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mancanza è imputabile, in parte, all'ambiguità semantica del termine
“ragionevolezza”, in parte, all'insufficiente razionalizzazione di tale
argomento ad opera del giudice delle leggi, la cui giurisprudenza in
materia è di stampo prettamente casistico.
Il principio di ragionevolezza si esprime, nel giudizio di legittimità
costituzionale sulle leggi, attraverso differenti modelli operativi costituiti
dal giudizio di uguaglianza-ragionevolezza, dal giudizio di ragionevolezza
tout court e dal bilanciamento degli interessi. Il sindacato di
ragionevolezza, però, non si riduce né si identifica con nessuna di queste
forme di giudizio ma le trascende e le unifica in ragione di determinate
caratteristiche morfologiche comuni: essa costituisce, pertanto, una forma
di giudizio autonoma e generale rispetto ai modelli della sua applicazione.
L'unitarietà del sindacato di ragionevolezza si riscontra già all'interno
delle motivazioni delle sentenze costituzionali dove, spesso, differenti
operazioni di giudizio si susseguono nel medesimo iter decisorio, come fasi
di un unico percorso che conduce alla soluzione della questione di
legittimità costituzionale. I singoli giudizi costituiscono, dunque, modalità
specifiche di valutazione della discrezionalità legislativa, consentendo alla
Corte di configurare le ipotesi di soluzione tra cui scegliere quella che
meglio si adatta al caso esaminato: il giudizio di uguaglianza-
ragionevolezza è, in sostanza, un controllo di natura meta-relazionale
instaurato tra (almeno) due termini normativi, valutati attraverso il filtro
del punto di vista rilevante e che consente al giudice delle leggi di stabilire
la costituzionalità dell’uguale o del diverso trattamento disposto dal
legislatore; il giudizio di ragionevolezza in senso stretto si avvale di diversi
"strumenti" volti a sezionare la discrezionalità legislativa sotto il profilo
logico, teleologico e storico-cronologico; il bilanciamento degli interessi,
modo argomentativo che trascende gli altri due, "tagliandoli”
trasversalmente, opera una comparazione dei valori e degli interessi
costituzionali in gioco al fine di valutare se l’operazione effettuata dalla
legge è anche quella più adeguata alla Costituzione ed al contesto.
Le ragioni per le quali il principio di ragionevolezza si configura come
la "chiave di volta" dei fisiologici equilibri del sistema vanno cercate
ricollegandolo alle grandi opzioni assiologiche che, collocate al cuore della
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Costituzione, individuano e qualificano di ordinamenti contemporanei,
riconducibili al modello di "Stato costituzionale": in essi, al vertice del
sistema normativo, si colloca un atto, la Carta costituzionale, che si
qualifica in quanto ordine di valori sostanziali. Nella Costituzione, al
massimo livello, cioè, della positività, vengono enunciati, insieme alle
regole essenziali del gioco politico, i valori essenziali della convivenza
organizzata che costituiscono i primi parametri di qualificazione di ogni
atto o fatto giuridicamente rilevante ed anche i fini ultimi dell'esercizio
delle funzioni pubbliche, la cui realizzazione è compito di ogni soggetto
investito di autorità. L'impatto dei valori costituzionali sull'ordinamento
può descriversi intorno a due coordinate che giustificano la nascita del
sindacato di ragionevolezza sulle leggi.
Innanzitutto costitutiva dei valori è la "spinta" prepotente ad aprire il
diritto al "mondo dei fatti": i valori rappresentano, infatti, la
sedimentazione della storia di un popolo, il precipitato della sua civiltà e,
perciò, anche i vettori e l'orizzonte dell'evoluzione comunitaria; essi sono
sì incorporati nell'ordinamento positivo ma non perdono per questo il loro
status originario, innescando, quindi, un rapporto di costante, mutua
alimentazione tra la dimensione etica e culturale del vivere associato ed il
piano giuridico costituzionale nel cui ambito sono stati recepiti.
Incorporando al suo interno tali valori, la Costituzione oscilla tra regola e
realtà regolata, tra momento formale e momento effettuale-sostanziale ed
è evidente come una Costituzione siffatta implichi un sindacato di
legittimità costituzionale che richiede, non solo giudizi di conformità a
quanto normativamente fissato, ma anche valutazioni di compatibilità o
di congruità rispetto ad una serie più ampia di variabili che attengono al
piano degli interessi sostanziali.
La seconda coordinata che descrive l'impatto dei valori costituzionali
sull'ordinamento è costituita dal fatto che essi presentano la naturale
attitudine ad intrecciarsi e scontrarsi, dando vita ad una trama di
rapporti ora sinergici, ora conflittuali, che assoggettano il sistema
normativo ad un'incessante dinamica. In tale prospettativa è necessario,
dunque, individuare un principio superiore che realizzi la sintesi tra
questi valori, che tendono ad imporsi come assoluti, cercando di
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mantenere l'unità dell'ordinamento normativo. Tale funzione è svolta
proprio dalla ragionevolezza, definibile come "logica dei valori", che
assume, così, la veste di "principio architettonico del sistema”: essa
soddisfa l'esigenza che gli altri valori si realizzino in modo equilibrato. La
capacità di esplicare tale ruolo gli deriva dalla sua peculiare debolezza,
presentandosi come la ragione che, deposta la assolutistica pretesa di
infallibilità, accampata dalla fredda e astratta razionalità formale, si
mostra consapevole dei limiti storici e delle concrete circostanze in cui si
trova ad operare, come la virtù di persone impegnate in una cooperazione
tra uguali, come inclinazione al dialogo paritario, al ragionamento in
comune.
Intorno a queste due coordinate, come anticipato, ruota la genesi del
giudizio di ragionevolezza delle leggi: l'assunzione al centro del diritto
positivo di una tavola assiologica, radicata nella cultura del gruppo
sociale e che non recide tale legame per il fatto di essere positivizzata,
implica che al modello di Stato costituzionale non si addica la
dimostrazione il tipo razionale, sillogistico, improntata ad una logica
formale-deduttiva, ma piuttosto l'argomentazione di tipo ragionevole. A
scapito dei tradizionali criteri di giudizio di tipo letterale, logico,
presuntivo, si affermano riscontri sostanziali di conformità della legge
rispetto alle logiche dell'ordinamento, più orientati alla valutazione delle
conseguenze, della razionalità materiale della prescrizione normativa,
ossia giudizi sulla capacità dell'atto di realizzare obiettivi di benessere
sociale e di collegare, in un ragionevole rapporto, mezzi e fini della legge. Il
giudizio di legittimità costituzionale assume, dunque, non tanto i caratteri
di un controllo negativo sull'assenza di contrasto tra leggi e Costituzione,
quanto, piuttosto, quelli di un riscontro positivo circa la sussistenza di
quella dose minima di adeguatezza, congruenza, proporzionalità rispetto
al fatto (in una parola, di ragionevolezza) che la scelta positiva deve
incorporare per essere considerata come legittimo esercizio della funzione
legislativa. La Corte costituzionale ha sviluppato, attraverso la formula
della ragionevolezza, forme di controllo che le permettono di valutare le
scelte effettuate dal legislatore, non solo nella loro astratta conformità ad
un ordine superiore ed esterno (Costituzione), ma nella loro
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corrispondenza ad un'idea di interna razionalità e plausibilità, sia sul
piano strumentale che su quello sistematico. Tale marginalizzazione del
parametro e l'apertura del controllo agli orizzonti dell'inferenza empirica,
sono, inoltre, caratteri rinvenibili in generale nel sindacato di legittimità
costituzionale delle leggi: la ragionevolezza si impone, infatti, attualmente,
come canone totalizzante ed omnipervasivo e perde l'attitudine a
qualificare un peculiare tipo di giudizio.
LE PROBLEMATICHE DELLA RAGIONEVOLEZZA
Ricostruita così la morfologia della ragionevolezza ed individuate sul
piano teorico le circostanze che la evocano, devono essere messi in luce
anche i pericoli, i rischi che un sindacato siffatto porta con sé. Questa più
aperta e complessa pratica giurisprudenziale, che di certo supera certe
angustie del positivismo giuridico e si giustifica con la considerazione
delle difficoltà di un regime pluralistico ad esprimersi nei soli
procedimenti destinati alla formazione decisioni politiche, è, infatti,
corredata da alcuni problemi: come evitare che le decisioni della Corte
costituzionale risultino imprevedibili nei loro dispositivi ed
eccessivamente libere nelle motivazioni? Come "combattere" i timori che i
discorsi sulla ragionevolezza, situati al limite tra merito e legittimità
costituzionale, invadano le prerogative del legislatore? I giudizi di
ragionevolezza, se da un lato esaltano la Costituzione (rappresentando
l'unico strumento per non vanificare clausole costituzionali che
impongono il perseguimento di scopi particolari, la presenza di specifici
presupposti di fatto, il rispetto di criteri metagiuridici...) dall'altro
sembrano comprometterne la rigidità: il principio di ragionevolezza, da un
lato è l'unico strumento in grado di assicurare un effettivo rispetto da
parte del legislatore dell'imprescindibile equilibrio tra i molteplici e non
sempre convergenti principi fondamentali che rappresentano il nucleo
duro della Carta costituzionale, dall'altro “relativizza” la Costituzione,
aprendo ampi spazi alle scelte discrezionali dell'interprete.
Per fronteggiare tali inconvenienti, certamente, non si potrebbe
pretendere la redazione di una "scala di valori precostituita" poiché questa
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dovrebbe essere sempre ridefinita in vista delle singole questioni
sottoposte all'esame della Corte: non esistono infatti valori o principi che,
almeno in qualche caso, non debbano ritrarsi o soccombere nel confronto
con esigenze ed interessi di ordine diverso.
Molti autori hanno, perciò, cercato i rimedi sul piano dei tests
giudiziali utilizzabili nelle questioni inerenti alla ragionevolezza:
occorrerebbe, si è sostenuto, che la Corte elaborasse una "teoria del
ragionevole" o un "protocollo delle operazioni logiche” effettuabili volta per
volta. Tuttavia, malgrado in molti pronunce del giudice costituzionale non
siano mancati tentativi di razionalizzare e di incanalare il sindacato sulla
ragionevolezza delle leggi, esso non ha mai fissato e rispettato compiuti
protocolli, così che la giurisprudenza costituzionale si è consolidata per
effetto del solo accumulo dei precedenti: manca, nelle decisioni della
Corte, l'impegno serio a selezionare i tratti comuni alle varie
argomentazioni riconducibili alla ragionevolezza in senso stretto, a
razionalizzare le strategie argomentative utilizzate, stabilizzandole in
canoni di giudizio al fine di elaborare modelli e schemi di controllo tipici;
anzi, le indicazioni in tal senso provenienti dalla Corte appaiono, alle
volte, così incerte ed instabili da risultare addirittura fuorvianti. La
dottrina, viceversa, non si è sottratta ad un simile sforzo ricostruttivo ed è
proprio dai teorici del diritto che proviene "l'appello", rivolto alla
giurisprudenza costituzionale, di rendere manifesti nelle motivazioni i
modi argomentativi del sindacato di ragionevolezza. La ricerca volta
all'individuazione dei parametri del giudizio di ragionevolezza e
l’elaborazione di un test di giudizio è volta allo scopo di mantenere
l'operazione interpretativa del giudice costituzionale nei limiti del giudizio
di legittimità, senza il quale sarebbe consentito alla Corte di svolgere
qualsiasi apprezzamento sul merito della scelta politica del legislatore. La
classificazione delle forme del sindacato di ragionevolezza e delle strategie
argomentative tipiche riproposta nella trattazione distingue gli "strumenti"
della ragionevolezza in: argomenti di razionalità sistematica che si
traducono in un giudizio di coerenza, in relazione a riferimenti valutativi
ricavati dalla logica degli istituti, volto ad assicurare l'innesto della
disciplina legislativa in un tessuto normativo privo di contraddizioni;
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strumenti di efficienza strumentale che sono rivolti a verificare la
consistenza e la plausibilità del rapporto causale mezzi-fini posto dalla
legge e risultano, perciò, maggiormente compromessi sul piano delle
scelte di valore instaurando controlli dominati da apprezzamenti tecnico-
scientifici (pertinenza ed imperizia), da valutazioni intessute di giudizi di
valore in quanto aperte al confronto con parametri esterni alla legge
(congruenza ed evidenza-Natur der Sache) o prodotto di complesse
operazioni di bilanciamento (proporzionalità-adeguatezza); strumenti di
giustizia equitativa che realizzano un giudizio logicamente e formalmente
autonomo rispetto ai parametri logico-analitici, svincolato dal legame con
un elemento normativo di raffronto e basato su valutazioni ricavate da
un'area di riferimenti equitativi, culturali e politici.
I rimedi contro una giurisprudenza di stampo prettamente casistico
dovrebbero, secondo la dottrina, fondarsi sulle motivazioni che illustrano
le pronunce della Corte: la motivazione diventa così strumento di garanzia
dei destinatari della sentenza, indicando i passaggi formali e
giurisprudenziali che hanno portato a quel risultato ed appare rivolta
fondamentalmente, non tanto a neutralizzare la politicità delle scelte o a
restringere la discrezionalità del giudice, quanto, piuttosto, a conferire
legittimazione alle decisioni di un organo politicamente irresponsabile,
qual è la Corte, mostrando che esse sono frutto di percorsi logico-
argomentativi razionali. In proposito è ampio il dibattito dottrinale relativo
all'introduzione anche nel nostro sistema della dissenting opinion: tale
strumento consentirebbe di rendere palesi le modalità e le percentuali del
voto, permettendo di ricostruire la ratio sottesa alla decisione, al fine di
manifestare la maggiore o minore stabilità di un certo indirizzo
giurisprudenziale. Inoltre si ritiene, quanto meno, necessario che l'organo
della giustizia costituzionale tenga espresso conto dei propri precedenti,
anziché ignorarli o manipolarli secondo le convenienze di ciascun giudizio
e che l'utilizzazione o il superamento dei criteri già applicati, formino
oggetto di chiare ed organiche argomentazioni e vengano comunque
adoperati in modo esplicito, sulla base di ragionamenti controllabili da
quanti studiano le decisioni concernenti la legittimità delle leggi. Non
manca chi richiede la predisposizione di un ordine per la successione
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delle operazioni nel giudizio di ragionevolezza e per la scelta degli
strumenti argomentativi in esso, di volta in volta, utilizzati nonché
l’enunciazione di un protocollo che collochi tali operazioni in una
sequenza capace di dare articolata struttura alla motivazione del giudice e
di costituire il punto di appoggio per un suo riesame.
Le più importanti obiezioni che si muovono all'uso del principio di
ragionevolezza nel giudizio di legittimità costituzionale sono legate ai
timori che si pervenga, da un lato, ad un paternalistico e tecnocratico
governo dei giudici, dall'altro ad un'intollerabile supremazia del caso
concreto sul sistema normativo, del metodo casistico su quello
sistematico-giuridico.
Il primo timore si basa sull'individuazione di un rapporto di tipo
antagonistico tra giudizio di legittimità costituzionale e democrazia che è
ancor più evidente quando tale giudizio si avvale del principio di
ragionevolezza, il quale invade in modo "particolare" l'area della
discrezionalità del legislatore: la Corte, organo non rappresentativo
annullerebbe le decisioni adottate a livello politico dall'organo che, invece,
rappresenta legittimamente il corpo elettorale, sostituendo la sua volontà
a quella dei cittadini e riducendo, per tal via, la portata del principio
democratico nella dinamica del sistema. Reagendo a tali critiche parte
della dottrina evidenzia come il principio di democrazia non debba essere
ridotto alla sola regola procedurale maggioritaria, ma vada configurato
come un tassello del complessivo mosaico delineato dalla Costituzione,
entrando, così, in fisiologica sinergia con gli altri valori costituzionali: i
diritti inviolabili, lungi dal porsi in chiave antagonista rispetto al principio
democratico ne costituiscono i presupposti irrinunciabili e rappresentano
le condizioni a priori dei sistemi liberal-democratici, precedendo la
deliberazione politica. Le regole procedurali e le regole sostanziali non
sono suscettibili di essere distinte in maniera assoluta: la democrazia non
è in grado di fondarsi da sola ma rimanda ad una serie di presupposti
sostanziali, costituiti appunto dai valori materiali costituzionali,
giurisdizionalmente tutelati. Se, dunque, lo stesso regime democratico,
inteso in senso stretto, ha bisogno di una cornice metademocratica di
valori che ne limitino la forza, a maggior ragione le Corti costituzionali,
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che di tale cornice sono custodi, non potranno certo che avere una
carenza di legittimazione democratica: le Corti sono, in conclusione,
indispensabili (allo stesso regime democratico) non "benchè" siano carenti
di legittimazione democratica diretta, ma, al contrario, proprio "perché" ne
sono prive. Attraverso i meccanismi di giustizia costituzionale, è il sistema
liberale-democratico che si autotutela nei confronti di atti legislativi che,
seppur formalmente ineccepibili (poiché formatisi nel rispetto di una
procedura parlamentare conforme al valore democratico), non appaiono
compatibili con l'equilibrio di valori fissato dalla Carta costituzionale e,
dunque, risultano legali ma non legittimi: in tal modo la Corte tutela
anche il principio democratico, in quanto intrecciato e solidale con la
complessiva tavola assiologica sancita in Costituzione.
Il secondo timore, come anticipato, è che l'impiego del principio di
ragionevolezza nel giudizio di legittimità costituzionale realizzi il primato
degli elementi fattuali, dei casi concreti sul sistema delle disposizioni
normative, del metodo casistico su quello giuridico, traducendo il
sindacato di legittimità costituzionale in un insieme di giudizi di valore
che aprono uno spazio potenzialmente illimitato alla discrezionalità del
giudice-interprete. Non può negarsi che nel giudizio di costituzionalità il
riferimento agli elementi di diritto non può prescindere dall’indispensabile
riferimento al contesto, ossia all'insieme degli elementi (storici, sociologici,
politici, assiologici) che caratterizzano, sotto il profilo fattuale, la
questione oggetto del controllo di legittimità costituzionale. I contesti
hanno, infatti, in tale sede, un rilievo specifico, sia perché sono immessi
nel processo costituzionale proprio a ragioni ed a misura della vaghezza o
indeterminatezza degli enunciati costituzionali di principio, sia perché
ogni questione di legittimità costituzionale sottende concreti conflitti
d'interesse, la cui risoluzione si richiede al giudice delle leggi. La
considerazione, oltre che dei testi normativi, dei contesti, consente di
superare le "strettoie" del sillogismo giudiziale logico-deduttivo: la
ragionevolezza applicata ai giudizi di costituzionalità, infatti, pur
servendosi di questa tecnica sottende un quid pluris, che non implica
solamente un processo di valutazione del diritto mediante
l'argomentazione, bensì prevede anche una funzione attuativo-applicativa
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del diritto in vista dei contesti. Tuttavia, una cosa è dire che il contesto
sia uno degli elementi che, insieme alle disposizioni legislative
costituzionali, entrano nelle valutazioni di ragionevolezza secondo un
complesso percorso circolare di mutua condizionabilità, non traducibile in
semplificati schematismi, un’altra è dire che la prova del fatto costituisca
la sola ragione per fondare la decisione della Corte costituzionale. Il
giudizio di ragionevolezza opera, infatti, utilizzando tutti gli elementi che
entrano nel processo interpretativo-applicativo, ossia le disposizioni
costituzionali, le disposizioni legislative, i contesti: la Corte valuta ogni
elemento, individua le ipotesi di senso, sceglie la soluzione normativa più
adeguata nella dialettica tra i testi al suo esame ed il contesto applicativo.
Ciò permette di affermare che quello di ragionevolezza rappresenti un
principio sopra-costituzionale di carattere logico (più che assiologico), che
vale quale condizione essenziale affinché la Costituzione possa essere
applicata: il giudizio che se ne avvale, perciò, non procede affatto ad
arbitrio, bensì alla corretta valutazione dell’insieme.
Per concludere: è sicuramente vero che accogliere la ragionevolezza
significa, in fondo, ammettere che la certezza, la prevedibilità e la
sicurezza del sistema giuridico non sono tutto, esistendo pure la
flessibilità e la giustizia del diritto. Questi aspetti sono connessi perché il
diritto deve essere accettabile e per essere tale è necessario che sia, non
solo certo, ma anche ragionevole. Tuttavia è bene osservare che essi non
sono alternativi: la predeterminazione di tests di scrutinio o di protocolli
decisionali, consente, infatti, di recuperare quei caratteri di certezza,
prevedibilità e sicurezza delle decisioni con cui, in astratto, il giudizio di
ragionevolezza pare collidere.