4
1 Popolare?
A cosa ci riferiamo quando parliamo di “popolare“? Pochi termini
della lingua italiana recano in sé altrettanti equivoci e occultano altrettante
contraddizioni, anche per ragioni storiche. Se volessimo seguire le
indicazioni del dizionario troveremmo che la parola “popolare” deriva dal
latino popula¯re(m), derivazione di popu°lus 'popolo' con diverse
spiegazioni: 1 del popolo, inteso come l'insieme di tutti i cittadini; 2 del
popolo, inteso come l'insieme delle classi meno abbienti e socialmente
meno elevate; fatto in favore di tali classi, destinato a esse; 3 che trae
origine dal popolo, che ne esprime idee e sentimenti; 4 che è molto noto o
diffuso tra il popolo, che ne gode le simpatie
1
.
L’aggettivo popolare viene usato, nel linguaggio comune, per qualificare
un’infinità di oggetti; l’impressione è che il significato sia profondamente
diverso non solo a seconda dell’oggetto a cui si riferisce ma anche a
seconda di chi lo pronuncia. Il giudizio, riassunto nell’aggettivo, è pieno di
connotati positivi quando si tratta di una constatazione diciamo a posteriori,
espressa sopra un oggetto che esiste, che ha dato prova di sé. Qualche
perplessità, invece, solleva l’espressione quando si configuri come
indicazione preliminare, come premessa, come programma: è questo il caso
in cui da progettare ci sia un giornale. Dall’aggettivo popolare e dal suo uso
linguistico si può ancora far partire un’altra serie di considerazioni non
prive d’interesse. Popolare vuole dire «del popolo»: un genitivo un po’
1
Dizionario della lingua italiana, Garzanti,Roma 2004
5
ambiguo che significa «che viene dal popolo» ma anche «che va al
popolo». Provenienza e destinazione
2
.
E ancora se ci si avvicina agli aspetti formali, ai modi in cui deve prendere
forma un artefatto “popolare”, sul piano connotativo questo aggettivo porta
con sé una serie di altri aggettivi come «rozzo, aggressivo o spiccio». In
parte questo pensiero può essere considerato come il prodotto di una serie di
pregiudizi. Se infatti per popolare si intende «prodotto dal popolo», bisogna
ricordare che la produzione popolare (più comunemente il folklore) si
caratterizza come creazione estremamente raffinata, fantasiosa e la
grossolanità è quasi sempre la conseguenza storica di una distruzione (ad
esempio i fenomeni di colonizzazione). Se invece si intende per il popolo,
allora le connotazioni quali «rozzo, aggressivo spiccio» implicano un
atteggiamento paternalistico che pensa al popolo come a una massa di gente
“semplice”
3
.
Il concetto "popolare" è spesso legato a quello di "cultura popolare", il quale
fu utilizzato per la prima volta da Johann Gottfried Herder, noto filosofo
tedesco tra i principali teorizzatori dello sturm-und-drang. Egli contrappose
la locuzione di «cultura del popolo» (Kulter des Volkes) alla «cultura dei
dotti» (Kulter der Gelehrten). Volendo cercare tra le bibliografie il termine
"cultura di massa" troveremmo che «con questa espressione si designa
innanzitutto un tipo di cultura di qualità mediocre - films, commedie,
spettacoli di rivista, drammi radio-televisivi, fumetti, musica leggera,
canzoni, narrativa rosa, romanzi gialli, racconti di fantascienza, ecc. -
2
Cfr. G. Anceschi, L’involucro progettuale, in G.Richeri I quaderni di Ikon (vol.4),Franco
Angeli Editore,Milano 1980.
3
Ibidem.
6
contraddistinto da superficialità, ripetizione di situazioni ovvie o risapute,
sfruttamento dei gusti più banali del pubblico»
4
.
Andando al cuore del termine vediamo cosa s’intende per popolo. Il popolo
veniva definito comunemente come l’insieme di tutti gli appartenenti a un
dato paese; più spesso il termine ha ricevuto una connotazione più ristretta:
in tal senso esso era la massa della gente non istruita, come nella distinzione
di Herder
5
. Tutto sommato "popolare", almeno in questa analisi, non deve
essere inteso come "fatto malamente", di bassa morale o quant'altro.
L’accezione che prenderemo in considerazione sarà quella di «destinato ad
un elevato numero di persone» (rimanendo nei termini Heberiani,
«contrapposto all'élite», cioè dedicato alla non élite che è di gran numero
superiore).
Possiamo dunque affermare che il concetto di «cultura popolare» è nato in
contrapposizione a quello di «cultura d'élite». Ed è proprio questo il punto
da cui è bene partire.
4
L.Gallino, Dizionario di sociologia, Utet, Torino 1978.
5
Cfr. P.Burke, Cultura popolare nell’Europa moderna, Mondadori, Milano 1980.
7
2 Giornale popolare?
Alla luce di quanto detto sopra, può sembrare semplice dare una
definizione di giornale popolare. Tuttavia la storia dell’impiego dei concetti
di “popolo” e “popolare”, nell’ambito della produzione culturale
occidentale, sembra indicarli come singolarmente inadeguati e nebulosi,
così come abbiamo visto, sia da un punto di vista esplicativo, sia a fini
previsionali e pragmatici. Pretendere, quindi, che con il termine «popolare»
sia possibile riferirsi ad un determinato tipo di giornale in modo univoco è
un’impresa alquanto disperata.
Il primo equivoco contenuto nella definizione di «giornale popolare» si
rintraccia sulla scorta di un interrogativo che potremmo definire storico:
giornale del popolo o giornale per il popolo? Spesso l’equivoco viene
rimosso spostando il terreno di analisi: il giornale popolare è il giornale
“letto dal popolo” (o quantomeno dai larghi strati popolari); dunque molto
diffuso. La discriminante è la penetrazione
6
. Tuttavia è pur vero che, per
essere diffuso e letto, un giornale deve in qualche modo, in qualche misura
“incontrare i gusti” dei suoi lettori.
Stuart Hall, padre dei Cultural Studies, scriveva: «I giornali devono
continuamente situarsi nell'ambito delle conoscenze e degli interessi
presupposti dei loro lettori e adottare, consciamente o inconsciamente, delle
modalità e delle strategie per rivolgersi ad essi: devono assumere
"l'atteggiamento degli altri da loro significativi", dei loro "interlocutori
immaginari", per essere in grado di comunicare efficacemente in qualsiasi
6
cfr. L'involucro progettuale, op.cit.
8
caso particolare su qualsiasi persona o evento particolare»
7
. Ed ecco
spuntare subito un altro interrogativo classico: bisogni “indotti” dalla stessa
testata o bisogni “reali”? E’ necessario chiarire che i bisogni indotti non
sono irreali. Ogni individuo delle classi subalterne, vivendo nel contesto dei
rapporti sociali capitalistici che oggettivamente lo opprimono, è attraversato
da una contraddizione: per un verso egli ha bisogno di aderire il più
possibile a quel contesto e di interiorizzare la logica per vivere e nella
speranza di migliorare, all’interno di quel contesto, le sue condizioni; per
l’altro verso, egli ha bisogno di infrangere quel contesto e di trasformarlo,
per liberarsi dall’oppressione. Questi bisogni “generali” - l’uno omogeneo e
l’altro contraddittorio con il contesto sociale dato - scaturiscono ambedue
dai processi reali, dalla pratica sociale, e sono, quindi, ambedue “prodotti”.
Paradossalmente si potrebbe dire che il bisogno di “conservazione” appare
più “naturale” dell’altro; e sulla scorta di una simile analisi, si può forse
chiarire perché un giornale che risponde al bisogno di “conservazione”
possa essere più “popolare” di un altro che risponde al bisogno di
“trasformazione”.
Diventa chiaro, a questo punto, come sia più utile cominciare ad analizzare
in che modo e in quale misura un giornale, piuttosto che indurre determinati
bisogni particolari, funzioni da interprete, da riproduttore di bisogni che
sono generati dalle condizioni di vita e dalla pratica sociale. Allora c’è da
chiedersi, ad esempio, non quali bisogni “induca”, ma quali bisogni
selezioni un giornale popolare e come li interpreti e li rifletta nel suo
discorso. La risposta a questo interrogativo è rimandata ai prossimi capitoli.
Quello che ora preme portare all’evidenza è uno sguardo d’insieme, il punto
7
S.Hall, Introduction a A.C.H. Smith, Paper voices, London 1975.
9
di vista con cui è bene avvicinarsi nel momento in cui si inizia uno studio su
questa tipologia di prodotti.
In questa analisi è necessario scartare ogni approccio moralistico.
Connotare, ad esempio, negativamente il giornale popolare sulla base della
categoria della “spettacolarizzazione”
8
può essere fuorviante. Anche un
giornale “d’élite” risponde, almeno parzialmente, al “bisogno di spettacolo”
dei suoi lettori: in verità, le informazioni e le interpretazioni che il suo
“discorso” veicola risultano immediatamente utili soltanto a chi occupa
determinate posizioni nell’apparato di potere, nei meccanismi sociali; per
gli altri, si tratta di materiale che permette di assistere con più “gusto” a quel
che accade nei luoghi deputati, di materiale che viene comunque consumato
tutto soltanto dentro l’”immaginario”. Si può dire dunque che il giornale
popolare si colloca interamente all’interno (e solamente all’interno)
dell’immaginario e, per questo, rende più esplicita la spettacolarizzazione.
Questa è un’ altra ragione per cui, analizzare i meccanismi produttivi e i
dispositivi simbolici, può servire a chiarire meglio processi e concetti che
riguardano tutta l’area della comunicazione di massa.
Vengono in primo piano i problemi del modo di produzione del giornale e
del “consumo produttivo”
9
di cui il giornale è oggetto, nel loro reciproco
8
A proposito si veda A.Abruzzese, Spettacolarizzazione, in A.Abruzzese, Lessico della
comunicazione, Maltemi, Roma 2003 :«L'atto di rendere spettacolare un oggetto, sia esso un
testo, un edificio o un evento. Processo espressivo che rafforza ed enfatizza qualsiasi forma
di rappresentazione al fine di conferirgli più visibilità e più potenza[...] La
spettacolarizzazione consiste quindi in suggestione materiale e immateriale ottenute per
mezzo di artifici elaborati a immagine e somiglianza della magnificenza della natura. Si tratta
di un dispositivo fondamentale per evocare sensazioni collettive. Nella modernità
spettacolarizzazione e massificazione sono avanzate facendo perno l'una sull'altra».
9
Si veda a proposito N. 1 “I quaderni di Ikon” : Comunicazione come dominio?, Angeli,
Milano 1976: «Valenza attiva di quest’ultimo stadio del processo di produzione della
conoscenza e del sapere nei quali si determinano dinamiche emotive e comportamenti in
rapporto con la pratica sociale».
10
rapporto. Sembra utile tentare di analizzare, da una parte, come e in che
misura - prefigurandosi un certo destinatario - il giornale popolare tenda a
determinare, attraverso il suo discorso, un certo tipo di consumo e quanto in
esso incida la collocazione che il lettore e i diversi gruppi di lettori hanno
nella pratica sociale. Si potrebbe verificare, ad esempio, se la forte tendenza
all’eliminazione di ogni ambiguità nella selezione, nella presentazione,
nell’interpretazione delle notizie non sia organica all’intenzione della testata
di rimanere solamente all’interno dell’immaginario, e non corrisponda al
bisogno di un lettore che, sentendosi nei fatti escluso da qualsiasi possibilità
di scelta nella pratica sociale, aspira a trovare sul giornale solo un “vissuto
simulato”. Tuttavia il giornale popolare che i grandi gruppi capitalistici
dell’informazione hanno varato non ha necessità di porsi problemi di questo
ordine: semmai, qui la strada è quella dell’accentuazione dei caratteri propri
dell’attuale modello. Insomma, il problema è quello di allargare il mercato,
sfruttando meglio e di più bisogni già collaudati, magari in forme nuove.
11
3 Un giornale, ma per chi?
Dopo aver chiarito i termini «popolare» e «giornale popolare» per
concludere questo capitolo introduttivo, è opportuno identificare il target di
pubblico a cui questo settore della stampa intende rivolgersi. Si è parlato di
popolo, ma nello specifico chi è il potenziale acquirente? Per dare una
risposta a questa domanda bisogna indagare i meccanismi della
socializzazione. All'interno di questi meccanismi troviamo i problemi di
coloro i quali pongono la questione a partire dalla emancipazione e i
problemi di coloro i quali lo pongono a partire dalla massificazione;
nell'uno e nell'altro caso appare necessaria una esposizione quantitativa del
prodotto mediante una ristrutturazione qualitativa del medesimo in modo
tale che risulti più aggressivo ed efficace sul mercato. In effetti, la
dimensione attuale dell'industria editoriale di massa deve scegliere diverse
strategie per diversi settori di pubblico, ma non può più permettersi una
scelta aristocratica o parziale: è necessario che sia in grado di soddisfare la
domanda di tutto il pubblico. Mentre è impossibile far diventare di massa un
linguaggio settoriale, è possibile far rientrare nell'area d'interesse dei fruitori
di stampa specializzata o selezionata anche la produzione di massa.
Tuttavia potremmo dire che il pubblico di un giornale popolare è dato in
primo luogo da tutti coloro che non sono degli habitué dei quotidiani
tradizionali. In effetti è difficile che un accanito lettore de "Il corriere delle
sera" o del "Times" acquisti un quotidiano popolare, ma potenzialmente
potrebbe farlo.
12
Ecco cosa riferì Costanzo, direttore de "L'Occhio", primo tentativo italiano
di quotidiano espressamente popolare, durante un'intervista: «Penso a un
pubblico tra i trenta e i cinquant'anni, a molte donne, soprattutto casalinghe,
lettrici di fotoromanzi più che di quotidiani, fruitori più della televisione e
della radio che della carta stampata»
10
.
Possiamo dire che la differenza principale tra i lettori di un quotidiano
popolare e quelli di uno, per così dire, classico, risiede in una semplice
osservazione. Mettiamola così: mentre una persona "poco acculturata" non
riesce a leggere con facilità il classico quotidiano, un lettore di quest'ultimo,
invece, non trova alcuna difficoltà a comprendere il giornale popolare.
In conclusione del discorso, si è voluto riportare, in via riassuntiva, un passo
dell'analisi voluta dalla casa editrice Springer che produce il "Bild-Zeitung",
il più famoso quotidiano popolare tedesco. «Il fascino esercitato dal
quotidiano su chiunque, che lo voglia o no, vera relazione di amore-odio,
assuefazione da droga, deriverebbe, ed ecco la parola agli psicologi, da un
sapiente dosaggio fra stimolazione e ammansimento. Bild risponde ai
bisogni e istinti segreti dei suoi lettori, elargendo una determinata quantità
di sensazionalismo, di sesso, di servizi di cronaca nera, e di disastri. Il
lettore quindi ha la possibilità di soddisfare i suoi impulsi inconsci della
sfera dell'Es indirettamente, per mezzo di surrogati, senza con ciò minare la
propria integrità né l'ordine sociale[...] L'aspirazione dei lettori Bild a un
mondo ordinato, comprensibile e trasparente - un mondo che nel quotidiano
lo si può trovare - significa anche che egli ha paura di questo mondo che
senza aiuto non può venire compreso. Bild argina in varie maniere queste
paure dei suoi lettori. Grazie alla sua autorità il giornale compie per il
10
Intervista con Maurizio Costanzo, direttore de "L'occhio" :«Il dito nell'occhio»,
Numerozero, Marzo 1979, p.14.
13
lettore il lavoro dell'ordinare, catalogare, e valutare gli avvenimenti del
mondo circostante. In questo modo esso trasmette al lettore la
tranquillizzante sicurezza che questo mondo può venire affrontato»
11
.
11
B. Rauen, I quotidiani "popolari": in Germania, in G. Richeri, Un quotidiano "popolare"?,
Franco Angeli, Milano 1980, p.96.