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Favoriti dalla precedente normativa, hanno assunto perlopiù un ruolo di speculatori,
inserendosi negli interstizi lasciati aperti dalle Case e attivando così fenomeni di
arbitraggio che tuttavia non sono bastati a omogeneizzare il livello di prezzo nei vari
paesi. La loro esistenza è stata osteggiata dalle Case costruttrici in vari modi,
puntualmente sanzionati dalla UE che tutela i canoni della libera concorrenza.
Lo stato della rete di distribuzione è sicuramente disomogeneo nei vari paesi
europei: vi sono paesi ad alta densità di punti vendita che realizzano fatturati unitari
sul nuovo assolutamente insufficienti a giustificarne la sopravvivenza (come in
Germania, dove tuttavia lo status quo permane grazie alle preferenze dei
consumatori tedeschi in termini di assistenza ufficiale ed alla conseguente
particolare configurazione della rete, con molti punti di assistenza), accanto a paesi
dove le reti si sono già evolute verso sistemi multimarca (come in Svezia, dove la
bassa densità di popolazione ha condotto a questa situazione).
Con il presente lavoro si vogliono analizzare le caratteristiche strutturali del settore
automotive, evidenziando i rapporti con le case costruttrici e con i consumatori,
sottolineando le linee guida alla base di questo processo e verificando quello che
avviene sul piano operativo, con l’obiettivo di definire una linea strategica da
perseguire per una gestione d’impresa di successo.
La prima parte è dedicata al rapporto industria - distribuzione.
Da una prima analisi economica e generale del rapporto industria – distribuzione,
della gestione della complessità e delle relazioni che si instaurano tra i diversi
operatori del canale si passa ad un esame delle diverse fasi di trasformazione
attraversate nel tempo dalle strutture di commercializzazione auto, esaminando
quelle dinamiche che hanno portato al fondamentale passaggio dal mercato del
venditore a quello del consumatore.
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Dal punto di vista qualitativo, ci si accorge della crescente presa di coscienza del
consumatore che diventa il vero protagonista del mercato. Il risultato è un’accelerata
segmentazione della domanda a cui i costruttori devono rispondere con un’offerta
più variegata di modelli e versioni di auto, incalzati dalla forte concorrenza dei
Giapponesi, che cominciano a conquistare posizioni di rilievo, proprio perché
basano la loro strategia sulla varietà di modelli e sulla customer satisfaction,
focalizzando l’attenzione sulla qualità.
La seconda parte analizza il grado di soddisfazione dei rapporti con le case
automobilistiche (Dealer satisfaction) alla luce dell’intenso processo di
riorganizzazione in atto, per valutare le percezioni degli operatori della
commercializzazione in merito allo stato di salute dei rapporti di canale, indagando i
vari elementi che li compongono.
Per cogliere in modo adeguato la natura dei rapporti tra case automobilistiche e reti
di concessionari nei principali mercati (soprattutto Europa e Stati Uniti) è opportuno
riassumere brevemente la storia della commercializzazione automobilistica, che può
essere letta in tre fasi principali, che si muovono da un sistema misto, fatto di filiali
di proprietà e liberi venditori, verso le reti di concessionari.
In pratica, con la diffusione di un sistema distributivo basato su reti di concessionari
esclusivi, ne seguiva una sorta di ‘quasi-integrazione verticale’ (Harrigan 1983) tra
costruttori automobilistici e rete di distribuzione. La rete era costituita da operatori
indipendenti, ma le politiche di marketing di questi ultimi erano dettate dagli
obblighi stabiliti nel contratto di mandato, da cui il dealer non poteva esimersi senza
il rischio di perdere il rapporto. Questa possibilità rappresentava un rischio
considerevole, dati gli elevati investimenti in attrezzature e stock (soprattutto
ricambi), che rappresentavano costi affondati in caso di termine del rapporto,
difficilmente recuperabili e con un’alta probabilità di fallimento.
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Nel complesso il rapporto proposto dai costruttori (e accettato dai dealer) è
progressivamente evoluto con maggiori limitazioni ed obblighi imposti ai dealer,
assumendo le caratteristiche di un rapporto leonino in cui i costruttori, sebbene non
controllassero i dealer in termini proprietari e/o finanziari, potevano ampiamente
determinarne i comportamenti ponendo seri vincoli alla diffusione di meccanismi
competitivi.
L’affermarsi di questa situazione è stato possibile da condizioni di mercato
favorevoli, che hanno creato opportunità per profitti elevati per i costruttori. Questi
profitti in parte sono stati trasmessi alle reti di dealer, che in pratica hanno accettato
di rinunciare alla loro indipendenza imprenditoriale (quasi cancellata dai vincoli del
rapporto di mandato), in cambio di elevati livelli di redditività.
Va tenuto presente che questa situazione di quasi-integrazione verticale ha potuto
garantire anche alcuni benefici per i consumatori. Ad esempio, l’obbligo per i dealer
di svolgere servizi di riparazione e di fornitura di ricambi garantiva capillarità, anche
nel caso in cui questi servizi non fossero economicamente appetibili in determinate
zone.
In secondo luogo, la limitazione di concorrenza nei rapporti di canale (esclusività
territoriale e di marchio), pur creando una certa distorsione nei meccanismi
competitivi, poteva garantire un basso grado di turnover e quindi una relativa
stabilità di rapporto tra consumatori e dealer.
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La terza parte del presente lavoro analizza le politiche distributive delle case , la
natura delle relazioni e le scelte assunte per la gestione del rapporto con i dealer.
Vedremo quali sono le alternative per impostare una strategia distributiva,
analizzando vantaggi e svantaggi delle tre opzioni perseguibili (commercializzazione
del prodotto attraverso un’ampia diversificazione degli attori, come ad es. specialisti
nuovo, multimarca, grande distribuzione, internet, commercializzazione del
prodotto attraverso la costituzione di filiali distributive (integrazione a valle),
commercializzazione del prodotto attraverso una riorganizzazione delle reti di
concessionari esistenti).
Verranno inoltre analizzate le strutture delle reti distributive in un panorama
europeo, osservando le principali differenze nei diversi paesi considerati. Di
particolare interesse l’ultimo paragrafo , che evidenzia l’evoluzione e l’importanza
crescente dei dealer group (gruppi imprenditoriali a capo di più dealer).
Analizzeremo le motivazioni alla base di una strategia di concentrazione e ci
soffermeremo sulle probabilità di sviluppo futuro.
La quarta parte, politiche del concessionario, nasce dalla considerazione che la
strategia di concentrazione, sulla scia dei dealer group ormai affermati sia sul
mercato statunitense sia nei principali mercati europei, possa esser considerata la
migliore percorribile dal concessionario. La bassa redditività infatti, come risulta
evidente da una analisi dei bilanci di un campione di dealer selezionati, spinge alla
concentrazione.
Un accento particolare tuttavia è posto allo studio commissionato dall’ UE sulle
preferenze delle forme di distribuzione dei consumatori, dal quale risulta che il ruolo
del concessionario difficilmente potrà cedere il passo alle nuove forme distributive.
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CAPITOLO I
I RAPPORTI INDUSTRIA - DISTRIBUZIONE
La distribuzione commerciale è un sistema in continua evoluzione, diretto a
collegare due universi contraddistinti da un dinamismo crescente di tipo circolare:
- il mondo del consumo, influenzato da variabili demografiche, economiche,
culturali e sociali, che per sua natura richiede un processo ininterrotto di
cambiamenti dell’offerta;
- il mondo della produzione, influenzato da variabili tecnologiche, organizzative
e dimensionali , che a sua volta, e per sue scelte strategiche ed organizzative,
produce influenze continue e sistematiche sul comportamento del consumatore.
Il mondo della distribuzione, trovandosi al centro di questi processi innovativi
circolari, adatta in modo idoneo e tempestivo le proprie scelte, approfittando e non
subendo gli effetti dell’innovazione (Sciarelli,2000). Da ciò deriva il particolare
dinamismo dell’intero sistema distributivo e dei suoi attori, che tendono a non
subire soltanto i riflessi dei mutamenti dei mondi da “collegare”, ma anche in certa
misura a condizionarli.
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Industria e distribuzione concorrono insieme a formare il valore finale di un
bene, rappresentato non solo dalla sua capacità intrinseca di soddisfare un bisogno,
ma anche dalla possibilità di “aderire” alle necessità del processo d’acquisto
(Alderson, 1957). Se tradizionalmente l’attività distributiva era considerata
un’attività subordinata a quella produttiva, volta a collocare i beni sul mercato,
senza intervenire sulla natura e senza contribuire ad orientare le produzioni future
(in quanto considerata attività puramente logistica), nella realtà di oggi va
arricchendosi di contenuti informativi indispensabili per l’attività produttiva e per
gli acquisti sul mercato, attraverso ad esempio il monitoraggio costante della
domanda, allo scopo di fornire un contributo alla produzione di beni e servizi che
possano soddisfare la varietà e la variabilità dei bisogni dei differenti segmenti di
mercato.
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1.1 FUNZIONE COMMERCIALE DELL’IMPRESA
INDUSTRIALE
Nella gestione dell’impresa industriale la funzione commerciale è una delle
funzioni primarie, strettamente legata alle strategie di sviluppo e a quelle
competitive. Come noto la distribuzione rappresenta una fondamentale politica di
marketing, che a sua volta si lega alle altre politiche (di prodotto, di prezzo e di
produzione) che definiscono il marketing mix aziendale. Come vedremo, mentre in
passato il produttore era considerato il leader indiscusso del canale, avendo il
compito di definire la struttura dello stesso, i singoli componenti e controllare
l’intero processo distributivo sino al consumo finale, nella realtà di oggi tutto ciò è
cambiato. L’intermediario commerciale , infatti, abbandona la sua figura di
semplice anello della catena distributiva per acquisire una veste strategica. Del
resto le politiche distributive hanno contenuti assai diversi da azienda a azienda e
da settore a settore. La piccola impresa è più condizionata dal potere degli
intermediari commerciali che in tale circostanza assumono la leadership del
canale: la grande impresa , forte di un maggior potere contrattuale e spinta dalla
necessità di assicurare una più ampia penetrazione , preferisce controllare
direttamente le politiche di distribuzione al consumo. Le scelte distributive
dell’impresa industriale sono in generale legate al tipo di strategia competitiva
adottata e all’orientamento assunto nei confronti del consumatore finale. Lo
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sviluppo delle vendite dipende infatti non solo dalle azioni promozionali
dell’industria (PULL) ma anche dalle attività coordinate dei distributori (PUSH),
indipendenti o integrati nella struttura dell’impresa (Sciarelli, 2000).
Il processo di determinazione dell’intero percorso distributivo può essere
articolato in 3 fasi:
1) determinazione della tipologia distributiva nel segmento di mercato scelto
(livello di contatto con il mercato)
2) definizione dell’intensità della distribuzione( selettiva, esclusiva o estensiva)
3) selezione dei partner
1.1.1 INDIVIDUAZIONE DEL CANALE
Il processo di analisi volto all’individuazione delle alternative distributive
parte dallo studio dei bisogni e dei comportamenti di acquisto del target dei
consumatori. I canali di distribuzione variano in relazione alle peculiarità dei
prodotti , del mercato, del territorio e della struttura distributiva su di esso
esistente.
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1.1.2 VALUTAZIONI DELLE ALTERNATIVE DISTRIBUTIVE
La valutazione delle differenti alternative distributive avviene in base
all’utilizzo di un insieme di criteri e indicatori di efficacia ed efficienza sia
quantitativi (economico-finanziari) che qualitativi (controllo della domanda,
prestigio, notorietà) L’analisi dei costi consente di stabilire, con una certa
attendibilità, la convenienza economica di ciascuna alternativa: l’imprenditore
industriale, infatti, propende per la soluzione che gli consenta di ottenere un
margine di contribuzione più elevato. Tuttavia le analisi basate su criteri di natura
economico-finanziari costituiscono solo la base quantitativa su cui l’impresa
innesta valutazioni di carattere qualitative (ad esempio il grado di controllo dei
mutamenti , dei modelli di consumo e della varietà e variabilità dei bisogni del
mercato) Specie nel comparto dei beni problematici le informazioni di mercato
rappresentano un fattore competitivo di importanza strategica crescente.
L’integrazione verticale a valle consente l’accesso diretto a questo tipo di
informazioni, oltre ad assicurare una politica di vendita conforme agli obiettivi
dell’azienda.