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La tesi è articolata in tre parti: la prima ripercorre le tappe del lungo cammino compiuto
dalla Germania dalla divisione all’unità con una premessa sul Terzo Reich, la seconda
illustra la storia della Turingia dal Medioevo al Novecento per poi valutare le conseguenze
della riunificazione sulla sua economia, e infine la terza parte studia il caso specifico
dell’industria del vetro.
La scelta di dedicare ampio spazio alla storia tedesca dal 1933 al 1989-90, è stata motivata
dall’importanza degli eventi che si susseguirono in quel periodo, e che plasmarono il
carattere della Nazione.
Aver presente le vicende storiche, politiche ed economiche vissute dalla Germania nel
secolo scorso è fondamentale per valutare l’impatto della riunificazione tedesca sui Länder
orientali, e studiarne in particolare gli effetti sull’economia della Turingia e sulla sua
industria del vetro.
La prima parte consta di tre capitoli, di cui il primo narra la catastrofe del
Nazionalsocialismo. In esso vengono esposti gli eventi dall’ascesa di Hitler nel 1933 al
crollo del Terzo Reich nel 1945, i quali trovano un’interpretazione nell’immagine del
trionfo del mito sulla ragione.
Il secondo capitolo descrive le vicende che hanno portato alla nascita della Bundesrepublik
Deutschland e della Deutsche Demokratische Republik, segue il loro sviluppo nel clima
della Guerra Fredda, e ne considera i sistemi economici.
E’ necessario tenere presente quest’ultimo aspetto per capire le problematiche legate alla
trasformazione dell’economia dei Länder orientali dopo la riunificazione. La presenza di
due Stati di nazionalità tedesca comportò la divisione dello spazio economico. Inoltre
l’appartenenza a due blocchi contrapposti nello scenario politico internazionale della
Guerra Fredda ne orientò la riorganizzazione delle politiche economiche: la Germania
occidentale adottò un modello di economia di mercato noto come “economia sociale di
mercato” (Soziale Marktwirtschaft), mentre quella orientale mise in pratica un’economia
pianificata centralmente sul modello di quella sovietica.
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato al processo di riunificazione della Germania,
conclusosi con la caduta del muro di Berlino e la proclamazione dell’unità nel 1990. Nel
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decennio che seguì, i Länder appartenuti alla Deutsche Demokratische Republik furono
impegnati a costruire una democrazia solida e ad avviare il processo di convergenza
economica con le regioni tedesco-occidentali.
Il capitolo illustra le politiche economiche adottate dal governo federale e dal Land
Thüringen all’indomani della riunificazione, e gli aiuti forniti dall’Unione Europea, ne
valuta i risultati ottenuti e considera le sfide future.
Strettamente correlato alla convergenza economica e sociale è il processo di
democratizzazione, a cui vengono dedicate alcune riflessioni finali.
La seconda parte di questo lavoro espone innanzitutto le vicende storiche che dal
Medioevo al Novecento plasmarono il carattere della Turingia, per poi valutare l’esito del
processo di riunificazione economica.
Il primo capitolo ripercorre i 1500 anni di storia della regione, dal Regno di Turingia allo
Stato Libero. A causa della sua posizione centrale la Turingia rappresentava una terra di
passaggio, di scambi e di conquiste: il susseguirsi di dominatori e sovrani ne
determinarono la cronica debolezza interna, ma anche la ricchezza culturale. Solo dopo gli
eventi del 1989 la Turingia riacquistò una forma politica e territoriale definitiva e poté
avviare un processo di ricostruzione economica e di democratizzazione.
Il secondo capitolo studia l’impatto economico della riunificazione in Turingia e il
processo di trasformazione dopo il 1989-90. Vengono esposte in particolare le misure di
convergenza adottate dal governo regionale, fatto un bilancio sul processo di transizione e
considerate le sfide future.
L’ultima parte della trattazione è dedicata allo studio di caso: l’industria del vetro della
Turingia.
Si tratta di uno dei settori economici più ricchi di tradizione della regione, caratterizzato
dalla presenza di imprese storiche e altamente competitive quali la Schott e la Carl Zeiss di
Jena. Nel Novecento tale industria dovette affrontare e superare momenti molto difficili: la
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Seconda Guerra Mondiale, gli espropri e le statalizzazioni della DDR, e le privatizzazioni
seguite alla riunificazione. Dopo il crollo del regime comunista le imprese del settore si
trasformarono per adeguarsi all’economia di mercato, e affermarsi anche a livello
internazionale.
Il primo capitolo illustra la storia dell’industria dalle origini alla contemporaneità, ne
valuta lo sviluppo economico dopo la riunificazione, e fa il punto della situazione sulla
condizione attuale.
Il secondo capitolo studia le prestazioni dei singoli campi di applicazione dal 1995 al 2005.
Per ciascun settore viene raccontata la storia e l’esperienza di una o due aziende
particolarmente significative. Nel caso dell’industria del vetro artistico, in cui sono assenti
le grandi imprese, si considera la lunga tradizione di lavorazione del vetro di Lauscha, un
piccolo paese della Selva Turingia.
Per quanto riguarda il futuro dell’industria, il terzo capitolo esamina un settore che si sta
sviluppando molto velocemente e che presenta grandi potenzialità di sviluppo: le
tecnologie fotovoltaiche. Secondo il Ministro per l’economia, la tecnologia e il lavoro della
Turingia, Jürgen Reinholz, questo nuovo campo di applicazione rappresenta il futuro
dell’industria del vetro, e ha tutte le carte in regola per diventare nel breve periodo una
vera e propria “Jobmaschine”.
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La trattazione si conclude con alcune considerazioni sulle possibilità di sviluppo
dell’industria nell’era della globalizzazione e dell’allargamento dell’Europa ad Est. La
crescita del settore dipenderà dalla capacità delle imprese di far fruttare la tradizionale
collaborazione con il mondo scientifico, e il know how accumulato in secoli di produzione
e lavorazione del vetro.
2
www.thueringen.de, Thüringer Ministerium für Wirtschaft, Technologie und Arbeit
PARTE PRIMA
1945-90: IL LUNGO CAMMINO DALLA
DIVISIONE ALLA RIUNIFICAZIONE
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1. PREMESSA: LA CATASTROFE DEL TERZO REICH
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Prima di poter valutare l’impatto economico della riunificazione tedesca in Turingia, è
necessario ripercorrere le tappe del cammino compiuto dalla Germania dalla divisione alla
riunificazione. La prima parte del mio lavoro è perciò di carattere generale e dedicata alla
storia della Germania dal 1945 al 1989-90. D’altra parte non è possibile capire le vicende
del secondo dopoguerra tedesco senza tener presente la catastrofe del Terzo Reich. Gli
anni dall’ascesa di Hitler (1933) al crollo del Terzo Reich (1945) ebbero, infatti, un impatto
fortissimo sui decenni successivi. I due Stati tedeschi nati dalle ceneri del Terzo Reich si
dovettero costantemente confrontare con il dramma dell’epoca nazionalsocialista. Si può
addirittura affermare che “la storia della Germania divisa è per ampi tratti storia del
confronto con la “catastrofe tedesca””.
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Il presente capitolo narra la parabola del Terzo Reich dalla sua nascita alla caduta, e cerca
di trarne degli elementi utili per comprendere la storia tedesca dei decenni seguenti. Esso
espone innanzitutto gli avvenimenti degli anni dal 1933 al 1945 e fornisce poi nel trionfo
del mito sulla ragione una possibile chiave di lettura alla catastrofe tedesca.
1.1 1933-1945: NASCITA E CROLLO DEL TERZO REICH
Hitler, l’uomo che il 30 gennaio 1933 ricevette l’incarico di formare il governo del Reich,
era convinto di essere stato scelto dalla Provvidenza per salvare i tedeschi e la razza
germanica.
Egli espose il suo programma di politica interna ed estera nel Mein Kampf, scritto durante
la prigionia di Landsberg del 1924 e pubblicato nel 1925. Due erano i concetti fondamentali
della sua visione del mondo: l’antisemitismo e la teoria della razza pura. Lo scopo
fondamentale di quella che riteneva la sua missione era la costruzione di un grande
Impero tedesco. La Germania sarebbe dovuta diventare una potenza mondiale di pura
razza ariana, che superasse in magnificenza sia l’antico impero medievale, il Sacro
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Per la stesura di questo primo capitolo ho fatto riferimento in particolare al terzo volume del “Manuale di
storia” degli editori Laterza (Giardina A., Sabatucci G., Vidotto V. (1999)) e alla “Grande storia della
Germania” di Winkler (Winkler H. A. (2002)).
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Winkler H. A. (2002), pg. IX
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Romano Impero di nazione tedesca, sia l’impero piccolo-tedesco di Bismarck.
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Per
realizzare ciò egli riteneva necessaria l’espansione ad est a danno dell’Urss che avrebbe
permesso di conquistare “spazio vitale” per il popolo tedesco.
Hitler cominciò la sua carriera politica come capo del Partito Nazionalsocialista Tedesco
dei Lavoratori (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Nsdap). Si trattava di una
piccola formazione partitica fortemente antisemita che si serviva sistematicamente della
violenza per contrastare gli avversari politici e utilizzava per i suoi scopi una robusta
organizzazione armata: i reparti d’assalto (Sturm-Abteilungen, SA). Dopo il 1929 però,
quando la Nsdap si propose l’obiettivo della conquista “legale” del potere del Reich,
Hitler cercò di dare al partito un’apparenza più rispettabile. Abbandonò le invettive
contro gli ebrei per far leva sul malcontento imperante nella Germania della fine degli anni
Venti. Nei discorsi ufficiali evitò di presentare il proprio programma politico nei
particolari. La previsione di muovere guerra ad est per conquistare “spazio vitale” per la
Germania e conciliare così l’espansione territoriale con la crociata ideologica contro il
comunismo, non avrebbe in quel momento portato consensi e voti.
Nel primo dopoguerra la popolazione, ancora sotto shock per l’esperienza devastante
della Grande Guerra seguita dalle umilianti condizioni del Diktat di Versailles,
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non ne
voleva sapere di un altro conflitto e anelava ad un periodo di pace e di crescita economica.
La nascita della Società delle Nazioni
7
e la fase di distensione internazionale culminata
negli accordi di Locarno del 1925 faceva ben sperare. Ma lo scoppio della grande crisi nel
1929 cambiò radicalmente lo scenario. Il popolo tedesco che, oltre alle devastazioni della
Grande Guerra aveva sopportato la miseria dovuta alla crisi del marco e al conseguente
rapidissimo processo inflazionistico culminato nel 1924, non sopportò di essere ridotto in
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La storia della Germania è caratterizzata da tre età imperiali: dal 911 al 1806 con il Sacro Romano Impero di
nazione tedesca, dal 1871 al 1918 con l’Impero piccolo-tedesco di Bismarck, che escludeva l’Austria, e infine
dal 1933 al 1945 con il Terzo Reich di Adolf Hitler.
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Il trattato di pace che le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale (Stati Uniti, Francia, Inghilterra e
Italia) stipularono con la Germania il 28 giugno 1919 fu una vera e propria imposizione subita sotto la
minaccia dell’occupazione militare e del blocco economico. Indicata come responsabile della guerra, la
Germania perse un ottavo del suo territorio, tutte le colonie e dovette rifondere ai vincitori, a titolo di
riparazione, i danni subiti in conseguenza del conflitto.
7
L’organizzazione internazionale denominata Società delle Nazioni nacque nel 1919 su iniziativa del
presidente statunitense Wilson, al fine di assicurare il rispetto dei trattati e la salvaguardia della pace e
dell’equilibrio internazionale. Non riuscì, tuttavia, nel suo intento anche perché minata da profonde
contraddizioni, prima fra tutte la mancata adesione degli Stati Uniti. Estinta in via di fatto già durante la
seconda guerra mondiale fu sciolta formalmente il 18 aprile 1945.
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miseria una terza volta in poco più di dieci anni. Perse di conseguenza ogni fiducia nella
Repubblica di Weimar e nei suoi partiti ed era desiderosa di affidarsi ad un partito e ad un
uomo nuovo. Hitler e la sua formazione partitica poterono così uscire dal loro isolamento
e sfruttare la situazione facendo leva sulla paura della grande borghesia, sulla frustrazione
dei ceti medi e sulla rabbia dei disoccupati e della povera gente.
Le vicende russe del 1917 che portarono i bolscevichi al potere e le agitazioni del
movimento operaio del biennio rosso (1919-20), rafforzarono nella popolazione il timore di
una rivoluzione sociale. Ma i tentativi sovversivi degli “spartachisti” tedeschi – chiamati
così dalla Lega di Spartaco, Spartakusbund, capeggiata da Karl Liebknecht e Rosa
Luxemburg – furono rapidamente stroncati. L’insurrezione berlinese del gennaio 1919 fu
repressa nel sangue e il movimento spartachista fu eliminato. Questi eventi contribuirono
ad alimentare nel popolo tedesco la convinzione che per il futuro della Germania fosse
indispensabile una guida forte.
La Nsdap fu inoltre abile a sfruttare la Dolchstosslegende, la leggenda della pugnalata alle
spalle, diffusa in primo luogo dai generali dell’esercito e secondo la quale l’esercito
tedesco sarebbe stato in grado di vincere la guerra se non fosse stato tradito da una parte
del Paese. La propaganda nazionalsocialista portò molti tedeschi a credere che la sconfitta
della Germania fosse dovuta al tradimento della classe politica. Con l’espressione
“criminali di novembre”, i nazionalsocialisti facevano riferimento sia ai politici della
Repubblica di Weimar che firmarono nel novembre del 1919 il Diktat di Versailles, sia ai
comunisti che rovesciarono il governo imperiale, sia agli ebrei accusati di aver ordito un
complotto contro la Patria. Il mito della pugnalata alle spalle si rivelò molto efficace nella
costruzione di un forte movimento nazionalista tedesco basato sulla razza, e inoltre fu
estremamente utile nella legittimazione dell’emergente Partito Nazionalsocialista.
D’altra parte, una caratteristica di tale partito che gli fu d’aiuto nel raccogliere consensi,
era la sua origine socialista. La Nsdap non nasceva, infatti, come un partito di notabili e di
borghesi, ma come un partito socialista. Poté perciò proporsi come una valida e opportuna
alternativa sia ai marxisti rivoluzionari, sia ai borghesi reazionari. Il successo di Hitler fu
dovuto anche al fatto che lo si riteneva capace di conciliare quello che sembrava ormai
incompatibile: il socialismo e il nazionalismo.
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Nel 1933 Hitler accettò di diventare capo di un governo in cui i nazisti avevano solo tre
ministeri su 11 e in cui erano rappresentate tutte le più importanti componenti della
destra. Gli esponenti conservatori erano convinti che questo fosse sufficiente per
neutralizzarlo. Il fuoco appiccato al Parlamento nazionale, il Reichstag, la notte del 27
febbraio 1933 mostrò che avevano torto. Dell’incendio furono ingiustamente accusati i
comunisti e questo permise, da una parte di realizzare un imponente operazione di polizia
contro migliaia di dirigenti e militanti comunisti, e dall’altra di adottare una serie di
misure eccezionali che limitavano fortemente le libertà di stampa e di riunione. Lo Stato di
diritto in Germania stava lasciando il posto ad uno Stato totalitario, cioè ad “un regime per
cui la politica consisteva essenzialmente nella lotta tra amico e nemico, che reprimeva con
violenza ogni opposizione, intimidiva tutti i dissidenti attraverso l’onnipresenza della sua
polizia segreta, rimuoveva ogni tipo di separazione dei poteri a favore del monopolio di
potere di un partito e provocava con l’aiuto di ideologia, propaganda e terrore
quell’approvazione acclamatoria di cui necessitava per la legittimazione della sua
sovranità all’interno e all’estero”.
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La trasformazione della Repubblica in regime totalitario avvenne nel giro di pochi mesi.
La propaganda unita al terrore permise ai nazionalsocialisti di vincere le elezioni del
Reichstag del 5 marzo 1933. Alla vittoria elettorale seguì quella che i nazionalsocialisti
chiamarono la “rivoluzione nazionale”, che consisteva nell’allineamento dei Länder, nella
conquista del potere nelle città e nei comuni, nell’arresto degli avversari politici, nei
pogrom. Tale rivoluzione fu condotta dalle SA, ma anche dalla milizia personale di Hitler,
le SS (Schutz-Staffeln, squadroni di protezione) e dalla Lega per la lotta del ceto medio
industriale.
Un altro passo importante verso il totalitarismo fu l’abolizione del Parlamento. Il 23 marzo
1933 il Reichstag appena eletto, il cui numero legale dei membri fu manipolato in modo
anticostituzionale, approvò una legge che conferiva al governo i pieni poteri. Quest’ultimo
acquistò così il diritto di legiferare per quattro anni e di modificare la costituzione. La
legge sui pieni poteri facilitò l’attuazione della dittatura in quanto diede al regime un
potere enorme fornendogli allo stesso tempo un’apparenza di legalità e quindi di
legittimità. Oltre ad assicurarsi la lealtà della maggioranza e della burocrazia, Hitler poté
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Winkler H. A. (2002), pg. 4
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far apparire l’eliminazione del Reichstag come l’adempimento di un compito affidatogli
dal Reichstag stesso.
Infine, fra giugno e luglio del 1933, con lo scioglimento dei partiti furono annientate tutte
le possibili opposizioni al nazionalsocialismo. Il primo a farne le spese fu il Partito
socialdemocratico tedesco (Spd, Sozialdemokratische Partei Deutschlands). Seguirono il
Partito tedesco (Dp, Deutsche Partei), ala sinistra del liberalismo, il Partito popolare
tedesco (Dvp, Deutsche Volkspartei), quella destra, il Partito popolare bavarese (Bvp,
Bayerische Volkspartei) e il Centro Cattolico. Il 14 luglio Hitler varò una legge in cui si
proclamava il Partito nazionalsocialista (Nsdap) l’unico consentito in Germania. Chiunque
avesse tenuto in vita un partito politico o ne avesse fondato uno nuovo avrebbe rischiato il
carcere. In meno di sei mesi, i nazionalsocialisti riuscirono ad affermarsi come partito
unico. Nelle successive consultazioni elettorali di novembre il Nsdap ottenne il 92% di voti
favorevoli.
Nonostante si fosse liberato di tutti gli oppositori politici, Hitler ritenne non esserci ancora
quella situazione interna ideale che gli avrebbe permesso di portare a compimento la
missione di salvezza del popolo tedesco a lui affidata. Nella notte del 30 giugno 1934, nota
come “notte dei lunghi coltelli”, reparti delle SS assassinarono lo Stato maggiore delle SA
oltre ad altri soggetti invisi al Führer. In tutto ci furono 85 vittime, di cui 50 appartenenti
alle SA. Le SA, che come braccio paramilitare della Nsdap avevano contribuito in maniera
fondamentale all’ascesa al potere di Hitler, reclamavano un ruolo chiave nell’Impero e
invocavano apertamente una seconda ondata rivoluzionaria. Sostenevano inoltre
l’opportunità di uno scambio di ruoli politico-militari con la Reichswehr,
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che le avrebbe
portate ad essere l’unica forza armata della Germania. Ad un certo punto Hitler pensò
fosse giunto il momento di liberarsi di quest’ala estremista del nazionalsocialismo che non
ne voleva sapere di sottomettersi al controllo dei poteri legali e che rischiava così di
mettere in pericolo la sua missione. L’Ordine e la Legalità erano infatti i due presupposti
per consolidare il potere appena conquistato e per mantenere e rinsaldare l’appoggio e la
fiducia delle forze armate, della burocrazia e della classe imprenditrice. Senza il sostegno
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Reichswehr fu il nome assunto dalle forze armate tedesche dopo la prima guerra mondiale. Nel 1935 Hitler
annunciò la nascita della Wehrmacht, che da quel momento per tutta la seconda guerra mondiale fu l’unica
forza armata della Germania. Dalle sue ceneri nacque nel 1945 la Bundeswehr.
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di queste élites, Hitler temeva di non essere in grado di realizzare i suoi obiettivi a lungo
termine.
Sfruttando appieno la situazione il Führer riuscì inoltre a rafforzare la sua posizione
vanificando le resistenze al suo crescente potere provenienti dalla destra monarchica.
Utilizzando l’arma del ricatto guadagnò l’appoggio prezioso delle forze armate, la cui
direzione si era resa complice della strage del 30 giugno per imporre il proprio monopolio
di strumento armato del Paese. In cambio del sacrificio delle SA, Hitler ottenne l’assenso
dell’esercito alla sua candidatura alla successione del presidente Paul von Hindenburg.
Questa mossa spiazzò i monarchici e neutralizzò la loro reazione. Quando il vecchio
maresciallo morì, il 2 agosto del 1934, Hitler dichiarò la carica di presidente come
permanentemente vacante, fondendola con quella di cancelliere, sotto il titolo di "Führer e
Cancelliere" (Führer und Reichskanzler). In questo modo egli raggiunse un livello di
potere personale che non si era mai più vista dai tempi dell’assolutismo. Dal punto di vista
istituzionale la “presa di potere” poteva considerarsi conclusa. Non vi era ormai più
traccia del sistema repubblicano. Nacque il Terzo Reich.
Nel Reich nazionalsocialista si realizzò pienamente il “Führerprinzip”, letteralmente il
principio del capo, teorizzato da Hitler. Si trattava del principio in base al quale tutto
l’agire del capo era condotto sulla base della consapevolezza di avere un progetto
superiore da realizzare. Il Führer era mosso dalla convinzione che la Provvidenza gli
avesse affidato una missione salvifica da compiere in nome di tutto il popolo tedesco. Egli
rappresentava la suprema fonte del diritto ed era l’unico in grado di esprimere le
autentiche aspirazioni della Germania. Il popolo tedesco doveva perciò fidarsi ciecamente
di lui. Il rapporto fra capo e popolo doveva essere diretto, l’unico tramite consentito era il
Partito unico e gli organismi ad esso collegati, come il Fronte tedesco del Lavoro nato
dopo lo scioglimento dei sindacati liberi (Daf, Deutsches Arbeitsfront) o la Gioventù
hitleriana (Hitlerjugend). Compito di queste organizzazioni era di trasformare l’insieme di
cittadini in una “comunità di popolo” coesa, disciplinata e indifferenziata. Da questa
comunità erano esclusi in primo luogo gli ebrei e in generale gli appartenenti a razze
considerate inferiori rispetto a quella ariana. Tutti quelli che si riteneva fossero un pericolo
per la purezza del popolo eletto, dagli ebrei, agli zingari, ai portatori di malattie ereditarie,
furono inquadrati in un vasto programma di “difesa della razza” che includeva la