5
infatti ignorare che l’eutanasia quale problema giuridico sorge
essenzialmente in risposta ad una domanda nuova, le cui tracce
possono essere rintracciate soprattutto nell’incredibile progresso della
tecnica, in specie medica, ed in una mutata sensibilità morale riguardo
al tema. Per quanto riguarda il termine eutanasia, se pure risulta
evidente il significato etimologico greco
4
, rimane tuttavia concetto ben
poco chiarificatore, che nei secoli ha assunto significati assai
differenti
5
. Così se nell’antichità il termine conservò il suo autentico
ed originario significato di buona morte
6
, che si trattasse di morte
valorosa
7
o di morte tranquilla, nella pace della propria casa e nel
conforto dei cari
8
, bisognerà attendere l’età moderna per incontrare un
norma giuridica presuppone la istituzione da cui deriva), non c’è diritto; la norma morale,
invece, secondo l’opinione accennata, non avrebbe valore se non in quanto è interiore,
cioè qualche cosa di irriducibilmente diverso dalla norma giuridica.” (voce Diritto e
morale in ROMANO S., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 70-71).
Circa i residui normativistico-statualisti e le aporie della teoria istituzionalistica
romaniana, v. GENTILE F., Ordinamento giuridico fra virtualità e realtà, Padova, 2001,
16 ss., PAGALLO U., Alle fonti del diritto. Mito, scienza, filosofia, Torino, 2002, 160 ss.
Da ultimo una precisazione terminologica: in questo lavoro si considereranno sinonimi i
termini morale ed etica, una cui differenziazione, pure accolta da taluni filosofi, sembra
solo fonte di confusione, data la medesima radice etimologica (l’una latina, l’altra greca:
cfr. fra tutti DA RE A., Filosofia morale, Milano, 2003, XI).
4
Η Ξ Τ ∆ Θ ∆ Ω Ρ 9, letteralmente buona morte.
5
Per una veloce ricognizione, v. LUCHETTI G. – MASINI D. – MATTIOLI F., Spunti
per un’indagine sull’eutanasia nel mondo antico, in Eutanasia e diritto. Confronto tra
discipline, a cura di CANESTRARI S., CIMBALO G., PAPPALARDO G., Torino, 2003,
23 ss., TRIPODINA C., Profili comparatistici dell’eutanasia. Itinerari giuridici alla
scoperta di un “diritto” in via di riconoscimento, in Dir. pubb. comp. eur., 2001, 1715 –
1716 nt. 9.
6
Nell’antichità il termine non era invece usato per taluni fenomeni riconducibili, secondo
la terminologia attuale, alla c. d. eutanasia collettivista: v. ad es. l’uccisione dei neonati
deformi a Sparta o l’expositio romana.
7
Così ad es. in Polibio, Hist. V, 38, 8-10.
8
Così Svetonio, Aug. 99.
6
utilizzo del termine più vicino al significato attuale (rectius, ai
significati attuali): se Thomas More, nella sua Utopia (1517), arrivò a
prospettare tanto ipotesi di eutanasia terapeutica o pietosa quanto di
eutanasia eugenica o economa
9
, il primo pensatore a riutilizzare
espressamente questo termine fu Francis Bacon, nel suo Of the
Proficience and Advancement of Learning (1605, ampliato poi nel
1623 nel De dignitate et augmentis scientiarum). Qui Bacon per la
prima volta limita l’applicazione del termine eutanasia al rapporto
medico-paziente, con il significato di attività antidolorifica svolta da
parte dei medici, mossi esclusivamente da sentimenti di compassione,
nei confronti di chi sia affetto da malattia incurabile e dolorosa.
Tuttavia non si può fare a meno di notare che il vero dibattito riguardo
al problema dell’eutanasia, intesa in senso contemporaneo, ha preso
avvio solamente nel XX secolo, e con particolare drammaticità verso
la sua fine
10
. Il secolo appena trascorso ha conosciuto infatti un
incredibile progresso di tutte le scienze, non per ultima di quella
medica. La sempre maggiore possibilità dello scienziato di imporre il
proprio dominio tecnico
11
sull’esistenza degli uomini, anche in quegli
9
Per un’analisi di tali distinzioni, v. par. 2. In quest’opera il filosofo ipotizza che sia un
comitato di sacerdoti e magistrati ad avere il compito di consigliare ai pazienti affetti da
malattia dolorosa o inguaribile di ricorrere ad una morte rapida attraverso il suicidio o
l’intervento dell’autorità. Può essere curioso notare come More si discosti vistosamente in
tema dall’attuale orientamento della Chiesa Cattolica, che pure lo ha elevato agli onori
degli altari. Sulla stessa scia si sarebbe posto nel XIX secolo, seppur ovviamente sulla
base di altre premesse, il filosofo positivista Auguste Comte.
10
E’ importante notare che solo in età contemporanea le istanze eutanasiche hanno
cominciato a caratterizzarsi per il loro individualismo umanitario, in sintonia con i nuovi
orientamenti filosofici. Quando si parla di eutanasia non può ormai farsi riferimento che a
quella pietosa.
11
Sul trionfo dell’homo faber sull’homo sapiens e sulla necessaria edificazione di una
nuova teoria etica che meglio risponda alle esigenze di una civiltà tecnologica, v. JONAS
H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 2002, 13 ss.
7
ambiti che mai sino ad ora avrebbero potuto esserne scalfiti, ha
generato nuove rilevanti problematiche dal punto di vista etico. Il
riferimento va in particolare ad un nuovo ramo degli studi etici,
pregnantemente denominato bioetica, il cui compito è quello di
analizzare sistematicamente il comportamento umano nel campo delle
scienze della vita e della salute alla luce di valori e principi morali
12
.
12
Questa è la definizione resa nel 1971 da Van Rensselaer Potter (la traggo da DA RE A.,
Filosofia morale, cit., 169), medico, che tra l’altro ha coniato il termine stesso.
8
2. Definizioni e distinzioni
Vediamo ora cosa si intenda concretamente ai giorni nostri,
giuridicamente parlando, con il termine eutanasia. Premesso che
permane ancora qualche difficoltà nell’individuazione di un concetto
unitario, data la tendenza degli studiosi a moltiplicare le definizioni
13
,
su un aspetto sembra esservi accordo: non è più possibile fare
riferimento al solo significato etimologico del termine, che di per sé
non ha ormai alcuna capacità orientativa
14
. Può invece notarsi come i
diversi fenomeni che ruotano attorno al nostro termine possano essere
ricondotti alla summa divisio
15
fra:
¾ Eutanasia collettivista, posta in essere per finalità collettive e
non consensualmente, cui possono essere ricondotte l’eutanasia
eugenica (metodi eliminativi diretti a migliorare la specie),
quella economica (per alleggerire la società dal peso di soggetti
economicamente inutili), quella criminale (eliminazione
indolore dei soggetti socialmente pericolosi
16
), quella
sperimentale (ai fini del progresso scientifico), quella
profilattica (eliminazione indolore di soggetti affetti da malattie
epidemiche) e quella solidaristica (sacrificio di soggetti a
favore della vita o della salute altrui). E’ chiaro che in alcun
13
Tendenza in cui si cela tra l’altro l’estrema difficoltà di una trattazione sul tema che
possa rivestire almeno parzialmente i caratteri dell’oggettività.
14
V. PORZIO M., Eutanasia, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 103.
15
Riprendo qui il ragionamento svolto in MANTOVANI F., Aspetti giuridici della
eutanasia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 448 ss., MANTOVANI F., Diritto penale.
Parte speciale, 1, Delitti contro la persona, Padova, 2005, 70 ss., nonché in PORZIO M.,
Eutanasia, cit., 103 ss.
16
Questo talora lo sbocco delle teorie della Scuola positiva: v. MANTOVANI F., Diritto
penale. Parte generale, Padova, 2001, 585 ss.
9
sistema penale democratico moderno tali pratiche eutanasiche
possano trovare cittadinanza
17
.
¾ Eutanasia individualistica (o c. d. pietosa), posta in essere per
un sentimento di pietà nei confronti della vittima, ha carattere
strettamente individuale e può essere consensuale o non
consensuale. A tale categoria è riconducibile la fondamentale e
non sempre facile distinzione fra eutanasia passiva (mera
omissione/interruzione del trattamento terapeutico) ed
eutanasia attiva (la morte viene cagionata dal medico attraverso
un comportamento attivo).
Non può sfuggire tuttavia come il concetto di eutanasia abbia subìto
una continua dilatazione, fino a comprendere significati assolutamente
eterogenei
18
. E’ dunque necessario fare maggiore chiarezza, anzitutto
escludendo l’utilizzo del termine eutanasia nel caso di rifiuto delle
cure operato da un paziente competente
19
, così come non si può
17
Nota tuttavia Mantovani l’attuale diffusione di mentalità utilitaristiche (v. par. 3) che
potrebbero portare all’ammissione di pratiche analoghe all’eutanasia solidaristica o
economa. Per taluni il caso potrebbe essere quello dell’Olanda, in cui l’eutanasia è stata
fatta oggetto di ampia liberalizzazione. Sui dati dell’applicazione della legge entrata in
vigore in questo paese l’1 aprile 2001 (applicazione estesa eccezionalmente persino ai
bambini al di sotto dei 12 anni afflitti da una malattia ritenuta incurabile che comporta
sofferenze ritenute insopportabili su richiesta dei genitori) è sorta una polemica furiosa,
anche in Italia: v. D’AGOSTINO F., Non è di una legge che abbiamo bisogno, in Il
diritto di morire bene, a cura di SEMPLICI S., Bologna, 2002, 32 ss.; contra MAGRO
M. B., Eutanasia e diritto penale, Torino, 2001, 232 nt. 6.
18
In questo senso v. anche le critiche in D’AGOSTINO F., Non è di una legge che
abbiamo bisogno, cit., 28 ss.
19
Per il c. d. diritto di lasciarsi morire: voluntas aegroti suprema lex (non potendosi
ipotizzare un dovere giuridico di curarsi, salvo in casi eccezionali concernenti
l’incolumità pubblica. Così chiaramente il secondo comma dell’art. 32 Cost.: “Nessuno
può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
10
parlare di eutanasia per indicare le cure palliative
20
. Qualche
considerazione può poi essere fatta per quanto concerne il c. d. divieto
di accanimento terapeutico (ovvero tutte quelle pratiche mediche
estreme e di carattere eccezionale poste in essere ormai per permettere
la sola continuazione della vita biologica da parte del paziente più che
in vista del suo reale interesse
21
). L’utilizzo di questa espressione, di
connotazione fortemente negativa, è stato criticato, in quanto ritenuto
impreciso e fuorviante: infatti o indica semplicemente la prassi
medica, da tempo seguita e pacificamente ritenuta legittima, per la
quale l’interruzione o l’omissione della cura, che si riveli fin da
principio inutile ed incapace di prolungare apprezzabilmente la vita di
un paziente la cui morte sia ormai certa, non possa essere ritenuta
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana”. Questo senza dimenticare il principio contenuto nel primo comma, per cui la
salute rappresenta certo un “fondamentale diritto dell’individuo”, ma anche “interesse
della collettività”. In merito v. fra gli altri BARBERA A., Eutanasia: riflessioni etiche e
comparatistiche in Eutanasia e diritto, cit., 2 ss.).
20
Si badi, nemmeno nel caso in cui queste in qualche modo accelerino il decesso:
fondamentale è che il fine primario sia quello palliativo. Una volta accertato questo, sarà
irrilevante il fatto che l’accelerazione del decesso giunga quale “effetto secondario” (e qui
il riferimento va alla tradizionale dottrina tomista del doppio effetto, formulata in origine
per giustificare la legittima difesa. L’azione non sarà dunque moralmente riprovevole, pur
cagionando il male: se l’atto in sé sia buono, o per lo meno indifferente; se sia
esclusivamente l’effetto buono quello appetito dal soggetto; se l’effetto cattivo non sia il
mezzo per ottenere il bene; se l’effetto buono sia proporzionalmente maggiore di quello
cattivo).
21
“Per finalità di carattere narcisisticamente tecnologico”: così D’AGOSTINO F., Non è
di una legge che abbiamo bisogno, cit., 29. Contro questo tipo di “accanimento
terapeutico” non esitò tra l’altro a scagliarsi lo stesso Pio XII (v. Discorso ai partecipanti
al IX Congresso della società italiana di anestesiologia del 24 febbraio 1957), con una
posizione di ferma condanna ribadita nei successivi documenti pontifici e, segnatamente,
nel n. 2278 del Catechismo della Chiesa Cattolica (v. nt. 26). Per la distinzione fra c. d.
mezzi terapeutici ordinari (sempre obbligatori e doverosi) e straordinari (opzionali), v.
TRIPODINA C., Profili comparatistici, cit., 1719.
11
causa o concausa della morte o di una sua apprezzabile
anticipazione
22
; ovvero potrebbe costituire un’affermazione
pericolosa, quando il concetto di “inutilità della cura” sia inteso in
senso lato, tanto da giustificare un’apprezzabile anticipazione della
morte. Il pericolo dovrebbe essere scongiurato semplicemente
chiarendo il significato giuridico di “morte”, intesa come morte
cerebrale irreversibile
23
: se dunque questa non sia ancora intervenuta,
persiste l’obbligo di continuare il trattamento rianimatorio; in caso
contrario non solo non sussiste l’obbligo di continuare il trattamento,
ma sorge al contrario l’obbligo di sepoltura.
Un’ulteriore fondamentale distinzione sussiste, come si diceva, fra
eutanasia attiva (mercy killing, nella terminologia anglosassone) ed
eutanasia passiva (letting die).
Quanto alla prima
24
, essa è nell’ordinamento italiano da considerarsi
illecita, tanto nel caso di eutanasia consensuale
25
quanto, a fortiori, nel
caso di eutanasia non consensuale.
Quanto alla seconda, sempre nell’ottica dell’ordinamento italiano, si
avrà riguardo dei principi generali in tema di omissione
26
, e parimenti
si distingue fra eutanasia passiva consensuale (che non è altro che il
22
Qui non si sarebbe nemmeno di fronte ad un’ipotesi di eutanasia passiva: cfr.
MANTOVANI F., Aspetti giuridici della eutanasia, cit., 460.
23
Questo risulta tra l’altro dalla l. 29 dicembre 1993 n. 578, la quale identifica la morte
con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
24
La quale viene generalmente distinta dalla c. d. eutanasia pura, ovvero dall’attività di
aiuto nel morire, il trattamento antidolorifico, considerato lecito e doveroso. Qui invece si
tratterebbe di vero e proprio aiuto a morire.
25
Per le proposte de iure condendo, v. par. 4.
26
Riferimento obbligato al secondo comma dell’art. 40 c.p.: “Non impedire un evento,
che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Perché dunque si possa
parlare di responsabilità del medico dovrà sussistere l’obbligo giuridico di praticare o
continuare le cure.