INTRODUZIONE 2
munitario, fra la seconda metà degli anni Ottanta e fino ad oggi, con particolare rife-
rimento, per quanto riguarda l’ordinamento nazionale, sia alla iniziale insensibilità del
legislatore italiano verso le rivoluzionarie trasformazioni in atto, sia a quell’insieme di
segnalazioni e decisioni, espresse dalla Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, che, per prime, hanno contribuito a stimolare e a far progredire il dibattito
sulla opportunità di una riforma integrale del sistema nazionale delle tele -
comunicazioni. Infine, la terza parte sarà dedicata alla disamina specifica relativa al
nuovo regime giuridico delle telecomunicazioni nel nostro Paese, con particolare ri-
guardo ai profili innovativi della libertà di accesso al settore, del principio di separa-
zione fra rete e servizio , del regime di autorizzazione in luogo di quello concessorio,
dei problemi connessi al diritto/dovere di interconnessione e al concetto di servizio
universale, del regime tariffario liberalizzato, delle rinnovate garanzie di tutela degli
utenti.
CAPITOLO PRIMO
IL REGIME NAZIONALE DI RISERVA ORIGINARIA
1. NOZIONE DI «TELECOMUNICAZIONE». SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI E RI-
SERVA ORIGINARIA DEI SERVIZI NELLE TELECOMUNICAZIONI.
Per comprendere il senso di un processo giuridico di liberalizzazione di un
mercato, occorre preliminarmente prendere in esame l’oggetto specifico su cui tale
fenomeno va a incidere. Scopo di questo capitolo, pertanto, sarà quello di illustrare
la disciplina normativa nazionale delle telecomunicazioni nell’assetto anteriore allo
svilupparsi dei fermenti di liberalizzazione anche nel nostro Paese, ossia quel regime
di monopolio legale, poi fatto oggetto, durante gli anni Ottanta e Novanta, di radicale
ripensamento.
Nell’addentrarci in questa materia, giova in primo luogo fornire una chiara
definizione del concetto di «telecomunicazione» e di «servizio pubblico di teleco-
municazione». In primo luogo, per telecomunicazione, si intende ogni scambio di in-
formazioni a distanza, realizzato con qualunque mezzo trasmissivo: vale a dire, ogni
trasmissione, emissione e ricezione di segni, segnali, scritti, immagini, suoni o infor-
mazioni di qualsivoglia natura, per filo, radioelettrica, ottica o a mezzo di altri sistemi
elettromagnetici. Da tale ampio paradigma, emergono quelli che possono essere
considerati i tre momenti costitutivi delle comunicazioni a distanza, vale a dire
l’emissione, la trasmissione e la ricezione di segnali: mentre la prima comporta la
diffusione di onde radioelettriche, la trasmissione può essere effettuata via etere,
ovvero tramite l’uso di conduttori artificiali; la ricezione, infine, richiede il possesso
di un apparato tecnico, opportunamente predisposto e strutturato allo scopo di ripro-
durre, nella forma originale, l’oggetto del messaggio emesso e trasmesso. La defini-
zione di cui sopra individua, inoltre, le tre forme possibili che possono essere assunte
dai messaggi trasmessi, oltre ai mezzi tecnici attraverso i quali la comunicazione può
svolgersi. In via generale, dunque, è possibile osservare che la telefonia, la telegra-
fia e le radiocomunicazioni costituiscono le tre species nelle quali si viene ad artic o-
lare il più ampio genus delle telecomunicazioni: nei primi due casi (telefonia — a
eccezione di quella mobile — e telegrafia), il supporto tecnico utilizzato è costituito
da un conduttore fisico, mentre la differenza di funzionamento è tutta riposta nella
CAPITOLO PRIMO 4
tipologia dei segnali che vengono trasmessi: parole e suoni, nella prima ipotesi; se-
gnali di carattere convenzionale, nella seconda. Le radiocomunicazioni — compren-
denti la telefonia senza fili —, invece, vengono realizzate, sfruttando la proprietà ti-
pica dei campi elettrici di generare onde, che si diffondono nell’etere a velocità co-
stante, senza alcuna necessità di conduttori artificiali1.
Quanto ai servizi pubblici di telecomunicazione, essi consentono a tutti, pur-
ché dotati dei necessari apparecchi tecnici terminali, di scambiare comunic azioni a
distanza fra loro. Sul piano tecnico, è possibile distinguere fra servizi che avvengono
fra un numero chiuso e limitato di utenti — siano essi appartenenti a un medesimo
ambiente (impresa, istituzione) o meno —, e servizi aperti al pubblico, che avvengo-
no cioè fra un numero aperto e illimitato di persone. Sul piano dei contenuti, è possi-
bile distinguere fra, da una parte, servizi di comunicazione interpersonale , e,
dall’altra, servizi di accesso a determinate basi dati, al fine di reperire informazioni
utili2.
Ora, dal punto di vista della regolamentazione giuridica, il settore delle tele-
comunicazioni, nel nostro Paese fino a tempi più recenti che in altri Stati continentali
e non3, è stato caratterizzato da un regime tradizionale di statizzazione, formatosi
1
CHIAPPETTA F., Legislazione delle telecomunicazioni e telematica, Giuffrè, Milano, 1990, pp.
19-23; ZACCARIA R., Diritto dell’informazione e della comunicazione, CEDAM, Padova, 1998; PA-
SQUARELLI A. - PIASCO S., Telecomunicazioni, voce Grande Dizionario Enciclopedico UTET , vol.
XIX, pp. 843ss.
2
CARDARELLI F. - ZENO ZENCOVICH V., Il diritto delle telecomunicazioni. Principi, normativa,
giurisprudenza, Laterza, Bari, 1997, p.16ss.
3
In Gran Bretagna, ad esempio, dopo essere stato gestito, per lungo tempo, in regime di mo-
nopolio legale (statutory monopoly), prima da una struttura di governo, poi da un’impresa in comando
pubblico (British Telecom), il servizio di telecomunicazioni è stato oggetto già a partire dal 1981 di un
intenso fenomeno di privatizzazione, con l’alienazione ai privati di quasi l’ottanta per cento delle a-
zioni del gestore pubblico, l’apertura del mercato alla concorrenza, la creazione di un assetto di regola-
zione «forte», di tipo tecnico, anziché politico, affidata non al ministero di settore, ma a una authority
specializzata e indipendente (Office of Telecommunications). In Francia, la prima opzione per la priva-
tizzazione è datata 1990, con il distacco del gestore France Telecom dall’amministrazione postale, e la
sua trasformazione bensì in «impresa pubblica», ma con forti connotazioni privatistiche, mediante le
quali si è inteso assicurarle sufficiente distacco e autonomia dall’ingerenza statale. In Germania, dove
gl i articoli 73 e 87 della Legge Fondamentale attribuivano la materia delle telecomunicazioni allo Stato,
che le gestiva attraverso il ministero di settore e la Deutsche Bundespost, da esso dipendente, il pro-
cesso di liberalizzazione è stato avviato in base alle proposte del rapporto Witte, preparato nel 1988
da una commissione istituita dal governo, che svolse i propri lavori in contemporanea all’elaborazione
del Libro Verde della Commissione europea sulle telecomunicazioni, cui risultò infatti in molti punti
conforme. Negli Stati Uniti, il monopolio della società AT&T, nel settore della telefonia vocale, si basò
a lungo sulla disciplina dei diritti di proprietà industriale. Ma già a partire dagli anni cinquanta assi-
Il regime nazionale di riserva originaria 5
già all’inizio del secolo, e, quindi, riconosciuto e consolidato dalla Costituzione re-
pubblicana del 1948, all’articolo 43. Si trattava di un regime giuridico fondato sulla
cosiddetta «riserva originaria di impresa», vale a dire sulla statuizione che ricono-
sceva, su base di legge, esclusivamente a un soggetto qualificato, e cioè lo Stato,
non solo la facoltà d’esercizio ma, ancora più a monte, la titolarità stessa del diritto
d’impresa, in ordine a un determinata attività produttiva di beni o di servizi; pertanto,
in base a detto sistema, nessun altro soggetto dell’ordinamento poteva essere consi-
derato titolare di diritti di impresa in ordine all’oggetto riservato. Detta riserva veni-
va, poi, fatta seguire, nel settore delle telecomunicazioni, vuoi dalla concessione del-
la attività d’impresa a dei soggetti privati (per lo più, a società a partecipazione pub-
blica necessaria, come la SIP), vuoi dalla gestione diretta da parte dello Stato, per il
tramite di aziende autonome, ossia di proprie articolazioni strutturali4.
Ma procediamo con ordine. Due fondamentali aspetti, vanno considerati, in
ordine al regime di riserva originaria di impresa prefigurato dall’articolo 43 della Co-
stituzione. Il primo di essi, come già accennato, consiste nella limitazione a una certa
categoria di soggetti soltanto, dotati di requisiti particolari e qualificati, del diritto di
svolgere attività d’impresa in un determinato settore, che, come si vedrà meglio in
seguito, corrisponde a quello di servizi pubblici cosiddetti «essenziali», vale a dire
stiamo a significative azioni giudiziali volte a impedire comportamenti anticoncorrenziali nei confronti
di imprenditori concorrenti. In Giappone, dopo una prima fase di carattere «sperimentale», l’apertura
alla concorrenza e la privatizzazione del gestore pubblico Nippon Telegraph & Telephon Corporation
risale a tre leggi di riforma votate dalla Dieta nipponica nel 1984. (VENTURINI G., Servizi di telecomuni-
cazione e concorrenza nel diritto internazionale e comunitario, Giappichelli, Torino, 1996, pp. 37-70;
DESIDERI C., Servizi pubblici imprenditoriali. Riserva e regolazione dei servizi telefonici, Franco Ange-
li - Collana CIRIEC, Milano, 1990, pp. 105-131; ARRIGONI R., Regolazione e gestione nelle public utili-
ties: principio di separazione e libera concorrenza nell’applicazione dei principi costituzionali e co-
munitari, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1995, pp. 96-100; CASSESE S., Servizi pubblici a
rete e governo del territorio, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, pp. 1075; CURIEN N. - GEN-
SOLLEN M. (a cura di GAMBARO M.), Telecomunicazioni: monopolio e concorrenza, Il Mulino, Bolo-
gna, 1995; KNIPS G., Deregolamentazione in Europa: telecomunicazioni e trasporti, in AA.VV., Rego-
lamentazione e/o privatizzazione, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 311ss.).
4
Come è accaduto, a lungo, per una parte delle telecomunicazioni internazionali e per le inter-
continentali: il caso, cioè, della non più esistente Azienda di Stato per i Servizi Telefonici — ASST
(CALABRIA R., Telecomunicazioni (servizi di), in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XXX, Roma,
1994; DE SANCTIS G. - MOLTENI F., Poste e Telecomunicazioni, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXIV,
Milano, 1985, pp. 568ss.; PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili
amministrativi, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, pp. 91-92).
CAPITOLO PRIMO 6
destinati a soddisfare esigenze primarie e irrinunciabili della comunità5. Tali soggetti
sono specificamente individuati, dall’articolo 43, nello Stato, in enti pubblici, e in co-
munità di lavoratori e di utenti. Ora, a parte quest’ultimo caso, che, nella storia delle
applicazioni del regime di riserva, non ha mai conosciuto, nel nostro Paese, una
qualche signific ativa manifestazione, si nota subito come i due rimanenti soggetti di
riferimento della riserva ex articolo 43 abbiano in comune fra loro la caratteristica di
essere persone giuridiche pubbliche, vale a dire soggetti rappresentativi dell’intera
comunità, o di una parte rilevante di essa, votati per definizione, e per fine, per così
dire, istituzionale, al perseguimento di interessi collettivi, e forniti di conseguenza di
tutta una serie di poteri di diritto pubblico, ossia autoritativi, che essi utilizzano ap-
punto, per raggiungere tali propri scopi di utilità generale. E, infatti, il secondo aspet-
to che va preso in considerazione in ordine alla natura del regime di riserva ex arti-
colo 43 è proprio quello del perseguimento degli interessi della collettività pubblica,
obiettivo che, nel settore dei servizi pubblici essenziali, si riteneva possibile soltanto
con l’applicazione di detto regime di riserva6. In altre parole, l’attività d’impresa,
quando assuma le caratteristiche di un servizio pubblico essenziale, dovrebbe essere
retta da criteri di gestione che assicurino in massimo grado il perseguimento di quelli
che l’articolo 43 definisce testualmente come «fini di utilità generale». E dunque,
per esempio, che vi sia una rispondenza assidua dell’attività ai bisogni della
collettività degli utenti; oppure che sia assicurata l’accessibilità generale alle
prestazioni del servizio7; o che queste ultime si caratterizzino, in ogni caso, nel senso
5
I servizi di telecomunicazione rappresenterebbero, cioè, attività attinenti alla soddisfazione di
«naturali e insopprimibili esigenze di evoluzione e di progresso» connesse alla « essenziale funzione
dello sviluppo dei rapporti del vivere civile». Così DE SANCTIS G. - MOLTENI F., Poste e Telecomuni-
cazioni, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXIV, Milano, 1985, p. 570.
6
Fra l’articolo 43 della Costituzione, sulla riserva pubblica d’impresa, e l’articolo 41, sulla tu-
tela dell’iniziativa economica privata, esiste un rapporto di equiordinazione. Se, in casi normali, una
data attività produttiva va lasciata, secondo il nostro regime costituzionale, alla libera iniziativa privata
(libera sì, ma non arbitraria: ché, infatti, essa si dovrà svolgere, pur sempre, 1) entro i limiti del rispetto
della sicurezza, dignità, libertà altrui, oltreché 2) nel rispetto dei controlli e indirizzi, stabiliti per legge,
perché essa venga costantemente ad assumere una finalizzazione di carattere sociale); laddove, invece,
essa presenti le caratteristiche di un servizio pubblico «essenziale», laddove, cioè, essa si venga a con-
nettere inevitabilmente con un fine di preminente interesse generale, allora si imporrà il suo affidamen-
to alla titolarità del soggetto pubblico, secondo un regime senz’altro distinto ed eccezionale, per defi-
nizione, rispetto al precedente, ma che sarà dotato, in ogni caso, di pari dignità costituzionale. Sul pun-
to, vedi anche: DESIDERI C., Servizi pubblici imprenditoriali. Riserva e regolazione dei servizi telefoni-
ci, Franco Angeli - Collana CIRIEC, Milano, 1990, pp. 137-154.
Il regime nazionale di riserva originaria 7
servizio7; o che queste ultime si caratterizzino, in ogni caso, nel senso di garanzie di
ottenimento di «utilità» (di qualsiasi tipo: economico, morale, culturale, ecc.), per gli
utenti, intesi come singoli o come comunità; o, infine, che sia costantemente prevista
l’esistenza di una priorità assoluta, quale fine non derogabile, di erogazione effettiva
del servizio al pubblico.
Questo, dunque, il paradigma giuridico costituzionale del vecchio regime delle
telecomunicazioni. Quali, però, le sue giustificazioni? Due profili, in proposito, vanno
tenuti soprattutto a mente. In primo luogo, sul piano giuridico, si può osservare co-
me la disciplina delle telecomunicazioni, come di tutti gli altri servizi cosiddetti «a re-
te»8, fosse influenzata dalla concezione di fondo in base alla quale questi in parola
sarebbero servizi pubblici di carattere essenziale, vale a dire volti a garantire il go-
dimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, e quindi la soddisfazione
di esigenze irrinunciabili della collettività.
Ora, secondo l’articolo 43 della Costituzione, come visto, ai fini di utilità gene-
rale, lo Stato può riservare a sé determinate attività d’impresa, che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali. In base a tale modello, si prevede, dunque, la possibilità di
riserva dell’attività economica che costituisce il presupposto del servizio pubblico,
laddove quest’ultimo venga giudicato «essenziale», come accadeva, appunto, in pas-
sato, per le telecomunicazioni (così come per tutti gli altri servizi cosiddetti «a rete»,
sin dalle loro origini).
Operando la riserva a favore del soggetto voluto, la legge attribuiva a
quest’ultimo, in via esclusiva, il diritto di impresa in ordine all’attività economica
considerata, diritto che il riservatario acquistava a titolo originario. Si trattava di un
diritto assoluto e personale, il quale, col consentire l’esercizio dell’attività riservata,
con esclusione da essa di qualsiasi altro soggetto, poneva il riservatario in situazione
di monopolio legale, potendo egli, da solo, e per legge, determinare le condizioni del
mercato nel settore considerato. La riserva dell’articolo 43 della Costituzione, dun-
que, una volta applicata per il tramite di una disposizione legislativa, escludeva dalla
7
Vedi, a titolo di esempio, anche quanto stabilisce l’articolo 2597 del codice civile, il quale
precisa che chi esercita un’impresa, in condizione di monopolio legale, ossia appunto di riserva origi-
naria di impresa, ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto
dell’impresa, osservando la parità di trattamento.
8
Trasporto aereo e ferroviario, energia elettrica, gas, servizio postale, rete autostradale.
CAPITOLO PRIMO 8
titolarità di un determinato settore produttivo di beni o di servizi — nel nostro caso,
quello delle telecomunicazioni —, l’impresa privata.
A quest’atto di esclusione, come si accennava poc’anzi, potevano seguire
due opzioni: la prima era che il servizio venisse gestito direttamente dallo Stato; la
seconda, che il servizio venisse attribuito dallo Stato, in concessione, a un privato.
Nel primo caso, lo Stato cumulava titolarità e esercizio del diritto di impresa; nel se-
condo, ne conservava la titolarità, affidandone, però, al contempo, l’esercizio a un
gestore privato. Nel primo caso, si parla di gestione diretta; nel secondo di una ge-
stione delegata, in regime di concessione.9
In secondo luogo, una importanza preponderante ai fini della giustific azione
del monopolio legale, assumevano motivi di ordine economico, che si legavano: 1)
all’idea dell’esistenza, quale carattere connaturato al settore delle telecomunic azioni,
di elevate economie di scala , vale a dire di costi fissi, necessari alla costruzione
delle infrastrutture di rete indispensabili per fornire il servizio, talmente elevati da
poter determinare delle impenetrabili barriere d’ingresso al settore per l’iniziativa
privata, nel senso di rendere pressoché impossibile la realizzazione di un autentico
pluralismo concorrenziale: secondo questa idea, adottando un regime di libera inizia-
tiva, si sarebbe corso il concreto rischio di consegnare soltanto a pochi privati, eco-
nomicamente più forti, il predominio nel settore, con esclusione di tutte le rimanenti
imprese che non si potessero immediatamente permettere di sostenere detti costi
fissi
10
; 2) alla presenza di elevate esternalità positive11 di rete, in una fase di svi-
9
Così CASSESE S., Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici in Rassegna giuri-
dica dell’energia elettrica, 1998, p. 234.
10
Sulla tradizionale identificazione delle telecomunicazioni come «monopolio naturale», vedi
soprattutto PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: Profili amministrativi, in
Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92; AMENDOLA V. - MOGLIA G., La liberaliz-
zazione delle telecomunicazioni, in Giornale di diritto amministrativo, 1995, pp. 136-137.
11
Il concetto di esternalità deriva dall’analisi economica del diritto, e viene qui applicato in ri-
ferimento al rapporto costi/benefici, ai quali dia luogo una determinata opzione del legislatore (nel no-
stro caso: per un monopolio statale dei servizi di telecomunicazione). Una legge, vale a dire un deter-
minato assetto di relazioni giuridiche fra soggetti, può infatti produrre sia esternalità negative (o dise-
conomie esterne), laddove comporti degli sprechi di risorse; sia esternalità positive, laddove al contra-
rio essa dia luogo, per così dire, a degli incrementi di valore delle risorse cui si riferisce. Ora, in genera-
le, gli economisti sono di regola molto diffidenti verso entrambi i tipi di esternalità, poiché, sia nell’uno
che nell’altro caso, vuol dire che si sono verificati degli spostamenti di ricchezza al di fuori dei mecca-
nismi del mercato, ossia il mercato stesso ha fallito nella propria funzione di una efficiente distribuzio-
ne delle risorse. I giuristi (e i legislatori), invece, rimangono in genere piuttosto freddi nei riguardi delle
esternalità positive: la loro preoccupazione è tutta tesa, piuttosto, all’internalizzazione (vale a dire:
Il regime nazionale di riserva originaria 9
luppo del sistema, per cui all’aumentare del numero degli utenti sarebbe cresciuta
anche l’utilità della rete per gli utenti già allacciati, in quanto questi avrebbero bene-
ficiato dell’incremento delle possibilità di comunicazione; 3) agli intuitivi vantaggi de-
rivanti da un’organizzazione dei servizi a largo raggio e su vasta scala, e coordinata
da una gestione unitaria: una siffatta struttura avrebbe consentito, infatti, una note-
vole riduzione dei costi necessari all’attivazione del servizio, grazie alla uniformità
delle norme, degli impianti e dei congegni tecnico-finanziari destinati a regolare il
funzionamento dei servizi in parola.
Il monopolio legale veniva poi giustificato anche in base a ragioni politico-
sociali e culturali. Sul piano politico, ad esempio, per via del ritenere tradizionalmen-
te lo Stato quale il primo, e il più importante, fra gli utenti dei servizi di telecomuni-
cazione, in considerazione sia della sua esigenza di disporre di rapidi collegamenti
con l’interno e con i Paesi stranieri, sia di garantire una serie di servizi ausiliari
nell’esercizio delle funzioni di polizia e militari, sia ancora di prevenire l’utilizzazione
di tali strumenti di comunicazione in modo distorto, per finalità antisociali, sovversive
o comunque contrastanti con l’ordine pubblico12. Sul piano sociale, poi, con
l’assunzione della titolarità dei servizi di telecomunicazione, lo Stato ha potuto farsi
carico della necessità di rendere il più possibile accessibile a tutti i cittadini l’utilizzo
di strumenti di comunicazione, assecondando fondamentali esigenze di sviluppo di
intere categorie sociali, e assicurando la prestazione dell’attività, in tutte quelle loca-
lità isolate e decentrate, nelle quali le imprese private non avrebbero convenienza a
svolgere il servizio stesso13. Non vanno trascurate, infine, le ragioni di carattere cul-
turale, atteso che i servizi di telecomunicazione costituiscono, come accennato,
mezzi semplici, immediati e diffusi di trasmissione del pensiero, di scambio di notizie,
alla neutralizzazione), delle esternalità negative presenti in una data fattispecie da regolare, al fine di
creare un sistema normativo il più possibile efficiente, laddove per efficienza, o ottimalità paretiana
(dal nome dell’economista italiano Wilfredo Pareto), si intende la raggiunta capacità di un dato assetto
di rapporti di non poter subire alcun cambiamento tale da migliorare la situazione di taluno dei soggetti
coinvolti, senza al contempo peggiorare quella di talaltro. Per approfondimenti in materia, vedi: M I-
TCHELL POLINSKY A., Una introduzione all’analisi economica del diritto, Il Foro Italiano, Roma, 1992,
soprattutto pp. 9-10 e 15-19.
12
PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili amministrativi, in Il
diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92.
13
DI STASI G., Il monopolio statale dei servizi postali e di telecomunicazioni nella legislazione
interna e comunitaria e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Rivista amministrativa del-
la repubblica italiana, 1994, p. 600.
CAPITOLO PRIMO 10
idee e sentimenti, e, pertanto, di informazione e diffusione della cultura di un popo-
lo14.
Questo insieme di ragioni spiega, in modo appariscente, come il regime di ri-
serva, il cui assetto normativo, nel nostro Paese, risale ancora al 193615, abbia potu-
to passare indenne, nei suoi presupposti cardine, attraverso un cinquantennio di sto-
ria, trovando la propria consacrazione giuridica, dapprima, come detto, nell’articolo
43 della Costituzione, e, in seguito, nel DPR 29 marzo 1973, n. 156, il quale, a lungo,
ha costituito il quadro normativo nazionale in materia di telecomunicazioni, prima di
venire superato dalla vertiginosa evoluzione tecnologica conosciuta in tempi recenti
dal settore, prima ancora che sul piano del diritto comunitario e nazionale.
14
PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili amministrativi, in Il
diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92.; DI STASI G., Il monopolio statale dei servizi
postali e di telecomunicazioni nella legislazione interna e comunitaria e nella giurisprudenza della
Corte Costituzionale, in Rivista amministrativa della repubblica italiana, 1994, p. 600; NIRO R., Anti-
trust e telecomunicazioni, in Giornale di diritto amministrativo, 1995, p. 352.
15
Ma la collettivizzazione del servizio postale affonda le proprie radici fino addirittura al pe-
riodo napoleonico (il fine principale, all’epoca, era quello, costituzionale, della tutela del segreto epi-
stolare).
Il regime nazionale di riserva originaria 11
2. DISCIPLINA TRADIZIONALE DEI SERVIZI DI TELECOMUNICAZIONE. PRO-
FILI GENERALI.
È possibile descrivere la disciplina tradizionale dei servizi di telecomunic azio-
ne, approvata con DPR 29 marzo 1973 n.156, e successive modifiche, a partire dai
tre profili essenziali che strutturano la materia del regime di riserva originaria di im-
presa: oggetto, contenuto e soggetti legittimati.
Cominciando dall’oggetto, l’analisi della vecchia normativa fa emergere, con
sufficiente chiarezza, come il regime di esclusiva riguardasse attività, come si è vi-
sto, di tipo essenzialmente imprenditoriale, che sono, pertanto, riconducibili al model-
lo di cui all’articolo 2082 del codice civile. Quindi, attività finalizzate, in particolare,
alla fornitura di «utilità» (di servizi), a dei soggetti terzi (il pubblico degli utenti), in
cambio del pagamento, da parte di questi ultimi, di un corrispettivo (vale a dire di
una tariffa).
Quanto al contenuto del regime di esclusiva, questa, secondo quanto speci-
ficava l’articolo 1 del DPR 156/73, si presentava come designazione dello Stato
quale unico soggetto legittimato alla gestione delle attività di servizi. Per tutti gli altri
soggetti, viceversa, l’esclusiva assumeva la veste formale di un divieto di impresa, il
quale, d’altra parte, non veniva applicato, nei riguardi di chi avesse ric evuto dallo
Stato una concessione16 a uso pubblico di esercizio dell’attività.
In terzo luogo, per quanto attiene ai soggetti legittimati, il regime di esclu-
siva, così come disciplinata dal citato testo normativo, non avrebbe escluso di per sé,
la concessione dei servizi a soggetti privati. Peraltro, va precisato che tutti i conces-
sionari del vecchio regime avevano ricevuto, attraverso le clausole delle conven-
zioni17 con essi stipulate dal Ministero delle poste e tele comunicazioni, e aventi a
oggetto precipuo, appunto, la regolazione dei rapporti fra Stato e gestore in conces-
sione, una conformazione: 1) in ordine allo scopo sociale, che poteva essere solo
quello di realizzare la prestazione del servizio al pubblico utente, oltre che 2) alla
composizione azionaria , che doveva consentire il comando pubblico di maggioran-
za della società gestrice. La singolarità della situazione era data da questo fatto, e
cioè che, nel testo normativo, non era presente alcuna disposizione espressa, che
richiedesse come necessaria una siffatta conformazione. Stando alla lettera della
16
Vedi infra, in questo stesso cap., par. 3.
17
Vedi infra, in questo stesso cap., par. 3.
CAPITOLO PRIMO 12
legge, dunque, la concessione era, almeno in linea di principio, possibile a favore di
tutti i soggetti privati, anche di quelli non rientranti nelle caratteristiche di detta con-
formazione, limitandosi, infatti, la normativa in parola a prevedere solamente una
procedura semplific ata, per la attribuzione delle concessioni a società in comando
pubblico. Pertanto, la esclusiva, nel pregresso regime, non imponeva, ma semplic e-
mente consentiva una accentuata conformazione, nel senso sopra visto, del sogget-
to gestore del servizio in regime di concessione.
Ed è proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, che si pose uno dei più stimo-
lanti problemi interpretativi, relativi alla lettura del vecchio regime dei servizi di tele-
comunicazione. In effetti, su questo punto, lo scarto della disciplina descritta, rispet-
to al suo immediato referente costituzionale, vale a dire l’articolo 43, è piuttosto evi-
dente. Invero, come visto, l’articolo 43 prevede testualmente, e quindi tassativamen-
te, che gli unici soggetti legittimati alla gestione dei servizi possano essere lo Stato,
enti pubblici, o comunità di lavoratori e di utenti, e pertanto soggetti, in ogni caso, di
diritto pubblico. Viceversa, l’articolo 198 della normativa del 1973, quando, al quarto
comma, si occupava della regolazione dei criteri e delle procedure per la selezione
del concessionario, laddove stabiliva che le concessioni in parola potevano venire
attribuite «a società per azioni, il cui capitale fosse, direttamente o indirettamente,
posseduto in maggioranza dallo Stato», non lo faceva per circoscrivere soltanto a
questo genere di soggetti la possibilità di esser destinatari del provvedimento, ma so-
lo per prevedere procedure più semplici per la selezione del potenziale concessiona-
rio, nel caso questi assumesse, appunto, l’identità di una società in comando pubbli-
co. La norma, dunque, si limitava a rendere evitabile, in un caso simile, l’utilizzo del-
la complessa procedura di cui ai primi tre commi dell’articolo 19818, non imponendo,
tuttavia, da alcuna parte che solo questo tipo di soggetto potesse essere concessio-
nario. Niente, perciò, almeno in linea teorica, avrebbe impedito l’affidamento del
servizio in concessione a una società in comando privato19.
18
Che prevedeva, fra l’altro, la predisposizione, a cura della pubblica amministrazione compe-
tente, di un capitolato d’oneri; l’invito, rivolto a enti, società, ditte specializzate, a presentare offerte;
la presentazione e ricezione delle stesse; la loro valutazione discrezionale tecnica; la proposta al mini-
stro di settore, e altri adempimenti ancora, per i quali vedi meglio infra.
19
La questione non è di scarso momento, perché investe direttamente la qualificazione stessa
del regime in discorso. Requisito, infatti, capitale e ineliminabile, di ogni regime di riserva originaria, è
che, in tutti i casi, la riserva d’impresa operi a favore di un soggetto di diritto pubblico: Stato, enti
Il regime nazionale di riserva originaria 13
3. SEGUE. PROFILI DI DISCIPLINA PARTICOLARE. IL RUOLO DELLE CONVEN-
ZIONI FRA MINISTERO E GESTORE.
Di regime d’esclusiva, il citato DPR 156/73, parlava anzitutto all’articolo 1,
laddove precisava che i servizi di telecomunicazioni «appartengono in esclusiva allo
Stato». L’articolo proseguiva poi sottraendo, d’altra parte, a tale regime, i servizi di
telecomunicazione elencati al secondo comma, dove, però, non si faceva menzione
tanto di attività di servizio in senso stretto, quanto piuttosto di alc uni tipi di impianti,
ossia di infrastrutture per la ripetizione e la diffusione di programmi sonori e televi-
sivi, la installazione e l’esercizio delle quali venivano sottoposti al rilascio di un prov-
vedimento amministrativo di autorizzazione.
In secondo luogo, di esclusiva parlava l’articolo 183, il cui testo disponeva che
«nessuno può eseguire o esercitare impianti di telecomunicazione senza aver prima
ottenuto la relativa concessione o, per gli impianti di cui al comma secondo
dell’articolo 1, la relativa autorizzazione». La seconda disposizione appariva, peral-
tro, dotata di un ambito di applicazione un po’ più ampio della prima. Mentre
pubblici, figure collettive, o anche società private, purché in comando pubblico. Un simile istituto con-
tiene, fra le proprie conseguenze giuridiche, sia la gestione del servizio riservato, sia la sua regolazione,
vale a dire una attività diversa e ulteriore rispetto alla gestione, volta a guidare e a controllare la produ-
zione e le modalità di fornitura del servizio. Laddove, tuttavia, la concessione di servizio avvenga a
favore di un soggetto privato, ne discende che il modello posto dall’articolo 43 della Costituzione non
è più pienamente verificabile. In un caso del genere, dunque, non sarebbe più granché corretto conti-
nuare a parlare di riserva originaria di impresa. Ma potrebbe ancora parlarsi di un regime di (sola) rego-
lazione. Poiché questa ultima rappresenta, comunque, un fenomeno giuridico diverso, e più generale,
della riserva originaria d’impresa. Come dimostra, infatti, il caso della gestione delle public utilities negli
Stati Uniti, la regolazione da parte di autorità pubbliche (authorities , dotate di caratteri strutturali e
funzionali, tali da garantirne, almeno in linea teorica, e nelle intenzioni, una assoluta imparzialità di de-
cisione), può avvenire anche in riferimento a un settore produttivo, in cui sussista un regime giuridico
di libera iniziativa economica privata. La regolazione può costituire, dunque, un aspetto rilevante del
regime di riserva originaria, ma al contempo trascende detto regime, e si offre come modello organizza-
tivo utilizzabile dai pubblici poteri anche separatamente dalla gestione delle attività controllate, ossia
anche laddove essi vogliano garantire determinati controlli e indirizzi di un settore produttivo concor-
renziale, onde evitare possibili fallimenti di un mercato lasciato completamente a se stesso (market
failure), pur senza rinunziare, per questo, a mantenere in vita un regime di libera concorrenza fra gesto-
ri privati (vedi anche infra, cap. II, par.1). Sull’intera questione, vedi: DESIDERI C., Servizi pubblici
imprenditoriali. Riserva e regolazione dei servizi telefonici, Franco Angeli - Collana CIRIEC, Milano,
1990, pp. 83-90; ARRIGONI R., Regolazione e gestione nelle public utilities: principio di separazione e
libera concorrenza nell’applicazione dei principi costituzionali e comunitari, in Rivista trimestrale di
diritto pubblico, 1995, pp. 92-96.
CAPITOLO PRIMO 14
l’articolo 1, infatti, consentiva solamente allo Stato l’utilizzo delle infrastrutture di te-
lecomunicazione (salvo le eccezioni, di cui al secondo comma), al fine di prestare,
per mezzo di esse, attività imprenditoriali di servizio al pubblico, l’articolo 183 com-
prendeva bensì tale stesso divieto, ma estendendo, tuttavia, la sua applicazione alla
costruzione e all’esercizio di impianti di tal genere, anche laddove essi non fossero
diretti alla produzione e alla fornitura di servizi di pubblica utilità. La distinzione che
emergeva, nei due articoli, fra i concetti di servizio , e di infrastruttura necessaria a
svolgerlo, e il carattere molto più esteso e generale del divieto riguardante
quest’ultima, sembravano rispondere a un’esigenza di carattere pratico: il modo più
semplice, infatti, per assicurare la realizzazione del regime di esclusiva dei servizi,
considerato che potrebbe anche risultare difficile accertare a priori se la destinazio-
ne di un dato impianto sia l’uso personale o di pubblica utilità, dovette sembrare al
legislatore del 1973 proprio quello di fissare in partenza un divieto generale riguar-
dante qualsivoglia impianto, a prescindere dalla destinazione che gli si intendesse at-
tribuire20.
Quanto poi al riferimento, contenuto nell’articolo 1, ai servizi di telecomunic a-
zione, il libro IV dello stesso testo normativo precisava come essi avessero a ogget-
to essenzialmente le tre grandi categorie del servizio telegrafico, telefonico (urbano
e interurbano), e radioelettrico. Nulla fa pensare, d’altra parte, che la norma inten-
desse circoscrivere a queste sole tre specie il novero complessivo delle cosiddette
telecomunicazioni. La formula dell’articolo 1 era dotata, in realtà, di un oggetto ge-
neralissimo, e di tipo residuale: salvo contraria disposizione giuridica, pertanto,
l’esclusiva si sarebbe dovuta estendere, in modo automatico, a ogni altro tipo di atti-
vità che potesse, in senso proprio, considerarsi di telecomunicazione, anche e so-
prattutto in relazione agli incessanti sviluppi tecnologici, di cui si era sempre dimo-
strato capace il settore de quo. Ecco allora spiegato come, negli anni successivi al
decreto, l’esclusiva abbia potuto via via allargare il proprio ambito di applicazione a
svariate ulteriori tipologie di «nuovi» servizi di telecomunicazione, individuati tramite
una serie di decreti ministeriali ad hoc: servizio videotel (1982), servizio teletext
(’84), servizio facsimile (’84), e così via 21.
20
Così DESIDERI C., Servizi pubblici imprenditoriali. Riserva e regolazione dei servizi telefoni-
ci, Franco Angeli - Collana CIRIEC, Milano, 1990, pp. 16-21.
21
Il Videotel (o Videotex, o Viewdata) consiste in un servizio di videoinformazione, che con-
sente cioè di ricevere informazioni e immagini grafiche sullo schermo di un terminale o di un televisore
Il regime nazionale di riserva originaria 15
La gestione dei servizi di telecomunicazioni riservati, come detto, avveniva in
parte mediante gestione diretta, in parte (e per lo più) mediante affidamento in con-
cessione. Quanto alla prima modalità, gli organi dello Stato che, sulla base della
vecchia disciplina, venivano preposti all’espletamento diretto dei servizi in questione,
consistevano in due aziende autonome, e più precisamente: la Amministrazione delle
poste e telecomunicazioni, e l’Azienda di Stato per i servizi telefonici (ASST), en-
trambe incardinate nel Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, e da esso
dipendenti. La prima specializzata nei servizi telegrafici e radioele ttrici; la seconda,
nella prestazione dei servizi telefonici. Entrambe erano organismi particolari, appar-
tenenti alla categoria delle imprese-organo22, dotate di una propria autonomia di ge-
stione, di un distinto patrimonio e di un autonomo bilancio, data anche la natura dei
servizi prodotti; mentre, essendo esse prive di personalità giuridica, la loro attività
andava riferita direttamente allo Stato, del quale appunto costituivano organi23.
opportunamente adattato. In questo caso, le informazioni, memorizzate su di un calcolatore, sono tra-
smesse utilizzando la rete telefonica normale. È un sistema interattivo, che cioè permette all’utente di
selezionare l’informazione desiderata dalla banca dati centrale, e persino di colloquiare. Anche il Tele-
text (o Televideo), è un sistema di videoinformazione, il quale invia, in forma continuativa e ciclica, in-
formazioni contenute in una banca dati centrale, attraverso la rete televisiva. Il servizio Facsimile (co-
munemente abbreviato in fax) consente la riproduzione a distanza, tramite la rete telefonica, di imma-
gini fisse, in forma permanente (LERDA F., Telematica, voce Grande Dizionario Enciclopedico UTET ,
vol. XIX, p. 852).
22
CASSESE S., La nuova Costituzione economica, Laterza, Roma - Bari, 1995, pp. 92-93
23
Organi del ministero, comuni a entrambe le citate Aziende erano: il direttore generale; il con-
siglio di amministrazione, dotato prevalentemente di funzioni consultive, che si estrinsecavano in pare-
ri obbligatori, e talvolta vincolanti, ma anche di funzioni di carattere deliberativo, e quindi di ammini-
strazione attiva, come per esempio in materia di personale; il consiglio superiore tecnico delle poste e
telecomunicazioni e dell’automazione, dotato di competenze consultive di carattere tecnico-
economico. Dipendeva, inoltre, dal Ministro l’Istituto superiore delle poste e telecomunicazioni, con
compiti tecnici di studio, ricerca, sperimentazione, consulenza tecnica. Quanto poi all’Ispettorato ge-
nerale delle telecomunicazioni, che avrebbe dovuto essere una struttura guidata da un funzionario tec-
nico, con compiti di sovrintendenza e di coordinamento in materia di telecomunicazioni, esso non ha
mai assunto, nella pratica, un ruolo concreto e autonomo, e questo per via soprattutto della attribuzio-
ne dell’incarico di ispettore generale al direttore della ASST (oltre al direttore generale della Ammini-
strazione delle poste e delle telecomunicazioni, organo comune a entrambe le citate Aziende, l’ASST
era dotata anche di un proprio direttore, il quale era membro di diritto del consiglio di amministrazione,
oltreché, appunto, a capo dell’Ispettorato generale), raggiungendo in questo modo, fra l’altro, il para-
dosso della Azienda che controlla se stessa. Per una disamina ancora più dettagliata delle strutture
amministrative in questione, vedi: CHIAPPETTA F., Legislazione delle telecomunicazioni e telematica,
Giuffrè, Milano, 1990, pp. 47-73.