2
profondo trasmesso dall’idea di globalizzazione è quello del carattere
indeterminato, privo di regole e dotato di autopropulsione degli affari del
mondo: l’assenza di un centro, di una stanza dei bottoni, di un comitato di
direttori, di un ufficio amministrativo»
1
. L’immagine che ci fornisce Bauman
rinvia ad un fenomeno dalle molte teste, scarsamente organizzato e dotato di
una complessità difficilmente riducibile ad un ordine gerarchico; tutti aspetti
che sembrano rendere più difficile comprendere la globalizzazione secondo
schemi universalizzanti e astratti. In altre parole, le trasformazioni indotte da
questo fenomeno non possono essere concepite come casi particolari di
un’unica realtà dalle caratteristiche ben determinate, bensì devono essere
studiate nella loro specificità. Dunque non esiste la globalizzazione, bensì molte
globalizzazioni: «Le continue trasformazioni locali non possono assommarsi in
modo tale da far vedere (né tanto meno assicurare) in effetti una accresciuta
omogeneità, razionalità o sistematicità organica del tutto»
2
.
Se anche l’analisi politica, economica, ambientale, militare ci mostrano la
globalizzazione come un fenomeno né unitario né unificante
3
, a maggior
ragione dal punto di vista della cultura, campo della varietà per eccellenza,
sembra difficile poter ipotizzare dinamiche comuni di interazione tra realtà
locali diverse, rispetto ai cambiamenti che hanno investito e continuano a
investire il nostro pianeta nella sua interezza. Non possiamo negare dunque che
l’espansione dei mercati, l’aumento dei flussi di informazione, le migrazioni di
massa, abbiano inciso sull’assetto di molte comunità, anche in maniera evidente;
tuttavia, non possiamo pensare tale processo secondo dinamiche univoche. In
1
Z. BAUMAN, Globalizzazione e Glocalizzazione, Armando Editore, Roma 2005, p. 337.
2
Ivi, p. 202.
3
Cfr. A. VOLPI, La fine della globalizzazione? Regionalismi, conflitti, popolazione e consumi, BFS Editore, Pisa
2005.
3
particolar modo, nel campo della cultura, proprio l’oggetto di consumo,
simbolo di omologazione e livellamento, fulcro di quei processi di
mercificazione e di massificazione messi in luce dalle teorie riferibili ad un
impianto concettuale marxista, sembra poter assumere valenze diverse,
complementari, a volte antitetiche rispetto a quelle uniformanti, pur
indubbiamente esistenti, imposte dalle logiche di mercato
4
.
La nostra ricerca si articola dunque nel tentativo di rendere conto della
globalizzazione come fenomeno ambivalente e complesso, relativamente al
problema dell’identità culturale, confrontandosi con un dato recentissimo,
quello della diffusione nelle comunità musulmane delle cosiddette “Barbie
islamiche”. Vorremmo tentare di interpretare questo dato cercando di
descriverlo nella complessità che gli è propria, ovvero tenendo conto di una
certa portata omologante rispetto alla diffusione di una bambola che ricorda
molto, almeno apparentemente, l’originale americano, senza peraltro mancare di
rilevare la possibilità che si tratti di una forma di rivendicazione identitaria, o
addirittura di un intreccio di interazioni creative, nate dall’incontro di modelli
culturali a prima vista così inconciliabili.
Nel far questo, vorremmo procedere per livelli progressivi di
specificazione: nel primo capitolo ci occuperemo di individuare un paradigma
di riferimento adeguato a cogliere il complesso rapporto tra globalizzazione e
cultura; cercheremo di integrare la visione omologante del fenomeno (§ 1.1),
mettendo in luce dinamiche complementari e alternative, legate alla multiforme
capacità di interazione tra dimensione locale e globale (§ 1.2).
4
Cfr. R. BARTOLETTI, La narrazione delle cose. Analisi socio-comunicativa degli oggetti, Franco Angeli,
Milano 2002, e R. PALTRINIERI, Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma 2004.
4
Il secondo capitolo sarà invece dedicato in modo più specifico al tema
dell’identità culturale e alle strategie di diffusione su scala planetaria di modelli
occidentali. Superata la visione piuttosto semplicistica della globalizzazione
come diffusione senza riserve di pacchetti culturali uniformi, vedremo come la
dimensione dialettica tra globale e locale sia avvertita dagli stessi produttori di
beni e presa in considerazione nello sviluppare strategie di vendita calibrate sulla
specificità di ogni mercato particolare (§ 2.1). Rispetto a questo processo di
interazione dinamica tra flussi globali e realtà locali, prenderemo in
considerazione anche forme di rivendicazione di autonomia e diversità che si
esprimono tramite la difesa dell’identità culturale (§ 2.2); in particolar modo,
vedremo come a situazioni ben delineabili di opposizione o scontro tra culture
se ne affianchino altre, dai contorni meno netti, di integrazione, che arrivano a
raggiungere forme particolarmente eclettiche (§ 2.3).
Dopo i primi due capitoli, di ordine maggiormente teorico, inizieremo a
considerare una realtà culturale specifica come quella dell’Islam; ci renderemo
conto che la cultura islamica, oltre ad avere tradizionalmente al suo interno
elementi fortemente eterogenei, si presenta oggi sotto un aspetto che è
profondamente intrecciato con i processi globali di matrice occidentale (§ 3.1).
Tale situazione determina l’emergere di frizioni e scollamenti, tra modelli di
interpretazione del mondo legati alla tradizione e problemi del tutto nuovi con i
quali confrontarsi, in un processo di riassetto simbolico i cui esiti risultano
difficilmente prevedibili (§ 3.2). In questo contesto, il rapporto di una comunità
culturale con gli oggetti di consumo, intesi come catalizzatori di socialità, può
essere una buona cartina di tornasole per cogliere forme di mutamento o di
irrigidimento di una identità specifica rispetto a stimoli interni ed esterni (§ 3.3).
5
Per questo motivo il quarto ed ultimo capitolo prenderà in considerazione
la Barbie islamica, come un caso di studio su cui aggiustare le considerazioni
svolte a livello più generale, tentando di cogliere in concreto gli aspetti di
riappropriazione simbolica e di rilocalizzazione che si nascondono dietro al
fenomeno; il giocattolo Barbie, come oggetto globalizzato, sarà messo a
confronto con i suoi apparenti “omologhi”: Razanne e Fulla (§ 4.1). La nostra
intenzione sarà quella di capire in che misura si possano distinguere, intorno alle
due bambole, dinamiche divergenti di occidentalizzazione da un lato e di
riaffermazione di una identità alternativa dall’altro.
6
Capitolo 1
CULTURA E GLOBALIZZAZIONE
Il fenomeno chiamato “globalizzazione” sembra investire in modo
talmente pervasivo il nostro mondo, sollevando perciò una mole così enorme di
questioni – inerenti macro-aree di studio diverse e disparate (la scienza politica,
la storia, l’economia, la sociologia, la filosofia, la giurisprudenza) – da rendere
difficile anche solo abbozzarne una vera e propria definizione. Il termine
“globalizzazione” appare dunque come una buzz word
5
, «una parola chiave che,
nell’impasse attuale derivante dalla difficoltà ad interpretare i fenomeni
contemporanei, può alludere alla transizione in atto relativa a quei processi
sociali e a quelle forme di conoscenza non ancora ben evidenti»
6
.
Sebbene la parola sia stata introdotta soltanto nel 1983 dall’esperto di
marketing Theodore Leavitt, diversi studiosi convergono nel rimandare al
ventennio ’70-’80 come periodo nel quale è possibile riscontrare diversi punti di
discontinuità, soprattutto quantitativa, rispetto a processi storici già in atto
relativi al progressivo aumento del grado di interazione (politica, economica,
culturale) tra le diverse aree del mondo
7
. In breve, possiamo individuare alcuni
dei punti cardine del fenomeno: a) forte crescita dell’economia mondiale, che
privilegia tuttavia la creazione di ricchezza attraverso la finanza, a scapito
dell’effettiva produzione di beni; b) aumento del ruolo della tecnologia nelle più
5
R. PALTRINIERI, Consumi e globalizzazione, cit., p. 11.
6
Ibidem.
7
Cfr. ivi, pp. 12-17. Cfr. inoltre A. VOLPI, La fine della globalizzazione?Regionalismi, conflitti, popolazione e
consumi, cit. , pp. 13-15.
7
svariate attività umane, con un conseguente incremento della ricerca e dello
scambio di informazioni e di prodotti tecnologici, c) inasprimento della
concorrenza tra le imprese, favorita anche dalla deregolamentazione dei
mercati; d) unificazione e integrazione di diverse realtà locali, attraverso la
diffusione e la circolazione sempre crescente delle informazioni a livello
mondiale (il cosiddetto “villaggio globale”); e) estrema attenuazione del ruolo
dello Stato-nazione nel controllo della realtà sociale ed economica, con la
conseguente perdita di legittimità da parte della politica; f)
internazionalizzazione delle strutture e delle strategie militari; g) formazione di
una opinione pubblica mondiale che avanza richieste di giustizia globale basata
sui diritti umani; h) diffusione di una cultura globale
8
. Si capisce facilmente che
questi nodi tematici possono essere distinti in fase analitica, ai fini di un
inquadramento e di una maggiore comprensione del fenomeno globalizzazione;
tuttavia essi non rimandano né a processi isolati l’uno dall’altro, né a dinamiche
dalla direzione univoca
9
.
Ci vorremmo chiaramente soffermare, ai fini del nostro lavoro, sull’ultimo
punto fra quelli appena citati, cioè sul tema dei rapporti tra cultura e
globalizzazione. A questo proposito, è necessario notare l’interconnessione
della questione della cultura con altri aspetti fra quelli che abbiamo tentato di
abbozzare: innanzitutto, la crescente ricerca nel campo della tecnologia,
richiesta soprattutto dall’esigenza di gestire e allargare aree di scambio
8
Per questa suddivisione in punti ci siamo riferiti a quella analoga fornita dalla Paltrinieri, che vi
dedica alcune pagine piuttosto sintetiche, ma estremamente chiare (Cfr. R. PALTRINIERI, Consumi e
globalizzazione, cit., pp. 21-33).
9
Da parte di molti interpreti si pone in luce l’aspetto contraddittorio dei processi messi in atto dalla
globalizzazione. Proprio a causa di questi aspetti contraddittori e ambivalenti risulta difficile definire,
come abbiamo appena accennato, questo fenomeno, nonché mettere in atto delle strategie e
individuare dei parametri per comprenderne la complessità. L’analisi degli stessi dati economici relativi
alla globalizzazione è notoriamente dibattuta e già induce a formulare diagnosi relative a una “fine
della globalizzazione” (cf. A. VOLPI, La fine della globalizzazione?, cit., passim).
8
economico sempre più vaste, ha fatto sì che si sviluppassero mezzi di
comunicazione e di scambio di informazioni sempre più innovativi e alla
portata di tutti, fino ad arrivare al World Wide Web; questa possibilità di
interazione virtuale di ognuno con linguaggi, culture, luoghi diversi del mondo,
crea una vera e propria «[…] modificazione della categoria spazio-temporale,
che viene riorganizzata con una forte tendenza all’appiattimento delle distanze,
con la conseguenza che lo stesso sentimento di identità, sia individuale che
collettiva, va ormai ben oltre le specifiche identità nazionali»
10
. Quest’aspetto ci
riporta alla crisi dello Stato-nazione, che, attraverso l’indebolimento della
capacità di autodeterminazione politica ed economica a favore di organismi,
istituzionali o meno, di tipo sovranazionale, internazionale o multinazionale, ha
perso anche gran parte della propria egemonia culturale
11
. A ciò si connette in
modo conseguente e circolare il tema della diffusione e del consumo di beni su
scala sovra-nazionale, che ha portato alla commercializzazione di oggetti
identici in realtà socio-culturali molto diverse fra loro; in altre parole, alla forte
espansione dei mercati per prodotti che non sono riconducibili ad una specifica
realtà geografico-culturale d’origine.
Se queste sono, secondo linee generalissime, le direttrici di tendenza del
rapporto cultura-globalizzazione, il problema di cui ci vorremmo occupare in
questo capitolo riguarda proprio l’individuazione della cornice interpretativa più
appropriata entro la quale inquadrare quei processi che, appena abbozzati,
vorremmo cercare di valutare nella loro portata e nei loro esiti più rilevanti
rispetto al tema della cultura, intesa in rapporto all’identità sociale e individuale.
Del resto, il superamento e l’abbattimento di confini e barriere, di chiusure e
10
R. PALTRINIERI, Consumi e globalizzazione, cit., p. 30.
11
Cfr. Z. BAUMAN, Globalizzazione e Glocalizzazione, cit., pp. 47, 338-339.
9
differenze in ambiti così strettamente connessi, quali quelli dell’economia, della
politica e della cultura, pur in grado di favorire «[…] un processo di
ridefinizione delle proprie esperienze e di rielaborazione delle identità, può
essere interpretato sia sottolineando il ricostituirsi di una unitarietà di livello
superiore alle precedenti, nel cosiddetto “sistema mondo”, sia sottolineando il
costituirsi di una intricata rete di relazioni, dove i concetti chiave sono
molteplicità e diversità»
12
.
12
R. PALTRINIERI, Consumi e globalizzazione, cit., p. 19.
10
1.1 Verso un’unica cultura planetaria ?
Il primo dei due modelli interpretativi
13
che vorremmo prendere in esame
pone le sue basi ermeneutiche sull’analisi della struttura oggettiva, materiale,
della globalizzazione, entro un impianto generale che possiamo ricondurre ad
un teoria di tipo marxista della società. Ponendo al centro della spiegazione
l’aspetto economico della globalizzazione, questo modello, che potremmo
chiamare deterministico – in contrapposizione al successivo, che definiremo
indeterministico – rimanda ad una comprensione del fenomeno fortemente
polarizzata. In questa prospettiva, la globalizzazione appare come un fenomeno
che si muove verso una ben precisa direzione, gestito da attori che ne
determinano lo svolgimento secondo un principio di organizzazione da loro
scelto; in breve, si concepisce la globalizzazione come un sistema «[…] (a) con
un certo grado di coesione e compattezza, (b) equilibrato o caratterizzato da
una prevalente tendenza all’equilibrio, (c) che definisce i suoi elementi sulla base
della funzione che essi svolgono in questo processo d’equilibrazione o di
riproduzione dello stato equilibrato»
14
.
Rendendo concreta questa definizione un po’ astratta: a) il mondo, inteso
come il risultato dell’espansione dell’economia capitalistica, è rappresentato
13
I due modelli interpretativi che verremo esponendo in questo capitolo debbono una parte della loro
articolazione teorica alle analisi di Roberta Bartoletti e Roberta Paltrinieri, relative al ruolo dell’oggetto
di consumo nelle società contemporanee. Entrambe le Autrici sembrano concordare
nell’individuazione di due grandi modi di impostare il problema: uno, quello che noi abbiamo definito
“deterministico”, basato sulla preponderanza dell’economia e delle classi sociali che la controllano, a
scapito della cultura che non ha nessun grado di autonomia (in questo modello infatti le classi
egemoni in campo economico determinano gli esiti della globalizzazione a loro vantaggio, senza che vi
siano fattori che si possano opporre alla linearità e progressività di questo processo); l’altro, che
prenderemo in esame nel prossimo paragrafo, maggiormente articolato e in grado di riconoscere una
pluralità di fattori in gioco, tra i quali anche quello economico; nessuno di tali fattori è però in grado di
“governare” la globalizzazione, i cui esiti sono così plurivoci, ovvero non determinabili e totalmente
prevedibili da nessun attore (cfr. R. BARTOLETTI, La narrazione delle cose. Analisi socio-comunicativa degli
oggetti, cit., passim; e R. PALTRINIERI, Globalizzazione e consumi, cit., passim).
14
Z. BAUMAN, Globalizzazione e Glocalizzazione, cit., p. 202.
11
come un sistema articolato in aree concentriche, in cui ogni area è caratterizzata
da modi di produzione, di controllo del lavoro e di proprietà diversi; tale
sistema trova al centro (il mondo occidentale e capitalista) il punto di controllo
e gestione delle altre aree
15
; b) l’equilibrio è dato dalla crescente disponibilità di
mercati per la commercializzazione di merci che accrescono i capitali finanziari
occidentali, in un circolo di vendita-profitto-vendita illimitato; c) gli elementi o
attori di questo sistema sono, da un lato i produttori delle merci, attivi e
coscienti nell’imporre «una cultura monolitica del consumo»
16
, dall’altro i
consumatori, passivi e incoscienti rispetto a una imposizione che cancella,
attraverso meccanismi omologanti, ogni specificità culturale individuale o
sociale a livello locale. In questo modello, l’oggetto di consumo è il punto di
raccordo tra economia e cultura, in grado di garantire il controllo della prima
sulla seconda.
Gli aspetti caratterizzanti di questa visione
17
, che sostanzialmente
funzionalizza la dimensione culturale a quella economica, possono essere divisi
in due ipotesi, seguite da alcune conseguenze: ipotesi a) la ragione umana come
strumento di dominio dell’uomo sull’uomo; ipotesi b) la funzione strategica del
consumo. Da queste due ipotesi conseguono: 1) la reificazione della differenza;
2) la fagocitazione e la assimilazione delle culture altre da parte di quella
occidentale; 3) il valore fittizio della produzione e del consumatore; 4)
15
Cfr. R. PALTRINIERI, Globalizzazione e consumi, cit., p. 19.
16
Ivi, p. 36
17
Risulta chiaro che il modello che abbiamo definito “deterministico”, non esiste nella formulazione
astratta che stiamo fornendo a fini esplicativi. Si tratta però, a grandi linee e con le dovute differenze,
della generalizzazione, applicata alla globalizzazione, del paradigma teorico di riferimento, più o meno
esplicito, di autori che si sono interessati al valore della merce e al ruolo del consumo nella società
capitalistica, quali Baudrillard, Bourdieu, Ritzer – solo quest’ultimo, del resto, propone una teoria
esplicita della globalizzazione, la cosiddetta “teoria della mcdonaldizzazione”. Su questi autori cfr.. ivi,
pp. 37-49, e R. BARTOLETTI, La narrazione delle cose. Analisi socio-comunicativa degli oggetti, cit., pp. 29-
39, 53-56.