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1592 Il duca Alessandro muore in battaglia ad Arras. Gli succede il figlio Ranuccio I, che sposa Margherita
Aldobrandini, nipote di papa Clemente VII. Il fratello Odoardo diviene, invece, cardinale.
1600-40 Il ducato di Castro viene assegnato da Ranuccio e da suo figlio Odoardo, con la contea di
Ronciglione, con ipoteca per fondo dei Monti Farnesiani, creati per i debiti contratti.
1622 Muore Ranuccio. Subentra Odoardo in luogo del fratello primogenito Alessandro, sordomuto. Questi,
incrementando i debiti, viene più volte ammonito da papa Urbano VIII e, per tutta risposta, fortifica
ulteriormente Castro.
1641 Prima guerra di Castro. Il papa ordina al duca di disarmare e, non essendo stato ubbidito, lo scomunica.
Scaduto il termine concesso per demolire le fortificazioni, invia a Castro un esercito di 500 cavalieri, 6000 fanti
e alcuni pezzi di artiglieria agli ordini del gen. Mattei.
13 ottobre Capitolazione di Castro. Incisione di Andrea Salminci.
Urbano VIII, nella speranza di infeudare Castro a favore del nipote Taddeo Barberini, potenzia le
fortificazioni affidando i lavori agli ing. militari Giulio Buratti e Giacomo Oddi.
1644 31 marzo I Farnese, coadiuvati dalla Lega di Venezia, Modena e Gran Ducato di Toscana, riacquistano il
ducato, col patto di saldare i debiti contratti entro 8 anni.
1646 Muore Odoardo e gli succede Ranuccio II, che non solo non estingue i debiti coi Montisti, ma
commissiona opere militari, suscitando le ire del pontefice Innocenzo X.
1649 18 marzo Assassinato presso Monterosi il vescovo Cristoforo Giarda, inviato del papa.
24 marzo Innocenzo X lancia la scomunica con bolla " Innocentius X ad futuram rei memoriam " contro gli
assassini e i loro complici, ponendo una taglia di 5000 scudi.
19 luglio Dichiarata la seconda guerra di Castro ed il pontefice da inizio all'assedio con 4000 fanti e 1000
cavalieri.
2 settembre Capitolazione di Castro. Contro l'iniziale aspettativa non viene rasa al suolo solo la fortezza, rna
l'intera città.
14 settembre Con bolla "In Supremo Militantis Ecclesiae Throno " si trasferisce la sede episcopale ad
Acquapendente. Il Ducato di Castro e Ronciglione viene messo all'asta e, poiché nessuno è disposto a pagare 6
milioni di scudi, viene incamerato dalla Camera Apostolica.
5
INQUADRAMENTO TERRITORIALE
COME ANALISI CRITICA DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL PAESAGGIO
La comprensione di un Luogo non può prescindere dallo studio delle relazioni che questo intrattiene con il
suo intorno ambientale inteso come l’insieme delle caratteristiche naturali ed artificiali che determinano
rapporti di biunivocità tra lo stesso locus , nel nostro caso la città, ed il territorio che da esso è determinato.
Fare un inquadramento territoriale pertanto, non significa intercettare con un segno grafico su una cartina
geografica il luogo che si va a studiare, ma comprendere a fondo l’ambiente naturale e il modo in cui l’uomo
lo trasforma, cercando di capire quale è stato e quale è tuttora il principio insediativo del sito.
Perché e secondo quali logiche il luogo scelto è stato ritenuto idoneo per fondarvi una città?
L’ambiente, essendo vario e molteplice offre all’uomo diverse possibilità di scelta, diversi siti offrono buone
qualità per insediarvi una città; intercettare il luogo quindi è fin dall’inizio compito difficile e complesso.
Ma cosa alla fine determina la predilezione di un sito piuttosto di un’altro e cosa e perché ha determinato la
scelta del sito di Castro?
Presso le antiche civiltà ed in particolare presso quella etrusca era normale cercare il sito secondo metodi di
carattere mistico-religioso: l’aruspicina, l’epatoscopia e altre pratiche “magiche” precedevano sempre l’atto
di fondazione di una città
*
. È probabile, ma allo stato attuale non dimostrabile, che per la fondazione della
Castro etrusca e poi romana (Statonia?) l’occupazione del sito sia stata preceduta dalla pratica di riti
propiziatori; in ogni caso è importante precisare che questi riti confermavano attraverso l’uso di suoni, gesti
e colori la presenza di alcuni elementi naturali necessari per la sopravvivenza; come ricorda Platone infatti
era proprio la presenza delle qualità fisiche in un determinato sito che rendevano manifesta la benevolenza
delle potenze divine
†
. Indagare la via religioso-ritualistica però non è cosa facile in quanto estremamente
complessa è la natura metafisica del rito.
In questa sede quindi indagheremo l’aspetto fisico della fondazione di Castro cioè cercheremo di
comprenderne le scelte in funzione delle qualità ambientali, paesistiche e territoriali.
*
Nell’antica grecia ad esempio era la Pizia dell’oracolo di Delfi che determinava la scelta precisa del sito senza tuttavia
conoscere le caratteristiche fisiche dell’ambiente. Come fa notare Joseph Rikwert nel suo saggio L’idea di città,
Einaudi, 1976, riferendosi alla scelta del sito secondo principi espositivi e di salubrità afferma che “queste nozioni
fondate sul buon senso, pur essendo abbastanza diffuse al tempo di Vitruvio, non avevano frequente applicazione nella
pratica. Nel V sec. a.C. quando Ippocrate le formulò dovettero sembrare stravaganti e rivoluzionarie, essendo
diametralmente opposte ai consigli che la Pizia aveva dato…ad esempio Agrigento (Akragas), fondata verso il 580 da
coloni provenienti da Gela, si affacciava direttamente a sud-ovest sul Mediterraneo ed era protetta lungo tutto il suo
margine settentrionale da una pendice rocciosa, la rupe Atenea. In età antica, nella rupe fu aperto un varco per lasciar
passare il vento del Nord: secondo la tradizione popolare ciò avvenne per suggerimento di Empedocle, circa un secolo e
mezzo dopo la fondazione della città. In ogni caso il sito dove era sorta Agrigento non era certamente conforme alle
prescrizioni d’Ippocrate e lo stesso può dirsi di molte città della costa meridionale della Sicilia, della costa tirrenica
italiana, ecc…”
†
Tratto dalle Leggi di Platone questo passo descrive le caratteristiche del sito per una città ideale “[ Alcuni luoghi]
sono avversi o anche propizi per ogni sorta di venti e per l’azione del sole, altri per le acque, altri ancora per lo stesso
alimento fornito dalla terra, il quale non solo dà cose migliori o peggiore ai corpi, ma non è meno valido a portare tutte
le simili affezioni nelle anime…Fra tutti questi luoghi primeggeranno di gran lunga quei luoghi del territorio in cui spira
un certo soffio divino e sono dimora assegnata ai demoni, i quali possono accogliere favorevolmente, o anche in modo
ostile, i loro sempre nuovi abitatori”
6
Attraverso la lettura semantica dell’ambiente si sono intercettati gli elementi costitutivi del paesaggio intesi
come elementi fisici ricorrenti storicamente e strutturanti rispetto al territorio con caratteri di contenimento
(margini: visivi, funzionali e culturali). È necessario premettere che la città intrattiene relazioni spaziali,
visive, funzionali sia con elementi, naturali ed artificiali, nel suo immediato intorno che con altri a distanze
spesso anche considerevoli; è stato pertanto strutturato un metodo di lettura che utilizza diverse scale di
rappresentazione e che a partire dalle relazioni più esterne, rilevabili a grande scala, arriva via via alla città e
al suo ambiente urbano.
La lettura inizia alla scala 1:100.000 dove sono stati analizzati gli elementi naturali di contenimento
territoriale intesi come sistemi orografici, mare, laghi, fiumi; ad essi si aggiunge la lettura degli elementi
artificiali ovvero strade, case, città. Dalla sovrapposizione dei dati prodotti si è cercato di comprendere la
formazione dei cicli territoriali di impianto.
La città di Castro si colloca su un promontorio a testata di crinale secondario in posizione baricentrica
rispetto ad un’area di forma triangolare di circa 25Km
2
delimitata a nord dalla selva del Lamone, a sud ovest
dai monti di Castro, a sud est dai monti di Canino. La posizione vicino ad un importante nodo stradale di
connessione interterritoriale lascia intuire quanto forti dovevano essere le relazioni di Castro con le altre
città dell’Etruria meridionale; infatti, la via Clodia, arteria che garantiva le comunicazioni in direzione nord-
ovest sud-est (controcrinale principale) e la strada trasversale di collegamento delle vie Cassia ed Aurelia
che passava per l’asse Vulci-Monte Becco, si incontrano a poche centinaia di metri dal sito della città.
E’ ipotizzabile inoltre che la città esercitava una certa influenza egemonica, e non in senso necessariamente
politico, rispetto alle altre città vicine posizionate all’interno di un vero e proprio bacino di pertinenza
territoriale delimitato naturalmente a sud ovest dal mare Tirreno, a nord ovest, dai monti di Castro, a nord
dalla Selva del Lamone, a ovest nord-ovest dal Lago di Bolsena e a sud dal torrente Arrone.
La lettura prosegue alla scala 1:10.000 che garantisce un maggiore dettaglio e consente di mettere in
evidenza gli elementi costitutivi di contenimento paesistico dell’intorno urbano.
Con questa analisi acquisiamo dati che con più precisione ci confermano come la scelta del sito di Castro
non è stata per niente casuale; la posizione su una rupe tra due corsi d’acqua, l’allontanamento minimo dal
grande nodo territoriale e dal grande corso d’acqua del fiume Fiora che, come una arteria viaria naturale
consentiva la viabilità interna su tutta l’Etruria meridionale, rendono chiara l’intenzione dei primi abitanti
della rupe: controllare i traffici economici e religiosi diventando essa stessa un’area obbligata di sosta. Altri
elementi inoltre come la Via Cava e un gran quantitativo di colombaie confermerebbero anche la natura
spirituale e religiosa del sito. Anche in questo caso la posizione geografica di Castro rispetto alle città
limitrofe è funzione di un controllo religioso e spirituale; questo aspetto è confermato nelle diverse fasi
storiche dalla presenza del vescovato nonché dall’interesse particolare di Papa Paolo III per questo luogo.
Tornando alla lettura dei “segni” del paesaggio suburbano si può notare come nei percorsi di avvicinamento
alla città, questa, non è visibile se non nel suo immediato intorno cioè solo quando ci si trova a ridosso della
rupe; la città infatti si trova posizionata su un promontorio che non emerge orograficamente rispetto
all’intorno. Pertanto se ci si avvicina percorrendo i crinali la città diventa visibile solo quando la linea di
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orizzonte si abbassa, mentre percorrendo i corsi d’acqua la città appare solo appena il cono visivo si
posiziona sotto la rupe. Ciò conferma l’ipotesi che il luogo pur trovandosi nelle vicinanze di grossi nodi
viari, si proteggeva dagli stessi e controllava visivamente l’intorno non direttamente dalla rupe occupata, ma
dai crinali esterni ed interni al bacino idrografico che la accoglie.
Questo principio insediativo che garantisce un discreto controllo sul territorio extraurbano è stato
notevolmente migliorato nel periodo medioevale con la costruzione dei campanili interni alla città che
diventarono punti di controllo, di localizzazione e di riferimento visivo a scala territoriale.
L’ultima parte dello studio di inquadramento implica una lettura del territorio ulteriore ad una scala di
maggiore dettaglio; utilizzando infatti una carta 1:2000 intercettiamo nella città e nel suo intorno eventuali
sorgenti e la posizione delle sepolture; questo passaggio è necessario per comprendere a fondo il principio
insediativo poiché la localizzazione dell’acqua e del luogo per le sepolture è di fondamentale importanza nel
processo di antropizzazione di un territorio naturale. Infine sempre a questa scala vengono studiati i percorsi
di ingresso alla città in funzione della loro logica di comunicazione con le città vicine e i percorsi di controllo
visivo nell’intorno urbano.
Compreso il principio insediativo a scala territoriale l’analisi continua a scala urbana nel tentativo di
comprendere come attraverso lo strumento dell’architettura l’uomo ha costruito e trasformato questo luogo
rendendolo paesaggio, sintesi altissima, spirituale e materiale del lavoro di co-creazione.
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LA CITTA’: RIFLESSIONI SULL’ANALISI URBANA
“Individuare le valenze progettuali intrinsecamente presenti
nel momento in cui la storia si realizza è l’operazione
indispensabile per passare dalla base di semplice
registrazione e di valutazione distaccata degli eventi a quella
di progettazione della nuova storia”.
Marco Dezzi Bardeschi
<appunti sul ruolo dell’esercizio storico nella letteratura
architettonica nel dopoguerra in Italia> 1969
L’analisi di centri antichi è un metodo di ricerca che l’uomo sperimenta continuamente, cercando di
trovare un criterio che semplifichi uno studio così complesso, cadendo però spesso in eufemismi
tecnici e tipologici e allontanandosi dall’idea di città creata per l’uomo, dall’uomo.
La genesi dell’idea divenuta prassi attraverso l’esperienza degli architetti che operano nella storia è
individuata attraverso l’indagine culturale ed etica (complesso del sapere, obbedienza ai costumi e
alla tradizione di una comunità), ed attraverso la consistenza fisica e formale del loro operato. Si
cerca costantemente un riscontro tra operato e teoria, in un periodo in cui lo studioso è fautore di un
forte dibattito culturale che lo dirige e lo influenza nelle sue scelte operative.
Il principio progettuale della città viene scisso nell’accurata valutazione delle matrici fisiche
(soleggiamento, ventilazione, percorsi di movimento, altimetria, ecc.) che ne hanno direzionato le
scelte insediative ed ubicazionali, e nella sua “forma urbis”, esaminando gli aspetti teorici e
compositivi che ne dettano la forma e le qualità visive (dilatazioni ottiche, tensioni visive, sfondi
prospettici, avvicinamento al manufatto, ecc.), in un organismo che è invisibile.
Lo studio è intrecciato in un dualismo analitico che esamina attraverso la ragione e cerca tramite i
sensi. Il bosco che oggi dissimula il vero spazio della città, disorienta, confonde; l’involucro risulta
mutevole e variabile da persona a persona, affatto fisso e stabile in quanto l‘immagine che abbiamo
non è quella che vediamo attraverso gli occhi, ma quella che sentiamo attraverso noi stessi.
La conoscenza della città grazie ai documenti e i rilievi storici permette di organizzare lo spazio, di
tracciarvi dei movimenti; viceversa, il corpo umano diventando un unico recettore di sensazioni,
estende la sua percezione, si specializza nel riconoscimento dei segni e apporta nuove informazioni
alla conoscenza.
Ci è stata indispensabile la costruzione di modelli di riferimento, di apparati visivi, di capisaldi
strutturali, non necessariamente al fine ricostruttivo, ma per poter sforzare la nostra logica, crearci
un’immagine materiale di un sistema immateriale ed elencare le nostre considerazioni.
Tutto ciò ha reso accessibile la comprensione delle scelte urbane, delle trasformazioni e delle
evoluzioni, fino all’intervento di Antonio da Sangallo il Giovane ed è stato finalizzato alla
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conoscenza gnoseologica, materica ed estetica del “Luogo”, un atto culturale e non solamente
storiografico e documentale.
Infatti, l’ideogramma di progetto, nasce dalla volontà di ripristinare un organismo vivo tramite la
riscoperta delle parti strutturanti ed indispensabili alla città, che non preclude una successiva
crescita; questi ambiti vengono intesi come elementi in cui la percezione dello spazio al loro interno
dovrà differenziarsi dalla percezione di quello esterno appartenente ai percorsi di spostamento,
sensazione ormai persasi in un'unica impressione.
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IL RILIEVO NELLA CONSERVAZIONE DELLA CITTA’ DI CASTRO
Rilevare significa comprendere e analizzare l’oggetto nei suoi aspetti intrinseci, cogliendone il
valore formale, materico, costruttivo e culturale.
Questa indagine pone il rilevatore a stabilire con l’architettura un dialogo che gli permette di
risalire, tramite la conoscenza della materia, dei mezzi con cui è stata realizzata, delle scelte
tecniche e delle soluzioni di cantiere, all’idea creatrice dell’opera; ciò è possibile solo tramite il
disegno.
L’operazione del misurare consiste nel riconoscere nell’oggetto delle qualità e di quantificarne
l’entità attraverso numeri.
Tutta l’operazione deve essere finalizzata al progetto ed è un’operazione di selezione critica dei
temi da sottoporre all’analisi. Dalla selezione tematica deriva la scelta dei punti da indagare, ovvero
la quantità che si intende discretizzare per poter restituire esattamente le geometrie del manufatto.
Grazie al rilievo inizia a ritroso il processo costruttivo del manufatto nel tempo, spogliato
gradualmente di tutte le sue parti.
L’utilizzo di varie strumentazioni, che il progresso tecnologico ci fornisce, deve essere supportato
dall’interpretazione dell’immagine storica. Le carte storiche, pittoresche o iconografiche, le vedute
simboliche della città, le carte tecniche prodotte dagli operatori dell’epoca, devono essere
memorizzate, rielaborate, interconnesse e integrate con nuove indagini al fine di ottenere
ricostruzioni più approssimate possibili in aspetto e significato. L’indagine di rilievo non deve
ridursi a mera restituzione fisica dell’oggetto, ma deve prodigarsi nella ricerca dei fattori intrinseci
dell’elemento, per ottenere una vera restituzione estetica dell’oggetto. Il medesimo approccio, anche
se con tecniche diverse, deve essere adoperato dalla scala urbana al dettaglio architettonico.
Il “catastale del Soldati”, carta tecnica del 1644, è il documento-strumento che oggi ci consente di
comprendere Castro nella sua valenza urbana. Il fine di questa carta era quello di descrivere lo stato
di fatto della città dopo l’assedio delle truppe papaline; il procedimento tecnico che adopera è
quello di una sezione ideale a qualche metro dalla linea di terra, andando ad intersecare le
consistenze architettoniche del tessuto urbano. Viene delineata la rete viaria, assai curata, che
definisce gli isolati entro i quali vengono individuate le emergenze architettoniche, ma non le aree
scoperte riservate a cortili o i passaggi voltati coperti. Il territorio limitrofo suburbano è arricchito
da informazioni sulle fortificazioni, sugli elementi naturali, ivi compreso il sistema orografico, e da
elementi artificiali quali mulini, dighe, ponti, tagliate.
Questa carta è stata da noi messa in relazione con la carta tecnica elaborata nel 1985 da Herbert
Gardner-Mc Taggart. Il confronto dei due sistemi e il loro intreccio ci forniscono una valida base su
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cui poter integrare le nuove conoscenze. Ne viene fuori l’individuazione di “punti fermi” come veri
e propri “punti fiduciali” di una rete, consistenti negli affioramenti delle strutture oggi leggibili. La
lettura simultanea delle due carte ci permette di essere strumentalmente presenti in questi punti della
città e di poterne ipotizzare l’intorno.
La ricognizione visiva dello spazio e degli elementi che cadono nell'area di indagine è
il metodo propedeutico a qualsiasi tecnica di misurazione strumentale.
Essendo coperta da un bosco, la città di Castro è per la quasi totalità nascosta; orientarsi quindi
in un sistema privo di riferimenti architettonici e per di più ricco di alberi e cespugli risulta
difficile. La tecnica fotografica quindi se non è supportata da riferimenti artificiali registra
immagini incomprensibili e con grandi contrasti di esposizione. E' necessario pertanto fare uso
della tecnica fotointerpretativa per valutare criticamente i piani delle immagini e rendere più
leggibile il quadro visivo tramite la messa in evidenza di avvallamenti, depressioni, cumuli e
strutture coperte dal sottobosco che risulterebbero altrimenti incomprensibili.
Sezioni aperte nel terreno dovute a scavi o crolli naturali delle volte ipogee, ci hanno
permesso di elaborare una semplice stratigrafia:
• una prima fascia più esterna è quella boschiva
• una seconda fascia è lo strato pedologico
• una terza fascia comprende i crolli
• una quarta fascia le strutture
ed un ultima gli ambienti ipogei.
E' necessario che questo lavoro di ricognizione superficiale, catalogazione e verifica degli
ambienti ipogei diventi sistematico ed esteso a tutta la città. E' un aggiornamento necessario dei
dati fino ad ora conosciuti e consente di far chiarezza sulla consistenza del suolo e sottosuolo
della città, di aggiornarne cioè lo stato di fatto in funzione del progetto di restauro urbano.
Lo scopo dell’operazione di ricognizione è definire il metodo da seguire, le tecniche, le
strumentazioni, le scale di rappresentazione in funzione dei diversi ambiti e delle diverse
problematiche da affrontare.
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LA CAMPAGNA DI RILIEVI del 2003-2004
Il rilevamento per la comprensione della chiesa di S. Maria Intus Civitatem e del suo intorno
Dalla valutazione visiva sulla morfologia del sito nonché dalla difficoltà di comprensione
dell’andamento orografico e planovolumetrico dell’intorno della chiesa si è valutata la possibilità di
intervenire con un rilevamento sistematico che consentisse una migliore e più agevolata lettura
dell’area in funzione delle scelte operative legate al cantiere di scavo e restauro architettonico.
Era necessario posizionare topograficamente le vestigia già scavate della chiesa affinché
risultassero chiare le relazioni spaziali che intercorrono tra questa e le emergenze architettoniche
vicine; bisognava inoltre comprendere con più precisione l’effettiva estensione planimetrica
dell’area interessata dallo scavo nonché il reale volume di macerie da rimuovere.
Il sistema di rilevamento ha pertanto consentito di chiarire circa le dimensioni necessarie per la
perimetrazione dell’area di lavoro in funzione della reale conformazione planimetrica.
Il rilievo utilizza un sistema a rete a maglia triangolare realizzata attraverso la trilaterazione dei
vertici trigonometrici con lo scopo di determinare, con la massima precisione possibile relativa agli
strumenti usati , la posizione dei punti giacenti sulla superficie dell’area interessata dal cantiere di
scavo.
Le operazioni sono state effettuate da due operatori addetti alle misurazioni e da un terzo con il
compito di redigere la tabella di campagna; si provvedeva alla restituzione dei dati acquisiti non
appena terminate le operazioni sul campo, giorno per giorno, con la possibilità di poter verificare il
lavoro ed eventualmente effettuare delle misurazioni di controllo qualora necessarie.
Le misurazioni effettuate formano triangoli prossimi all’equilatero con lati che vanno dai 3 agli 8 m
e con angoli superiori ai 27°.
La forte pendenza del terreno, la difficoltà ad avere un campo visivo libero dovuto alla presenza
degli alberi nonché le difficoltà operative dovute alla instabilità del suolo inteso come accumulo di
macerie non hanno permesso l’individuazione di un sistema di vertici su strutture fisse; si è dunque
optato per un sistema di punti mobili ricavati attaccando sugli alberi dei puntelli lignei orizzontali
ai quali venivano appesi dei fili a piombo; tale sistema ha consentito di creare una maglia
planimetrica su diversi livelli.
Per ogni vertice sono state effettuate tre misurazioni più una quarta di compensazione e di controllo
cercando in questo modo di arrotondare gli errori sistematici e grossolani.
Ogni misura è il risultato della media aritmetica tra le diverse letture operate, avendo stabilito a
priori i limiti di tolleranza della scala di restituzione grafica ( scala 1:50 ossia 1,5 cm di tolleranza).
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In tal modo il sistema di inquadramento generale ha la doppia funzione di collegare le varie
emergenze architettoniche e di garantire la base topografica per la successiva determinazione dei
punti di dettaglio; questi ultimi sono stati rilevati utilizzando lo stesso approccio sistematico
adoperato per la determinazione dei vertici della rete, omettendo la quarta misura di
compensazione.
Per ogni vertice della rete generale e per ogni punto di dettaglio misurato sulle vestigia e sui crolli
in situ è stata determinata la relativa quota altimetrica realizzando in questo modo il piano quotato
dell’intera area del cantiere; come quota 0,00 è stato scelto il pavimento del transetto già scavato.
Il rilievo ha inoltre consentito di definire con precisione le diverse zone del cantiere e le relazioni
con il suo intorno in funzione di una logica operativa che tiene conto della distribuzione dei percorsi
valutati secondo criteri di sicurezza .
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SANTA MARIA INTUS CIVITATEM: PERMANENZA DELLA FORMA
La nostra tesi vuole dimostrare la persistenza, permanenza di un’idea che si manifesta in un
luogo ed in una forma.
Lo studio e le ricerche svolte hanno permesso di proporre la tesi per cui la chiesa di S. Maria Intus
Civitatem sia una sintesi di due modelli planovolumetrici: lo schema a tau sviluppatosi nel
dodicesimo secolo ad opera del monachesimo
‡
, ed un impianto che si ricollega alle forme
tradizionali della Tuscia romana nelle proporzioni del transetto.
Siamo oltremodo convinti che vi sia una unità formale e temporale dell’intero edificio, dimostrabile
tramite la tecnica in quanto la tessitura muraria è pressoché identica in tutte le parti fino ad ora
scavate e tramite uno schema progettuale unitario.
Per riuscire a comprendere appieno l’architettura sacra pervenutaci, è fondamentale dimostrare la
preesistenza di un edificio sacro. Allo stato attuale, questa operazione è possibile unicamente
tramite un’attenta analisi dei documenti storici ad oggi conosciuti.
La fonte più importante è sicuramente la relazione della visita pastorale effetuata nel 1603 da
Monsignor Giovanni Ambrogio Caccia Vescovo di Castro, nella quale afferma che la chiesa di
S.Maria intus Civitatem era l’antica cattedrale di Castro, come è registrato nei libri del capitolo.
Se si considera che nel concilio romano del 680 figura un tal Custodio che si firma Vescovo di
Valentano e che avrebbe esercitato il suo ministero nella diocesi castrense, si può dedurre che già
nel settimo secolo esisteva un edificio sacro nel luogo ove ora sorge S. Maria.
Una ulteriore conferma ci è data dal Ghezzi che riporta nel suo saggio “Discorso sulla salubrità
dell’aria di Castro” datato 15 Luglio 1610, uno scritto anonimo risalente al X secolo in cui viene
citata porta Santa Maria, il toponimo ci permette di ipotizzare che la porta si colleghi ad un edificio
sacro vicino esistente già nel X sec., effettivamente le strutture rimaste della porta, individuate da
Helbert Mc Taggart nel 1985, sono a poche decine di metri dal prospetto delle chiesa di S. Maria.
‡
J. Raspi Serra La Tuscia romana. Un territorio come esperienza d’arte: evoluzione urbanistico-architettonica, ERI,
Milano 1972, scrive a proposito della chiesa di S. Giacomo a Tarquinia e dell’ abbazia di Santa Maria dell’alberese
“Entrambi gli edifici sembrano rimandare per le particolarità iconografiche e decorative alla edilizia della calabria e
della Sicilia, corrispondente al periodo di Roberto il giuscardo e Ruggero I…. , si possono registrare affinità con il
gruppo di archittetture brasiliane calabro-siciliane individuate dal Bottari, legate al monachesimo benedettino,
partecipanti ad una espressione architettonica partita dalla calabria che s’impernia sulla planimetria di Cluny.”
Aimo P., Clementi R., Castro: struttura urbana e architetture dal medioevo alla sua distruzione, 1988, “la presenza e
l’attività dei monaci Benedettini e Cistercensi in questa zone dell’Alto Lazio, inoltre, agevolarono nell’attività
costruttiva l’espansione delle forme architettoniche lombarde che, pervenute dall’Appennino, si fusero con il gusto
classico ancora vivo e con gli influssi importati dall’Oriente mediterraneo
SALMI M., Le chiese romaniche della campagna toscana, Federazione Casse di Risparmio della Toscana, Electa,
Milano 1958 “D’altra parte il carattere internazionale degli organismi monastici favorisce la circolazione della
cultura, anche quella artistica, adempie cioè ad un ufficio che nei secoli successivi passerà ad altre formazioni
politiche, amministrative e sociali.”
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E’ fondamentale osservare che parte del transetto relativo all’ultimo impianto è in parte incassato
nel banco tufaceo (motivo per cui si sono conservate la tre absidi); nell’ipotesi che la vecchia
“chiesa” fosse già in parte scavata nel tufo, si può dedurre che questa abbia influito nella
determinazione spaziale della nuova costruzione.
Infatti il nuovo edificio pur manifestando un impianto a T che sviluppa nel territorio nel corso del
dodicesimo secolo (S Giacomo e l’Annunziata a Tarquinia, S. Maria Maggiore a Tuscanica
§
, la
chiesa di Coneo, Abbazia di Santa Maria dell’Alberese), si differenzia nelle proporzioni del
transetto che si avvicinano ad un impianto più antico.
Questa sintesi genera però una particolare connesione fra la campata centrale del transetto e la
navata dovuta alle diverse dimensioni. Purtroppo oggi si può solo ipotizzare come sia risolto
formalmente questo punto critico, in quanto deve essere ancora scavato. Noi crediamo che il
raccordo venga risoltograzie alla diversa inclinazionedegli arconi rispetto all’asse longitudinale
della chiesa venendosi così a formare delle crociere trapezoidali come avviene a S.Giacomo a
Tarquinia
Lo stesso problema esiste nella chiesa di S. Pietro a Tuscania, dove viene risolto tramite un arco
trionfale ed una particolare composizione dei piloni che dividono la parte presbiteriale dalle navate.
L’analogia riscontrata nella chiesa di Tuscania diventa emblematica per dimostrare la sintesi fra due
sistemi, la datazione di questo monumento non è ancora del tutto chiara, gli storici dibattono tra
l’ottavo e il dodicesimo secolo. A noi interessa soprattutto evidenziare che le proporzioni del
transetto sono pressoché identiche a quelle della chiesa di S. Maria a Castro e ad altra chiese del
territorio.
Un nostro studio, determinato inizialmente da una somiglianza formale e dimensionale con il
Tempio del Belvadare ad Orvieto, ci ha permesso di capire che la suddivisione spaziale del transetto
corrisponde alla composizione delle tre celle del tempio tuscanico descritto da Vitruvio.
Questa scoperta ci ha portato ad approfondire tali studi ed abbiamo notato che effetivamente molte
chiese della Tuscia romana confermano il “luogo” fondandosi su architetture sacre Classiche; la
chiesa di S. Pietro a Tuscanica, dove sono ancora utilizzati nella cripta parti di opus reticolatum
romano, l’antica cattedrale S. Maria Maggiore a Tuscanica, S. Pancrazio a Tarquinia, S. Giovanni
Evangelista e S. Giovenale a Orvieto, e la chiesa di S. Rocco a Pitigliano.
Quest’ultima insieme a S. Pietro ed a S. Giovanni, figura tra le più antiche di Pitigliano, riedificata
alla fine del XV sec. per conto degli Orsini, presenta molte con la chiesa di S. Maria Intus
§
“La similitudine tra l’impianto più antico di Santa Maria Maggiore con la Badia di Santa Maria a Conèo (pianta a T
con transetto triabsidato, con le absidiole laterali contenute nello spessore murario e coro rialzato)” è stato
evidenziato da Joselita Raspi Serra nel volume dedicato a Tuscanica.
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Civitatem:era dedicata a S. Maria, lo stesso orientaamento, la stessa posizione all’interno della
morfologia urbana vicino alla porta per Sovana (porta ovest) e la presenza di una fonte proprio sotto
la scalinata d’ingresso.
Nella complessa e continua ricerca che caratterizza gli edifici sacri del dodicesimo secolo, la chiesa
di S.Maria Intus Civitatem si pone come edificio unico ed irripetibile, impossibile da relazionare ad
un solo modello, ma che riesce a fondere in una unità formale influenze diverse.
Si riscontrano evidenti analogie stilistiche con varie chiese del territorio nella fusione di volontà
classicista evidente nella porta principale e nel riutilizzo di materiali di spoglio (come nella porta
della cattedrale di Sovana), influenze lombarde nelle volte a crociera con costolatura quadrata, e
influenze arabo-normanne, “soprattutto il contenuto formale nella ricerca di una riduzione
dell’edificio a pura geometria accentuata dagli andamenti rettilinei dei conci e della luce che
sottolinea le superfici richiama esempi architettonici mussulmani”
**
. Il ritrovamento di un bacino
ceramico incastonato in un blocchetto di tufo, che assieme ad altri elementi si collega anche alla
chiesa di S. Giovanni in zoccoli in cui era presente una decorazione di ciotole in maiolica smaltata
che in corona concentrica ornava la lunetta del portale principale.
Il complesso problema di confrontarsi con una architettura diruta, con un “rudere”, in parte ancora
da scoprire, è stato affrontato cercando di comprendere l’unità perduta, ai fini del progetto di
conservazione; questa operazione è stata fatta non ha il fine progettuale riproporre le forme e lo stile
originale dell’architettura ormai persa, ma per ricostituire tramite un atto creativo, una unità
provvisoria
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che non tradisca l’idea progettuale originale, ottanuta tramite la vera conservazione
della materia nella storia.
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J. Raspi Serra La Tuscia romana. Un territorio come esperienza d’arte: evoluzione urbanistico-architettonica, ERI,
Milano 1972 ,scrive a proposito della chiesa di S. Giacomo
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Ciò che a nostro parere oggi si può realizzare è un progetto di consolidamento delle strutture emerse ed una copertura
provvisoria, perchè per poter realizzare un progetto definitivo e necessario sapere ciò che è realmente rimasto delle
strutture ancora interrate e soprattutto capire come sia realmente risolto l’innesto fra la navata ed il transetto.