quando prima della guerra era all’incirca di parità. Nonostante le perdite, ci
fu anche un vantaggio: ai sudtirolesi fu risparmiata la spirale inflazionistica
che si registrò in Austria, dove in pochi mesi la corona scese a 2 millesimi di
dollaro.
Il 10 settembre 1919 il cancelliere della neonata Repubblica austriaca, Karl
Renner, firmava il trattato di St. Germain: 250.000 tedeschi venivano così
inglobati nel Regno d’Italia. “Il futuro si prospettava oscuro soprattutto agli
occhi dei sudtirolesi […] ora scaduti nell’arco di pochi mesi a minoranza
straniera indifesa”
3
.
Il Commissario generale civile che subentrò al militare Giraldi fu Luigi
Credaro, che negli anni dell’università aveva studiato per un breve periodo a
Lipsia. Fu una scelta di continuità di condotta: parlamentare liberale, ex
ministro della pubblica istruzione, “tentò di affrontare la questione in
un’ottica sostanzialmente liberale e moderata, ma la sua opera di mediazione
fu bersaglio di aspre critiche da ogni parte”
4
. Nei quasi tre anni in cui ricoprì
questa carica, Credaro si trovò ad affrontare il nodo irrisolto tra il rispetto
delle minoranze e l’interesse nazionale. Alternò iniziative liberali (quali ad
esempio il mantenimento della scuola tedesca) ad altre dettate da urgenze
nazionali (impose l’obbligo della scuola italiana anche alle famiglie
mistilingue, con l’obiettivo di rafforzare la scuola italiana); si fece carico di
iniziative per far conoscere all’opinione pubblica italiana la questione
sudtirolese, anche dal punto di vista del “patriottismo tirolese”, facendo ad
esempio uscire per i tipi di Vallardi La passione del Tirolo innanzi
dalla Corona, la valuta sino ad allora in circolazione, alla Lira. Inizialmente la Corona poté
continuare il suo corso come seconda valuta ed in questa fase il suo valore venne fissato a
40 centesimi di Lira. Con un’ordinanza del 5 aprile 1919 il Comando dell’Esercito decretò la
cessazione della circolazione della Corona e quindi il cambiamento di valuta dovette avvenire
tra il 10 ed il 19 di aprile. Il cambio valutario era molto svantaggioso rispetto al reale potere
d’acquisto delle due monete, cosa questa che portò all’esaurimento anche degli ultimi
risparmi accantonati dalla popolazione e mise in grave difficoltà le Casse di Risparmio. Il
Governo di Roma, anche a causa delle numerose proteste sollevate da parte del Trentino,
corresse leggermente verso l’alto il valore della Corona e quindi il cambio passò da 40 a 60
centesimi”.
3
VON HARTUNGEN C., KIEM O., ZENDRON A., Capovolgimenti, cit., pag. 13
4
ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 118
5
all’annessione, la traduzione di un testo di Karl von Grabmayr. Pur
respingendo le tesi geografico - storiche, Credaro riteneva questi studi “un
documento di patriottismo tirolese […] è un libro contro di noi, ma non
possiamo, non dobbiamo ignorarlo”
5
. In appendice al libro è inoltre riportata
la proposta di autonomia che il Deutscher Verband aveva presentato al
governo.
Nel corso del 1921 Credaro si trovò a fronteggiare due avvenimenti
importanti: le prime violenze fasciste in provincia e la cosiddetta “prima
opzione”.
Nel febbraio 1921, su iniziativa di Starace nacque una piccola ma molto
attiva sezione dei Fasci di combattimento anche a Bolzano. “Si registrarono
subito incidenti nell’ordine pubblico: rimozione di aquile bicipiti e scritte
tedesche, nonché provocazioni in occasione di comizi sudtirolesi”
6
. La prima
vera aggressione avvenne il 24 aprile 1921, che verrà poi ricordato come la
“domenica di sangue”
7
, lo stesso giorno in cui nel Tirolo del nord si votava
l’annessione alla Germania: squadristi provenienti dalla Lombardia e dal
Veneto aggredirono il corteo di apertura della fiera di Bolzano e gli spettatori.
50 persone furono ferite mentre Franz Innerhofer, maestro di Marlengo,
rimase ucciso cercando di proteggere due suoi alunni. L’esercito intervenne
in ritardo limitandosi a scortare i fascisti in stazione. Nonostante Credaro e lo
stesso Giolitti avessero promosso delle indagini, non si arrivò mai ad
identificare i colpevoli.
Alla fine dello stesso anno si tenne il censimento e contestualmente le “prime
opzioni”. In base a quanto previsto dal trattato di St. Germain tutti i
sudtirolesi avrebbero ottenuto la cittadinanza italiana automaticamente, a
t
5
Dalla prefazione scritta da Luigi Credaro al libro di VON GRABMAYR K., La passione del Tirolo
innanzi all’annessione. Con l’aggiunta del progetto di autonomia presenta o al Governo
Italiano dalla Lega Tedesca (Deutscher Verband), A. Vallardi Editore, Milano, 1920, trad. it.
di VON GRABMAYR K., Süd-Tirol: Land und Leute vom Brenner bis zur Salurner Klause, Ullstein,
Berlin, 1919.
6
ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 120
7
Sulla “Blutsonntag in Bozen” si veda in particolare STEININGER R., Südtirol im 20.
Jahrhundert, Studien Verlag, Innsbruck – Wien – München – Bozen, 1997, pag. 52 e ss.
6
patto che fossero residenti in un comune del Sudtirolo prima dell’entrata in
guerra dell’Italia, e che il fatto fosse attestato da un certificato di pertinenza
(Heimatschein) rilasciato dal comune. “I rimanenti, circa 30.000 persone,
potevano optare per la cittadinanza italiana tramite una domanda”
8
. Si
trattava di ferrovieri, insegnanti e impiegati giunti nel periodo asburgico da
altre provincie dell’Austria – Ungheria, domiciliati magari da tempo nel Tirolo
meridionale, ma non residenti. Le domande furono 9000, un migliaio circa
non furono accolte
9
. Motivi politici sia da parte italiana che da parte dei
notabili locali sono alla base di molti di questi rifiuti: da una parte si volevano
tenere lontani gli “elementi inquieti” (sindacalisti, socialdemocratici, persone
segnalate per iniziative antiitaliane); dall’altra – poiché al diritto di residenza
era collegato il diritto di voto e nonostante le diverse indicazioni da parte
degli organismi centrali dei partiti tedeschi – in molti comuni rurali si era
restii a rilasciare le garanzie necessarie a quegli stessi irrequieti. Già
nell’autunno di quello stesso anno cominciarono i licenziamenti per difetto di
cittadinanza, e i più colpiti furono i ferrovieri. Al posto di quelli costretti ad
emigrare “si insediarono ben presto famiglie di ferrovieri italiani. Questi
ultimi, originariamente orientati in gran numero in senso socialista o
comunista, si trovarono a confrontarsi con un ambiente che li rifiutava
completamente. La loro identità non derivava più dall’essere ferrovieri e
iscritti al sindacato, ma dall’essere italiani. Così la maggioranza dei lavoratori
si unì ai fascisti, i quali divennero per loro una sorta di rappresentanti degli
interessi nazionali”
10
.
8
VON HARTUNGEN C., KIEM O., ZENDRON A., Capovolgimenti, cit., pag. 23; per la prima opzione
cfr. anche ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 122
9
Dati forniti in ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 122
10
VON HARTUNGEN C., KIEM O., ZENDRON A., Capovolgimenti, cit., pag. 26
7
1.1.2 Il fascismo al potere e la sua politica per l’Alto Adige
Per Mussolini la questione dell’Alto Adige rappresentava, in quello stesso
periodo, un forte elemento di pressione sul governo Bonomi prima, ed ancor
più sul successivo debole governo Facta. La politica del “doppio binario”
vedeva da una parte il partito fascista impegnato nell’azione parlamentare e
dall’altra nelle violenze squadristiche eversive. Nel corso del 1922 queste
ultime divennero sempre più clamorose, ed ebbero come obiettivi privilegiati
le sedi delle amministrazioni comunali socialiste.
A livello simbolico furono particolarmente importanti, come scrive Salvatore
Lupo, “le occupazioni in armi di Bolzano e Trento, con l’evidenza di un
governo legale incapace di contrastare il governo di fatto imposto dai
fascisti”
11
. La marcia su Bolzano
12
del 1° ottobre 1922 fece leva sulla
questione nazionale e su quella dei confini, e vide la partecipazione di poco
meno di un migliaio di fascisti (non esclusi nomi importanti del Pnf: Starace,
Farinacci, Giunta, De Stefani). Occuparono l’edificio scolastico
“Elisabethschule” (ribattezzato “Regina Elena”) e il municipio, ottenendo la
destituzione del sindaco Perathoner. Proseguirono poi per Trento dove
costrinsero Credaro alle dimissioni e la giunta provinciale allo scioglimento,
ottenendo poi nei giorni successivi l’abolizione dell’Ufficio centrale per le
nuove province e del Commissariato generale civile per la Venezia Tridentina.
Come scrivono Othmar Kiem, Hubert Mock e Alessandra Zendron, “in questo
modo cessò di esistere l’Italia liberale e democratica verso le minoranze. La
capitolazione dello stato al fascismo, in tema di politica delle minoranze
rivestì carattere simbolico per la capitolazione dello stato in generale davanti
al fascismo”
13
.
11
LUPO S., Il Fascismo. La politica in un regime totalitario, Donzelli, Roma, 2000, pag. 110
12
Per il resoconto dei fatti, si veda ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 123 e ss., ma
anche KIEM O., MOCK H., ZENDRON A., Perdere la patria, in AA.VV., Option Heimat Opzioni, cit.
13
KIEM O., MOCK H., ZENDRON A., Perdere la patria, cit., pag. 45
8
Con la formazione del governo Mussolini si spensero le prospettive di
un’autonomia. Fu creata (21 gennaio 1923) la provincia di Trento, che
includeva anche il Sudtirolo e il Gran consiglio del fascismo sposò
pienamente la linea di Ettore Tolomei e del suo programma per
l’italianizzazione della regione, avversato in passato da Pecori Giraldi e da
Credaro. Il “creatore dell’Alto Adige”, come l’aveva ribattezzato la stampa
nazionale, aveva messo a punto un elenco di interventi (i “32 punti”
14
) che
non risparmiava nessun ambito della realtà locale. Si prevedeva, fra l’altro,
l’uso della lingua italiana nella vita pubblica (compresa la toponomastica e
l’italianizzazione dei cognomi), la chiusura della scuola tedesca e il blocco
della stampa, sovvenzioni all’immigrazione italiana, l’introduzione di impiegati
e sindaci italiani, il controllo del clero, la penetrazione economica nel
territorio.
Il programma di Tolomei, in realtà, costituì una cornice alla politica fascista
per l’italianizzazione dell’Alto Adige, e venne ora attuato, ora largamente
disatteso. Le continue lamentele per la mancata attuazione di punti del
programma valsero al nazionalista roveretano l’appellativo – da parte dello
stesso Mussolini – di “suocera”
15
. Ben presto l’incidenza di Tolomei andò
scemando.
La sua eredità più diretta fu senz’altro il pluridecennale lavoro
toponomastico: la nuova provincia ebbe nomi italiani (introdotti ufficialmente
il 29 marzo 1923). Fu nello stesso tempo vietato il nome “Tirolo” e ogni sua
derivazione, sostituita da “Alto Adige” o dalla sua traduzione ufficiale
“Oberetsch”.
La politica di italianizzazione colpì, come detto, anche i cognomi: tra il 1926 e
il 1929, 4 mila famiglie altoatesine ebbero il cognome forzatamente tradotto.
La più grave misura contro la minoranza sudtirolese fu però senz’altro
l’abolizione dell’insegnamento in lingua tedesca. Già prima dell’avvento del
fascismo la legge Corbino forzava il rapporto numerico tra scuole tedesche e
14
un elenco sintetizzato è riportato in ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 126-127
15
cfr. ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 127
9
italiane a vantaggio di queste ultime, numericamente assai limitate. Ma fu la
legge Gentile del 1° ottobre 1923 a segnare la fine della scuola tradizionale:
“A cominciare dall’anno scolastico 1923/1924 in tutte le prime classi delle
scuole elementari alloglotte l’insegnamento sarà impartito in lingua
italiana”
16
. A partire dall’anno scolastico 1927/28 l’intera scuola elementare
era italiana. Di pari passo si italianizzarono anche gli istituti di grado
superiore. Furono esclusi soltanto i due seminari vescovili, a Bressanone e
Tirolo. La misura colpì anche il corpo docente: molti insegnanti furono
esonerati dal servizio per “insufficienza didattica”, altri pur ottenendo
l’abilitazione furono trasferiti altrove in Italia.
La risposta a livello locale fu concreta e sul lungo periodo si dimostrò efficace
e dotata di una valenza politica forte: la Katakombenschule (Scuola delle
catacombe)
17
. A farsene interprete fu il religioso (ed editore cattolico)
Michael Gamper, che – come vedremo più avanti
18
- sarà una figura di
riferimento dell’opinione pubblica sudtirolese. Le scuole clandestine si
organizzarono rapidamente, trovando appoggi nelle parrocchie. Case private
e oratori erano classi improvvisate per piccoli gruppi di bambini, oltre il
normale orario scolastico. Le autorità ben presto cominciarono un’opera di
repressione che colpì duramente (con arresti, ammonizioni, talvolta il
confino) numerosi insegnanti. Negli anni ’30 un notevole contributo alle
Katakombenschulen arriverà dal Völkischer Kampfring Südtirols (Vks),
movimento giovanile ispirato al nazismo
19
, che farà in questo modo entrare
sul territorio sudtirolese anche i nuovi orientamenti pedagogici del Reich.
Duramente colpita fu la stampa in lingua tedesca: già dal 1923 i direttori
erano sottoposti al controllo del prefetto; nello stesso anno, per il divieto
dell’uso del termine “Tirolo” e dei suoi derivati, alcune testate dovettero
cambiare nome (il principale quotidiano, Der Tiroler, diventò ad esempio Der
16
così viene citata la legge in ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 130
17
si vedano ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 131 e ss. e STEININGER R., Südtirol im
20. Jahrhundert, cit., pag 88 e ss.
18
cfr. infra cap. 3.2.4
19
si veda oltre, cap. 3.1
10
Landsmann, poi Dolomiten); dal gennaio 1925 fu introdotta la censura
preventiva e dall’estate dello stesso anno cominciò la serie di chiusure e
sospensioni che colpirono tutti le pubblicazioni sudtirolesi, con l’eccezione dei
bollettini di informazione della Chiesa. A fine 1925 ripresero con regolarità le
pubblicazioni solo i giornali cattolici Dolomiten (trisettimanale) e Volksbote
(settimanale), unici a mantenere un certo grado di autonomia.
Negli anni successivi l’italianizzazione passò attraverso la distruzione e lo
spostamento di monumenti “sudtirolesi” (nella sola Bolzano, sparirono dalle
piazze i monumenti al Minnesänger Walther von der Vogelweide e a Laurino,
fu abbattuto quello ai Kaiserjäger), e dalla costruzione di monumenti fascisti
(in primo luogo, il monumento alla Vittoria di Marcello Piacentini)
20
.
Con la creazione della provincia di Bolzano (1927) si intensificarono i
provvedimenti per l’italianizzazione dell’economia. Si iniziò ad assimilare le
organizzazioni economiche tedesche tradizionali (Bauernbund, Camera di
commercio)
21
all’interno delle associazioni fasciste. Si giunse poi nel 1934 alla
creazione della zona industriale
22
di Bolzano, provvedimento che rientrava
nella linea politica autarchica. Si concessero esenzione da dazi e facilitazioni
per il trasporto ferroviario, attirando così imprese soprattutto dal nord-ovest
d’Italia, contribuendo così ad una forzata italianizzazione, dato l’afflusso
dell’immigrazione operaia (proveniente in queste prime fasi soprattutto dal
Veneto) e la creazione di nuovi “quartieri operai”. Il capoluogo “fu dunque
nel ventennio il cantiere dell’italianizzazione della provincia ed espresse
anche urbanisticamente il proprio nuovo status”
23
.
20
STEININGER R., Südtirol im 20. Jahrhundert, cit., cap. IV e V
21
KIEM O., MOCK H., ZENDRON A., Perdere la patria, cit., pag. 61 e ss.
22
KIEM O., MOCK H., ZENDRON A., Perdere la patria, cit., pag. 76 e ss., ma anche PETRI R.,
Storia di Bolzano, Il Poligrafo, Padova, 1989
23
ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 159
11
1.2 Il Sudtirolo “in conto perdite”
24
: Hitler e la questione
altoatesina
Hitler si occupa della situazione altoatesina fin dal 1920, quando ancora – è
Renzo de Felice
25
a sostenerlo – non sapeva dell’esistenza del fascismo, che
del resto neppure era ancora salito al potere. La sua posizione al riguardo è
chiara fin dall’inizio: l’Alto Adige era il necessario prezzo da pagare perché la
Germania potesse realizzare quell’alleanza con l’Italia che – soprattutto dopo
l’ottobre 1922
26
– era diventata uno dei cardini della sua concezione politica.
Per tutti gli anni Venti, il futuro Führer ripeterà spesso questa sua
convinzione sia a Mussolini e alla stampa romana
27
, sia ai diplomatici italiani
in Germania
28
, sia allo stesso Tolomei
29
.
Nel 1926 Hitler scrisse l’opuscolo Die Süd iroler Frage und das deutsche
Bündnisproblem
t
30
incorporato poi nella seconda parte del Mein Kampf.
Romeo
31
così riassume le tesi di Hitler: “[la] necessità da parte della
Germania di rinunciare definitivamente alla difesa delle sorti di 200 mila
sudtirolesi, in nome della futura, indispensabile alleanza con l’Italia fascista”.
t
t
24
è l’espressione che Hitler stesso userà con von Mackensen, appena nominato
ambasciatore a Roma, nell’aprile 1938. Episodio riportato in DE FELICE R., Il problema
dell’Alto Adige nei rappor i italo-tedeschi dall’«Anschluss» alla fine della seconda guerra
mondiale, Il Mulino, Bologna, 1973, p. 8.
25
DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit. p.8 nota 3.
26
In un discorso a Monaco nel novembre 1922, citato in STEINIGER R., Südtirol im 20.
Jahrhundert, cit., p. 139 Hitler affermerà: “Con l’Italia, che vive la sua rinascita nazionale ed
ha un grande futuro, deve andare la Germania. Per questo è necessaria una più chiara e
categorica rinuncia ai tedeschi del Sudtirolo. Le chiacchiere sul Sudtirolo, le vuote proteste
contro i fascisti, ci danneggiano soltanto, perché ce li inimicano”. (traduzione mia)
27
Cfr. LUDECKE K. G. W., I knew Hitler, Jarrolds, London, 1938, pp. 71 ss., 80 e ss., 138 e
ss., citato anche in DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit.; ma anche gli stralci di
interviste in STEINIGER R., Südtirol im 20. Jahrhundert, cit., p. 140 e ss.
28
Cfr. DE FELICE R., I rappor i tra fascismo e nazionalsocialismo fino all’andata al potere di
Hitler (1922-1933), Edizioni Scientifiche, Napoli, 1971
29
Cfr. TOLOMEI E., L’Alto Adige nei rapporti esterni, in «Archivio per l’Alto Adige», XXXIII
(1938), 1, pp. 409 e ss., citato in DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit., ma anche
ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 194, e STEINIGER R., Südtirol im 20. Jahrhundert,
cit., p. 141
30
La questione sudtirolese e il problema delle alleanze della Germania
31
ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 194
12
De Felice sottolinea inoltre il maggiore valore di questi scritti rispetto ai
colloqui intrapresi negli stessi anni e con gli stessi contenuti: se questi ultimi
infatti – dato il loro carattere riservato - sarebbero potuti esser considerati un
“machiavello politico” volto a rassicurare i fascisti, “assai difficile […] era
invece per Hitler pensare di poter far passare come un espediente tattico le
pagine sull’Alto Adige del tredicesimo capitolo del secondo volume del Mein
Kampf”
32
.
Addirittura nel 1929 la parola Südtirol viene fatta scomparire dal programma
dell’Nsdap. Fino ad allora, infatti, questo conteneva la frase: “Non
rinunceremo a nessun tedesco nei Sudeti e in Sudtirolo”
33
. Da quell’anno in
poi sparì il riferimento al Tirolo meridionale, sostituito dall’Alsazia – Lorena. A
chi si lamentava per questa decisione, Hitler rispose che l’Alto Adige sarebbe
dovuto diventare un ponte dell’accordo tra Germania e Italia.
Il 28 febbraio del ’33, appena salito al potere, Hitler parla col console italiano
a Monaco di Baviera, che così ne riferisce a Roma
34
: “Sulla questione dell’Alto
Adige, Hitler ha […] tenuto a confermare oggi quanto affermò sin dall’inizio
del suo movimento: per quanto possa costare al suo cuore e alla sua fede di
nazionale germanico […] egli è pienamente compreso delle necessità
strategiche che conferma all’Italia mantenimento al confine del Brennero, ed
è convinto che la sorte di qualche migliaio di ex-cittadini germanici non ha e
non deve avere influenza nei rapporti con l’Italia”.
Nonostante queste nette prese di posizione di Hitler, che talora gli costarono
incomprensioni all’interno dello stesso Nsdap, la sua ascesa al potere ebbe
conseguenze immediate nei sentimenti degli attivisti sudtirolesi. Subito
nacque il Völkischer Kampfring Südtirols
35
(Vks), associazione giovanile che
t
32
DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit., pag. 9 e ss.
33
citato in STEINIGER R., Süd irol im 20. Jahrhundert, cit., p. 139, traduzione mia. La dicitura
originale è, nelle prime quattro edizioni del programma: “Wir verzichten auf keinen
Deutschen im Sudetenland, in Südtirol…”, sostituito poi da “Wir verzichten auf keinen
Deutschen im Sudetenland, in Elsaß – Lothringen... ”.
34
citato in DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit., pag. 9
35
Circolo popolare combattente del Sudtirolo. Per una trattazione più approfondita, si veda
oltre, cap. 3.1
13
aderì pienamente al nazionalsocialismo, facendo nel corso degli anni opera di
propaganda. Ma anche le organizzazioni naziste “legali”, dei cittadini
germanici residenti in Alto Adige, aumentarono. Tuttavia queste ultime si
astenevano dalle provocazioni e dalla propaganda, per non intralciare il
disegno di avvicinamento del Führer all’Italia
36
.
Negli anni tra il ’33 e il ’38 la costante della politica estera hitleriana, come
sottolinea De Felice
37
, “fu proprio quella che mirava ad armonizzare la
volontà di realizzare l’Anschluss con quella di giungere ad un’alleanza con
l’Italia, indispensabile per Hitler per evitare alla Germania il completo
isolamento e per poter procedere alla riunificazione al Reich degli altri
territori abitati da tedeschi”. Così nel 1938, dopo che la guerra d’Etiopia e la
guerra civile spagnola avevano di fatto allontanato l’Italia dalle altre potenze
europee, “venutosi Mussolini a trovare nell’impossibilità di impedire
l’Anschluss – questo duplice obiettivo divenne realizzabile”.
36
Cfr. ROMEO C., Alto Adige – Südtirol…, cit., pag. 195
37
DE FELICE R., Il problema dell’Alto Adige…, cit., pag. 10-11.
14
1.3 Dall’Anschluss agli accordi di Berlino
Il 1938 fu un anno di grandi speranze per l’irredentismo sudtirolese. Già il 13
gennaio di quell’anno si tenne il plebiscito nella Saar: il 90,7% degli abitanti
scelse per l’annessione al Reich. Sebbene questa consultazione fosse prevista
dai trattati di Versailles, la propaganda nazionalsocialista salutò il risultato
come un successo personale di Hitler, che avrebbe “ripreso in patria” la Saar.
“Questo risultato suscitò grande giubilo in Sudtirolo, facendo apparire la
politica revanscista del nazionalsocialismo come una forza capace di risolvere
anche la questione [altoatesina] in un contesto «unitario tedesco»”
38
.
La speranza di una soluzione rapida si rafforzò con l’invio di truppe tedesche
nella Renania smilitarizzata: questo atto di forza confermava che le condizioni
delle potenze vincitrici la prima guerra mondiale non frapponevano reali
ostacoli.
Ma l’evento che più di tutti contò, fu ovviamente l’Anschluss, l’annessione al
Reich dell’ex-madrepatria Austria. Oramai l’Alto Adige era un territorio
confinante col Reich, e in base alla logica dell’ideologia tedesca e
nazionalista, si contava su una prossima annessione.
Quanto queste speranze fossero mal riposte lo si è detto. Tuttavia
permaneva l’idea che le affermazioni di Hitler fossero solo uno stratagemma
tattico. Si disse da più parti che il viaggio del Führer a Roma (7 maggio
1938) potesse essere l’occasione per un accordo in questo senso. Eppure un
fatto, certamente simbolico, ma alla luce dei fatti assai significativo, avrebbe
dovuto suggerire più miti consigli: il treno che lo conduceva in Italia
attraversò l’Alto Adige con le tendine tirate
39
.
38
CONRAD C., «Oggi la Germania arriva fino al Brennero!», in AA. VV., Option Heimat Opzioni,
cit., p. 121
39
episodio citato da molti storici, ad esempio CONRAD C., «Oggi la Germania arriva fino al
Brennero!», cit., p. 129.
15
E la doccia fredda puntualmente arrivò in occasione del brindisi a palazzo
Venezia. Hitler disse: “è mia incrollabile volontà ed anche mio testamento
politico al popolo tedesco che consideri intangibile per sempre la frontiera
delle Alpi eretta fra noi dalla Natura”.
Göring era tra i capi nazisti, colui che meglio conosceva la situazione italiana,
e uno di coloro che, all’interno del partito, era più vicino alle posizioni di
Hitler. È quindi a lui che l’Italia (in particolare, il ministro degli esteri Ciano) si
rivolgerà perché la Germania si impegnasse a far cessare l’appoggio
all’irredentismo sudtirolese. Ed in fondo Göring fin dal 1937 era favorevole
(anche se non pubblicamente)
40
ad una soluzione per la questione
altoatesina che prendesse in considerazione lo spostamento nel Reich dei
germanofoni. Ciano stesso annota nel suo diario
41
(3 aprile 1938) la
possibilità di una espulsione degli allogeni. Tuttavia non fece ufficialmente la
proposta nei successivi incontri che lui o i suoi emissari ebbero col ministro
degli esteri tedesco.
Fu Göring a fare per primo la proposta, a titolo – al momento – unicamente
personale, pochi giorni prima della visita di Hitler a Roma, in un colloquio con
il consigliere dell’ambasciata italiana Magistrati, che ne riferì allo stesso
Ciano: “Occorrerebbe cioè, ad un certo momento, porre gli alto-atesini
davanti ad un aut-aut e cioè: o avviarsi verso la Germania, vedendo
naturalmente equamente liquidati i loro averi oggi esistenti in Alto Adige, o
rinunciare, e per sempre, ad essere considerati Tedeschi. Dopo questa
opzione qualsiasi legame di carattere tedesco tra patria tedesca ed alto-
atesini verrebbe automaticamente a cessare ed il problema si esaurirebbe
alla base”
42
.
40
Lo si evince da un documento interno della Wilhelmstrasse, il ministero degli esteri del
Reich, citato da DE FELICE R., La questione dell’Alto Adige…, cit., p. 23 nota 26, e in TOSCANO
M., Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Laterza, Bari, 1967, pp. 129 e ss.: “se i
tedeschi del Tirolo meridionale desideravano conservare il loro carattere nazionale, non
restava loro, in definitiva, che stabilirsi nel Reich”.
41
Citato in da DE FELICE R., La questione dell’Alto Adige…, cit., p. 24
42
dalla lettera del conte Magistrati a Ciano citata in DE FELICE R., La questione dell’Alto
Adige…, cit., p. 25-26
16
Tuttavia né Ciano né Mussolini si diranno convinti dalla proposta di Göring,
giudicata “non molto esplicita”. In particolare, il Duce avrebbe preferito
riprendere il controllo sugli allogeni facendo concessioni sul terreno culturale
e linguistico
43
. Nei colloqui romani, Hitler propose il trasferimento in
Germania degli allogeni altoatesini, ma Mussolini rifiutò. Né fu accettato
l’invio di una commissione tedesca in Alto Adige che dissuadesse gli
irredentisti. Ne conseguì una battuta di arresto a livello diplomatico durata
alcuni mesi, che però non fermò né la propaganda sudtirolese, né la
repressione da parte del prefetto Mastromattei.
“Nell’anno 1939 i sudtirolesi furono sacrificati all’alleanza fra i due dittatori
Hitler e Mussolini”
44
. Nel gennaio si ripresero le trattative, quando Mussolini
entrò (sono parole di Renzo De Felice)
45
“nell’ordine di idee di accettare di
discutere i termini di un’alleanza a tre tra Germania, Giappone e Italia. […]
Fu deciso dunque di riprendere il «progetto di Hitler per ritirare i tedeschi che
vogliono partire»”.
Da parte tedesca, sempre nel gennaio 1939, un promemoria redatto dal capo
dell’ufficio per il piano quadriennale, Ulrich Greifelt, indicava il “rimpatrio” dei
sudtirolesi come necessario per far fronte al deficit di manodopera nel
Reich
46
.
Questa volta fu von Ribbentrop a rallentare gli accordi, convinto che fosse
necessaria un’elaborazione “lunga e paziente” – come disse all’ambasciatore
a Berlino Attolico.
La trattativa si interruppe di nuovo, fino all’annessione dei Sudeti, che
nuovamente agitò le acque in Alto Adige. Mussolini a quel punto diede
incarico ad Attolico di muoversi energicamente perché i tedeschi non
43
“Se i tedeschi si portano bene e sono rispettosi sudditi italiani, potrò favorire la loro
cultura e la loro lingua”, così Ciano riassume la posizione di Mussolini nel suo diario, citato in
DE FELICE R., La questione dell’Alto Adige…, cit., p. 26
44
STEININGER R., Südtirol im 20. Jahrhundert, cit., p. 158 (traduzione mia)
45
DE FELICE R., La questione dell’Alto Adige…, cit., p. 29. La citazione è dal diario di Ciano, 2
gennaio 1939.
46
Cfr. MOCK H., PICHLER W., VERDORFER M., ZENDRON A., PALLA L., DEMETZ K., L’Opzione, in
Option Heimat Opzioni, cit., pag 143.
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potessero più eludere il problema. Il Duce si disse disposto a utilizzare i
crediti
47
che l’Italia aveva in Germania per compensare i partenti, pur di
accelerare la soluzione. Negli incontri tra Ciano e Ribbentrop a Milano,
preparatori alla firma del “patto d’acciaio”, il ministro degli esteri italiano fece
capire
48
al suo omologo tedesco che Mussolini faceva della soluzione della
questione altoatesina una condizione per concludere le trattative per
l’alleanza.
L’obiettivo dichiarato della politica tedesca era quello di indurre l’Italia
all’alleanza, e (sono ancora parole di De Felice
49
) “correre il rischio di vederlo
sfumare dopo tanti sforzi per non accettare la richiesta italiana di trasferire in
Germania gli allogeni dell’Alto Adige era assurdo, specie dopo che Hitler
aveva non solo teorizzato la necessità di sacrificare l’Alto Adige all’alleanza
con l’Italia, ma aveva riconfermato solennemente con Mussolini questa
rinuncia e si era detto disponibile ad accettare il principio del trasferimento”.
Il 22 maggio fu firmato a Berlino il “patto d’Acciaio”. Il 17 giugno successivo,
Hitler diede a Himmler l’incarico di avviare il negoziato sulle opzioni. Il 23
giugno, sempre a Berlino, nell’ufficio centrale della polizia segreta fu firmato
l’accordo.
47
Sulla questione dei crediti, come si vedrà, ricamerà anche la propaganda nei concitati mesi
delle opzioni.
48
Cfr. DE FELICE R., La questione dell’Alto Adige…, cit., p. 30.
49
idem
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