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complesse che riguardano l’entità e l’adeguatezza delle materie
prime disponibili, le possibilità e le conseguenze del progresso
tecnologico, la capacità del sistema ecologico mondiale di sostenere
i ritmi crescenti delle attività antropiche. Focalizzando l’interesse su
queste problematiche, si ritiene utile il riferimento ad alcuni schemi
interpretativi forniti dal pensiero economico che considerano
l'esistenza di limiti alla crescita relativi alla scarsità di risorse
naturali.
Su queste basi si è impostata la valutazione critica di alcuni
contributi empirici, che presentano un certo grado di “apertura”
interdisciplinare, come “l’analisi simulativa globale”, recepita dal
famoso rapporto del M.I.T., o l’analisi delle ricerche effettuate dal
Wuppertal Institute incentrate sul concetto di impronta ecologica.
Seppur non esenti da critiche, tali studi hanno sottolineato
l'importanza di alcune variabili, che riaffiorano nelle recenti
indagini rivestendo un ruolo cruciale. Con riferimento alle questioni
attuali si è cercato di selezionare gli aspetti più pregnanti relativi
all’esaurimento delle risorse minerali ed energetiche, alla
produzione alimentare ed all’inquinamento, che compromettono
l’equilibrio dell’ecosistema terrestre, imponendo dei limiti ecologici
alla crescita.
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In particolar modo, il tentativo di questo lavoro è stato quello di
uscire dai termini dogmatici, cercando di analizzare determinate
aporie presenti all’interno dei concetti di sviluppo e di sviluppo
sostenibile. Partendo dal 1949, anno della dichiarazione alle
Nazioni Unite di Harry Truman, nella quale fu introdotta per la
prima volta la distinzione tra paesi sviluppati e paesi in via di
sviluppo, per arrivare ai giorni nostri con l’avvento di quella che
Latouche definisce era dello sviluppo aggettivato, l’analisi è stata
incentrata sulla visione dello sviluppo come uno stato mentale,
cercando di estrapolare gli effetti collaterali del concetto, prendendo
in esame gli effetti sull’immaginario, gli effetti ambientali, e gli
effetti sociali. Si è cercato di analizzare poi, in un periodo storico
che vede il concetto di sviluppo sostenibile come una specie di
riferimento obbligato per le politiche di destra e di sinistra, come
nella realtà, fin dal primo momento, lo sviluppo sostenibile si fonda
su una ambiguità naturale, e su una insormontabile contraddizione.
Secondo i suoi più accesi sostenitori, lo sviluppo sostenibile doveva
conciliare tre esigenze: la crescita, la riduzione della povertà, e la
tutela degli ecosistemi. Ma l’obiettivo della crescita economica è
visto come condizione necessaria per il successo delle altre due;
come si è visto nell’analisi degli accordi internazionali, la crescita è
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sempre stata vista come condizione necessaria dello sviluppo, ma
con il tempo ci si è resi conto che essa è una condizione sufficiente
(rendendo quindi inutile la distinzione tra sviluppo e crescita).
Da qui il raggiro che ha colpito l’umanità negli ultimi decenni:
giustificare la conformità dello sviluppo di tutti i popoli con quelli
dei paesi occidentali, e sottoporli alle ingiunzioni delle istanze
internazionali aureolate del concetto di sostenibilità.
La tesi che questo lavoro intende sottolineare, è che in realtà con
l’avvento dello sviluppo sostenibile, si è semplicemente affiancato
un aggettivo al concetto di sviluppo, senza per questo modificare il
modello che ha dominato il mondo per oltre cinquanta anni,
creando polarizzazione sociale e crescenti disuguaglianze, nonché
un incessante sfruttamento delle risorse ambientali accompagnato
da fenomeni di concentrazione.
Tale modello, paradossalmente, ha rappresentato anche un
aspirazione da parte di tutti quei paesi a crescita lenta, esclusi da
quelli che venivano percepiti come i “frutti” dello sviluppo.
Il tentativo è stato quindi, quello di mettere in discussione il
contenuto del concetto di sviluppo, insieme a quello di crescita da
cui è indissociabile, ponendo un quesito: è possibile pensare ad uno
sviluppo differenziato nel suo oggetto, nello spazio e nel tempo, per
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stabilire priorità in funzione dei bisogni e della qualità delle
produzioni, per consentire la crescita per i più poveri e la
decelerazione di quest’ultima per i più ricchi?
Nel cercare di rimarcare un concetto che per certi versi appare
ovvio, come la finitezza del pianeta, la risposta che viene da questo
lavoro è che, anche se si diminuisce l’intensità della produzione
energetica e delle risorse naturali, lo sviluppo necessario dei più
poveri implica la rinuncia allo sviluppo illimitato dei più ricchi.
Il capitolo conclusivo di questo lavoro, si concentra sull’esperienza
di due comuni italiani, Alessandria e Melpignano, degni di nota
per le politiche comunali realizzate che, contemporaneamente
integrano il rispetto dell’ambiente, il recupero del territorio e delle
tradizioni, e che vedono la cultura come volano dell’economia,
dimostrazione del fatto che solo considerando etica, economia, ed
ecologia come un'unica categoria analitica, si può provare a pensare
ad uno sviluppo “diverso”.
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CAPITOLO I
In principio fu lo sviluppo
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1.1 Preistoria (Gli anni dell’ottimismo)
“Ci dobbiamo imbarcare in un programma coraggioso per rendere
disponibili i benefici del nostro avanzamento scientifico e del
nostro progresso industriale per favorire il miglioramento e la
crescita delle aree sottosviluppate(…) Più della metà della
popolazione mondiale vive in condizioni prossime alla miseria(…)
La loro povertà costituisce un handicap ed una minaccia sia per
loro che per le aree più prospere.
Per la prima volta nella storia l’umanità possiede la conoscenza e
le capacità di alleviare la sofferenza di queste persone.”
(Harry Truman 20 Gennaio 1949)
Con queste parole pronunciate dal presidente americano al discorso
inaugurale del congresso si apre l’era dello sviluppo.
Si apre cioè quel particolare periodo storico che cataloga per
sempre l’emisfero Sud del mondo come “area sottosviluppata”.
Questa definizione è stata per molti anni uno dei vocaboli più usati
dopo la parola Dio e, come spesso succede, quando una parola è
sulla bocca di tutti va sempre a finire che assume troppi
significati,ovvero nessun significato.
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Il concetto, derivato dalla biologia, ha costruito la storia come un
processo di maturazione; la società viene paragonata al divenire di
un fiore che,secondo leggi interiori,si avvia in modo irreversibile
verso lo stato della fioritura (Sachs 1997, Cap. II), imponendosi nel
linguaggio corrente per designare ora uno stato ora un processo
associati alle nozioni di benessere, progresso, crescita economica e
di equilibrio ecologico.
Quindi ciò che Truman predicava nel suo “Point Four” altro non
era che porre le basi per un mondo meraviglioso, più giusto, dove le
persone sarebbero state più felici avrebbero vissuto più a lungo, e
con l’aiuto di “tutti noi” si sarebbe combattuta definitivamente la
carestia, la malattia, lo sfruttamento e la violenza; tutto l’insieme
delle aspirazioni e dei valori degli uomini di tutto il mondo
racchiusi in un solo termine: lo sviluppo.
Come fare a non essere d’accordo con chi aspira ad vivere un
mondo migliore?
Difatti da questo momento in poi:
“si costruiscono scuole, si scavano pozzi e si costruiscono strade, si
sfrutta la foresta e si incoraggiano le esportazioni, si costruiscono
nuove fabbriche e si moltiplicano le occupazioni, si liberalizza il
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commercio e si lanciano satelliti di sorveglianza...”(G. Rist 1997,
Cap. I)
Tutto l’insieme delle attività compiute dall’uomo verranno
intraprese nel nome di questa parola passpartout, che colpì talmente
nel segno da rendere giustificate le successive politiche interventiste
del Nord e la patetica commiserazione del Sud.
La concezione di sviluppo introdotta da Truman segnava
definitivamente un cambiamento di rotta; si lasciava alle spalle
definitivamente il periodo colonialista e illustrava al mondo la rotta
da intraprendere per raggiungere il benessere collettivo e la
sicurezza globale (almeno in teoria). Questo sviluppo costituisce la
promessa di una abbondanza generalizzata e, sull’esempio di quel
che accade nell’ordine biologico, è considerato come “naturale”,
positivo, necessario: indiscutibile
1
.
Quindi più strade, più fabbriche, più democrazia, più lavoro, più
benessere. Partendo dal concetto che “più” in questa circostanza sta
significare “meglio”; Truman, a nome di tutto il mondo
1
Uno dei principali esponenti dell’Evoluzionismo, fu il filosofo britannico Herbert Spencer.
Per Spencer, come in natura si assiste ad un continuo passaggio dal semplice al complesso,dal
disorganico all’organico,con la scomparsa di organismi che vengono eliminati dalla selezione
naturale, sostituiti da specie animali diverse che si adattano all’ambiente,(secondo il principio
di sopravvivenza del più adatto di Charles Darwin),così nella società l’umanità progredisce
verso il meglio attraverso un processo evolutivo che agisce sia sulla psiche dell’individuo sia
sulle leggi dello stato.
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“sviluppato” espone un “programma coraggioso” che porterà
l’umanità tutta a godere dei frutti prodotti da una produzione
mondiale orientata al massimo anziché all’ottimo, che questi frutti
nella pratica andranno a soddisfare le esigenze di pochi escludendo
buona parte dei popoli del Sud del mondo, e che come sempre,
l’effetto collaterale di una produzione dissennata è, ahinoi, la
distruzione; dell’ecosistema, delle culture, dei rapporti sociali.
Ma questo è un problema di seconda importanza…
In un clima di ossessione generalizzata verso la crescita economica
si realizza una situazione geopolitica che vede un blocco Stati
Uniti/Europa che funge da apripista, costituendo il livello massimo
dell’evoluzione economica e sociale, indicando una destinazione
comune a tutti quei paesi ai quali la storia non aveva riservato nel
passato altro che turbolenze e conflitti sociali.
Tante storie diverse che confluiscono in una dominante, molte scale
di tempo diverse che confluiscono in una principale.
“The One Best Way” dove la visione del tempo è lineare ed è
abilitato solo a muoversi avanti e indietro;ed è globale trascinando
con sé tutte le comunità del mondo.
Da questo momento in poi comincia ad espandersi a livello
planetario l’associazione Sviluppo = Crescita economica che sarà
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il filo conduttore di molte politiche economiche mondiali fino alla
fine della guerra fredda.
La crescita era considerata come la panacea di tutti i mali in grado
di determinare la fine della scarsità e della lotta alla sopravvivenza.
L’uomo, il progresso, la pace: queste erano le basi sulle quali
costruire l’edificio delle organizzazioni delle Nazioni Unite, e la
loro missione è imperniata nella fede per il progresso.
Ancora una volta ci si rende conto che per raggiungere la pace
globale non c’è bisogno della giustizia, ma riprendendo una tesi
prevalentemente illuminista, gli Stati Uniti espongono al mondo
l’associazione
progresso =garanzia di pace e armonia tra i popoli.
Naturalmente questa filosofia comporta una visione del mondo alla
quale tutti i popoli devono sottostare e convergere, e questo prima
di tutto comporta l’eliminazione dell’Altro nel pensiero occidentale.
Ma vi era una missione da portare a termine: costruire ”Un
Mondo”; e per portare a compimento questa missione vi è solo un
modo: unire il mondo attraverso la sua occidentalizzazione. E per
occidentalizzare tutto il globo bisognava cominciare a cambiare
alcuni parametri; la ragione diventava ormai un’unita di misura
inadeguata per misurare l’uomo, quindi si pensò di sostituirla con la
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performance economica (di un uomo, di una città, di una nazione),
e allo stesso modo viene sostituito il termine “selvaggio” ormai
obsoleto con “sottosviluppato”.
Ma non c’è da preoccuparsi perché, per riprendere le parole di
Truman, l’obiettivo è quello di “alleviare la sofferenza di queste
persone”.
La buona riuscita di questa impresa porta ad un tragico dilemma: il
raggiungimento della pace provoca l’annilichimento delle diversità,
mentre il mantenimento delle diversità provoca lo scoppio della
violenza. L’occidentalizzazione, come la globalizzazione, genera
l’emergere delle tribù, e dell’etnocentrismo non la coesistenza e il
dialogo; la presa coscienza della condizione di sfruttati, da parte dei
popoli del Sud del mondo, ha provocato l’ascesa della violenza su
fondo di vittimizzazione dei capri espiatori (Latouche 1997, p.24-
5). L’ennesima dimostrazione che dietro a determinati conflitti tra
coloni “trasmigranti” e popolazioni indigene, alle quali è sempre
stata data una matrice etnica e fondamentalista, si nascondono in
realtà elementi diversi da ricercarsi all’interno di dinamiche
ecologiche (cattiva gestione delle risorse naturali), economiche
(speculazione e corsa al massimo profitto immediato), politiche
(regimi autoritari che espropriano e reprimono le comunità locali),
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sociali (industrializzazione accelerata senza salvaguardie
ambientali). Il profumo dello sviluppo a lungo promesso a molte
delle popolazioni arretrate, nella realtà arricchisce solo piccole elitè
nazionali e grandi aziende straniere.
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1.2 L’ottimismo per il progresso e la scoperta del sottosviluppo
“Un paese in via di sviluppo è quello con un reddito reale pro
capite basso in rapporto a quello dei paesi avanzati come Stati
Uniti,Giappone,ed Europa Occidentale”
(Samuelson Nordhaus 1985, Cap. V)
Nonostante si usi considerare gli studi sullo sviluppo come campo
di indagine che ha origini recenti, l’idea di sviluppo ha origini
molto radicate e profonde che si ritrovano a coincidere con quelle
dell’economia–mondo capitalista
2
.
Nei tempi più recenti il concetto di sviluppo ha preso il posto di
quello che per gli illuministi era il progresso e dal concetto di
crescita nell’economia capitalistica, divenendo il mito
organizzativo centrale nei termini del quale è stata condotta l’analisi
2
La letteratura su questo tema è amplissima. Ci limitiamo a segnalare I. Wallerstein, Il sistema
mondiale dell’economia moderna, Il Mulino Bologna 1978; F. Braudel, Civiltà materiale,
economia e capitalismo (sec. XV- XVIII), Einaudi Torino 1981; Orlando Lentini,, Saperi
sociali ricerca sociale 1500-2000, Franco Angeli Milano 2002.
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del divenire storico dei sistemi sociali: principio metodologico e
matrice analitica nella concettualizzazione e interpretazione dei
sistemi sociali (Di Meglio 1997, p. 16-31).
Prende piede quindi una percezione del mondo dove l’uguaglianza
ed il benessere potevano essere pianificate;e le stesse Nazioni Unite
annunciarono solennemente nella Carta dell’Onu la loro
determinazione a promuovere il progresso sociale a migliori
standard di vita a tutti i popoli del mondo, e gli Stati Uniti, memori
del successo del New Deal cercarono (e ci riuscirono) a proiettare il
bisogno di crescita economica a livello planetario.
Lo sviluppo economico doveva essere lanciato a livello globale per
gettare le basi della pace (!).
Per mantenere stabilità e pace venne proiettata a tutto il mondo la
necessità di una crescita economica condotta attraverso interventi
pubblici; in questo senso lo sviluppo del dopoguerra può essere
considerato un applicazione delle politiche keynesiane per
confinare in un angolo i disordini. Nella prospettiva dello sviluppo
venivano a convergere sia le necessità egemoniche del Nord sia
quelle emancipatorie del Sud, in quanto la sopraccennata
associazione sviluppo = crescita aveva come conseguenza il
problema di stabilire nuovi parametri di giudizio; infatti le società