6
numerosi discendenti, solo uno fosse designato come erede dell' ufficio:
seguendo questa procedura, era possibile fondare una dinastia rigidamente
articolata in senso verticale. Si poteva verificare anche un' altra eventualità,
ovvero che il titolo fosse trasmesso a tutti i discendenti maschi: questo fatto
ha spesso dato origine a nuovi rami familiari.
4
Un altro elemento assai significativo e spesso ricorrente nella storia di
molte famiglie è costituito dalla fondazione di chiese o monasteri che
rimasero legati al casato del fondatore. Il monastero familiare aveva un ruolo
di primaria importanza: per il lignaggio, era uno strumento assai valido per
mantenere saldi i legami tra i suoi membri oppure tra i vari rami che si
erano creati successivamente. Inoltre, tale istituzione si rivelava molto efficace
per contrastare l' eccessiva dispersione delle proprietà dal momento che
riceveva i beni di ciascun componente della famiglia, consentendo anche il
recupero di possedimenti che - per via femminile - si trovavano ormai fuori
del patrimonio.
5
Una funzione di rilievo, nello sviluppo dei lignaggi, fu svolta anche dall'
evoluzione verificatasi nella gestione dei beni patrimoniali e nell' esercizio dei
poteri sul territorio. Nel periodo considerato, i possedimenti non erano più
situati in aree assai lontane fra loro: i più remoti furono ceduti, mentre gli
altri vennero riuniti in ambiti più limitati, di solito nei dintorni di un castello
o di un centro curtense. In base a questo fenomeno di localizzazione, si
assiste alla formazione di una signoria che non era più solo fondiaria, ovvero
principalmente connessa ai possedimenti, ma che assunse caratteristiche di tipo
territoriale.
Questa signoria, in un primo momento, concerneva il castello e le sue zone
limitrofe, ovvero il circuitus castri.
6
In seguito, la famiglia proprietaria della
fortezza, o della curtis, estese la sua influenza anche in un ambito più vasto,
creando una circoscrizione su cui veniva esercitato il dominatus loci. Si
trattava di una signoria territoriale di banno, vale a dire legata al ruolo
4
Cfr. C. Violante, Alcune caratteristiche, pp. 27 - 28 e tavole 4 - 5 - 6 (Famiglie dei
Gisalbertingi e degli Obertenghi ).
5
Vedere Idem, pp. 25 - 26 e P. Cammarosano, Aspetti delle strutture, p. 110. Uno degli
esempi più noti è costituito dal monastero di Fontebuona, per il quale cfr. P. Cammarosano,
La famiglia dei Berardenghi, pp. 66 - 84.
6
Cfr. C. Violante, Alcune caratteristiche, p. 39.
7
difensivo del centro fortificato e fondata su prerogative militari, fiscali e
giurisdizionali, esercitate su coloro che risiedevano nel territorium loci.
7
Per quel che concerne la situazione italiana, dall' analisi condotta su
numerose genealogie, si è dedotto che il tipo di famiglia denominato Sippe è
scarsamente attestato, anche prima del X secolo.
8
Tuttavia, è alquanto difficile
imbattersi anche in gruppi familiari rigidamente organizzati in strutture
verticali. Piuttosto, le famiglie italiane presentano delle genealogie molto
intricate, caratterizzate dalla formazione di nuovi rami.
9
E' possibile riscontrare
questa struttura anche nei conti di Tuscolo: il lignaggio di cui ci occuperemo,
infatti, presenta un' estensione orizzontale e la nascita, da una delle linee di
discendenza, di una nuova grande famiglia, i Colonna.
10
A loro volta, i
Tuscolani erano una ramificazione di un noto e complesso casato romano,
quello del vestararius Teofilatto.
11
Queste constatazioni ci spingono ad introdurre un' altra tematica
fondamentale, ovvero i rapporti di successione, che incisero notevolmente sulle
strutture familiari.
In base alle testimonianze dei documenti, si possono trarre interessanti
conclusioni: l' eredità spettava unicamente ai discendenti maschi senza
particolari discriminazioni. Tale usanza fu praticata anche dai conti di Tuscolo,
come si può evincere dalle donazioni compiute da numerosi membri della
famiglia.
12
Fu proprio l' assenza di provvedimenti, destinati a favorire un solo
ramo della discendenza, a determinare genealogie così ampie.
Questa mancanza si può spiegare sia tenendo presente il persistere delle
tradizioni giuridiche romana e longobarda, sia considerando il notevole ruolo
svolto dal contesto economico. Infatti, nelle regioni in cui l' economia era più
fiorente, i grandi casati ebbero minori difficoltà nell' osservare questo regime
successorio e, quindi, diedero origine a discendenze assai complesse.
7
Vedere G. Tabacco, Egemonie sociali, pp. 239 - 241.
8
Cfr. C. Violante, Alcune caratteristiche, pp. 31 - 32.
9
Cfr. S. Carocci, Genealogie nobiliari, p. 89.
10
Vedere, infra, Tavola genealogica e relative note, scheda n. 17.
11
Cfr., infra, cap. 1, pp. 9 - 14.
12
Vedere, infra, Appendice 3, documenti 12, 19, 24, 25, 27 - 33.
8
Queste strutture così ramificate potevano anche trasformarsi in un vantaggio
per le famiglie: con questo assetto esse cercarono non solo di opporre una
tenace resistenza agli attacchi delle istituzioni comunali, che miravano ad
estendersi sul contado, ma anche di introdursi con successo nella vita politica
cittadina.
13
Come si vedrà più avanti, il declino dei Tuscolani è connesso, tra
l' altro, all' espansionismo del comune romano.
I figli entravano in possesso dell' eredità solamente dopo la morte del
padre e questa consuetudine è attestata dal frequente ricorrere, nei documenti,
delle formule filius quondam oppure filius bonae memoriae: troviamo queste
espressioni anche in alcuni atti compiuti dai Tuscolani.
14
Quindi, finché il
capofamiglia era in vita, i figli non potevano disporre liberamente del
patrimonio, oppure, se figuravano in qualche negozio giuridico, dovevano
avere il consenso del padre.
15
Le donne, dal momento che ottenevano la loro parte di patrimonio con la
dote, erano completamente escluse dall' eredità; le famiglie cercavano,
comunque, di rientrare in possesso delle ingenti somme versate.
16
Spesso, la
dote fu causa di contrasti giacché era ritenuta una sorta di credito, elargito
per la nascita di un nuovo nucleo familiare, e poteva anche essere revocata.
17
Se la donna rimaneva vedova, secondo un' antica consuetudine di origine
germanica, aveva diritto alla terza o alla quarta parte dell' eredità del marito:
questo tipo di successione era in contrasto con il principio dell' agnazione e fu
aspramente combattuto dalle autorità comunali per privilegiare maggiormente la
discendenza in linea maschile.
18
Inoltre, la posizione subordinata delle donne ha inciso in maniera rilevante
sulla documentazione e ha causato notevoli vuoti nelle ricostruzioni delle
genealogie: solo un numero limitato di mogli e di figlie vi possono figurare
con certezza.
19
Questo si è verificato anche per la genealogia dei Tuscolani,
in cui è stato possibile collocare solamente poche donne.
20
13
Cfr. S. Carocci, Genealogie nobiliari, p. 90.
14
Vedere, infra, Appendice 3, documenti 23, 27 - 29, 31, 33, 37 e 45.
15
Cfr. P. Cammarosano, Aspetti delle strutture, pp. 115 - 116 e C. Violante, Alcune
caratteristiche, pp. 42 - 43.
16
Cfr. S. Carocci, Baroni di Roma, p. 161.
17
Cfr. P. Cammarosano, Aspetti delle strutture, p. 112.
18
Cfr. Idem, p. 111.
19
Cfr. S. Carocci, Genealogie nobiliari, p. 92.
20
Vedere, infra, Tavola genealogica e relative note, schede n. 5, 6, 16 e 18.
9
Tuttavia, esisteva un ambito in cui le donne erano tenute in gran
considerazione: esse consentivano alle loro famiglie di contrarre vantaggiose
alleanze tramite un' accorta politica matrimoniale. In un primo momento,
ancora nel corso del X secolo, le stirpi s' imparentavano anche con casati non
appartenenti allo stesso ambito territoriale. Successivamente, in conseguenza
della localizzazione di cui abbiamo già parlato, queste alleanze venivano
strette tra famiglie che risiedevano nella stessa città o in circoscrizioni
territoriali limitrofe. Questa prassi fu in auge sino alla fine del XII secolo.
21
Tornando al problema della trasmissione dell' eredità, nonostante la generale
mancanza di discriminazioni successorie, si cercò, comunque, di porre un
freno all' eccessiva dispersione del patrimonio con l' istituzione di consorzi.
22
Questo strumento, assai diffuso sin dal secolo XI, consentiva di preservare
beni di particolare importanza, come castelli o torri cittadine, mediante l'
unione di vari rami di un medesimo lignaggio oppure di casati imparentati fra
loro. Talora potevano entrare a far parte di questa organizzazione anche
persone estranee o altre famiglie senza particolari legami con quella che aveva
fondato tale istituto.
23
I beni consortili erano sottoposti a vincoli severi: la discendenza maschile
dei consorti aveva diritto ad ereditare le proprietà, ma esse non potevano
essere alienate al di fuori del consorzio. Con questo sistema fu creato un
nuovo vincolo di solidarietà, dal momento che l' eccessiva ramificazione dei
lignaggi aveva intaccato l' antica coesione.
24
Queste considerazioni sono generalmente valide anche per l' aristocrazia di
Roma: tuttavia, va ricordato che, nella realtà romana, si verificò un profondo
cambiamento alla fine del XII secolo, il periodo conclusivo della nostra
ricerca. Questo momento cruciale fu segnato da grandi trasformazioni: ad
esempio, lo sviluppo e l' affermazione dello Stato Pontificio e il graduale
assoggettamento del contado da parte del Comune romano che scardinarono l'
assetto signorile del Lazio. Molte famiglie, che avevano raggiunto una
posizione di rilievo, entrarono in una fase di declino; contestualmente, si
affermarono nuovi, potenti casati che, ad esempio, trassero cospicui vantaggi
21
Cfr. S. Carocci, Genealogie nobiliari, p. 93.
22
Per quanto riguarda i Tuscolani, non sono pervenuti consorzi.
23
Cfr. C. Violante, Alcune caratteristiche, pp. 50 - 54.
24
Vedere P. Cammarosano, Aspetti delle strutture, p. 121.
10
proprio dai loro rapporti con lo Stato della Chiesa. Queste trasformazioni
travolsero anche i conti di Tuscolo: la fine del XII secolo vide il tramonto
della loro signoria.
* * *
Prima di esaminare le vicende dei Tuscolani, è opportuno prendere in
considerazione la struttura politica in auge a Roma nel periodo che precedette
il loro avvento al potere: l' Adelspapsttum ovvero il "papato nobiliare". Nelle
caotiche vicende del X secolo questa strategia si presenta come un
esperimento di carattere strettamente locale, che, per uno spazio di tempo
piuttosto lungo, creò una situazione di stabilità.
Questo sistema prese avvio, ai primi del X secolo, con un esponente di
primo piano dell' aristocrazia romana, il vestararius e magister militum
Teofilatto. Il fulcro di questa linea politica era costituito dal controllo sul
papato, esercitato da questo dignitario che poteva anche giovarsi dell' appoggio
della nobiltà locale.
25
Inoltre, proprio la carica di vestararius, vale a dire di
funzionario di Curia, consentì a Teofilatto di intervenire nell' amministrazione
delle proprietà della Santa Sede, che versavano in cattive condizioni
soprattutto a causa delle scorrerie saracene. In tal senso, ma anche per tutelare
gli interessi patrimoniali dell' aristocrazia romana, si deve considerare il
sostegno, coronato successivamente dalla vittoria, al pontefice Giovanni X
contro i Saraceni.
26
L' erede di questo sistema fu il nipote di Teofilatto, il princeps e senator
omnium Romanorum Alberico, che dal 932 al 954 realizzò un governo forte
ed accentrato. Alberico si occupò precipuamente della gestione del patrimonio
pontificio e del "piccolo principato romano",
27
lasciando ai papi una certa
libertà nello svolgimento della loro missione.
28
L' impegno profuso da questo
aristocratico a favore del patrimonio della Santa Sede portò al conseguimento
di un risultato molto significativo: la Sabina entrò a far parte delle proprietà
del papato.
29
Inoltre, va ricordato che Alberico riuscì a tenere a freno gli
interventi e le ambizioni imperiali.
25
Cfr. P. Toubert, Les structures, pp. 969 - 970.
26
Cfr. Idem, p. 972.
27
Cfr. Idem, p. 977.
28
Vedere G. Arnaldi, Alberico di Roma, p. 651.
29
Cfr. Idem, p. 650.
11
Nell' evoluzione dell' Adelspapsttum, appare assai eloquente il fatto che il
princeps, in punto di morte, lasciasse ai suoi seguaci precise disposizioni
perché suo figlio Ottaviano fosse nominato papa alla scomparsa di Agapito II:
evidentemente, Alberico aveva intuito che il conseguimento del soglio
pontificio da parte di un membro della sua stirpe era di fondamentale
importanza per esercitare la supremazia su Roma.
30
Ottaviano fu eletto con il
nome di Giovanni XII, ma l' intervento di Ottone I nel 962 e la successiva
destituzione dell' erede del princeps, dovuta probabilmente anche al mancato
sostegno della nobiltà, sembrarono porre temporaneamente un freno a questo
sistema.
31
A raccogliere l' eredità di Alberico, fu un ramo derivato dalla sua stessa
stirpe: la famiglia dei Crescenzi, che impose la sua supremazia per oltre un
quarantennio. A partire dal 965, con l' elezione del Familienpapst Giovanni
XIII, essi crearono un regime dualistico: il pontefice, scelto tra i membri del
lignaggio o tra i seguaci, era affiancato da un' autorità laica, naturalmente
appartenente al medesimo casato; questo dignitario assunse l' evocativo nome
di patricius.
L' egemonia dei Crescenzi, che raggiunsero il massimo splendore sotto
Giovanni XIII e Benedetto VII, fu, tuttavia, alquanto travagliata e instabile a
causa degli interventi imperiali: particolarmente agguerrito contro questa
famiglia romana fu Ottone III. Infatti, il contrasto tra i Crescenzi e l' Impero -
iniziato all' epoca di Ottone I e di Crescenzio de Theodora
32
- s' inasprì
durante il regno di Ottone III in seguito alla rivolta romana del 996 e
culminò nel 998 con l' esecuzione del patrizio Crescenzio II.
33
Nonostante
avessero subito questa grave perdita, i Crescenzi continuarono a dominare
Roma fino al 1012, allorché i conti di Tuscolo assunsero il potere: nelle
prossime pagine vedremo in che modo questa famiglia interpretò l'
Adelspapsttum.
30
Cfr. P. Brezzi, Roma e l' Impero, p. 189.
31
Cfr. W. Kölmel, Rom, p. 25.
32
Su questo componente dei Crescenzi, fratello di Giovanni XIII, e sul contrasto con Ottone I,
concernente il controllo del soglio pontificio, cfr. C. Romeo, Crescenzio de Theodora, pp. 664 -
665 e W. Kölmel, Rom, p. 32.
33
Cfr. P. Brezzi, Roma e l' Impero, pp. 167 - 169 e C. Romeo, Crescenzio Nomentano, pp. 662
- 663.
12
Il "papato nobiliare", dunque, caratterizzò la politica romana per un periodo
assai lungo, dai primi anni del X secolo fino alla metà dell' XI e fu la
creazione di un illustre lignaggio romano: questa strategia, intrapresa dal
vestararius Teofilatto e potenziata dal princeps Alberico, fu trasmessa ai due
rami sorti dalla loro stirpe: i Crescenzi e i Tuscolani. Proprio con questo
casato ebbe inizio la crisi dell' Adelspapsttum: questa crisi, contestuale alla
diffusione di ideali riformatori, divenne evidente soprattutto con l' elezione di
Leone IX, avvenuta nel 1049.
34
Nel 1058, l' aristocrazia romana cercò di imporre nuovamente la sua tutela
sulla Santa Sede con l' antipapa Benedetto X, ma si trattò del "canto del
cigno" dell' Adelspapsttum. Nel 1059 i nobili romani furono definitivamente
estromessi dalle elezioni papali: in quell' anno, infatti, nel Concilio
Lateranense, il papa Niccolò II emanò un decreto con cui furono fissate
norme rigorose per la nomina dei pontefici.
34
Cfr. P. Toubert, Les structures, pp. 961 - 962.