunication
Union, ottobre 2005).
11 L’Auto-ID Labs è stato creato dalla federazione di università mondiali e laboratori di
ricerca costituita precedentemente con l’Auto-ID Center (MIT, Università di
Cambridge, Università di Adelaide, Università di Keio, Università di Fudan e
Università di St.Gallen), ognuna delle quali continua a ricercare e sviluppare nuove
tecnologie ed applicazioni per l’evoluzione dell’idea di “Internet delle cose”.
12 L’EPC Network è simile alla rete Internet che utilizziamo tutti i giorni. È basata su una
parte hardware, con tags, lettori RFId e servers, ed una parte software, costituita da
Savant (middleware), Object Name Service (ONS) e Physical Markup Language
(PML). L’Electronic Product Code, EPC, è un formato di numerazione univoco
proposto come standard futuro per l’identificazione dei prodotti; ne esistono diversi tipi,
in base al loro utilizzo, alle varie necessità ed alle potenzialità di memoria dei
transponders (strutture a 64, 96 e 128 bit).
13 Tali standard sono definiti in collaborazione con l’Uniform Code Council (UCC) e
l’EAN International, rispettivamente l’organizzazione americana ed europea che
gestiscono i formati dei codici a barre, Uniform Product Code (UPC) ed EAN Article
Numbering Code (EAN), che si trovano sui beni di largo consumo.
15
1.1 Gli elementi che compongono la tecnologia RFId
Con l’acronimo RFId, Radio Frequency Identification, s’individua una
tecnologia di identificazione automatica tramite Radio Frequenza (RF)
i cui componenti elementari sono:
ξ il tag RFId (o transponder RFId, anche comunemente detto
“etichetta elettronica”, e-tag, oppure “etichetta intelligente”,
smart tag);
ξ il reader (ovvero, lo strumento che consente le complesse operazioni
di comunicazione col tag).
Il tag RFId è il componente che apposto ad un oggetto, ad una persona o ad
un animale, consente di “digitalizzare” un qualsiasi ente materiale
attribuendogli nuove proprietà. In particolare, consente ad un generico
oggetto:
ξ di poter essere riconosciuto (precisamente, di auto-identificarsi) in
modo univoco;
ξ di essere individuato con precisione a distanza senza alcun
collegamento, contatto diretto o particolare orientazione;
ξ di memorizzare e trasportare notevoli quantità d’informazioni,
eventualmente modificabili;
ξ di misurare alcune grandezze fisiche dell’ambiente in cui è
collocato.
Sono tre i tipici elementi costitutivi del tag:
ξ un microchip, che contiene la parte logica e la memoria
14
;
ξ un’antenna, che raccoglie e trasmette i segnali radio da e verso il
reader;
ξ un supporto fisico, che collega e protegge i due precedenti
componenti, costituito da una semplice pellicola, ad esempio di
materiale cartaceo, oppure da un solido di materiale plastico.
14 Esistono e si stanno rapidamente diffondendo anche i cosiddetti chipless tag, stampati
con inchiostri speciali o costituiti da sottili fibre metalliche incorporate nelle fibre della
carta od in oggetti plastici, che riflettono le onde elettromagnetiche verso il lettore che
le interroga, entrando così in risonanza a determinate frequenze (“resonant signature”).
L’uso dell’inchiostro conduttivo permette di stampare antenne RFId direttamente su
etichette e confezioni, abbassando così notevolmente il costo della “taggatura” ed
offrendo allo stesso tempo ampi margini di sicurezza e grande flessibilità d’impiego.
16
I tag sono diversamente realizzati in modo da poter essere applicati su
diverse tipologie di materiali e di assumere le dimensioni
15
e le forme più
svariate in base all’oggetto su cui vengono posti, potendo così essere
facilmente assemblati dalle stesse aziende durante il proprio ciclo produttivo
e potendone, quindi, soddisfare le specifiche esigenze funzionali.
Il reader è il componente deputato all’interrogazione (ovvero, lettura,
scrittura, riscrittura) del tag. E’ composto da una parte logica (incorporata
su una scheda a circuito stampato) che provvede a decodificare i segnali
ricevuti, tradurli in dati digitali ed a gestire l’informazione rilevata, da una
parte radio (deputata alla modulazione e ricezione del segnale di
comunicazione con il tag, e quindi dotata di una o più antenne) e di un case,
ovvero una struttura di protezione, il cui costo può talvolta rappresentare
una parte significativa del costo totale del lettore stesso.
I readers possono essere integrati in terminali palmari (handheld) oppure
possono essere fissi (controllers, come colonnine, pedane sensibili, varchi
attraversati da persone, carrelli elevatori, nastri trasportatori, ecc) e sistemati
in opportuni punti strategici individuabili in ragione dell’applicazione da
implementare. Seppur con alcuni limiti tecnici, i readers possono leggere
e/o scrivere su uno o più tags contemporaneamente.
Il tag ed il reader sono “accordati” tra loro in funzione della specifica
applicazione d’impiego, che ne determina, quindi, il variare dei loro
principali parametri tecnici. Tra questi, quelli di maggior rilievo sono:
ξ la frequenza di trasmissione;
ξ il tipo di alimentazione del tag;
ξ la capacità e la riscrivibilità della memoria presente in esso.
La frequenza di trasmissione è certamente il parametro più importante.
Ferme restando le differenze riscontrabili nelle bande e nelle potenze
d’emissione utilizzabili nei diversi continenti, i range di riferimento vanno
dalle basse frequenze (LF, attorno ai 100 kHz), alle alte (HF, intorno ai 15
MHz), alle altissime frequenze (UHF, oltre i 100 MHz) fino alle micro-onde
(2,45 GHz ed oltre). Al crescere della frequenza aumenta la distanza
massima di lettura, la velocità massima a cui si può muovere l’oggetto
15 I continui sviluppi delle ricerche riguardo le nanotecnologie hanno consentito di
realizzare tags dalle dimensioni molto ridotte, dell’ordine di qualche millimetro,
aprendo così il campo a moltissime soluzioni ed applicazioni.
17
da interrogare ed il transfer rate, ovvero la quantità d’informazioni che
possono essere trasferite nell’unità di tempo. D’altra parte, cresce anche la
sensibilità alle condizioni operative, come, ad esempio, alla presenza di
metalli od acqua, in grado quindi d’impedire o disturbare la corretta
trasmissione del flusso di dati tra tag e reader. Al crescere della frequenza
si osserva anche una riduzione del costo di produzione del tag, in quanto
ad elevate frequenze (in genere oltre i 100 MHz), sfruttando
l’accoppiamento del campo elettrico piuttosto che l’accoppiamento
magnetico, la trasmissione della potenza necessaria per interrogare il tag
può avvenire utilizzando un’antenna unifilare aperta, molto più economica e
semplice da realizzare rispetto alle antenne a spirale chiusa necessarie in
caso di frequenze più basse.
Fatti salvi gli stringenti vincoli normativi sulle potenze d’emissione
ammesse (problematica cruciale nel processo di sviluppo ed adozione di
tale tecnologia, in Europa e soprattutto in Italia), dalle precedenti
considerazioni discende che le applicazioni RFId in altissima frequenza
siano strutturalmente più adatte per ambiti come la logistica e la
produzione, mentre applicazioni a più bassa frequenza siano indicate dove
non è richiesta, o addirittura non desiderata, un’elevata distanza di lettura,
come, ad esempio, per il riconoscimento di una carta di prossimità in
un’applicazione di pagamento.
Altro parametro fondamentale riguarda il tipo di alimentazione delle
etichette, in base al quale si può distinguere tra tag passivi, semiattivi e
attivi. Un tag passivo è caratterizzato dal non aver a bordo alcuna fonte
d’alimentazione, per cui trae la potenza necessaria ad attivare i circuiti
logici e la risposta in onde radio concatenando energia dal campo
elettromagnetico generato dal reader che lo interroga
16
. Per tale motivo
risulta la tipologia di tag attualmente più diffusa, anche perchè si
configura come la più economica
17
. Un tag semiattivo è dotato, invece, di
16 Il transponder di tipo “passivo” non ha batterie al suo interno e per accenderlo lo
scanner trasmette un breve impulso in radio-frequenza relativamente intenso, che è
captato dalla sottile antenna collegata al chip e trasformato in corrente continua. Al
termine dell’impulso, un condensatore mantiene acceso il chip, che inizia ad accettare i
comandi emessi dallo scanner ed a trasmettere i dati contenuti al suo interno,
commutando l’antenna in trasmissione. Lo scambio dati dura pochi millesimi di
secondo, ma è sufficiente per la maggior parte degli scopi; in caso di necessità il lettore
invia altri impulsi in radio-frequenza per tenere acceso il tag più a lungo.
17 Le più comuni tipologie di tag RFId passive sono:
- sistemi RFId Low Frequency che operano a circa 125 KHz, con una portata
massima di circa mezzo metro;
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una sorgente di alimentazione, che però non è utilizzata per supportare la
parte radio, bensì serve ad assicurare al tag alcune funzionalità aggiuntive.
In passato, quando non erano disponibili memorie flash, la batteria serviva
per alimentare, appunto, la memoria, mentre oggi è utilizzata per attivare dei
sensori (di temperatura, di movimento, ecc) incorporabili sull’etichetta
stessa. Un tag attivo, invece, possiede una propria sorgente
d’alimentazione, tipicamente utilizzata per assicurare una più ampia portata
al segnale radio emesso autonomamente, aumentando così, in modo
significativo, sia la distanza di lettura, in funzione delle esigenze della
singola applicazione, sia i costi dell’etichetta stessa.
I tags, inoltre, si possono differenziare in quanto dotati di memorie che in
termini di capacità vanno da pochi bit fino a 32 Kbyte
18
, offrendo, quindi,
un ampio supporto su cui immagazzinare una quantità di dati molto
superiore al barcode. La memoria interna può essere del tipo Read Only (in
cui il codice univoco d’identificazione del tag è apposto dal produttore
dell’etichetta stessa), Write Once+Read Only (in cui il tag è “battezzato” dal
produttore dell’item a cui l’etichetta è associata), oppure Read & Write, che
offre la massima flessibilità in termini di numero di scritture e di chi le
esegue (in questo caso, alcuni dati, come il numero di serie che personalizza
ogni chip, sono memorizzati in modo permanente, mentre un’altra zona
della memoria è a disposizione per essere più volte aggiornata durante
l’uso).
Chiaramente, oltre che i parametri tecnici anche l’insieme delle
informazioni contenute sull’etichetta elettronica è opportunamente
modulato in corrispondenza delle specifiche necessità dell’applicazione ed
in conformità agli standard relativi al contesto d’impiego in cui si colloca.
In alcuni casi, tali informazioni possono essere addirittura crittografate,
proprio per assicurarne, tramite la cifratura dei dati trasmessi e/o ricevuti,
una maggiore sicurezza ed integrità
19
.
- sistemi RFId High Frequency che operano a 13,56 MHz, con una portata massima
fino a 1 metro;
- sistemi RFId Ultra-High Frequency che operano a diverse frequenze, tra cui 868
MHz (in Europa) e nelle bande dei 915 MHz e dei 2,45 Ghz; la loro distanza di
lettura tipica va da 1 a 3 metri, mentre i sistemi che operano nella banda dei 915
MHz possono raggiungere portate superiori a 6 metri.
18 Anche se esistono prototipi fino a 128 Kbyte.
19 Problema cruciale, in parte sovrapposto alle questioni relative alla protezione della
privacy, riguarda la sicurezza delle informazioni contenute sulle singole etichette. Gli
odierni tags RFId sono sistemi tecnologicamente “promiscui”, ovvero che rispondono a
qualsiasi lettore tenti d’interrogarli, lasciando per ora irrisolte problematiche operative