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abile oratore, un dialectician, dotato di intelligenza e di un eccezionale wit.
La voce ammaliatrice di questo personaggio diabolico e le sue velenose
parole, che possiedono un potere perturbante, innescano in Dorian un
processo di metamorfosi da uno stato di purezza iniziale ad uno di piena e
narcisistica consapevolezza di sé.
Nel presente saggio, ci si propone di adottare un approccio linguistico
allo studio di alcuni aspetti letterari. In particolare, ci si dedicherà
all’analisi degli espedienti retorici impiegati dall’autore all’interno
dell’intero romanzo, interessandoci soprattutto ai dialoghi contenuti nei
capitoli I, II, XV e XVII di The Picture of Dorian Gray.
Sarà dunque utile delineare, in sede preliminare, un quadro sinottico
relativo alla pragmatica, soprattutto per far luce sulle dinamiche
caratterizzanti il dialogo tra Lord Henry ed i vari personaggi, con accenni
alle principali teorie sugli atti linguistici.
Lo scopo basilare della retorica antica (da Aristotele a Quintilano
2
) era
quello di persuadere, convincere e commuovere. Essa veniva quindi
utilizzata principalmente per sollecitare le passioni e l’emotività di coloro
che ascoltavano i discorsi sapientemente formulati dagli oratori, e per
favorire l’immedesimazione.
Attualmente con il termine “retorica” si tende spesso ad indicare una
pratica discorsiva, cioè l’insieme delle strategie utilizzate dai parlanti
nell’organizzazione dei propri discorsi, i tratti che demarcano le loro scelte
espressive e comunicative, fino a quella del silenzio. La retorica, in
quanto disciplina, si occupa di studiare il funzionamento di queste strategie,
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2
. Cfr., in particolare, Quintiliano, Institutio Oratoria e Aristotele, Retorica. Per i riferimenti ai seguenti testi si veda: Maria Pia
Ellero e Matteo Residori, Breve manuale di retorica, Sansoni, Milano 2001.
Per una visione d’insieme sulla retorica antica, si consultino invece i seguenti testi: Heinrich Lausberg, Elemente der
Literarichen Rhetorik, Max Hueber Verlag, München 1949, trad. it. Elementi di retorica, Il Mulino, Bologna 1969; Roland Barthes,
L’ancienne rhétorique, in “Communications”, 16, 1970, trad.it. La retorica antica, Bompiani, Milano 1972.
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inizialmente considerate tipiche della comunicazione orale e persuasiva, e
volte a realizzare discorsi efficaci. La retorica è, quindi, una tecnica che
consente di gestire e potenziare il buon esercizio della parola, sviluppando
un’ “eloquenza” persuasiva o, comunque, in grado di conferire concretezza
e plasticità al pensiero.
Alcuni filosofi antichi misero in rilievo il carattere addirittura magico
dell’eloquenza, dotata del potere speciale di intervenire sulla realtà e di
modificare l’atteggiamento degli uomini attraverso uno strumento
privilegiato: il linguaggio. Tuttavia, il mutato atteggiamento o l’azione
scaturente negli altri non sarebbero dovuti ad una meccanica imposizione
esterna, dando bensì l’impressione di derivare da una convinzione
raggiunta con una scelta propria. L’agire per effetto della persuasione,
infatti, è un agire sotto alcuni aspetti “libero” (assunto su cui gioca anche
Lord Henry, nel secondo capitolo del romanzo).
In conclusione, secondo la retorica classica, una formulazione
linguistica appropriata doveva essere in primo luogo efficace, adatta agli
scopi della persuasione. La realizzazione di un discorso dipendeva, in
particolar modo, dalla scelta delle parole, che dovevano essere credibili ed
adattarsi perfettamente al contesto in cui avveniva la comunicazione. Da un
punto di vista stilistico, le qualità fondamentali di un discorso ben
pronunciato e verosimile dovevano essere la correttezza grammaticale, la
chiarezza e la “bellezza”
3
.
Al contrario della retorica, la pragmatica è una disciplina nata in tempi
relativamente moderni, che si occupa dei principi e dei fattori
extralingustici che regolano l’uso del linguaggio nella comunicazione: il
suo campo di indagine si limita all’analisi degli enunciati, cioè della
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3
. Il Breve manuale di retorica, Maria Pia Ellero e Matteo Residori, Sansoni, Milano 2001, offre una visione dettagliata degli
scopi e delle strategie utilizzate sia dalla retorica classica, sia da quella moderna, nonché una classificazione e una descrizione
schematica delle figure retoriche più importanti e comunemente utilizzate.
5
realizzazione di un messaggio emesso da un dato parlante in una situazione
concreta ed in circostanze determinate, e della relativa interpretazione da
parte di un destinatario.
Gli studiosi di pragmatica ed i filosofi del linguaggio sostengono che
gli individui utilizzano lo strumento verbale con un obiettivo ben
determinato: ottenere il proprio scopo.
J. L. Austin
4
è stato il primo ad affermare che molti tipi di enunciati
possiedono il carattere di azione (performative utterances), dato che una
particolare intenzione comunicativa interviene ad organizzarli (esisterebbe,
pertanto, un legame molto stretto tra linguaggio ed azione). Secondo
Austin, tali enunciati esercitano una forza illocutiva (illocutionary force)
proporzionale a quella dell’azione che sono in grado di stimolare. In base a
questo criterio, egli stabilisce una distinzione tra: “atto locutivo”,
l’emissione concreta delle parole ed il loro significato letterale, che danno
luogo ad una espressione sensata; “atto illocutivo”, la forza o intenzione
comunicativa che si nasconde dietro le parole pronunciate; “atto
perlocutivo”, l’effetto che l’illocuzione causa in colui che ascolta. Per
esempio, se un parlante esclama: “Che caldo che fa qui dentro!”
(locuzione), la forza illocutiva dell’enunciato sarà quella di comunicare a
chi ascolta il proprio bisogno di aria fresca, e l’effetto perlocutivo (se la
comunicazione va a buon fine) condurrà l’ascoltatore ad aprire la finestra.
Naturalmente, non è detto che l’illocuzione comporti un risultato concreto
o quello desiderato.
Gli studi di John Searle
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continuano lungo la linea di investigazione
promossa da Austin, perfezionandone le intuizioni ed integrandone le idee
in un modello più ampio e sviluppato. Anche secondo Searle esiste uno
stretto vincolo tra linguaggio ed azione, tanto da giustificare l’elaborazione
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4
. John Langshaw Austin, How to Do Things with Words, Harvard University Press, Cambridge 1962.
5
. John Richard Searle, Speech Acts: An Essay in the Philosophy of Language, Cambridge University Press, London 1969.
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di una teoria degli speech acts, secondo la quale parlare una lingua consiste
nel realizzare “atti di parola” (come affermare, domandare, dare ordini, fare
promesse, riferire….). L’atto di parola è, dunque, l’emissione di un
enunciato realizzata nelle circostanze appropriate, e rappresenta l’unità
minima della comunicazione linguistica.
Adottando la distinzione elaborata da Austin tra atto locutivo,
illocutivo e perlocutivo, Searle opera una classificazione dei diversi atti di
parola, in base alla loro forza illocutiva ed all’effetto perlocutivo che il
parlante desidera ottenere. Egli distingue così cinque tipi diversi di atti
illocutivi: assertivi, direttivi, compromissivi, espressivi e dichiarativi.
L’emissione degli atti di parola è inoltre governata da regole e principi
chiamati felicity conditions, che, potenzialmente, permettono una
comunicazione efficace; quando, però, queste regole non vengono
applicate, il destinatario può non riuscire ad interpretare la forza o
l’intenzione originarie e, di conseguenza, la comunicazione non giunge a
buon fine, oppure non avviene in maniera corretta e soddisfacente.
Vedremo come le parole pronunciate da Lord Henry nel capitolo II,
oltre ad essere ben articolate dal punto di vista grammaticale, possiedano
una notevole forza illocutiva e siano così convincenti da sortire in Dorian
l’effetto perlocutivo desiderato. Questo atto di convincimento si
concretizza perché, durante il suo monologo, Lord Henry applica molte
condizioni e tattiche sapientemente congegnate.
Un’altra importante teoria formulata in ambito pragmatico è quella di
H. P. Grice
6
, che si occupa fondamentalmente dei principi non normativi
regolanti lo scambio comunicativo e l’interpretazione degli enunciati da
parte del destinatario.
La comunicazione sarebbe caratterizzata da due livelli di significato:
____________________
6. H. Paul Grice, “Logic and Conversation”, in Syntax and Semantics, vol. 3, Academic Press, New York 1975, pp. 41-58.
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uno espresso letteralmente (expressed meaning) ed uno sottointeso (implied
meaning). Grice, in sostanza, condivide l’idea di Searle che le parole
possiedano un livello connotativo. Compito del destinatario del messaggio
in questione è, quindi, cogliere il significato sottointeso o addizionale di un
enunciato, ossia ciò che l’emittente indica in maniera indiretta nel momento
in cui questo si pronuncia (tale funzione che il destinatario è chiamato a
svolgere è definita inference). Dal canto suo, il messaggio indiretto e
sottointeso, che Grice chiama implicature, è generato in maniera
intenzionale e consapevole dal parlante.
Il punto di partenza e principio fondamentale della teoria di Grice
consiste nel presumere che si inneschi sempre una cooperazione tra i
parlanti durante la comunicazione (cooperative principle): “Make your
conversational contribution such as it is required, at the stage at which it
occurs, by the accepted purpose or direction of the talk exchange in which
you are engaged”
7
. Si suppone, quindi, che i parlanti si sforzino ogni volta
di osservare questo basilare principio. Solamente in questo modo, essi
saranno in grado di dedurre correttamente il significato indiretto (non
letterale) sotteso ad ogni scambio comunicativo.
Nell’ambito dell’attualizzazione di questo principio, Grice individua
quattro massime:
1) Quantity (Quantità)
Questa massima riguarda la quantità di informazione da calibrare:
“Make your contribution as informative as it is required for the current
purposes of the talk exchange. Do not make your contribution more
informative than it is required.”
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7
. M. Victoria Escandell Vidal, Introducción a la Pragmática, Ariel Lingüística, Barcelona 1996, pp. 78-80.
Questo manuale costituisce la fonte anche delle citazioni successive.