5
Manca e Claudio Signorile, egli trasse paradossalmente la propria fortuna
politica dal fatto di essere poco più che uno sconosciuto. Membro della
segreteria solo dal 1968, il giovane milanese Bettino Craxi «non era
importante nel partito, ed i leader socialisti pensarono a torto di poterlo
levare di mezzo alla prima occasione»
5
.
«L’allievo vincente di Nenni»
6
manifesterà una volta assunta la
guida del PSI di voler proseguire sulle orme del suo maestro,
incamminandosi sul sentiero dell’”autonomismo” e dello scostamento dal
soffocante abbraccio del PCI, portando avanti un progetto di
«scardinamento del compromesso storico»
7
. La “strategia dell’alternativa”,
la risposta socialista a Berlinguer, valse a Craxi la rinnovata fiducia del
partito, che lo riconfermò alla Segreteria al XLI congresso, tenutosi a
Torino nel Marzo ’78.
Un programma politico incentrato sulle proposte riformatrici delle
istituzioni, con il fine primo di una qualche garanzia di governabilità, fecero
guadagnare al PSI il rango di «elemento dinamico»
8
del panorama politico
italiano, tale da rappresentare l’alternativa nuova ad un riproposizione
della coalizione DC-PCI, così come avutasi qualche anno addietro,
inattuabile dopo il documento approvato dal XIV congresso della DC
(datato 20 febbraio 1980) che escludeva ogni futura possibile alleanza di
governo con il PCI. La sconfitta, in casa dello Scudo Crociato, di chi
parteggiava per una linea morotea di dialogo con i comunisti segnò il
preludio di un nuovo esperimento di governo (destinato a durare sino
all’implodere della Prima Repubblica): il Pentapartito. Questa nuova fase
metteva definitivamente fine ai già citati “governi di solidarietà nazionale”,
ormai retaggio della storia, e per il quale già erano stati celebrati «funerali
solenni»
9
, come pronunciò lo stesso Craxi nel suo discorso di
insediamento.
Dopo che in Piazza del Gesù ebbero ingoiato a fatica il boccone
amaro della nomina del primo premier socialista della storia della
5
I Venti anni di Bettino Craxi, «Il sole 24 ore», 19 Gennaio 2000
6
Andreotti G., In morte di Bettino, «30 Giorni», n. 1, Gennaio 2000
7
Perfetti F., Il pragmatismo come forza e limite, «Ideazione», n.1, 2000
8
Guizzi V., Craxi’s Italy, «Government and opposition», n. 2 1985
9
Craxi B., «Nell’interesse della Nazione», dichiarazioni programmatiche alla Camera dei Deputati
ed al Senato della Repubblica, 9 agosto 1983. Consultabile al sito www.fondazionecraxi.org
6
repubblica (per quanto si è osservato come le candidature democristiane
a Palazzo Chigi siano state «più formali che sostanziali»
10
), un’altra
consultazione era stabilita dalla prassi affinché alla nuova nave-governo
fosse concesso il varo, ovvero la scelta della squadra ministeriale: al
ministero della difesa il segretario del Partito Repubblicano Italiano (fresco
di una esperienza di diciotto mesi da Presidente del Consiglio) Giovanni
Spadolini; dopodiché con Scalfaro al ministero degli interni, Martinazzoli
alla Giustizia, Goria al Tesoro e Forlani vice-presidente del Consiglio, i
democristiani disponevano di un sistema di contrappesi politico-
istituzionali da opporre al premier socialista tale da fare della semplice
denominazione “Governo Craxi” un «occultamento semantico delle vere
relazioni di potere nel primo governo Craxi»
11
. Infine, con i nomi del
Repubblicano Visentini alle Finanze, ed Altissimo e De Michelis
(esponente dei liberali il primo, dei socialisti l’altro) rispettivamente al
Ministero dell’Industria ed a quello del Lavoro, era così completato il
quadro dei dicasteri più influenti, o meglio, il cosiddetto “Consiglio di
Gabinetto”, esperimento di un nuovo centro decisionale nel seno dello
stesso governo, che comprendeva i sette di cui sopra e, ovviamente, il
Presidente del Consiglio.
Esauritisi i rituali dell’insediamento, accompagnati da previsioni
sulla durata del nuovo governo ora speranzose, ora catastrofiche, il ritorno
dalle ferie doveva prevedere per Craxi un’agenda irta di grattacapi: il
deficit rapportato al bilancio sfiorava il 18% ed il debito pubblico,
«problema che Craxi non poté e non volle affrontare»
12
, toccava
anch’esso punte record (456.000 miliardi nel 1983); e non poteva certo
essere un compito facile far ingoiare la pillola amara dei tagli alla spesa e
dell’aumento delle tasse ad una nazione ancora allibita dallo scandalo P2
(nondimeno suscitò critiche aspre la nomina di Longo, il cui nominativo
figurava tra quelli degli elenchi ritrovati a Castiglion Fibocchi, a capo del
Ministero del Bilancio e della programmazione economica), e che vedeva
10
Cecchini L., Il palazzo dei veleni : cronaca litigiosa del pentapartito, 1981-1987, Rubbettino,
Soveria Mannelli, 1987, pag. 138
11
Merkel W., Italia bajo Craxi: ¿Una República con gobierno?, «Revista de estudios políticos»,
n.59, Marzo 1988
12
Craveri P., Il PSI degli anni ’80 e la lezione di Bettino Craxi, «Critica Sociale», n.1/2002
7
lo stesso apparato statale ostaggio del terrorismo politico e della montante
pericolosità delle varie criminalità organizzate.
Ferme restando le varie particolarità di ogni singolo caso, le letture
della strategia craxiana in politica interna hanno tutte un minimo comune
divisore nell’individuare la rottura graduale del sistema consociativo e la
volontà di creare un nuovo Stato capace di tornare a fruire della sovranità
e dell’autorità che ad esso competono, e che ad esso furono sottratti nel
corso dei decenni trascorsi dai cosiddetti «poteri altri»
13
. Un progetto
ambizioso ma che si scontrò contro un muro creato dai franchi tiratori,
dall’ostruzionismo operato da più correnti DC , da Botteghe Oscure e dalla
“seconda guerra fredda”.
13
Cafagna L., La grande illusione, «Ideazione», n.1, 2000
8
1.2 Contesto politico internazionale
Il lustro che precede il primo governo a guida socialista segna la
fine della distensione avviata negli anni ’70 e l’inizio di quella che la
storiografia ha ribattezzato la “seconda guerra fredda”, «segnata da
riarmo, guerra propagandistica, assenza di dialogo diplomatico e scontro
geopolitico indiretto»
14
. L’incalzare di eventi scuote alla base il fragile
edificio della détente costruito dalla diplomazia di Henry Kissinger: il passo
per il ritorno al confronto fu breve, complici i sommovimenti politici nel
terzo mondo, la nuova amministrazione repubblicana con la “Dottrina
Reagan”, ed i passi falsi dei Sovietici.
La questione degli “euromissili” può dirsi un evento inaugurale della
escalation di tensioni: dato il via da Mosca ad un processo di
dispiegamento dei nuovi missili SS-20 nelle sue basi europee, giustificata
come un rimpiazzo dei vecchi SS-4 ritenuti obsoleti (Formigoni la definisce
addirittura «una misura di routine di aggiornamento del proprio arsenale
bellico»
15
), Washington percepì immediatamente il pericolo che correva la
sua supremazia strategica nel teatro euro-asiatico. Pericolo
accompagnato da pressanti insistenze degli alleati (al tradizionale rigore
antisovietico dei britannici si sommavano ora i timori di Schmidt e Giscard
D’Estaing), consci che una maggiore minaccia sovietica sulla integrità dei
confini politici del Vecchio Continente, con il conseguente mutamento
dello “status quo” della balance of power avrebbe minato, nel senso di un
incremento delle spese militari
16
, sui conti pubblici, messi a dura prova
dalle conseguenze sul breve-medio termine dalla seconda crisi energetica
del 1979.
Dopo mesi di trattative, in cui l’attenzione dei contraenti fu quasi
monopolizzata dalle conseguenze economiche della rivoluzione islamica
in Iran
17
, si giunse in Dicembre alla cosiddetta doppia decisione: fu sancito
14
Romero F., Storia internazionale del Novecento, Carrocci, Roma, 2001, pag.99
15
Formigoni G., Storia della politica internazionale nell'età contemporanea, 1815-1992, Il
Mulino, Bologna, 2001, pag., 490
16
Reagan, già dal suo primo mandato, consacrò alle spese militari percentuali sempre maggiori del
PIL statunitense.
17
Il regime di Reza Pahlevi era un “bastione” della presenza strategica americana nell’area
9
che la dislocazione dei nuovi missili Pershing e Cruise avrebbe avuto
luogo nel 1983, ma, contemporaneamente, ai sovietici veniva offerta la
disponibilità ad un nuovo negoziato sui cosiddetti missili di teatro (ovvero a
raggio intermedio, categoria in cui rientrano appunto gli SS-20 e gli
euromissili statunitensi).
Non passarono che un paio di settimane che, nella notte di Natale, i
paracadutisti sovietici occuparono Kabul, onde assicurare al potere i
“fratelli” del Partito Comunista di Karmal: partì così la disastrosa
esperienza del primo intervento sovietico fuori dai confini della propria
sfera d’influenza così come sanciti da Yalta. «L’abbandono della
distensione venne in qualche modo suggellato dall’invasione sovietica
dell’Afghanistan»
18
; ed è proprio all’inizio delle operazioni militari in
Afghanistan, al “Vietnam Russo”, che si fa risalire il primo passo della
lunga agonia dell’URSS, delle quali cause concomitanti non ne è certo
una trascurabile la nuova spirale negativa del riarmo, che, dall’invasione in
poi, spinse il gigante sovietico al crollo economico e dunque alla propria
implosione. La risposta della amministrazione Carter
19
fu dura: la ratifica
del SALT II fu bloccata ( con “congelamento” delle diverse proposte di
accordo nel campo degli euromissili), si decise l’invio di aiuti economici e
militari al Pakistan ad alle fazioni dei guerriglieri mujhaeddin, il congresso
decretò l’embargo sulle esportazioni di grano ed ogni accordo di scambio
nel campo delle tecnologie con Mosca.
Non erano certamente tollerabili per le due superpotenze defezioni
all’interno dei propri blocchi, ancor di più in un contesto ove la minima
debolezza avrebbe costituito un vantaggio per la controparte che rischiava
di divenire insanabile: ne è la prova la guerriglia dei Contras, forza
paramilitare anti-sandinista finanziata dagli Usa, in Nicaragua, ed il colpo
di Stato di Jaruselzky in Polonia nel 1981; ma la crescita del peso politico
dei Paesi europei, grazie soprattutto alla integrazione dentro le istituzioni
economiche (CEE, EFTA) e militari (Patto Atlantico, ma vi è da segnalare
18
Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Laterza, Roma-Bari, 2000
19
Sebbene è Reagan che diventa il cold warrior per eccellenza, «fu Carter il primo ad adottare una
Confrontational Stance, (una presa di posizione orientata allo scontro) », Young J.W., Kent J.,
International relations since 1945, a global history, Oxford Press, New York, 2004
10
anche un tentativo di rivitalizzazione dell’UEO), rendeva ormai obsoleta
una concezioni dei rapporti est-ovest limitata a due soli attori principali.
La vita della CEE era segnata da alti e bassi: da gesti concreti, da
dichiarazioni solenni o da vere e proprie battute d’arresto. La prima
elezione a suffragio diretto del Parlamento Europeo si ebbe nel 1979: per
quanto non fu preparata in sede di dibattiti pre-elettorali, come l’elezione
della prima assemblea popolare plurinazionale della storia avrebbe
logicamente preteso, affrontando tematiche di natura o carattere
prettamente europeistico, fu comunque importante, almeno, come
«operazione di informazione dell’opinione pubblica, la quale veniva
sottoposta ad un primo sforzo di conoscenza»
20
. Nel 1981 il “Club del
Coccodrillo”, un raggruppamento di più eurodeputati appartenenti a
diverse formazioni politiche, stilò una proposta di riforma delle istituzioni
(la risoluzione del coccodrillo), che avrebbe dovuto essere concepita da
un comitato ad hoc. Nacque così il “progetto di Trattato dell’UE”, affossato,
ancor prima che potesse dare i suoi frutti, al Consiglio Europeo di
Fontainebleu. Ed a poco servì l’esperienza del Trattato Gensher-Colombo,
ossia la proposta di un “atto”, anzichè di un vero trattato, insabbiato sotto
la cerimoniosa “Dichiarazione solenne dell’Unione Europea”, partorita dal
Consiglio Europeo di Stoccarda del Giugno 1983.
Nel Terzo Mondo intanto sempre più paesi cadevano nel baratro
della guerra civile. In Africa le ideologie marxiste, a volte caratterizzate da
improbabili venature islamiste, armavano la mano di diversi gruppi di
guerriglieri o di veri e propri “eserciti di liberazione”, i quali conquistavano
in questi anni il potere in diversi angoli del tribolato continente
21
. In
America Latina le parole di Carter sul “rispetto dei diritti umani” era motivo
di non poco imbarazzo presso quelle dittature militari anticomuniste che
Washington storicamente fiancheggiava (primo su tutti il Cile di
Pinochet);la CIA temeva un effetto domino delle ideologie rivoluzionarie
dei Sandinisti di Managua, mentre con l’invasione delle Falkland-
20
Olivi B., L’Europa difficile, Mulino, Bologna, 2001, pag.202
21
I nuovi governi marxisti di Angola, Guinea-Bissau e Mozambico, nati dalle ceneri del vecchio
impero portoghese, fronteggiavano un’ampia schiera di ribelli e paramilitari. La guerriglia degli
anti-segregazionisti in Rhodesia sferrava in questi anni il colpo finale (La tregua arriverà nel
1980). Il corno d’Africa era da anni teatro di scontri tra truppe etiopiche e somale. Cfr. Formigoni
G., Storia della politica internazionale nell'età contemporanea, 1815-1992, cit., pag. 479
11
Malvinas
22
, territorio sotto la sovranità della corona britannica, il Caudillo di
Argentina, Videla, comprometteva fatalmente il regime con le proprie
mani.
La morte di Brežnev (Novembre 1982) e la malattia che rese
Andropov, il suo immediato successore, incapace di governare già
qualche mese dopo la sua nomina resero il rapporto diplomatico ancora
più teso; e su detta tensione peserà come un macigno il discorso di
Reagan del Marzo 1983, che annunciava al mondo il progetto SDI
(acronimo inglese della Strategic Defense Initiative), ovverosia un
complesso sistema antimissilistico che si basava soprattutto su di
un’imponente flotta di satelliti artificiali (da cui il nomignolo ironico
affibiatogli in patria di “Star Wars”): un progetto forse troppo avveniristico
anche per gli scienziati della NASA.
Questo era dunque, in estrema sintesi, lo scenario sul quale
l’Europa si affacciava nell’Agosto di un anno, il 1983 appunto, che vide i
rapporti tra le due potenze scivolare al loro «momento di maggior tensione
dalla crisi di Cuba»
23
22
In poco più di due mesi di combattimenti l’esercito britannico costringerà l’esercito argentino ad
una disastrosa ritirata.
23
Romero F., Storia internazionale del Novecento, cit., pag.100
12
1.3 Caratteri generali: il nuovo “profilo emergente”
Il tema della politica estera in Italia, sin dalla nascita della
Repubblica, è costretta alla marginalità da più fattori, agenti come vincoli
legati alla politica interna, frutto delle tradizioni politico ed istituzionali
proprie del Paese, e riconducibili a quella estera imposte dallo scontro tra i
blocchi e dagli imperativi dettati dal nuovo ordine economico
internazionale.
Durante il periodo a cavallo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio del
decennio seguente intervennero alcuni mutamenti, nella natura dei
suddetti vincoli, atti a favorire una maggiore capacità d’azione nell’arena
politica internazionale: prese corpo un inedito interesse da parte della
stampa e dell’opinione pubblica, e si iniziò a parlare di un nuovo “profilo
emergente” della politica estera italiana. Ben lungi dal poter essere
raggruppate in un insieme omogeneo, molteplici variabili hanno permesso,
favorito o quantomeno non ostacolato l’imboccare della via dell’attivismo.
Ha svolto un ruolo da traino per questo nuovo corso l’ entusiasmo
de ”l’italiano medio” per la politica estera, cosa che solo sporadicamente
trova analogie nei decenni immediatamente precedenti. Entusiasmo
riconducibile all’ottimismo di una società civile che vedeva finalmente
l’uscita del tunnel della recessione economica e delle crisi politiche degli
anni settanta
24
. Si affievolì il sentimento di disaffezione verso le istituzioni,
merito anche del Presidente Sandro Pertini, verso cui gran parte della
Nazione provava una spontanea simpatia, e verso le forze armate, delle
quali la gente in patria cominciò ad apprezzare «il valore umano»
25
nei
giorni caldi della missione in Libano. Elementi, questi, che istradarono
l’opinione pubblica ad una «proiezione verso l’esterno ispirata ad
ottimismo»
26
.
L’invasione dell’Afghanistan ed il golpe di Jaruzelski in Polonia
furono episodi condannati a grande maggioranza all’interno del PCI
27
, e
diedero vita ad un sentimento di distacco, per quanto questo si rivelerà più
24
Cfr. Ferraris L.V., Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Laterza, Roma-Bari, 1996,
pag. 211
25
Ritorno dal Libano, C. Merzagora, «Corriere della Sera», 24 febbraio 1984
26
Ferraris L.V., Manuale della politica estera italiana 1947-1993, cit., pag. 317
27
Dalla totalità dei colonnelli del partito, ad eccezione di Armando Cossutta
13
ideologico che pratico
28
, di Via delle Botteghe Oscure da Mosca. Il
risultato fu un consenso più ampio alla “politica estera nazionale”, quella
atlantista ed europeista del pentapartito e delle precedenti compagini
governative
29
: gli eventi del biennio ’80-’81 dunque «riequilibrarono la
frattura che la decisione atlantica del Dicembre 1979 e l’adesione allo
SME avevano creato fra i partiti di governo e la sinistra comunista»
30
, nel
senso di un dibattito non più attestato su posizioni oppositive “di principio”,
ed incentrate ora sul modus operandi all’interno del campo occidentale,
piuttosto che sulla “scelta di campo”; come ha spiegato Pierangelo Isernia,
riprendendo le teorie di Putnam, lo scontro si sposta dalle positional
issues alle valence issues
31
. Attenuandosi le divergenze di vedute
all’interno del sottosistema partitico, attore principale nel policy-making, ed
ancor di più per quel che riguarda la politica estera nazionale, ritenuto in
questo campo il responsabile di almeno il 90% delle scelte perseguite dal
1946
32
, è chiaro come i governi del periodo considerato abbiano potuto
godere, almeno limitatamente alla politica estera, di una maggiore
capacità di movimento.
Avendo il Paese privilegiato storicamente il “rango”, misurato
attraverso onorificenze e riconoscimenti attribuiti dalla società
internazionale, al “ruolo”, il peso che sostanzialmente gioca un Paese
nelle dinamiche esterne
33
, la crisi delle istituzioni internazionali a cavallo
dei decenni Settanta-Ottanta sollevarono un problema di legittimità.
Vennero infatti a diminuire quegli “ancoraggi” di cui il Governo italiano
spesso si è servito per ritagliarsi una posizione all’esterno e,
conseguentemente, per fare di questa posizione una fonte di legittimità in
patria
34
. Una maggiore concretezza delle proprie azioni si rivela dunque
28
Cfr. Pons S., Il socialismo europeo, la sinistra italiana e la crisi del comunismo, in Colarizi S.,
Craveri P., Pons S., Quagliariello G. (a cura di), Gli anni ottanta come storia, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2004, pag. 227
29
Il consenso è comunque mitigato dalla ferma opposizione dei comunisti allo spiegamento degli
euromissili a Comiso
30
Ferraris L.V., Manuale della politica estera italiana 1947-1993, cit,. pag. 311
31
Cfr. Isernia P., Bandiera e risorse: la politica estera negli anni ’80, in Cotta M. e Isernia P. (a
cura di), Il gigante dai piedi di argilla, Il mulino, Bologna, 1996, pag. 158
32
Cfr. Coralluzzo W., La politica estera dell’Italia repubblicana 1946-1992: modello di analisi e
studio dei casi, Franco Angeli, Milano, 2000, pag. 32
33
Cfr. Santoro C.M., La politica estera di una media potenza, Mulino, Bologna, 1991, pag. 73
34
Cfr. Aliboni R., Il contesto internazionale e il profilo emergente della politica italiana, Politica
internazionale, n.1, Gennaio 1985, pag. 22
14
indispensabile per medicare quegli organismi che si credevano l’unico
mezzo potenzialmente valido a “dare una voce in capitolo” alla Nazione
anche durante l’inasprirsi del confronto bipolare, oltreché strumenti
necessari per livellare le divisioni tra nord e sud del mondo: uno dei
capisaldi della “direttrice andreottiana”
35
di cui parleremo al paragrafo
seguente. In primis veniva la CEE: e per il tradizionale europeismo, per
quanto a tratti vaghi, della società civile italiana (galvanizzata in questi
anni dalle lotte politiche che Altiero Spinelli teneva a Strasburgo), e perché
il consolidarsi dei legami franco-tedeschi (rinforzati, anziché indeboliti
come ci si sarebbe potuto aspettare, dall’elezione del cristiano
democratico Helmut Kohl alla guida del governo della RFT) diveniva un
contraltare al montante euroscetticismo patrocinato dal governo
conservatore britannico, ed avrebbe, di lì a poco, rischiato di tagliar fuori
l’Italia dalla costruzione della balance of power intracomunitaria.
Parallelamente negli ambienti della Farnesina si desiderava
contribuire alla rivitalizzazione del Patto Atlantico ed al raggiungimento di
una collegialità che avrebbe necessariamente coinvolto maggiormente sia
gli alleati europei che le istituzioni europee stesse, «alla ricerca di una
propria identità, con priorità non più solo militari, ma soprattutto
politiche»
36
Già nel suo discorso di insediamento Craxi lasciava
palesemente intendere che il rafforzamento dei meccanismi decisionali del
Consiglio Europeo erano una premessa necessaria a dare vita ad una
maggiore equità dei rapporti all’interno dell’alleanza atlantica. Infatti il
Presidente del Consiglio fresco di investitura auspicava: «una
concertazione responsabile ed equilibrata tra l’Europa e gli Stati Uniti»
37
.
Infine il Mediterraneo, dalla crisi petrolifera del ’79 teatro di
attenzioni riscoperte da parte di politici ed analisti di politica internazionale,
spesso identificato con un non meglio specificato appellativo di “sfera
d’interesse” nazionale. La zona d’azione si sposta dunque al sud,
ponendo un enfasi di protagonismo che suona quasi come compenso di
35
Cfr. Romeo S., La politica estera italiana nell’era Andreotti (1972-1992), Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2000, pag. 19
36
Ostellino P., Colloquio con il ministro degli esteri Andreotti, «Relazioni Internazionali», N. 4,
Aprile 1988, citato in Romeo, cit., pag. 30
37
Craxi B., Nell’interesse della Nazione, cit.
15
un «ruolo subalterno a Nord»
38
. A partire dalla prima missione in Libano,
Agosto 1982, il contesto mediterraneo verrà visto come un dovere morale
dalle forze politiche di casa nostra, e dal punto di vista di una
democratizzazione urgente che avrebbe necessariamente comportato un
ruolo maggiore per l’Italia, e per un intervento risolutivo dei conflitti,
soprattutto quello annoso che correva tra gli arabi e gli israeliani (ciò bastò
a quietare gli animi di chi nutriva diffidenze verso un’azione di polizia
internazionale senza il mandato ONU, non solo Botteghe Oscure, ma
anche i filo-andreottiani
39
)
38
Romano S., Guida alla politica estera italiana, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 197
39
Lagorio L., La spedizione militare in Libano 1982-1984, in «Rivista Marittima», autunno 2003.
Consultabile alla pagina web www.leliolagorio.it