2
realtà da dove viene questa poesia? E che razza di poeta è
Penna?
La ricostruzione storica della sua fortuna critica ha visto
avvicendarsi diverse fasi a volte coincidenti con un preciso
orientamento letterario: la critica degli anni '30 e '40 ha
tentato di ascriverlo all'alveo ermetico, sebbene come
comprimario, come poeta minore, concentrando l'attenzione
sulla brevità dei suoi componimenti e sul tema
allusivamente omoerotico di facile accostamento
all'alessandrinismo o al frammentismo di marca tardo-
vociana; Pasolini ha dato inizio, nel corso degli anni '50, a
una nuova stagione della critica penniana, confutando le
precedenti letture, improntate sull'ingenua grazia e sul
candore sensuale, attraverso il ricorso ad una analisi
psicologica rigorosa ed appassionata che, continuamente
sorretta e completata da geniali intuizioni in campo
stilistico, ha centrato in pieno i gangli vitali della psicologia
non meno che della poesia di Penna. Una lettura capitale,
quella di Pasolini, punto di partenza obbligato per tutti i
contributi interpretativi successivi. Così è stato per i lettori
degli anni ’70, Raboni, Debenedetti e Mengaldo che,
tuttavia, hanno cercato di prescindere dal piglio psicologico
del critico bolognese concentrando maggiormente le loro
analisi sul piano stilistico e formale. Nel frattempo, sul
finire degli anni ’50, compariva sulla scena della critica
penniana il primo saggio di Cesare Garboli, il quale ha
dedicato, in seguito, una cospicua messe di referti al poeta,
facendosi l’interprete più accreditato dell’uomo Penna,
proseguendo, quindi, sulla linea pasoliniana: diagnosi
3
psicologiche tese a scandagliare il nesso tra arte e malattia,
tra “fanciullismo” e slancio superomistico nella poesia
penniana. Ma Garboli ha pure segnato uno snodo
fondamentale nell’iter degli studi sul poeta perugino,
facendovi entrare la filologia per mettere ordine tra inediti e
raccolte postume (apocrife?) proliferate dopo la morte,
avvenuta nel ’77, di Sandro Penna.
Attraverso Garboli arriviamo al primo Convegno nazionale
di studi dedicato interamente al poeta, svoltosi a Perugia nel
1990: una visione d’insieme che ha approfondito la poesia
di Penna da molteplici punti di vista, ma che ha registrato
per l’ennesima volta la difficoltà di uscire da pregiudizi e
categorie interpretative “comuni” o ancora troppo legati alla
sessualità ed alla leggenda, o addirittura dalla
commemorazione. Non a caso lo stesso Garboli, vedremo
come e perché, ha parlato di Convegno di frontiera.
Negli anni ’90 non c’è stato un forte incremento dei
contributi sulla poesia di Penna, fatta eccezione per la
curatela da parte di Roberto Deidier del carteggio Montale-
Penna e delle lettere di Umberto Saba a Penna
1
; piuttosto il
poeta è sembrato uscire dalla fama di autore di nicchia, solo
per specialisti.
Un nuovo Convegno, svoltosi poco più di un mese fa a
Roma nei giorni 30 e 31 maggio, ha condensato le
esperienze di lettura maturate a cavallo tra i due secoli: la
necessità di un commento di tutte le poesie edite per capire
la poesia dal di dentro, senza ricorrere al dato biografico; il
riconoscimento della difficoltà di un poeta apparentemente
1
E. Montale-S. Penna, Lettere e minute 1932-1938, Milano, Archinto, 1995, e U.
Saba, Lettere a Sandro Penna (1929-1940), Milano, Archinto, 1997.
4
tutto in luce il quale ha mostrato, e continua a mostrare
tutt’ora, i limiti della critica letteraria quando si trova alle
prese con un autore assolutamente non racchiudibile in una
definizione unificante ed onnicomprensiva, un autore del
tutto estraneo ai paradigmi del suo tempo, troppo originale
per essere trattato con strumenti comuni.
5
La poesia di Sandro Penna nella critica letteraria
Capitolo primo
Penna e la critica ermetica
1. Anceschi
2
Il primo rilevante contributo riguardo la poesia di Sandro
Penna porta la firma di Luciano Anceschi. Il saggio
3
,
apparso nel 1939 su «Letteratura»
4
, tempestiva recensione
alla raccolta d’esordio di Penna dello stesso anno, se si fa
eccezione per un nugolo di poesie apparse precedentemente
in rivista, muove da una citazione leopardiana concernente
la capacità della poesia di somministrarci
5
piacere senza
2
Anceschi Luciano (Milano 1911 - Bologna 1995) critico e saggista italiano. Nel
1957 fondò la rivista «Il verri», di cui fu direttore. Svolse un ruolo di rilievo
nell’analizzare e promuovere orientamenti culturali come l’ermetismo e la
neoavanguardia.
3
L. Anceschi, Sensibile candore di Penna in «Letteratura», III (n. 4), 1939, ora in
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, Bologna, Boni, 1942, pp. 59-65.
4
Rivista trimestrale (poi bimestrale) fondata a Firenze nel 1937 e diretta da A.
Bonsanti. Raccolse l’eredità di «Solaria», conservandone il gusto squisitamente
letterario, chiuso a qualsiasi sollecitazione politica e sociale, ma attento agli
esperimenti formali delle avanguardie europee e americane; nel complesso la rivista
costituì un’alta lezione di stile e di rigore metodologico, contrapposti al
provincialismo della cultura filofascista. Uscita irregolarmente durante e dopo la
guerra, nel 1950 si trasformò in quaderni trimestrali dal titolo abbreviato «L. A.»
(Letteratura, Arte), ma dal 1953 riprese il nome originario. Ha cessato le
pubblicazioni nel 1968.
5
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, Bologna, Boni, 1942, p. 59, oppure vedi
in G. Leopardi, Zibaldone, edizione integrale, Roma, Newton & Compton, 2001, p.
20.
6
mediazioni; emozionandoci senza lasciar trasparire in noi il
minimo dubbio sul perché di tale emozione.
L’osservazione-ripresa iniziale di Anceschi, e così l’intero
scritto, si impernia, rivoltandosi su se stesso, come chi
nell’attesa di prendere sonno cerca la posizione adatta per
addormentarsi, sulle condizioni di purezza e di inutilità
6
(“utili” sono, nell’intuizione di Leopardi sopraccitata, “le
opere che procurano il piacere mediatamente, cioè
mostrando come ce lo dobbiamo procurare”), di infantile
innocenza, abbandonata gioia della poesia di Penna; si
parla addirittura di poesia ingenua: riscontrando in essa
un’aperta gioia fisica, o meglio fisiologica come un’estasi,
un rapimento naturale
7
.
Anceschi non esita, inoltre, a parlare di dono; un dono che
implicherebbe i più segreti rapporti tra poesia e voluttà ma
a patto di una precisazione: i versi penniani si situano
sempre al di qua, mai al di là, di ogni inquietudine morale
ed è cosi che palesano il dono di una lieta e facile simpatia
immediata
8
.
Dunque, il primo dato messo in luce da questo breve saggio
è il sicuro riconoscimento di Penna come poeta autentico,
voce pura
9
; qualità, queste, che erano state fissate già da
Sergio Solmi
10
prima che il volumetto Poesie venisse
pubblicato presso l’editore Parenti di Firenze, e che
sembravano far presagire quel consenso che, insieme però
6
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 59.
7
Ibidem.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
10
Solmi Sergio (Rieti 1899 - Milano 1981) poeta e saggista italiano. Fondò con G.
Debenedetti e M. Gromo la rivista «Primo tempo» e collaborò anche al «Baretti».
7
ad una strana diffidenza, avrebbe condito tante pagine
dedicate al poeta perugino.
Dopo una prima occhiata che ha il semplice fine di
inquadrare il soggetto da ritrarre, le dita, roteando
leggermente sull’obiettivo, iniziano l’operazione della
messa a fuoco: così il critico può parlare di un senso vivo e
saporoso del tempo poetico, consegnato nel linguaggio,
anzi, assaggiato nella sua struttura e nel suo vocabolario
11
,
oppure tentare una ricostruzione per grandi linee del
retroterra dell’esperienza poetica penniana, giudicando i
richiami a Saba ed ai crepuscolari come facili, un po’ di
superficie
12
e negando la presenza di Montale. Senza mai
scattare, però; cioè rimanendo sempre su una certa
leggerezza di tocco. Non che ciò sia imputabile, alla stregua
d’un limite, vista la puntualità di questo contributo critico.
Sembra, per l’appunto, affrettato il richiamo a certa
keatsiana
13
pigrizia e sonnolenza
14
, la quale attiverebbe,
lasciandola estremamente libera come nella dimensione
onirica, la fantasia, che prende sempre il suo suggerimento
dai sensi
15
: sembra affrettato, ho scritto qualche riga sopra,
perché la produzione futura di Penna lascerà ben poco
spazio alla fantasia, facendo del perugino il poeta della
verità, della vita e della malattia, sempre l’una tra le capienti
braccia dell’altra
16
; e d’altronde non è assolutamente
11
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 60.
12
Ibidem.
13
Keats John (Londra 1795 - Roma 1821) poeta romantico inglese; Sleep and poetry
(trad. it. Sonno e poesia) è il titolo di una sua raccolta di liriche.
14
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 61.
15
Ibidem.
16
Riguardo la possibilità di ascrivere l’esperienza poetica penniana all’interno della
temperie letteraria realista, designandola come una sorta di anticipazione del
neorealismo, cfr. P. P. Pasolini, Passione e ideologia, Garzanti, Milano, 1960, pp.
389-407.
8
accusabile Anceschi di non aver scritto con la palla di vetro
sulla scrivania; anche se la scrittura penniana rimarrà
essenzialmente bloccata, o meglio ancorata saldamente,
facendosi addirittura quasi monotimbrica, sul tono
ravvisabile chiaramente già in questa prima pubblicazione:
elezione linguistica sostanzialmente ricalcata sul
petrarchismo mediato dal Leopardi dei Canti
(monolinguismo di Penna, prendendo in prestito una
definizione continiana), tuttavia abbassata di grado,
novecentizzata, ossia venata, brevi ma luminosissimi lampi
a ciel sereno, a volte da parole ed espressioni prosastiche,
piccoli fiori spuntati sul ramo delle trite parole sabiane,
altre, invece, dallo sgorgare della fisicità in un’atmosfera
immobile e casta, l’aria serena dopo la tempesta. Anche i
metri prediletti di Penna appartengono alla tradizione lirica
italiana: una maggioranza schiacciante di endecasillabi
17
e
settenari.
Anceschi giunge finalmente al punctum dolens della poesia
di Penna, e non potrebbe essere diversamente vista la
libidica monotematicità, solcando questo suolo difficoltoso
sempre in punta di piedi: l’amore omosessuale, il quale non
necessita di essere mascherato o trasposto in versi attraverso
una qualsiasi mediazione di sorta, come, invece, insegnava
la poetica dell’oscurità, della rarefazione, della parola quale
strumento mistico-ascetico: l’ermetismo. Perciò, se la
tastiera linguistica di questo poeta è piuttosto limitata,
benché seducente, il suo tratto moderno risiede proprio nella
17
Sulla peculiarità, tutta penniana, di costruire versi di dieci o dodici sillabe e
scandirli, cantarli come endecasillabi cfr. G. Raboni, Poesia degli anni sessanta,
Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 196-205.
9
incapacità di non essere cristallino, di esibire una sfrontata
chiarezza che appare così forte da sovrastare l’operare
continuo dell’autocensura, la quale indusse spesso Penna a
tirare fuori dal fascicolo di poesie pronte alla stampa quelle
che al poeta stesso sembravano troppo spinte, oscene
18
. Ce
ne informa, del resto, il poeta stesso nella Nota posta a
conclusione della raccolta garzantiana Poesie del 1957:
Quelle che mancano [le poesie], non sempre sono assenti per
ragioni estetiche; ma non sono poi tante quelle che, pur
piacendomi, ho dovuto tenere nel cassetto. […]
19
Appurata la stretta, ambigua connessione tra poesia,
sensualità, e […] voluttà
20
nella raccolta del 1939, rimane
l’oneroso compito di chiarirla:
questo amore è […] una sensibile immagine poetica, forse la più
insistita: così questo indisciplinato eros si libera e si purifica in
una naturalezza senza problemi. Di qui il candore sensuale e
voluttuoso che forma l’alone delle parole, il tono […]
21
.
E’ così che il sensuale amore d’infanzia si formalizza
attraverso un freschissimo gusto di forma-colore
22
.
Ed ecco che l’Anceschi, parlando del discorso ritrovato
nella produzione del perugino, punta l’attenzione sulla
essenzialità rigorosa: il discorso poetico deve essere
18
Si veda in C. Garboli, Penna Papers, Milano, Garzanti, 1996, oppure il capitolo
IV dedicato agli studi di Garboli sul poeta.
19
S. Penna, Poesie, Milano, Garzanti, 2000, p. 222.
20
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 62.
21
Ibidem.
22
Ivi, p. 63.
10
discorso poetico, non narrazione, non moralità
23
. Ci siamo:
la prima stretta a quel nodo gordiano della critica penniana,
che solo a partire da Pasolini inizierà ad essere districato, e
cioè della volontà di ascrivere Penna, seppure in modo
marginale, come poeta splendidamente minore, all’alveo
ermetico, la vediamo materializzarsi logicamente attraverso
la mano di un critico appartenente a quell’orientamento di
scuola fiorentina che ha trovato il suo atto di nascita, o
perlomeno di legittimazione, nel saggio di Carlo Bo
24
Letteratura come vita, datato 1938, che divenne
rapidamente la bibbia del verbo ermetico
25
.
Nulla è più artificioso di ciò che pare esserlo meno. Se
dovessimo trovare un campione tale da dimostrare la liceità
di questa massima, non dovremmo cercare a lungo o chissà
dove:
riguardo ai problemi di stile, l'apparente "facilità" non ci deve
trarre in inganno, ad una considerazione di trascuratezza: si
tratta di una naturalezza conquistata, e ce ne fanno avvertiti certe
gelosie più "segrete" del mestiere
26
.
La rima usata sapientemente o sostituita dall'assonanza,
l'ambiguità finemente giocata su polivalenze oggettivali
vaghe ma poeticissime.
Un altro nodo, come quelli che gli amati marinai, figure
frequentissime nel corpus penniano, facevano con le cime al
porto di Ancona, si stringe contiguo e complementare a
23
Ibidem.
24
Bo Carlo (Sestri Levante, Genova 1911 - Genova 2001) critico italiano. Esponente
della cultura cattolica, è stato tra i principali teorici e interpreti dell'ermetismo.
25
G. Leonelli, La critica letteraria in Italia (1945-1994), Milano, Garzanti, 1994,
pp. 58-60.
26
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 64.
11
quello precedente (o sarà forse il doppio dell'altro, per
assicurarlo fermamente?), divenendo un tòpos della critica
penniana almeno fino alla metà degli anni '50: la
somiglianza di sangue cogli ellenistici, coll'esile, ma pura
vena poetica degli Alessandrini
27
.
Troppo spesso, invero, la brevità e l'agilità epigrammatiche
unite alla perizia formale e all'oggetto fisso del poeta,
acconsentiranno ad una possibile catalogazione di Penna
come ultimo tra gli epigoni dell'alessandrinismo; spetterà al
solito Pasolini, lettore attento munito di una particolare
sensibilità per le sfumature psicologiche, aprire un nuovo
capitolo della critica penniana, il cui proseguimento sarà
nelle letture garboliane, che è stato definito dallo stesso
Garboli clinico, vista l'insistenza sulla malattia del poeta
(ma soprattutto dell'uomo) che giunge quasi a trasformare i
saggi in referti anamnesici da specialista.
27
L. Anceschi, Saggi di poetica e di poesia, cit., p. 64.