2
quadro in materia con finalità relative alla salvaguardia dell’ambiente e degli
individui.
Negli anni 90 si è assistito nuovamente ad un aumento della rilevanza della
questione dei rifiuti e sono state emesse nuove direttive europee e nuove leggi
nazionali in materia.
A tal proposito, si ricorda l’emanazione delle direttive comunitarie n. 91/156 e n.
91/689 che hanno profondamente rinnovato l’aspetto della regolamentazione dei
rifiuti all’interno della comunità europea e che hanno posto le basi per la stesura
dell’attuale legge quadro in materia in Italia, il decreto legislativo n. 22 del 1997.
Da questo momento in avanti si tenderà sempre più a considerare lo smaltimento
in discarica solo come una fase residuale del processo d’eliminazione dei rifiuti;
una fase, cioè, da porre in essere solo nel momento in cui non è possibile
recuperare o riciclare i rifiuti stessi.
In questo lavoro cercheremo di analizzare, nel primo capitolo, l’evoluzione
legislativa che si è avuta nel campo dei rifiuti urbani, partendo dalle direttive
europee fino ad arrivare alle leggi della Regione Marche e al piano provinciale
della gestione dei rifiuti della Provincia di Ancona.
Nel secondo capitolo affronteremo la gestione dei rifiuti urbani da un punto di
vista economico, cercando di capire se all’interno della filiera dei rifiuti vi siano
possibilità per una liberalizzazione. Descriveremo analiticamente, inoltre, come
vengono applicate le tariffe che ogni Comune chiede per occuparsi della raccolta,
del trasporto e del conferimento in discarica dei rifiuti.
Nel terzo capitolo, infine, parleremo della gestione dei rifiuti urbani all’interno
del Comune di Senigallia, presentandone lo sviluppo recente, dal 1993 (anno in
cui il Comune decide di affidare a privati il servizio rifiuti urbani) al 2006 (anno
3
in cui si pongono le basi per affidare la competenza esclusiva in materia di rifiuti
al Consorzio Intercomunale Vallesina-Misa, così come è previsto dalla normativa
vigente).
4
CAPITOLO 1: LEGISLAZIONE COMUNITARIA E
LEGISLAZIONE ITALIANA
1. Le fonti normative europee
Il 15 gennaio 1957 fu firmato il Trattato di Roma con cui si istituiva la Comunità
Economica Europea (C.E.E.).
Con riguardo all'ambiente, il Trattato prevedeva ben pochi riferimenti al
miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
Solo dopo alcuni anni si cominciarono a creare i presupposti per una seria
politica di prevenzione e tutela ambientale a livello europeo.
Il primo significativo incontro tra i principali paesi industrializzati, infatti, si ebbe
a Stoccolma nel 1972; nell'ottobre nello stesso anno, a Parigi, la Conferenza dei
Capi di Stato confermò la necessità di attuare una politica comune invitando le
istituzioni comunitarie a elaborare un primo programma d'azione.
Attraverso sei programmi d'azione comunitaria, l'Europa si è dotata di strumenti
programmatici a medio e lungo termine che hanno posto sempre più al centro
dell'attenzione, visto il forte impatto ambientale, il tema della gestione dei
rifiuti1.
All’uopo sono state emesse alcune direttive comunitarie recepite dai vari Stati
membri con atti normativi interni2.
1
P. Ficco, P. Fimiani, F. Gerardini, La gestione dei rifiuti 2001: quadro normativo ed interpretazioni,
Edizioni Ambiente, Milano, 2001, pp. 49-50
2
Le categorie di atti della Comunità Europea elencate all’articolo 249 del suo trattato istitutivo sono:
• il regolamento comunitario che ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri;
• la decisione, che è obbligatoria in tutti i suoi elementi esclusivamente per i destinatari da essa
designati;
5
1.1 La direttiva 75/442 CEE sulla regolamentazione dei rifiuti in Europa
e la direttiva 78/319 CEE sui rifiuti tossici e pericolosi
Nella complessa materia riguardante il tema dei rifiuti, i due testi base della
normativa comunitaria erano costituiti dalle direttive n. 75/442 del 15 luglio 1975
(sulla regolamentazione dei rifiuti in Europa) e n. 78/319 del 20 marzo 1978 (sui
rifiuti tossici e pericolosi).
Il loro contenuto può essere così sintetizzato:
1) nozione di rifiuto. Per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il
detentore si disfi, o ne abbia l’obbligo, ai sensi della normativa nazionale
vigente3.
E’ qui sottinteso sia il significato soggettivo che quello oggettivo della nozione.
Nel primo significato, rifiuto in senso soggettivo, appare decisiva la volontà del
detentore della cosa mobile di disfarsene; nel secondo significato, rifiuto in senso
oggettivo, si rileva la volontà del legislatore di ciascun paese a stabilire la
nozione di rifiuto, imponendo al proprietario o al possessore della cosa l’obbligo
di disfarsene.
In questo modo si pone un limite alla libera iniziativa economica dei privati a
favore degli interessi alla tutela della salute e dell’ambiente4;
2) nozione di smaltimento. Per smaltimento s’intende:
• la direttiva che vincola lo Stato membro a cui è rivolta, per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, fermo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai
mezzi utilizzati per il raggiungimento dello scopo.
3
G. Amendola, I rifiuti, normativa italiana e comunitaria, Il sole 24 ore-Pirola, Milano, 1998, p. 3
4
F. Giampietro, P. Giampietro, Lo smaltimento dei rifiuti: commento al d.p.r. n. 915/1982 aggiornato
con la giurisprudenza e con la delibera 27 luglio 1984 sui rifiuti tossici e nocivi, Maggioli, Rimini, 1986,
pp. 20-21
6
a) la raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti, nonché il deposito
dei medesimi sul suolo o nel suolo;
b) le operazioni di trasformazione necessarie per il riutilizzo, il recupero o il
riciclo dei rifiuti;
3) esclusioni. Sono esclusi dal campo di applicazione i rifiuti radioattivi, quelli
minerari e agricoli, le acque di scarico (tranne i rifiuti liquidi), le emissioni
nell’atmosfera, gli esplosivi e i rifiuti ospedalieri (queste ultime due esclusioni
riguardano solo la direttiva n. 78/319);
4) categorie di rifiuti. Nelle direttive non solo non troviamo nessuna distinzione
di categorie di rifiuti, neppure tra urbani e speciali, ma non vengono individuati
nemmeno quelli ospedalieri.
Vengono solo definiti come rifiuti tossici e pericolosi quelli che contengono
sostanze o materie, elencate in uno degli allegati della direttiva n. 78/319, in
quantità tali da presentare un pericolo per la salute e per l’ambiente;
5) finalità. Con queste due direttive si vuole cercare di prevenire la creazione di
rifiuti, favorire uno smaltimento “pulito”, cioè senza pericolo per l’uomo e la
natura, facilitare operazioni di riciclo e riutilizzo;
6) regolamentazione dello smaltimento. Gli Stati membri devono elaborare piani
di smaltimento particolareggiati che incoraggino la razionalizzazione della
raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti con tutte le disposizioni speciali
occorrenti per quelli di tipo particolare.
Per i rifiuti tossici e pericolosi, infatti, gli articoli 5 e 7 della direttiva n. 78/319
prescrivono che i vari paesi adottino tutte le misure necessarie per vietarne
l’abbandono o lo scarico incontrollato con regole specifiche per la loro raccolta e
il loro deposito, trasporto e imballaggio;
7
7) autorizzazioni allo smaltimento. La direttiva n. 75/442 prevede l’obbligo di
autorizzazione solo per stabilimenti o imprese che provvedono al trattamento,
all’emissione o al deposito di rifiuti per conto terzi mentre per quelli tossici e
pericolosi l’obbligo riguarda tutti gli impianti e imprese che provvedono a
produrli, detenerli o trattarli;
8) principio “chi inquina paga”. Entrambe le direttive riaffermano questo
principio5, secondo cui il costo dello smaltimento è a carico del detentore o del
produttore dei rifiuti, il quale prevede maggiori pagamenti per chi inquina.
Esso prende le mosse dalla constatata insufficienza dei divieti e delle sanzioni
per contenere l’inquinamento entro livelli accettabili. Si tratta perciò di rendere
meno convenienti le attività ed i comportamenti inquinanti, attraverso norme
specifiche, col triplice obiettivo di incentivare le imprese ad adottare processi
produttivi meno dannosi per l’ambiente, favorire un comportamento più
responsabile dei cittadini e raccogliere fondi per finanziare la ricerca e l’adozione
di nuove tecnologie verdi6.
1.2 La direttiva 91/156 CEE sui rifiuti e la direttiva 91/689 sui rifiuti
pericolosi
L’esigenza di una revisione della normativa comunitaria in materia di rifiuti,
imposta dalla crescente rilevanza della questione del loro smaltimento, sia in
termini strettamente ambientali che in termini commerciali, risale ad alcuni anni
5
G. Amendola, I rifiuti, pp. 3-5
6
L. Butti, Il principio “chi inquina paga” nella recente disciplina comunitaria e nazionale sui rifiuti, in
A. Jazzetti, I rifiuti: legislazione comunitaria e legislazione italiana, Giuffrè, Milano, 1992, pp. 75-76
8
addietro e trova la sua compiuta espressione con l’emanazione delle direttive n.
91/156 del 18 marzo 1991 e n. 91/689 del 12 dicembre 1991.
La prima, concernente la regolamentazione dei rifiuti in Europa, modifica la
direttiva n. 75/442; la seconda, concernente i rifiuti pericolosi, modifica la
direttiva n. 78/3197.
1.2.1 La direttiva 91/156 CEE sui rifiuti
Le caratteristiche salienti della direttiva 91/156 CEE riguardano le definizioni
utilizzate, gli obiettivi dichiarati e le problematiche relative alle autorizzazioni e
ai controlli da eseguire in materia di rifiuti.
Riguardo alle definizioni utilizzate si nota come ci sia stata la volontà di
uniformare in qualche modo tutte quelle esistenti fino a quel momento.
Lo sforzo di superare ogni diversa interpretazione, infatti, è manifestato dalla
tipizzazione sia della nozione di rifiuto che delle operazioni che comportano
smaltimento o recupero in appositi elenchi allegati alla direttiva8.
All’uopo l’articolo 1 della direttiva:
• amplia e specifica la nozione di rifiuto, considerato come “qualsiasi
sostanza od oggetto (…) di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi”, riportandone le categorie nell’allegato I (residui di
produzione o di consumo, sostanze contaminate, residui di processi
industriali ecc.);
7
A. Jazzetti, La nuova direttiva CEE 91/156 sui rifiuti in generale, in A. Jazzetti, op. cit., p. 9
8
A. Jazzetti, La nuova direttiva CEE 91/156 sui rifiuti in generale, in A. Jazzetti, op. cit., p. 17
9
• amplia e specifica la nozione di smaltimento riportandone le operazioni
nell’allegato IIA (deposito sul e nel suolo, incenerimento ecc.);
• introduce la nozione di recupero, in cui rientrano le operazioni di recupero
dei solventi, riciclo o recupero dei metalli o dei composti metallici ecc. E’
una nozione diversa da quella di smaltimento che è destinato, in pratica, al
solo trattamento finale dei rifiuti;
• introduce le nozioni di produttore, detentore, gestione dei rifiuti9.
Il primo è quel soggetto la cui attività ha prodotto rifiuti (cosiddetto produttore
iniziale) e/o colui che ha effettuato operazioni che hanno mutato la natura degli
stessi.
Il secondo, invece, è quel produttore di rifiuti, o la persona fisica o giuridica, che
li detiene10.
Con gestione, infine, intendiamo le fasi di raccolta, trasporto, recupero,
smaltimento, il loro controllo e quello delle discariche dei rifiuti dopo la loro
chiusura11.
Per quanto concerne gli obiettivi della direttiva, fondamentali sono gli articoli 3,
4 e 5.
L’articolo 3 fissa alcune priorità come la prevenzione, la riduzione e il recupero
dei rifiuti, da ottenere tramite il ricorso a tecnologie pulite e il loro reimpiego
come fonti di energia.
9
G. Amendola, I rifiuti, p. 84
10
A. Jazzetti, La nuova direttiva CEE 91/156 sui rifiuti in generale, in A. Jazzetti, op. cit., p. 20
11
A. Jazzetti, La nuova direttiva CEE 91/156 sui rifiuti in generale, in A. Jazzetti, op. cit., p. 25
10
Con l’articolo 4 si afferma la necessità che il recupero e lo smaltimento dei rifiuti
avvengano senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare danni
all’ambiente.
Con l’articolo 5, infine, s’introduce il concetto di rete integrata e adeguata degli
impianti di smaltimento, da creare a livello di Stato membro o di più stati, con lo
scopo di raggiungere l’autosufficienza e permettere lo smaltimento negli impianti
appropriati più vicini (principio di prossimità).
Il principio di prossimità è importante poiché si cerca di evitare il cosiddetto
“turismo dei rifiuti” tra i paesi europei, o tra una regione e l’altra di un singolo
paese, ritenuto foriero di pericoli per l’ambiente.
Gli obiettivi del legislatore comunitario sono perseguiti anche attraverso la
disciplina delle autorizzazioni.
A tal fine gli articoli 9 e 10 della direttiva prevedono un’analitica procedura per
l’assegnazione dell’autorizzazione necessaria alle operazioni di smaltimento e di
recupero.
Tuttavia, mentre per l’autorizzazione allo smaltimento vengono definiti i tipi e i
quantitativi di rifiuti, i requisiti tecnici e le precauzioni da prendere in materia di
sicurezza assieme al luogo e al metodo con cui si smaltiscono, non viene
specificato su cosa deve vertere l’autorizzazione per le operazioni di recupero.
Numerosi autori sono concordi nel pensare che si sia trattata di una svista del
legislatore comunitario da cui deriva una vera e propria lacuna della direttiva.
Sono dispensati dalle autorizzazioni, come prescrive l’articolo 11, quegli
stabilimenti o quelle imprese che autosmaltiscono i propri rifiuti nei luoghi di
produzione e/o che li recuperano.
11
La direttiva appresta anche un sistema di controlli necessari per il buon
funzionamento di tutte le attività connesse ai rifiuti.
Si tratta di un sistema che si articola in due direzioni:
a) attraverso controlli periodici da parte delle autorità competenti alle imprese
che effettuano smaltimento, recupero, raccolta o trasporto di rifiuti (articolo 13);
b) attraverso l’obbligo di tenuta di un registro dei rifiuti, da fornire su richiesta
delle autorità competenti, da parte di quelle imprese che svolgono attività
soggette ad autorizzazione (articolo 14). Su tale registro vanno annotate
caratteristiche salienti dei rifiuti come la loro origine, natura e destinazione.
L’ultima nota da rilevare è che all’articolo 15 viene fatto salvo il principio “chi
inquina paga”, elaborato dalla direttiva n. 75/442, in virtù del quale, come già
detto, il costo dello smaltimento è a carico del detentore o del produttore dei
rifiuti12.
1.2.2 La direttiva 91/689 sui rifiuti pericolosi
La direttiva 91/689 CEE considera rifiuti pericolosi tutti quelli che, a parere della
Commissione o degli Stati membri, possiedono caratteristiche quali la nocività,
la tossicità e altre comprese nell’allegato III (articolo 1, comma 4). Si tratta di
rifiuti i quali, ovunque siano depositati, non solo devono essere catalogati e
identificati (articolo 2, comma 1), ma per ciò che attiene alla loro raccolta,
trasporto e deposito, devono essere imballati adeguatamente, avere
un’etichettatura conforme alle norme internazionali e comunitarie (articolo 5,
12
A. Jazzetti, La nuova direttiva CEE 91/156 sui rifiuti in generale, in A. Jazzetti, op. cit., pp. 20-24
12
comma 1), ed essere accompagnati da un apposito formulario di identificazione
(articolo 5, comma 3).
Inoltre, gli stabilimenti che si occupano dello smaltimento non possono né
mescolare rifiuti pericolosi con quelli che non lo sono, né mescolare tra loro
diverse categorie degli stessi (articolo 2, comma 2).
Va posto in rilievo il fatto che, per quanto riguarda l’autosmaltimento dei rifiuti
pericolosi, non è ammessa la deroga all’obbligo di autorizzazione prevista per i
rifiuti di altro genere dalla direttiva quadro n. 91/156 (articolo 3, comma 1).
La dispensa dall’obbligo, tuttavia, è possibile per il loro recupero purché si
rispettino alcune condizioni e se ne dia preventiva comunicazione alla
Commissione (articolo 3, comma 2).
Vengono previste infine deroghe alla direttiva solo nei casi di emergenza o di
grave pericolo (articolo 7)13.
1.3 La direttiva 94/62 CE sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio
La direttiva 85/339 CEE prendeva in esame gli imballaggi per liquidi alimentari
con lo scopo di definire le procedure relative alla loro produzione,
commercializzazione, uso, riciclaggio ed eliminazione.
L’obiettivo era quello di promuovere la riduzione del consumo di energia e di
materie prime, oltre che attenuare le conseguenze negative sull’ambiente in fase
di smaltimento.
13
G. Amendola, I rifiuti, pp. 87-88; cfr. anche A. Capria e A. L. De Cesaris, La nuova direttiva CEE
91/689 sui rifiuti pericolosi, in A. Jazzetti, op. cit., pp. 45-54
13
Questa direttiva attribuiva agli Stati membri il compito di attuare una serie di
azioni di programmazione e promozione senza peraltro qualificare gli obiettivi da
raggiungere, né specificare i mezzi per farlo.
Per questo motivo, gli Stati membri hanno introdotto legislazioni specifiche per
regolamentare tale settore determinando nella Comunità Europea la
preoccupazione che potessero innescarsi politiche protezionistiche.
Si è provveduto, dunque, ad emettere la direttiva n. 94/62 del 20 dicembre 1994
la quale regola l’intera materia sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio e
abroga la precedente normativa.
Ha dunque un campo di applicazione piuttosto vasto poiché riguarda tutti gli
imballaggi immessi sul mercato europeo e tutti i rifiuti da imballaggio o prodotti
da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi e nuclei domestici.
I suoi scopi principali sono sostanzialmente la riduzione della produzione di
rifiuti da imballaggio, la minimizzazione del loro smaltimento definitivo e la
fissazione di un tetto massimo per il recupero e il riciclaggio.
A proposito di questo ultimo punto, gli Stati membri devono instaurare sistemi di
recupero, raccolta e riciclaggio per raggiungere i seguenti obiettivi quantitativi:
• il recupero o l’incenerimento di una quantità compresa tra il 50% e il 65%
in peso dei rifiuti da imballaggio entro il 30 giugno 2001;
• il riciclo di una quantità compresa tra il 25% e il 45% in peso di tutti i
materiali da imballaggio che rientrano tra i rifiuti, con un tetto minimo del
15% per ciascun materiale da imballaggio, sempre entro lo stesso termine
del precedente obiettivo;
• il recupero o l’incenerimento di un minimo del 60% dei rifiuti da
imballaggio entro il 31 dicembre 2008;
14
• il riciclo di una quantità compresa tra il 55% e l’80% dei rifiuti da
imballaggio sempre entro il 31 dicembre 2008.
La direttiva prevede, infine, che gli Stati membri includano nei loro piani di
gestione dei rifiuti un capitolo attinente sia gli imballaggi, in modo da favorirne
il riutilizzo, sia i rifiuti da imballaggio, in modo da prevenirne la produzione14.
2. Le fonti normative italiane
La prima disciplina italiana relativa ai rifiuti è rappresentata dal testo unico delle
leggi sanitarie15 e dalla legge n. 366 del 20 marzo 1941.
Il primo prendeva in considerazione l’aspetto dello smaltimento attribuendone la
competenza ai Comuni mediante i regolamenti locali di igiene16; la seconda
regolava la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi di origine
urbana istituendo, di fatto, il diritto di privativa nel servizio pubblico di nettezza
urbana per i Comuni e distinguendo tra rifiuti solidi esterni (rilasciati in
pubbliche aree) ed interni (di produzione domestica).
Il principio cardine su cui si basavano questi provvedimenti, era il recupero dei
rifiuti a scopi industriali ed agricoli al fine di reperire materie prime essenziali
durante il periodo bellico.
E’ per questo motivo che, venuta meno la necessità di recupero, si annovera la
nascita delle prime discariche solo nell’immediato dopoguerra.
14
La normativa europea, in La legislazione europea e nazionale in materia di gestione degli imballaggi
e dei rifiuti di imballaggio, http://www.provincia.modena.it/servizi/ambiente/gest-
amb/documenti/docum1-2.pdf; cfr. anche Direttiva 94/62 CE sugli imballaggi e i rifiuti d’imballaggio,
http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l21207.htm
15
R.D. 27 luglio 1934 n. 1265
16
Art. 218 t.u. leggi sanitarie
15
Alcuni anni più tardi, con il D.P.R. n. 4 del 1972 e n. 616 del 1977, fu trasferita
alle Regioni la piena competenza in materia di tutela dell’ambiente
comprendente l’igiene del suolo e la gestione dei rifiuti.
2.1 Il D.P.R. n. 915 del 1982
Lo smaltimento dei rifiuti è stato assoggettato ad innovativa disciplina grazie al
D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982 attuativo delle direttive CEE n. 75/442, n.
78/319 oltre che della direttiva n. 76/403 concernente lo smaltimento dei
policlorodifenili e policlorotrifenili.
Esso ha regolamentato tutte le fasi dello smaltimento dei rifiuti, dalla raccolta al
conferimento in discarica, e ha rappresentato la prima legge quadro in materia
affrontando, come vedremo, finalità relative alla salvaguardia dell’ambiente e
degli individui.
Come già avevamo fatto analizzando la normativa comunitaria, il contenuto del
decreto può essere così sintetizzato:
1) nozione di rifiuto. Per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto,
derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato
all’abbandono (art. 2);
2) nozione di smaltimento. Per smaltimento si intende, nelle varie fasi di
conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto, trattamento, l’operazione
di trasformazione necessaria per il riutilizzo, la rigenerazione, il recupero, il
riciclo e l’innocuizzazione dei rifiuti nonché l’ammasso, il trasporto e la discarica
sul suolo e nel suolo.
Esso costituisce attività di pubblico interesse sottoposta al D.P.R. 915 (art. 1);