definizioni: una “procedurale”, ed una “culturale”. Quanto ai processi di democratizzazione, se ne
distinguono i due principali stadi di transizione democratica e consolidamento democratico, quest’ultimo
utilizzato secondo la sua accezione negativa (prevenzione del crollo democratico). Per delineare invece la
struttura analitica delle PSD, si è posta l’attenzione a due prospettive diverse e complementari: “democrazia
richiede contesto adatto”, la cui enfasi si pone sui fattori del consolidamento democratico; e “democrazia
produce contesto adatto”, che concentra l’attenzione ai fenomeni di transizione verso la democrazia. Perciò
si è effettuata la scelta di analizzare da un lato i fattori politico-istituzionali connessi alla “transitabilità” del
regime politico attuale, dall’altro quel complesso contesto amministrativo (inclusa la governance e la
performance statale), socio-economico e socio-storico-culturale, nei quali deve poter attuarsi il
consolidamento della democrazia.
Basando il modello analitico su una tripartizione dei fattori in politico-istituzionali (X), socio-
economici (Y) e socio-storico-culturali (Z), dall’incrocio di queste tre dimensioni si sono ricavati sette
gruppi di indicatori: (i) la forma politico-istituzionale del regime attuale; (ii) le caratteristiche socio-
economiche di ordine strutturale; (iii) le caratteristiche socio-economiche di ordine congiunturale (generale);
(iv) l’istruzione e le disuguaglianze sociali; (v) le caratteristiche storico-culturali generali; (vi) la cultura
politica e la manipolazione dei conflitti culturali; (vii) la società civile e il capitale sociale.
Complessivamente, gli indicatori dell’analisi sono 25.
(4, analisi empirica) Definito il quadro teorico e metodologico, si procede per ognuno degli
indicatori ad una analisi descrittiva caso per caso al fine di ricavare le informazioni da categorizzare entro la
scala 1-4, utile a descrivere le PSD di ogni caso e ad effettuare comparazioni conclusive. Le fonti utilizzate
variano da testi (ricerche e articoli) accademici e letteratura storico-descrittiva sui casi in esame, a
documentazione ufficiale e studi (papers, schede paese, reports, frameworks, etc.) di organizzazioni
internazionali e nazionali, governative (OIG e enti governativi) e non governative (ONG e OING), a tabulati
e matrici dati di sondaggi di provenienza accademica (come la World Values Survey dell’Università del
Michigan) o prodotti da OIG. Infine sono stati considerati molti articoli di provenienza giornalistica,
accademica o prodotti da ONG e OING, su temi specifici entro i diversi indicatori.
Alla analisi descrittiva segue l’analisi delle PSD vera e propria, con la quale i dati qualitativi
vengono riassunti e comparati mediante l’uso della scala 1-4. L’uso di medie aritmetiche, tecniche di
ponderazione delle medie e proporzioni matematiche per la traduzione dei dati descrittivi entro i valori 1-4,
al fine di facilitare le categorizzazioni, non toglie alla ricerca il suo carattere eminentemente qualitativo. I
dati numerici della scala 1-4 devono essere considerati come “categorie”, e le computazioni su dati numerici
come metodi di categorizzazione.
Questi sono i dati finali per ogni caso (di cui non si riporta in questa sintesi la scomposizione per
sottoinsieme di indicatori):
Egitto: PSD(X) = 2; PSD(Y) = 2+; PSD(Z) = 3-
Indonesia: PSD(X) = 3; PSD(Y) = 2+; PSD(Z) = 3+
Iran : PSD(X) = 1; PSD(Y) = 2; PSD(Z) = 2+
2
Turchia: PSD(X) = 3; PSD(Y) = 3-; PSD(Z) = 3-
(5, risultati conclusivi) Si possono distinguere due prospettive nel descrivere le conclusioni alle quali
è giunta la ricerca: una lettura delle PSD dei singoli casi per verificare le più diffuse “patologie” in grado di
ostacolare la democrazia, e una lettura del rapporto religione-democrazia come emerge entro il quadro delle
PSD dei quattro casi.
(Ostacoli alle Potenzialità di Sviluppo Democratico)
Come esito dell’analisi comparata, nei casi si mostra in generale una eccessiva concentrazione del
potere nelle mani dei governi, più accentuata in Iran ed Egitto, dove il potere giudiziario è solo relativamente
indipendente (problema che tende a manifestarsi anche in Indonesia), mentre in tutti i casi è piuttosto o
eccessivamente scarso il decentramento amministrativo del potere. Giocano in tutti i casi un ruolo troppo
rilevante le forze armate e paramilitari, mentre i diritti civili sono o debolmente o per nulla tutelati (anche
quando riconosciuti). Questo si lega sia al ruolo delle forze armate sia, soprattutto, a quello che è il problema
più diffuso in tutti casi, e fonte di molti ostacoli alle PSD: la debolezza nella governance a sua volta
riconducibile a gravi e persistenti fenomeni di corruzione dei funzionari pubblici.
Sul versante socio-economico, in generale, l’accesso ai mercati è sempre troppo regolamentato (ciò
favorisce fenomeni di corruzione e blocca la produttività), all’interno di economie poco o per nulla aperte, in
un continuum che va dall’apertura del debole mercato turco alla totale chiusura di quello iraniano. Le fonti di
reddito nazionale, inoltre, mostrano una generale (e talvolta cronica, come in Egitto e Iran) scarsa
produttività e generano una eccessiva dipendenza dal settore energetico (soprattutto petrolifero). Gli esiti di
siffatte strutture inducono ad una cattiva distribuzione del reddito nazionale, la quale, in presenza di
governance statali deboli e tendenza alla corruzione, inducono a una eccessiva debolezza anche delle
politiche redistributive e, in conseguenza, a incrementare i divari nella disuguaglianza socio-economica.
I sistemi di istruzione pubblica risultano debolmente organizzati e soprattutto orientati all’assunzione
nel pubblico impiego (in Turchia meno che negli altri tre casi), favorendo la disoccupazione (sempre troppo
elevata) e l’improduttività complessiva dei sistemi economici. Inoltre ancora troppo elevata appare ovunque
la diseguaglianza di genere, attivata da tradizioni maschiocentriche, un po’ meno accentuate in Indonesia
rispetto agli altri tre casi.
Le società civili sono piuttosto deboli, con una partecipazione associativa piuttosto scarsa
(soprattutto in Turchia e Indonesia), finalizzata all’assunzione lavorativa (soprattutto in Egitto),
strumentalizzata dal regime (soprattutto in Iran) e , in Egitto e Iran, sottoposta a controlli governativi. Iran e
Turchia mostrano inoltre una più scarsa accumulazione di capitale sociale, dimostrata da livelli di fiducia
interpersonale (Turchia) e istituzionale (Iran) assai bassa. Nel caso iraniano si ipotizza una pesante
disillusione circa una possibile liberalizzazione del regime mediante cambiamenti di governo e entro l’attuale
assetto costituzionale.
I conflitti etnici, religiosi e culturali, presenti soprattutto in Turchia, Indonesia e Iran, non vengono
evitati o assorbiti con adeguati strumenti istituzionali, mentre più frequente è la loro manipolazione da parte
3
dei governi (soprattutto in Turchia e Iran, ma parzialmente anche in Egitto per quanto riguarda il consenso
dell’Islam tradizionalista).
Infine, Iran ed Egitto manifestano limitazioni sul piano politico-istituzionale e un forte controllo
sull’accesso alla sfera politica formale di movimenti ed esponenti di opposizione (in particolare i riformisti in
Iran e i Fratelli Musulmani in Egitto).
In generale, sul piano politico-istituzionale, Indonesia e Turchia risultano regimi prossimi al
completamento della fase di transizione verso la democrazia (valori migliori in Turchia), mentre i deficit
socio-economici strutturali sembrano gli ostacoli più grandi da superare per le PSD in Egitto, Iran e
Indonesia. In Iran si riscontrano anche limiti sul piano socio-culturale piuttosto gravi, riconducibili
soprattutto al ruolo di manipolazione culturale svolto dal regime. Negli altri casi i dati sembrano invece
positivi, anche se subiscono il peso delle limitazioni imposte dai regimi e la zavorra delle diseguaglianze
sociali.
(Islam e democrazia, quale connessione culturale?)
Come emerge dalla precedente carrellata, i fattori prettamente religiosi (in termini di efficacia
culturale e non legale) non emergono tra quelli che limitano le PSD dei casi studiati. Eppure dalla ricerca si
evince come il sentimento religioso costituisca il principale strumento di mobilitazione collettiva, sfruttato
sia dai regimi politici, sia dai movimenti di opposizione ad essi.
Dall’analisi degli indicatori storico-culturali e delle teorie politiche islamiste si può desumere che si
sia spesso verificata, sul piano ideologico, una ibridazione dell’Islam tradizionale con ideologie anti-
occidentali (o talvolta occidentali ma anti-capitalistiche, socialiste o reazionarie) che, se da un lato hanno
creato quelle ideologie fondamentaliste mostratesi al contempo sufficientemente moderne e popolari da saper
ottenere ampi consensi nelle società musulmane, dall’altro lato non hanno finito per permeare la struttura
dogmatica della fede islamica così come tramandata dalle élites tradizionali. Ciò significa che l’Islam non è
stato modificato dall’islamismo modernista, ma certamente la diffusione di quest’ultimo può rappresentare
un pericolo per le PSD se accompagnato da un diffuso consenso intorno a pratiche violente e
antidemocratiche.
Le evidenze empiriche (e le stesse dichiarazioni dei padri del fondamentalismo islamico, i Fratelli
Musulmani), tuttavia, sembrano mettere in luce come il valore “democrazia” (anche nei suoi aspetti di
sistema politico fondato su modelli di tolleranza) sia ormai entrato a far parte del bagaglio assiologico delle
popolazioni islamiche (alcuni ritengono tale valore insito nella stessa dottrina islamica, ma questo dato ha
una rilevanza più filosofica che sociologica), nonostante un diffuso anti-occidentalismo che facilita simpatie
verso l’immagine dell’islamismo eversivo.
Il maggior limite culturale alle PSD sembra invece la tradizionale segregazione femminile, fenomeno
non direttamente riconducibile alla religione islamica, ma si ricollega a tradizioni locali, spesso di origine
pre-islamica. Sicuramente, il problema, molto grave anche in Turchia, richiede urgenti e adeguate politiche
pubbliche a lungo termine.
4
Infine, si può concludere che la religione islamica (cioè la dottrina e la fede islamica in quanto tale)
non costituisca in nessuno dei casi analizzati un limite alle potenzialità di sviluppo democratico, ma piuttosto
un grande fattore di mobilitazione culturale, oggetto di facile manipolazione da parte di governi e
opposizioni, élites democratiche e anti-democratiche. Altri sono invece i veri ostacoli alla democrazia più o
meno comuni ai quattro casi in esame, e rispecchiano dinamiche di cattiva gestione del potere politico da
parte di élites autointeressate in presenza di corruzione e malgoverno, e di un controllo spesso paranoico
sulla libertà d’impresa (quindi sulla libertà individuale e collettiva tout court) e un uso arbitrario della
violenza di Stato volte a contenere o impedire quei fenomeni di accountability democratica (soprattutto in
Egitto e Iran) così pericolosi per l’attuale status quo.
5