IV
In ogni parte di un mondo definitivamente globalizzato le redazioni furono costrette
a cedere spazi sempre più ampi alle notizie internazionali, che dalla prima pagina
dilagavano verso molte pagine interne; le stesse rubriche di cronaca dovevano
ospitare molti articoli sulle azioni terroristiche che si riverberavano sulla
quotidianità, sugli stili di vita degli immigrati islamici sospettati di essere "in sonno",
in attesa dell'ordine per scatenare altri attentati contro la società civile.
Anche il giornalismo italiano, da sempre più orientato verso la politica interna, ha
dovuto far fronte alla crescente importanza delle notizie internazionali, ma anche di
quelle transnazionali, che nella definizione di Furio Colombo, “viaggiano senza
controllo e filtrano attraverso le frontiere” raggiungendo fasce sempre più larghe di
pubblico. Tutte le testate, dai quotidiani nazionali e locali ai settimanali di ogni tipo,
hanno dirottato l'attenzione dei lettori verso il teatro internazionale; i periodici
specializzati delineavano gli scenari del futuro alimentando pessimismo in ogni
ambito. Alcune riviste, come "Problemi dell'informazione" indagavano sulla
soprendente avanzata di Al-Jazeera, sugli intrecci tra media tradizionali e nuovi
media, sui blog e sull'esordio del giornalismo partecipativo. Intanto, anche i
giornalisti entravano a forza nella cronaca come vittime di guerra o oggetto di
sequestri clamorosi.
Di fronte alla percezione di scenari in continua evoluzione si è scelto di studiare le
pagine internazionali di alcune testate per verificare attraverso quali codici di
comunicazione sono stati raccontati gli eventi che hanno scosso il mondo dopo il
2001, per accertare se la stampa italiana si è omologata alle dichiarazioni ufficiali o
se ha cercato di essere una voce critica, mantenendo il ruolo di “watchdog”.
L'indagine è anche di tipo comparativo perché si è deciso di mettere a confronto un
quotidiano regionale, un quotidiano nazionale e un settimanale di primo livello per
individuare i criteri di notiziabilità in redazioni con linee editoriali e target
sicuramente differenziati. La scelta è caduta su "Il Secolo XIX", il giornale più
diffuso in Liguria, su "La Repubblica", presente a Genova con una redazione propria
e su "Panorama". In particolare, proprio nel 2001 il Decimonono aveva allargato i
propri orizzonti per ben gestire il summit del G8; tutto avrebbe dovuto svolgersi
entro la "zona rossa" appositamente predisposta per la sicurezza dei capi di stato
convocati a Genova, ma le pagine del quotidiano furono travolte dai luttuosi
V
accadimenti della piazza dove migliaia di giovani di ogni parte del mondo si erano
dati appuntamento attraverso il tamtam di Internet per protestare insieme contro una
gestione dall'alto del mondo. La vicenda non si era chiusa con la partenza dei
delegati, ma mobilitò la redazione per settimane e mesi e "Il Secolo XIX" ebbe la
ribalta internazionale. L'11 settembre rallentò la cronaca sugli strascichi del G8 ma
non la spense; la testata genovese si ritrovò così a dover "coprire" due eventi di
straordinaria grandezza.
I tre giornali sono stati consultati per periodi ben delineati: dal 12 settembre a fine
novembre 2001 per quanto riguarda l’11 settembre e la guerra in Afghanistan e dal
1° marzo a fine aprile 2003 per quel che concerne il conflitto in Iraq, oltre a brevi
cenni agli episodi accaduti durante il G8 di Genova. Lo spoglio dei giornali si è
incrociato con la lettura di studi specifici sulla configurazione del giornalismo
italiano, sui contenuti dell'informazione dopo l'attentato alle Torri gemelle.
I risultati della ricerca sono stati organizzati nel seguente modo: nel primo capitolo si
descrivere a grandi linee l’evoluzione che la pagina internazionale ha subito dal
Cinquecento ad oggi, con un breve cenno alla situazione italiana, per soffermarsi poi
sulla storia delle tre testate prese in esame, utile per capirne le linee guida e le
peculiarità che caratterizzano le rispettive agende setting.
Il secondo capitolo analizza il modo in cui le tre testate hanno raccontato l’11
settembre, soffermandosi inizialmente su come sono state riorganizzate le redazioni e
la grafica dei giornali in seguito a un avvenimento di tale portata storica, per poi
evidenziare il ruolo predominante avuto dalla fotografia e dalla similitudine con la
fiction per narrare e trovare una spiegazione a fatti così terribili.
Nel capitolo successivo l’attenzione si è soffermata sulla rappresentazione della
cosiddetta "guerra preventiva" in Afghanistan e in Iraq, cercando di capire se le
nostre testate si sono appiattite sulle notizie provenienti principalmente da agenzie e
da vertici americani, se hanno cercato di contenere gli assalti del “News
Management” rivendicando spazi per la libertà di stampa, se la pratica del
giornalismo si è coniugata con le logiche del conformismo pro o contro gli Stati
Uniti, pro o contro gli islamici.
L’agenda setting delle tre testate è in linea di massima molto simile per tutto il
periodo preso in considerazione, tuttavia, mentre per quel che riguarda l’11 settembre
VI
tutti i fogli si sono limitati principalmente alla mera ricostruzione dei fatti o alla
“celebrazione” di un evento da ricordare nei secoli a venire, per quel che riguarda i
due conflitti, da subito “Panorama” e “La Repubblica” si sono assestate su linee
completamente opposte che hanno influenzato sia il modo di dare le notizie sia la
struttura dei rispettivi fogli, mentre il “Secolo XIX” ha fatto della sua mancanza di
mezzi la sua forza, mantenendo sempre un certo equilibrio nella esposizione dei fatti.
Come si vedrà dagli articoli inseriti in appendice, le diverse redazioni hanno spesso
ceduto la penna ad esponenti del mondo della cultura per raccontare "l'America
ferita" e le contraddizioni della guerra. Come ha scritto Alessandro Baricco sulle
colonne di "Repubblica" l'11 settembre "è andato in cortocircuito" il primato
dell'occidente e anche il giornalismo ha dovuto intrecciarsi con altri linguaggi per
decifrare gli eventi del mondo.
1
1. L’evoluzione della pagina di politica estera
1.1 Le notizie internazionali dal Cinquecento ai giorni nostri
Le notizie internazionali assumono grande importanza già ai tempi dei mercanti,
quando, per organizzare gli affari, si ha bisogno di conoscere gli avvenimenti che
capitano nei paesi coinvolti negli scambi.
Già alla fine del Cinquecento iniziano a essere stampate alcune testate interessate a
fatti internazionali: in Germania compare “Relazione storica” un mensile che
raccoglie tutti i fatti più importanti che accadono in Europa, grazie ai dati forniti dai
suoi corrispondenti
1
, mentre a Genova nel 1639 esce il primo giornale tutto proiettato
verso il mondo esterno alla Repubblica ligure; composto di quattro pagine scritte in
maniera molto fitta, riporta notizie dalle principali città europee, sia belliche sia
diplomatiche.
Negli anni dell’Illuminismo l’attenzione per le notizie internazionali riguarda
principalmente l’ambiente culturale, con l’intento di divulgare anche in Italia le idee
e le teorie innovative dei grandi letterati francesi. La politica nei vari stati italiani è
per lo più bandita, quindi si cercano vie alternative per mantenere vivo il dibattito.
Un forte freno è imposto anche alle notizie critiche verso le guerre che infiammano
in questi anni i paesi europei e non solo: nelle colonie americane il giornale di
Benjamin Harris è bloccato dal governatore inglese perché critico verso il suo
operato nel conflitto contro i francesi
2
.
1
A. Cavallari, La fabbrica del presente, Milano, Feltrinelli, 1990, pp. 94 e sgg.
2
F. Gaeta, Storia del giornalismo, I, Milano, Vallardi, 1966, pp. 281-283.
2
Alla fine dell’età moderna l’avvenimento che polarizza la totale attenzione delle
testate europee è sicuramente la Rivoluzione francese, di cui si cerca di seguire tutti i
fatti e gli sviluppi: proprio in questo periodo il “Times” acquista il prestigio di cui
gode ancora ai giorni nostri
3
. Nonostante la soffocante censura, le notizie provenienti
dalla Francia riescono a raggiungere anche l’Italia. Napoleone intuisce il potere che
possono avere i giornali, quindi li usa come arma contro i nemici, sia interni sia esteri
e impone la censura sulle operazioni militari in preparazione
4
.
L’Ottocento è il secolo in cui le notizie estere sono usate come veicolo per innescare
battaglie e criticare, seppur clandestinamente, le autorità straniere.
Verso la metà del secolo il “Times” inventa la figura del corrispondente estero,
lautamente pagato e accresce ancora il suo prestigio quando invia un suo reporter,
William Howard Russell, per seguire la guerra di Crimea; con i suoi reportages cade
il mito del conflitto eroico data dai capi militari e si svela la realtà fatta di sofferenze
e dolore
5
.
Alla fine del secolo, in concomitanza con le prime guerre coloniali, anche i fogli
italiani più famosi decidono di inviare giornalisti al seguito delle truppe in Africa.
Proprio l’esperienza colonialista, unitamente all’entrata dell’Italia nella Triplice
alleanza, sono gli elementi che animano il dibattito nelle pagine di politica estera tra
chi è favorevole e chi contrario a queste scelte. Quindi le notizie estere non sono
quasi mai fini a se stesse, ma sono scelte in base alla loro influenza sulla politica
italiana.
Agli inizi del Novecento le testate assumono nuove configurazioni grazie all’uso del
telefono che velocizza i rapporti con gli inviati all’estero, che assumono ruoli
professionali ben definiti.
La maggior parte dei corrispondenti sono tuttavia giovani che aspirano a entrare nel
mondo letterario più che in quello giornalistico, quindi i loro articoli uniscono alla
cronaca dei fatti alcuni aspetti culturali trovando spesso posto in terza pagina.
3
J.N. Jeannenay, Storia dei media, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 70.
4
C. Capra, Il giornalismo italiano nell’età rivoluzionaria e napoleonica in La stampa italiana dal
Cinquecento all’Ottocento, a cura di V. Castronovo, G. Ricuperati, C. Capra, Bari, Laterza, 1976, pp.
410-411.
5
J.N. Jeannenay, Storia dei media, cit., pp. 73-74.
3
La più prestigiosa è sicuramente la “terza” del “Corriere della sera”, in cui Luigi
Barzini riporta i suoi diari di viaggio, come la straordinaria impresa della Parigi-
Pechino in automobile, che ottiene un grande successo tra i lettori.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale i giornali devono far fronte a numerosi
cambiamenti. Entrano in scena nuovi protagonisti come le autorità militari che
cercano in tutti i modi di limitare l’accesso alle fonti, trasformando così i fogli in
mezzi utili alla propaganda e si sperimentano le nuove tecnologie appena nate in quel
periodo come il telefono.
Il ventesimo secolo è infatti considerato quello della “guerra totale” che, per
svolgersi, dipende dal coinvolgimento di tutta la nazione, non solo dei militari
6
.
Le testate italiane come fanno fronte a questo avvenimento? “Il Corriere della sera”
si schiera a favore della scelta interventista a fianco di Francia e Inghilterra ( i suoi
inviati puntano sul descrizione eroica dei soldati), condivisa anche dal “Mattino” di
Napoli, che però vuole l’Italia schierata con la Germania (grazie a finanziamenti
delle ambasciate tedesche e austriache). I fogli cattolici si dividono tra favorevoli e
contrari, mentre “La Stampa” di Frassati opta per la linea neutralista così come
“L’Avanti!”, testata organo del PSI, che licenzia Mussolini dalla direzione perché
favorevole all’intervento.
L’entrata in guerra dell’Italia ha ripercussioni sulla foliazione e lo stile delle testate: i
giornalisti iscritti all’Associazione nazionale della stampa firmano un documento in
cui si impegnano a subordinare l’informazione ai voleri militari, rinunciando
autonomamente alla libertà di stampa ed esaltando acriticamente l’eroicità dei
soldati.
Oltre che sui contenuti, la guerra si ripercuote sugli aspetti grafici: le illustrazioni dal
fronte invadono i supplementi, ma la foliazione si fa più scarna a causa dell’alto
costo della carta e delle leggi che ne limiteranno l’uso oltre alla censura militare.
Con la fine del conflitto inizia l’elaborazione del mito della grande guerra, ma c’è
anche spazio per la critica tornando a concentrarsi sulla politica sia interna sia estera,
con particolare attenzione sui trattati di pace che si stanno stipulando.
6
F. Tonello, La nuova macchina dell’informazione. Culture, tecnologie e uomini nell’industria
americana dei media, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 226.
4
Quando sale al potere Mussolini, negli anni Venti, inizia il periodo più buio per la
stampa italiana. Il Duce si preoccupa subito di fare dei giornali il veicolo principale
della propaganda così, mentre le grandi testate riescono a mantenere una certa
indipendenza, i giornali provinciali sono in balia delle violenze dei fascisti fino alla
totale abolizione della libertà di stampa nel 1925 che perdura sino alla fine del
secondo conflitto mondiale.
Con lo svilupparsi della guerra fredda e la creazione di due blocchi ideologici
contrapposti, le testate vedono aumentare le nuove leve di giornalisti attivamente
impegnati in politica. L’attenzione delle pagine estere si concentra quindi sulle due
potenze mondiali che dominano le sorti dell’equilibrio mondiale: gli Stati Uniti,
soprattutto grazie alla figura di John Kennedy e al “boom economico” che avvicina
lo stile di vita europeo a quello americano, e il colosso sovietico. Le testate dirottano
quindi molti loro inviati e corrispondenti dalle capitali europee a Mosca e
Washington, fulcri del potere mondiale.
Le rivoluzioni nei paesi satelliti dell’Urss, seguite in diretta dagli inviati, portano alla
ribalta alcuni dei più apprezzati giornalisti contemporanei come Indro Montanelli,
“testimone di parte”, che segue in diretta la rivoluzione a Praga, è Oriana Fallaci
corrispondente dalla guerra del Vietnam con dei reportages basati sulla totale
soggettività, che immedesimano il lettore nel ruolo del giornalista.
Proprio la guerra del Vietnam è considerata l’ultimo conflitto a cui i giornalisti hanno
potuto partecipare senza essere sopraffatti dal potere della censura. Tuttavia ci sono
voci contrastanti sul ruolo dei media durante questa guerra. Infatti molti ritengono,
come Noam Chomsky nel libro “La fabbrica del consenso”, che, durante la fase
iniziale, i giornali fossero in linea con le aspettative e le ragioni governative, dato che
ancora le fasi e le immagini cruente del conflitto non venivano mostrate e raccontate.
Solo con la degenerazione dei piani militari i media iniziarono a criticare l’operato
delle autorità americane sull’onda dei malumori dell’opinione pubblica, sfatando il
mito di chi sostiene che i mezzi d’informazione avrebbero provocato l’ostilità della
gente al conflitto
7
.
Negli anni Ottanta, per evitare un’ulteriore occasione di critica alle decisioni dei
governi nel campo della politica estera, la presidenza Reagan fa del “news
7
N. Chomsky-E. S. Herman, La fabbrica del consenso. Ovvero la politica dei mass media, Milano,
Marco Tropea Editore, 1998, pp. 214-215.
5
management” uno dei suoi cavalli di battaglia, riportando di fatto la stampa a mero
canale di comunicazione del potere politico. L’unica via di successo è presentare
ogni guerra come “totale” e “inevitabile” in modo da poter ricorrere a una censura
drastica
8
. Il primo esempio concreto di questa nuova linea è il conflitto di Panama, in
cui molti giornalisti si sono visti negare la possibilità di entrare nel paese e poter
quindi seguire l’operato degli Stati Uniti.
Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da molte guerre ritenute “invisibili”, o più
precisamente, guerre aeree, senza foto imbarazzanti, sangue o esplosioni, solo con le
videocassette fornite dai generali, come il primo conflitto nel Golfo o quello nell’ex
Jugoslavia, in cui ha iniziato a delinearsi un nuovo tipo di inviato, il cosiddetto
“embedded”
9
. Il giornalista viene “arruolato” sul campo di battaglia a seguito delle
truppe, ma è sottoposto a regole e doveri che di fatto limitano la sua libertà d’azione
e spesso sopravvengono sentimenti di amicizia e simbiosi nei confronti dei soldati
che vanno a intaccare il dovere di cronaca obiettivo e non di parte.
Paradossalmente, nonostante lo sviluppo di tecnologie capaci di azzerare le distanze
da un punto all’altro del globo, il giornalista “embedded” sembra richiamare i
giovani inviati al seguito degli eserciti durante le prime guerre coloniali.
Da sottolineare è anche il fatto che, la maggior parte degli inviati è di lingua inglese,
quindi molte testate, pur avendo inviati sui luoghi del conflitto, non riescono quasi
mai ad avere notizie di prima mano. Emerge una nuova figura, il giornalista free-
lance (soprattutto fotografi), non legato da contratti con una testata determinata, ma
che offre i propri articoli o reportages ai giornali interessati o che non possono
permettersi un inviato permanente: in questo modo si riesce a far fronte a problemi
gestionali. Il settore dei media ha dovuto infatti mettere a punto nuove forme di
organizzazione, allo scopo di accrescere la capacità di reazione delle aziende, la loro
adattabilità e, quindi, la loro competitività. Negli ultimi anni molti editori hanno
tagliato gran parte delle loro sedi all’estero, facendo rientrare gli inviati o dirottandoli
verso paesi di maggior importanza strategica, con la giustificazione che i costi di
queste permanenze incidono in modo indelebile sulle già scarse risorse della carta
stampata, soprattutto regionale.
8
F. Tonello, La nuova macchina dell’informazione, cit., p. 232.
9
Ibidem, pp. 238-239.
6
Alla nascita di questo nuovo modo di fare giornalismo ha contribuito soprattutto lo
sviluppo delle nuove tecnologie, che hanno permesso di allargare la possibilità di
lavorare in maniera autonoma e fuori dagli uffici dell’azienda e la creazione di nuovi
prodotti (come i giornali on-line, soprattutto di contro-informazione) che possono
utilizzare le competenze tradizionali dei giornalisti in ambienti totalmente differenti.
Bastano una macchina fotografica digitale e un computer connesso a internet per far
arrivare ai giornali notizie e immagini dalle più remote zone del mondo.
Con gli attacchi dell’11 settembre inizia il nuovo millennio, riportando ancora una
volta l’attenzione del mondo mediatico alle vicende americane, ma ha anche aperto,
per quanto possibile, uno squarcio su realtà lontane dal modello di vita occidentale,
benché sia l’Europa sia l’America contino un alto numero di cittadini musulmani.
L’attenzione per le notizie internazionali non si limita comunque alle vicende
politiche, ma in misura crescente anche a quelle economiche. Ad esempio, la
straordinaria crescita del potere cinese ha ancora una volta inciso sulle scelte di molte
testate che hanno così dirottato alcuni inviati verso il paese dell’estremo oriente,
considerato una delle future potenze mondiali.
7
1.2 La formula “omnibus”: il quotidiano per tutti
Questo modello, di cui Benedetto Croce parlava già a fine Ottocento, si sviluppa in
Italia durante gli anni del secondo dopoguerra nel mercato dei quotidiani, dove non si
era mai creata la distinzione tra testate di qualità e giornali popolari, caratteristica
peculiare del panorama anglosassone e delle democrazie liberali.
Esso è destinato ad un pubblico eterogeneo, di tutte le fasce sociali e con diversi
livelli di cultura, perchè è diviso in differenti piani di lettura: il piano “nobile”,
rappresentato dalla prima e terza pagina e dalle notizie sugli Esteri, racchiudeva i
generi prediletti dall’élite, mentre agli altri piani-cronache cittadine e sport-
accedevano i ceti medi e popolari
10
. Tuttavia l’impostazione continua a rimanere
elitaria ed implica anche che vi sia una partecipazione attiva alla politica, la quale
spesso si tramuta in palese dipendenza
11
.
Ancora oggi, per i motivi sopra elencati, la maggior parte del potenziale pubblico
resta estranea all’abitudine giornaliera della lettura di un quotidiano e preferisce
attingere notizie da altre fonti.
Al riguardo i dibattiti sono fiorenti: alcuni ritengono che la stampa italiana
quotidiana sia “intrappolata, stretta in un collo di bottiglia”
12
proprio perché, nel
corso del tempo, non si è riusciti a risolvere i problemi ormai radicati nel panorama
nostrano, ovvero: il basso livello d’istruzione, la scarsa distribuzione attraverso un
sistema di abbonamenti e la cronica disaffezione degli italiani nei confronti dei
quotidiani. Tutto ciò spiega i motivi per cui il numero di copie vendutesi era
cristallizzato, al 2003, intorno ad una percentuale del 10% ( c.a. 99 copie ogni 1000
abitanti ), tra le più basse d’Europa, a cui non sembrava possibile porre rimedio,
magari potenziando le vecchie testate, dato che stava venendo meno anche il
sostegno della pubblicità che alimenta principalmente il mercato televisivo, con
percentuali record che si aggirano intorno al 55%. Tuttavia nel 2004, le copie
vendute in media giornaliera sono leggermente aumentate (+0,6%), passando da
10
G. Bechelloni, Giornalismo o post giornalismo? Studi per pensare il modello italiano, Napoli,
Liguori, 1995, p. 153.
11
P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle prime gazzette ai telegiornali, Torino,
Gutemberg 2000, 1986, p. 86.
12
Giancarlo Bosetti ha aperto una discussione sul giornalismo omnibus sulla rivista di cui è direttore
responsabile, “Reset”, e sul sito del “Dams-Università Roma Tre”: www.profonline.it. in cui sono
intervenuti noti esponenti del panorama giornalistico.
8
5,613 a 5,745 milioni di copie, mentre nel 2005 si è registrata una sostanziale
stabilità, con un livello di vendita di 5,739 milioni di copie (-0,1%)
13
.
Altri, contrari alla demonizzazione del genere “omnibus”, gli riconoscono il merito
di riuscire a dare maggiore informazione al lettore, più strumenti di decodificazione,
che lo informino ed allo stesso tempo lo intrattengano, permettendogli di analizzare
le notizie attraverso diverse “entrate”
14
.
É evidente l’influenza del genere narrativo tipico dei settimanali che ha trasferito sui
quotidiani, in primis su “La Repubblica”, la sua capacità di guardare ai fatti in modo
inedito, sezionandoli da diverse angolature, per estrapolarne anche i particolari
rimasti nascosti.
Ne consegue che la scansione dei fatti avviene su un piano orizzontale e non più
verticale: il giornale si concentra su una notizia, intorno alla quale sono create
diverse pagine dedicate all’argomento che portano ad una più ampia visibilità,
lasciando così a chi legge la libertà di iniziare dalla sezione che ritiene più affine ai
propri interessi
15
.
Questa necessità si è fatta sentire principalmente a partire dagli anni Settanta, quando
si sono affacciati all’opinione pubblica nuovi soggetti sociali, temi e punti di vista
che alimentano il pluralismo e danno vita ad una nuova serie di valori che devono
essere assecondati ed affrontati dalla stampa quotidiana
16
.
Tale commistione tra ingredienti d’élite e popolari ha sì visto aumentare le tirature di
alcune tra le maggiori testate nazionali, ma non riesce tuttavia a coinvolgere quella
estesa fascia di pubblico che, nel resto d’Europa, è servita dai “tabloid”, mentre in
Italia è spettatore unico del palinsesto televisivo
17
. Questo fatto ha spinto molti
giornali a ricorrere ad alcuni cambiamenti grafici che ne richiamino lo stile, proprio
per attirare questo tipo di clientela. Lo spazio riservato alle fotografie è infatti in
costante aumento su quotidiani e periodici, soprattutto dopo avvenimenti come quelli
riportati in questa tesi, in cui le immagini hanno prevalso sulle parole. In Italia
13
Federazione Italiana Editori Giornali, www.fieg.it (17 maggio 2006); Nielsen Media Research,
www.acnielsen.it (10 maggio 2005).
14
Dams-Università Roma Tre, www.profonline.it., (10 maggio 2005), lezione tenuta da Ezio Mauro,
direttore de “La Repubblica”, sulla formula omnibus dei giornali italiani.
15
Ibidem.
16
C. Sorrentino, Il giornalismo in Italia. Aspetti, processi produttivi, tendenze. Roma, Carocci, 2003,
p. 28.
17
G. Bosetti, Dieta anomala dell’opinione italiana, in Giornali e tv negli anni di Berlusconi, a cura di
G. Bosetti e M. Buonocore, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 7-31, precipue p. 28.