lucrativa, all’analisi dei meccanismi di governance interna delle
società pubbliche, dei sistemi avanzati di catalizzazione delle
risorse finanziarie, dei collegamenti societari.
Autorevole dottrina
2
sostiene che tale fenomeno ha avuto
origine da due fattori: uno è rappresentato dal cambiamento del
punto di vista rispetto alla società pubblica che prima veniva
considerata come strumento e adesso invece come soggetto. Ciò
si spiega attraverso l’uso massiccio del modello societario e la
proliferazione degli intrecci di partecipazioni riconducibili agli
enti pubblici che hanno avuto come conseguenza uno
sganciamento di fatto, piuttosto che giuridico, della società
dall’ente di riferimento.
Il secondo fattore vede una non più chiara demarcazione tra
ciò che è servizio pubblico e ciò che è attività meramente
economica ed imprenditoriale.
La variabile che determina poi la molteplicità degli assetti
attiene alla strumentalità della struttura societaria rispetto
all’interesse pubblico. Se da un certo punto di vista si possono
ancora fare delle distinzioni tra società che svolgono attività
meramente economiche, società che svolgono attività
qualificabili come servizio pubblico in senso stretto, società che
svolgono vere e proprie funzioni amministrative, società
partecipate interamente dall’ente pubblico, società a
partecipazione mista, società che operano nel mercato e società
che operano fuori da esso, dall’altro emergono nuove modalità
2
M. DUGATO, Il finanziamento delle società a partecipazione pubblica tra natura dell’interesse e procedimento di
costituzione, atti del convegno: Le società pubbliche e la riforma del diritto societario, Palermo 26-27 Febbraio 2004.
6
di uso dello schema societario per fini di pubblico interesse. Tra
queste possiamo ricordare le società in house providing, le
società a missione specifica (destinate a morire dopo il
compimento di un unico affare) e quelle di funzioni strumentali
particolari (es. Cassa dei depositi e prestiti).
Quindi, rispetto all’azienda pubblica possiamo dire che le
deroghe al regime comune per queste società non sono più
dirette a favorire le imprese pubbliche nella competizione con
quelle private, ma ad adattare la società alla funzione che dovrà
perseguire nel corso della vita sociale.
Pertanto, cambia il modello organizzativo dell’impresa
pubblica, ma il coinvolgimento diretto dell’ente locale non viene
meno, infatti è garantito dalla partecipazione azionaria dell’ente
in tali società.
Le diverse figure di società pubbliche sono in parte il
prodotto dei differenti scopi e funzioni da loro perseguiti e in
parte una alterazione delle regole comuni dovuta non ad assetti
particolari delle società ma alla propensione delle stesse verso
finalità pubblicistiche. Tali alterazioni devono però seguire le
direttive dettate dall’Unione Europea e non entrare in contrasto
con queste. In alcuni casi gli stessi modelli societari sono di
derivazione comunitaria, così è anche per le società soggette ad
affidamenti in house.
La nozione di in house è stata elaborata nell’ordinamento del
Regno Unito e rappresenta il controaltare del contracting out.
Nell’ordinamento anglosassone l’amministrazione che deve
7
affidare un lavoro è chiamata a scegliere se esternalizzare tale
opera o eseguirla attraverso i mezzi a sua disposizione, qualora
decida di mantenere la procedura in house deve spiegarne le
ragioni strategiche che l’hanno indotta a tale scelta.
3
Abbiamo appena visto che nell’ordinamento inglese il
produttore in house è in concorrenza con i produttori esterni, ma
in caso di affidamento interno del lavoro, il rapporto giuridico
che lega l’amministrazione al produttore in house non è un
contratto e quindi esula dalla disciplina europea sugli appalti
pubblici. Mentre se avesse scelto il produttore esterno il
rapporto giuridico sarebbe stato soggetto alla disciplina prevista
dalle direttive comunitarie in tema di appalti pubblici.
In Italia le prime pronunce giurisprudenziali che hanno fatto
uso del termine in house providing lo hanno fatto per indicare la
sola ipotesi di affidamento di appalto pubblico tra soggetti
entrambi qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici, e
tale rapporto, pur essendo assimilabile all’appalto pubblico di
radice comunitaria, non era soggetto alle relative procedure
comunitarie di aggiudicazione, ciò era giustificato dal
particolare rapporto che intercorreva tra appaltatore e
appaltante.
4
L’affidamento in house si configura come un istituto che sta
al confine tra la gestione interna dell’amministrazione e
l’esternalizzazione del servizio. Questo non va in contrasto con
3
D. CASALINI, L’organismo di diritto pubblico e l’organizzazione in house, Napoli, 2003, 252.
4
T.a.r. Lombardia, 11 gennaio 1995, n.54, in Giur.it., 1995, III, 1, 585 e seg.
Cons. Stato, 13 febbraio 1996, n.147, in Giornale dir. amm., 1996, 623e seg.
8
le finalità di una normativa come quella degli appalti pubblici,
che non persegue né fini di liberalizzazione né fini di
privatizzazione di determinati settori economici.
Ma all’interno della normativa comunitaria sugli appalti
pubblici non si parla affatto degli affidamenti in house. Nel
corso dell’iter legislativo per la redazione della nuova direttiva
unificata sugli appalti pubblici, il Parlamento europeo come
vedremo più avanti, ha tentato di far inserire, attraverso un
emendamento, la disciplina degli appalti in house nella direttiva,
ma la risposta contraria della Commissione europea è stata
motivata da una non uniformità di vedute su tale argomento
all’interno del Consiglio europeo.
Per questo tipo di affidamenti la non sottoposizione a gare si
basa essenzialmente sulla sussistenza di un rapporto di
strumentalità dell’ente affidatario rispetto all’amministrazione
aggiudicatrice. Tale rapporto rende la prestazione da svolgersi
una vicenda interna alla stessa amministrazione, anche perché il
soggetto non sarebbe visto come terzo rispetto all’ente
aggiudicatore, in questo modo viene meno il presupposto
dell’applicabilità delle gare ai sensi delle direttive comunitarie,
ma anche l’esistenza stessa di un contratto tra le due parti.
Bisogna però stabilire delle regole più precise piuttosto che la
semplice partecipazione dell’ente appaltante alla società
soggetta all’affidamento.
Il fatto che una società possieda una personalità giuridica
separata dall’amministrazione aggiudicatrice non osta a
9
considerarla come parte integrante della stessa. Questo perché
l’azienda speciale pur essendo giuridicamente separata dall’ente
mantiene con essa dei rapporti così stretti che poco si discostano
dai rapporti interni tra i vari organismi della stessa
amministrazione. Quindi si consente a soggetti formalmente
privati di essere considerati parte integrante di organismi
pubblici in ragione del loro asservimento ai fini
dell’amministrazione pubblica.
La modalità di gestione di tali soggetti privati si avvicina alla
gestione diretta dal momento che l’ente locale, attraverso il
pacchetto azionario, gioca un ruolo determinante per l’attività
della società.
Possiamo dire che la legittimazione all’affidamento diretto
non dipende dalla natura o dalla particolare disciplina giuridica
di una certa prestazione, bensì dall’autonomo e sufficiente
presupposto della strumentalità di tale prestazione. Appare
conforme a quanto detto finora che un Comune attribuisca in
affidamento diretto i suoi servizi informatici ad una società per
azioni partecipata, in quota prevalente dallo stesso ente
territoriale, nonostante non si tratti di servizi pubblici, poiché
rivolti all’amministrazione e non alla collettività, e nonostante
tali servizi risultino tra quelli menzionati nella direttiva sugli
appalti pubblici di servizi.
La normativa italiana riguardo tale fattispecie, ha avuto come
riferimento diretto la giurisprudenza comunitaria, con
l’intenzione di riportare quanto previsto dalle fonti e dagli enti
10
comunitari nel nostro ordinamento, legittimando sempre di più
la nozione di organo indiretto della pubblica amministrazione.
Infatti il contributo più importante alla definizione dei confini
entro i quali può muoversi la disciplina dell’affidamento in
house è stato dato dalla Corte Europea di Giustizia che, in
particolare nella nota sentenza Teckal, ha dettato le linee guida
dell’affidamento diretto.
La Corte sostiene che per ente oggetto dell’affidamento in
house bisogna intendere, non in senso largo, una qualsiasi altra
amministrazione, bensì, in senso stretto, una struttura
organizzativa che faccia parte dello stesso impianto istituzionale
dell’amministrazione erogatrice. La “casa” va intesa non in
riferimento alla “grande casa” di tutte le pubbliche
amministrazioni, bensì nel senso della singola “casa” di ciascuna
amministrazione.
5
Ma il fatto di appartenere allo stesso apparato
amministrativo non basta, ci sono altre caratteristiche che
dovranno essere rispettate dalla società per poter essere oggetto
dell’affidamento, infatti bisogna che l’ente eserciti sulla persona
giuridica un controllo analogo a quello da esso esercitato sui
propri servizi e che tale persona dovrà, inoltre, svolgere la parte
più importante della propria attività con l’ente che la controlla.
A partire quindi dalla sopra citata sentenza Teckal, a cui si
sono aggiunte varie interpretazioni giurisprudenziali e
legislative che avremo modo di analizzare nel corso della
trattazione, si è arrivati a stabilire che i requisiti che una società
5
M. MAZZAMUTO, Brevi note su normativa comunitaria e in house providing, in Dir. Unione europea, 2001, 547
11
deve avere per poter rientrare nella disciplina degli affidamenti
in house sono:
• la partecipazione totalmente pubblica della società di
capitali affidataria;
• l’esercizio da parte dell’ente locale, su detta società, di
un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
• la circostanza che la società realizzi la parte più
importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici
che la controllano.
Tali caratteristiche sono state fatte proprie anche
dall’ordinamento legislativo italiano all’articolo 113 comma 5
lettera c) del D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, così come modificato
dall’art. 143 del D.l. 30 settembre 2003 n. 269.
A conclusione di tale premessa potremo dire che l’in house
providing, e la sua disciplina, non è oggetto di un contratto di
appalto, ma tale istituto si pone a “monte”, costituendo piuttosto
un ampliamento dell’organizzazione pubblica, formalmente
alternativa al reperimento di prestazioni che potrebbero essere
dedotte in un contratto di appalto pubblico, e che invece si
realizzano grazie alla relazione organizzativa interna della
struttura amministrativa dell’ente appaltante, che comprende
anche la società oggetto dell’affidamento in house allo stesso
livello di un comune organo dell’ente stesso.
12
Capitolo I
La nascita dell’affidamento in house nell’esperienza
comunitaria, la sua evoluzione e la sua applicazione
nell’ordinamento italiano
Nell’ordinamento comunitario, esclusa la disciplina degli
organismi interni dello stesso, non troviamo una sistematicità
normativa riguardo le amministrazioni pubbliche. Questo può
derivare sia dalla diversa concezione che i singoli Stati membri
hanno del concetto di pubblica amministrazione, sia perché la
normativa comunitaria ha la caratteristica di essere più
funzionale che strutturale.
Quindi all’interno della Comunità la diversità di tipologie e
di concetti riferibili alle pubbliche amministrazioni discende non
tanto dalla diversità di strutture esistenti rispetto ai soggetti, che
comunque esiste, quanto dal fine perseguito dalla normativa
comunitaria di settore. Da questo deriva che le pubbliche
amministrazioni vengono prese in esame solo se vi è una
disciplina collegata a queste che merita tutela da parte delle fonti
comunitarie.
Quanto detto finora deve essere tenuto in considerazione
anche riguardo alla disciplina comunitaria in materia di lavori e
in materia di servizi, con riferimento sia ai soggetti destinatari di
tale disciplina, sia alle fattispecie che consentono di derogare
alla disciplina generale. In tale contesto bisogna fare riferimento
a certi parametri come quelli dettati dal mercato, dalla
13
concorrenza e soprattutto alla possibilità di uno Stato, in tema di
erogazione di servizi, di poter scegliere preventivamente il
modello organizzativo e gestionale che ritiene maggiormente
convincente e adatto al proprio contesto nazionale.
6
Per quanto riguarda l’oggetto della nostra trattazione il
processo di integrazione europea ha determinato
un’omogeneizzazione della protezione della concorrenza
regolata. Si può dire, quindi, che fino a pochi anni fa la
concorrenza tra imprese era terreno libero da intervento
pubblico di regolazione, mentre questo oggi non è più possibile,
producendo così anche un arretramento dello Stato come attore
economico, dato che generalmente un aumento della
regolamentazione produce un arretramento del pubblico come
attività.
L’attività sia legislativa che giurisprudenziale delle Istituzioni
comunitarie ha però lasciato margini di azione agli enti pubblici
nazionali, rispetto alla possibilità di scegliere, in alcuni casi,
autonomamente i propri referenti per lavori riguardanti l’attività
dell’amministrazione. Gli affidamenti in house costituiscono un
esempio di tale possibilità.
1.1 Le prime pronunce in merito agli affidamenti in house
Con l’espressione affidamenti in house, come già detto nella
premessa, si suole indicare l’ipotesi in cui un determinato lavoro
per la pubblica amministrazione venga affidato a soggetti che
siano parte dell’amministrazione stessa.
6
F. PATRONI GRIFFI, Le nozioni comunitarie di amministrazione: organismo di diritto pubblico, impresa pubblica,
società in house, 2005, in www.astrid-online.it
14
Nel panorama comunitario, pur partendo dal presupposto che
le Istituzioni comunitarie rimangano neutrali rispetto alle scelte
organizzative e di gestione effettuate a livello nazionale, si è
riscontrata la necessità di intervenire rispetto all’uso dello
strumento concessorio, fissando regole puntuali per impedire,
che attraverso artifizi legislativi, si eludessero gli obblighi di
concorrenza per l’affidamento di un’opera pubblica. Questo è
stato evidenziato dalla Commissione europea anche all’interno
del Libro verde su: “Gli appalti pubblici dell’Unione Europea:
spunti di riflessione” (1996). La Commissione ha avvertito la
necessità di dare un indirizzo per garantire la massima parità fra
operatori del mercato pubblici e privati e per evidenziare le
distorsioni riscontrate nell’applicazione della volontà del
legislatore comunitario.
Ma il primo accenno alla questione degli appalti in house si
ritrova nel Libro bianco del 1998, nel quale la Commissione si
era impegnata a pronunciarsi, in un prossimo futuro, attraverso
interventi chiarificatori sulle oltre trecento osservazioni
formulate da soggetti giuridici ed economici presentate in
risposta al Libro verde del 1996. Fra le questioni per le quali si
richiedeva un chiarimento, vi era appunto anche quella di
specificare cosa si intendesse con la definizione di appalti in
house, tale richiesta era giustificata dal fatto che tale argomento
era solo sfiorato da alcune fonti comunitarie, come l’art. 6 della
Direttiva 92/50 o l’art.11 e 13 della Direttiva 93/38, senza che vi
fosse una spiegazione esaustiva dell’istituto. La questione
15
veniva ripresa, sempre all’interno del Libro bianco, attraverso
una formulazione diversa all’art. 24, nella parte in cui si dice:
“un problema particolare si pone, invece, se tra concessionario
e concedente esiste una forma di delega interorganica che non
esula dalla sfera amministrativa dell’amministrazione
aggiudicatrice. La questione dell’applicazione del diritto
comunitario a simile relazione è stata affrontata dalla Corte.
Tuttavia le ulteriori cause attualmente pendenti davanti alla
Corte potranno apportare elementi di novità al riguardo”.
7
Quanto detto dalla Commissione rispetto al quesito se
l’ipotesi in cui tra concedente e concessionario sussiste un
rapporto interorganico, si devono applicare o meno i principi del
diritto comunitario in merito a concorrenza, pubblicità, non
discriminazione e comunicazione, o se si deve usare la deroga
dell’affidamento in house, che sottrae alla disciplina europea la
materia affidandola alla competenza domestica. La fattispoecie
non è chiara poiché non ha dato alcuna risposta in merito, come
d'altronde non aveva fatto nemmeno la Corte di Giustizia fino a
quel momento. La Commissione però, prende atto della
problematicità della vicenda e si rimette a future pronunce della
Corte in merito che possano chiarire meglio la vicenda.
Il contributo maggiore nel chiarire la fattispecie
dell’affidamento interno è stato dato dagli Avvocati generali nel
corso della varie cause davanti alla Corte di Giustizia riguardanti
la questione. Gli Avvocati, attraverso le varie situazioni createsi
7
C. ALBERTI, Appalti in house, concessioni in house ed esternalizzazione, Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario, 2001,
501.
16
sull’argomento, hanno delineato, con una crescente precisione, i
vari aspetti da prendere in esame e ponderare per definire la
natura giuridica del rapporto intercorrente fra l’amministrazione
aggiudicatrice ed il soggetto aggiudicatario appartenente
all’amministrazione.
Uno dei primi tentativi di fare chiarezza sulla vicenda è stato
fatto dagli Avvocati Generali delle cause Arnhem
8
e RI.SAN
9
,
questi hanno tentato di approcciarsi alla questione in modo
funzionale anziché formale, ciò ha comportato un andare oltre la
qualificazione giuridica del soggetto come società per azioni. Si
sono anche resi conto che tale elemento formale non era
determinante per escludere, aprioristicamente, che tali società
fossero parte integrante della pubblica amministrazione, infatti
sono riusciti ad arrivare a tale assunto attraverso un
ragionamento che si è articolato in più fasi servendosi di diversi
indici, che dimostrassero la dipendenza tra i due soggetti,
amministrazione da un lato e società dall’altro.
Nei casi sopra citati gli Avvocati Generali, rispettivamente La
Pergola e Albert, hanno messo in luce soprattutto due elementi
sintomatici del vincolo di dipendenza cioè: lo schema
finanziario che sta dietro al rapporto tra amministrazione e
soggetto aggiudicatario e la dipendenza amministrativa, riguardo
sia alla gestione che all’organizzazione.
8
Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, BHI Holding BV contro G. Arnhem e G. Rheden, causa C-306/96, in Racc. p. I-
5923.
9
Corte di Giustizia, 9 settembre 1999, RI.SAN S.r.l. contro Comune di Ischia, causa C108-98, in Racc. p. I 5219.
17
Ma in entrambe le situazioni il solo intreccio finanziario non
è stato ritenuto sufficiente a dimostrare la dipendenza tra i due
soggetti e quindi per giustificare la disciplina dell’affidamento
in house, questo perché risultava insufficiente la modalità di
remunerazione da parte dell’ente appaltante nei confronti della
società. L’altro elemento che gli Avvocati hanno cercato di
provare è la sussistenza di un’attribuzione di compiti tra diversi
organi della stessa amministrazione, riuscendo in pratica a
provare anche questo. Tali elementi fanno propendere per la
possibilità di un affidamento diretto ma in nessuno dei due casi
la Corte riesce ad elaborare, né in base alle ordinanze né in base
a quanto pronunciato dagli Avvocati, un criterio per stabilire in
quali casi e a che condizione si possa derogare alla disciplina
generale, in tema di appalti pubblici, e considerare la fattispecie
un affidamento in house. Anche se nella sentenza RI.SAN la
Corte ha affermato in termini più generali, rispetto a quanto
sostenuto dall’Avvocato Albert nelle sue considerazioni finali,
la non obbligatorietà del ricorso alla gara per l’affidamento di un
servizio, potendo l’amministrazione aggiudicatrice decidere di
svolgere tale servizio direttamente o tramite un soggetto in
rapporto di delega interorganica, escludendo l’applicazione della
direttiva sugli appalti pubblici.
Prima della sentenza Teckal il problema rispetto
all’affidamento diretto consisteva nel non avere riferimenti né
normativi né giurisprudenziali per capire oggettivamente quando
si potesse parlare di in house providing.
18
Per questo la sentenza Teckal rappresenta una tappa
fondamentale per la regolamentazione degli affidamenti diretti.
La controversia ha origine da una deliberazione del consiglio
comunale di Viano, deliberazione 24 maggio 1997 n. 18, che
affida al consorzio AGAC la gestione degli impianti di
riscaldamento in funzione presso alcuni edifici comunali e la
fornitura dei combustibili necessari. Parimenti il comune ha
affidato al consorzio l'incarico di procedere ad interventi
migliorativi sugli impianti di riscaldamento. La scelta del
soggetto che avrebbe dovuto eseguire i servizi e le forniture per
il Comune era stata fatta senza una procedura ad evidenza
pubblica
10
. Questo ha portato alla presentazione di un ricorso
dinanzi al T.A.R. Emilia Romagna, sezione di Parma, da parte
della Teckal s.r.l., società potenzialmente interessata all’oggetto
della prestazione, anche perché aveva fornito tali servizi come
controparte contrattuale al Comune di Viano, prima
dell’affidamento all’AGAC.
Il T.A.R. si è rivolto alla Corte europea di Giustizia per avere
delle delucidazioni in merito a quale normativa comunitaria fare
riferimento per la soluzione della controversia, così da poter
avere dei parametri ben precisi per chiarire se il comportamento
del Comune di Viano fosse o meno conforme alla legislazione
comunitaria.
L’Avvocato generale Cosmas chiarisce preliminarmente la
questione, in merito alla possibile applicazione della direttiva
10
Punto 22, Conclusioni dell’Avvocato Generale G. Cosmas, Causa C-107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Viano (RE) e
A.G.A.C.-Azienda Gas-Acqua Consorziale- di Reggio Emilia.
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