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nuova filosofia di intervento delle forze dell’ordine e le sue
modalità di attuazione in Europa ed in Italia.
Per raggiungere questo obiettivo, lo studio prende avvio
dall’analisi del concetto di controllo sociale, coniato nel 1896 da
E.A.Ross; verranno quindi analizzate le principali teorie
sociologiche che di tale concetto si sono occupate, con particolare
riferimento ai contributi di Ross, Gurvitch e Parsons.
La definizione e lo studio del concetto di controllo sociale
di Ross hanno rappresentato il punto di partenza di un vasto
dibattito sociologico durante il quale sono state proposte varie altre
definizioni e teorie esplicative del concetto di controllo sociale.
Lo studio del controllo sociale si basa sostanzialmente
sulla constatazione che in società semplici l’ordine naturale, la
conformità ai valori morali e sociali della collettività sono elementi
già esistenti che facilmente si diffondono nei singoli individui; la
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conformità fa parte di doveri fondati sull’etica religiosa e non ha
bisogno di essere imposta da uno specifico apparato di potere.
Nelle società sempre più complesse, urbanizzate,
differenziate, anche le aspettative dei singoli consociati si
differenziano e si scontrano, vi è un intreccio di istituzioni e di
rapporti per i quali non può esserci un controllo sociale per tutti
adeguato. Se la società si differenzia anche il controllo sociale si
differenzia e deve essere esercitato da persone e istituzioni diverse,
secondo la specificità della situazione.
Inoltre, nelle società differenziate e complesse, di fronte a
aspettative altrettanto differenziate, aumentano i comportamenti
devianti, l’insicurezza, l’instabilità e la necessità di difendere le
aspettative violate e ripristinare l’ordine.
La collettività, l’opinione pubblica si sentono sempre
maggiormente minacciate ed insicure di fronte al diffondersi della
devianza; in questo contesto di generalizzata mancanza di
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sicurezza il controllo sociale assume la forma di una attività
esterna, istituzionalizzata, che ha la funzione di individuare e
reprimere le condotte devianti, ma anche di impedirle.
Rispetto a questa duplice funzione di salvaguardia delle
aspettative dei cittadini conformi alle norme e di difesa dalle
condotte devianti degli altri consociati si esprime il concetto di
potestà di Polizia, che verrà definito ed analizzato nella seconda
parte del primo capitolo.
Esso deve essere inteso come una funzione dello Stato
posta a difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini,
che si estrinseca in modo particolare in una attività di prevenzione
dei reati e di tutti gli eventi di inciviltà e disordine urbano che
aumentano la percezione di insicurezza ed il senso di disagio e di
sfiducia della collettività nei confronti delle istituzioni, in modo
particolare nei confronti delle forze dell’ordine.
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Nel secondo capitolo verrà poi definita e analizzata
l’esperienza della polizia di prossimità, vista come risposta alla
richiesta sempre crescente di sicurezza da parte dell’opinione
pubblica.
Vedremo che la polizia di prossimità è il frutto di una
rinnovata volontà della politica dello stato sulla sicurezza di
rimettere in discussione, rinnovandoli, l’immagine e le modalità
tradizionali dell’operato delle forze dell’ordine.
E’ necessario trasformare in questa direzione le politiche
pubbliche della sicurezza, passando da una attività di polizia
fondata sul mantenimento dell’ordine e sulla reazione agli eventi
antisociali e criminosi, ad una attività di polizia proiettata alla
sicurezza quotidiana dei cittadini.
Una vera e propria filosofia di intervento complessivo che
ha come obiettivi prioritari la prevenzione degli eventi di inciviltà
e di criminalità, la conoscenza ed il radicamento del territorio da
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controllare, un rinnovato legame di fiducia e collaborazione con i
cittadini e la comunità in generale.
Un altro elemento fondamentale della polizia di prossimità è
la compartecipazione e la condivisione degli obiettivi e delle
strategie di attuazione da parte di soggetti diversi: i cittadini, le
altre istituzioni, pubbliche e non, tutti gli attori sociali ed
economici che operano sul territorio e che vivono quotidianamente
il problema sicurezza.
La prossimità implica il privilegiare la dimensione della
prevenzione di tutti gli eventi indesiderati coniugata ad una
efficiente capacità di rapida reazione a questi eventi.
Questa funzione pùò essere svolta grazie ad un efficace
piano di prevenzione, con una presenza diffusa sul territorio di
agenti di polizia “visibili” che contribuiscano ad aumentare il
livello di sicurezza “percepita” dalla collettività e l’effetto di
deterrrenza sulla commissione di reati.
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In particolare verrà svolta una analisi delle esperienze
europee di prossimità, con particolare attenzione verso la
“community police” inglese, ed una comparazione con le iniziative
di attuazione della polizia di prossimità sinora intraprese in Italia.
Infine verrà trattata, nell’ambito della filosofia della
prossimità, la nuova figura del “poliziotto di quartiere”, già
presente, con positivi risultati, in altre legislazioni europee e
avviata in fase sperimentale in Italia dal gennaio di quest’anno.
Verranno evidenziate le caratteristiche fondamentali di
questa nuova tipologia di “operatore della sicurezza”, che devono
essere principalmente la effettiva conoscenza del contesto
territoriale in cui opera, l’immediata riconoscibilità da parte dei
cittadini che nel quartiere vivono o lavorano, il contatto quotidiano
con la comunità che l’operatore è deputato a tutelare.
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Si approfondiranno, in modo particolare, gli obiettivi che il
Dipartimento della Pubblica Sicurezza intende raggiungere ed i
moduli operativi e comportamentali del “poliziotto di quartiere”.
Gli agenti addetti a questo tipo di servizio di “prevenzione
generale” dei reati opereranno, a piedi, camminando nel quartiere,
instaurando un rapporto di dialogo e collaborazione con gli
obiettivi principali della criminalità predatoria, allo scopo di
scoraggiare le azioni criminali e contribuire ad accrescere il senso
di sicurezza dei cittadini.
La polizia di prossimità, le iniziative a tutela della
collettività che vogliono realizzarla, tra le quali il poliziotto di
quartiere, vogliono riaffermare la convivenza civile e la cultura
della legalità. La nuova cultura della sicurezza vuole ottenere il
miglioramento della qualità dei servizi offerti e di conseguenza
aumentare il grado di soddisfazione della collettività; certamente,
nel nostro paese, questa attività è ancora in una fase sperimentale,
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che necessità di adattamenti e perfezionamenti delle iniziative
avviate; è comunque una strada positiva, che andrà ancora
perseguita con impegno e volontà da parte di tutti gli organi,
nazionali e locali, che a vario titolo sono coinvolti nel tema della
sicurezza e della salvaguardia dei diritti della collettività.
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CAPITOLO I
Controllo sociale, esigenza di sicurezza e prevenzione
1.1 – Il concetto di controllo sociale
Il concetto di controllo sociale è coniato nel 1896 da
E.A.Ross. Esso é ripreso successivamente dalla maggioranza dei
sociologi americani che lo utilizzano sia come termine tecnico, sia
come oggetto delle loro indagini.
Ross muoveva dal principio che vi fosse un ordine naturale
(natural order) che deriva dal concorso spontaneo delle
personalità di uomini incorrotti, a cui egli contrapponeva gli “idioti
morali” della società industriale, definiti come “coloro che non si
immedesimano in un altro più di quanto la bestia s’immedesimi
nell’angoscia della sua preda”
1
.
1
E.A. Ross Social control: asurvey of the foundations of order, New York 1901, p.50.
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Allo stato naturale gli uomini non hanno bisogno di
istituzioni formali per assicurare l’ordine sociale, ma sono
“naturalmente” legati tra loro da vincoli primari immediati di tipo
familiare, religioso, di vicinato.
L’ordine naturale degli uomini viene distrutto dalla
trasformazione della società dovuta alla urbanizzazione,
emigrazione e modernizzazione, in cui vengono a mancare i
vincoli tradizionali tra gli individui.
Gli uomini rimasti “incorrotti” devono, secondo Ross,
sostituire l’ordine naturale, distrutto con la modernizzazione della
società, e realizzare quanto prima l’ordine sociale.
Il problema fondamentale è, pertanto, come sia possibile
realizzare un nuovo ordine sociale dopo la dissoluzione dei vincoli
tradizionali e spontanei della società.
L’ordine naturale deve essere sostituito con un ordine
razionale, che può essere raggiunto tramite istituzioni finalizzate e
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concepite razionalmente. Ross definisce queste istituzioni “mezzi
di controllo” che hanno il compito di bloccare la molteplicità di
conflitti che avvengono all’interno del contesto sociale. Questo
nuovo ordine sociale, attuato dagli uomini rimasti incorrotti,
sostituisce l’ordine naturale distrutto.
Nella società moderna, secondo Ross, il controllo sociale è
dunque il principale dei vari meccanismi destinati a provocare la
conformità dell’individuo a un comportamento che consegue
dall’interiore concordanza con i valori della collettività. Quando si
tratta di condizionamenti presuntivamente spontanei e non
intenzionali egli usa la denominazione “ influssi sociali”, mentre il
controllo sociale è il controllo intenzionale della collettività
sull’individuo, un vero e proprio “ dominio sociale “ che adempie
una funzione nella vita della società.
In una prima trattazione Ross elenca trentatré tipi di
controllo sociale che la società esercita, in seguito individua
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ventitré forze capaci di esercitare influenza sociale e le divide in
due gruppi: controllo esterno e persuasion (influsso sociale).
Le istituzioni che possono realizzare il controllo esterno
sono le religioni, organizzate istituzionalmente, il diritto e
l’ordinamento tradizionale che poggia sulla consuetudine; mentre
quelle che generano persuasion sono l’educazione, l’opinione
pubblica, l’esempio morale e la creazione artistica
2
.
Negli sviluppi successivi del suo pensiero Ross afferma
che, col tempo, in una comunità democratica la coercizione esterna
dovrà essere risostituita con la disciplina interna, cioè si dovrà
passare dai controlli repressivi all’educazione ed alla persuasione,
dalla coercizione esterna alla disciplina interna. Tale concezione
deriva dal fatto che Ross teneva in gran conto la “virtù” degli
americani puritani e “incorrotti”, lontani dai grandi centri, invasi
dagli immigrati. Egli era contro la civiltà urbana e la società
2
E.K. Scheuch Controllo sociale in Enciclopedia delle Scienze Sociali, vol.2, pp.417-428,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
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industriale sulla quale condusse moltissimi studi (raccolti poi in
Social control del 1901) che trovarono il loro seguito nei lavori di
Cooley, Park, Thomas e Burgess.
Certamente nel suo studio degli strumenti di controllo
sociale Ross auspica che le forme interiori di controllo sociale
come le suggestioni sociali, l’educazione, gli ideali personali e
religiosi possano essere prevalenti nelle società del futuro. Egli ha
tuttavia ben presente che, in una società complessa e conflittuale
come quella moderna, il diritto sia lo strumento più evoluto di
controllo sociale.
Molti studiosi hanno affrontato successivamente a Ross il
problema del controllo sociale, attribuendo ad esso significati
diversi a secondo della prospettiva sociologica da cui analizzavano
il problema. Del resto, il concetto di controllo sociale subì
successivamente delle modifiche.