5
pari di certi privilegi ricadessero in misura diversa sulla diverse categorie di
cittadini, a seconda del censo di ciascuno. Tutti i cittadini, dunque, con
l’eccezione di quelli appartenenti all’ordine più basso (thetes), dovevano
prestare servizio nell’esercito come opliti o cavalieri e, a partire dalla fine
del quarto secolo circa, i maschi ateniesi dovevano inoltre sottoporsi, tra i
diciotto e i venti anni, a due anni di addestramento preparatorio militare. I
thetes, invece, prestavano servizio nella marina, principalmente come
volontari. Le tasse nella polis ateniese erano per lo più indirette:diritti
portuali, dazi sulle importazioni e simili colpivano tutti i cittadini.
Nonostante alcune differenze negli obblighi e nei privilegi in base al censo,
la cittadinanza ateniese definiva una condizione legale del tutto peculiare e
identificabile con dei limiti ben precisi, limiti che diventavano più perspicui
se confrontiamo la cittadinanza con lo statuto dei vari gruppi di non ateniesi
presenti nella società dell’Attica. Le leggi dell’epoca classica distinguevano
gli ateniesi dagli stranieri (xenoi), dagli stranieri residenti (metoikoi) e dagli
schiavi (douloi). Lo xenos, al contrario del cittadino, non poteva ricoprire
cariche pubbliche, possedere terra in Attica, o sposare una donna ateniese;
inoltre, se voleva praticare il commercio sul mercato pubblico, doveva
pagare una tassa ad hoc (xenika), mentre i suoi diritti erano fortemente
limitati.
Lo straniero che volesse stabilirsi definitivamente in Attica doveva essere
appoggiato da un cittadino ateniese ed accettare di pagare una tassa annuale
legata alla sua condizione inferiore, il metoikion. Una volta registrato, il
metoikos acquisiva determinati vantaggi di carattere legale nei confronti
degli altri stranieri, anche se condivideva con loro la proibizione di sposare
una donna ateniese. Inoltre, ai metoikoi erano estese due gravose
6
responsabilità proprie dei cittadini: prestare il servizio militare,e nel caso
fossero abbastanza ricchi, provvedere alle liturgie e al pagamento delle
tasse.
Al pari di altri oggetti di proprietà, e al contrario di tutti gli uomini e donne
liberi della società, fossero cittadini o meno, i douloi potevano essere
comprati, venduti, affittati, affrancati o regalati dai loro padroni. Inoltre gli
schiavi non possedevano una propria identità ufficiale e le loro azioni
comportavano la diretta responsabilità dei rispettivi proprietari in qualsiasi
azione legale.
La superiorità della condizione di cittadini a pieno titolo della polis si
manifestava appieno nella legge sugli omicidi. Le procedure e pene
conosciute indicano che l’assassinio di un qualsiasi non cittadino era meno
grave dell’assassinio di un cittadino: chi avesse ucciso un cittadino o una
cittadina ateniesi veniva processato dal tribunale dell’Areopago e poteva
essere condannato a morte; colui che invece avesse ucciso un metoikos,uno
xenos o un doulos veniva condotto davanti ad una corte inferiore, il
Palladio, e poteva essere punito al massimo con l’esilio.
La legge ateniese teneva, dunque, maggiormente in considerazione la vita di
un ateniese e manteneva una rigida distinzione tra chi era membro della
polis e chi non lo era.
Due ulteriori gruppi di ateniesi, le donne e i bambini, godevano di una
ambigua posizione sociale. Le donne ateniesi facevano parte della comunità
ateniese, ma appartenevano alla polis soltanto in maniera indiretta attraverso
la dipendenza da un padre, marito o altro membro maschio della famiglia, il
quale agiva in qualità di loro capo e custode (kyrios) in tutti gli affari
importanti. Le donne ateniesi e le fanciulle ateniesi non potevano possedere
7
o ereditare proprietà, stipulare contratti o prendere un’iniziativa
indipendente ai fini del matrimonio o del divorzio; tuttavia esse godevano
della stessa piena protezione da parte della legge di cui godeva ogni altro
cittadino. I figli maschi, d’altro canto, avevano uno statuto simile a quello
delle donne : prima di aver raggiunto l’età del godimento dei diritti civili, i
ragazzi ateniesi erano in tutto dipendenti da un kyrios (di solito il padre) per
quanto riguardava la loro identità legale nella polis.
La concezione e l’esercizio della cittadinanza, quindi, erano intimamente
legati al mondo della polis, ma soffermandoci su tale termine ci si chiede
quando e come Atene divenne una polis.
Certo la polis non esisteva dall’inizio dei tempi, ma nacque in un
determinato momento storico, sotto la spinta di concrete circostanze occorse
in un periodo non mitologico e successivo all’avvento dei Secoli bui in
Grecia. Gli scrittori classici usavano la parola in maniera ambigua,
riferendosi a volte con polis alla “città” in quanto opposta alla campagna
circostante, e altre volte ad un’identità più vasta di solito tradotta con
“Stato” o “città-stato” per indicare un’unità politica distinta , ma piccola,
che comprendeva una città (o cittadina) e il relativo territorio limitrofo. E’
proprio questo ultimo senso di Stato e non quello di città, che ora interessa.
La fonte migliore per trattare di questo discorso è Aristotele: nel suo trattato
sulla politica (la Politica) egli esamina il carattere e le qualità della polis
greca, facendo riferimento a dettagli sulle costituzioni di numerosi Stati
greci.
Di fatto il concetto generale di polis rappresenta di per sé una specie di
ideale.
1
1
Aristotele, La Politica, Libro primo, Laterza, Roma – Bari 1979, par. 1, p. 25 : “ Essere cittadini vuol dire avere parte
comune in una polis, e avere una polis vuol dire avere un luogo di residenza”
8
Per Aristotele il primo requisito della polis è che incorpori una comunità di
luogo, ossia, che i membri della polis condividano uno spazio geografico.
Inoltre egli mette in chiaro che una polis non deve necessariamente essere
legata ad una determinata località e soltanto a quella. Che la mobilità fosse
intrinseca nella concezione della polis discende dagli aspetti umani della
comunità impliciti nel concetto di “comunità di luogo”.
2
La lunga
discussione della politeia che il filosofo fa nel terzo libro della Politica è
dettata dalla convinzione che, per comprendere l’essenza della città-stato,
occorra dapprima comprendere la natura della cittadinanza.
La ricerca delle origini della cittadinanza in quelle della polis sembra
riportarci a cercare la polis nella democrazia. Dal punto di vista geografico,
la condivisione di un luogo fisico implica l’esistenza di confini spaziali: il
territorio della polis doveva possedere dei limiti definibili che lo separavano
dal territorio non facente parte dello Stato. Allo stesso modo, la popolazione
di una comunità doveva essere delimitata nella sua identità: la polis dei
cittadini richiedeva l’esistenza di un canone formale per distinguere chi vi
apparteneva e chi no.
Inoltre, due ulteriori condizioni per la polis sembrano conseguire dalla
discussione di Aristotele sulla cittadinanza. In primo luogo, se la polis è
composta soltanto da cittadini, e se ogni cittadino detiene un incarico
pubblico, allora la costituzione che regola la detenzione degli incarichi
pubblici si identificherà e definirà lo Stato.
Perciò, se esiste un canone stabilito di cittadinanza, dovrà anche esistere una
costituzione formale, altrimenti la polis non potrà esistere davvero. In
2
Id., La Politica, p. 52 - 55:“La polis”, diceva Aristotele, “ è un composto fatto di uomini”.
9
secondo luogo, se il processo decisionale appartiene ai cittadini, la polis
deve essere autonoma, ossia responsabile dei propri affari politici.
3
L’autarkeia, perciò, comprende tutte quelle funzioni economiche, difensive,
religiose e politiche che lo Stato è tenuto a soddisfare. Il filosofo sostiene
che lo Stato deve soccombere a bisogni sia materiali che morali: le sue
istituzioni devono essere indirizzate a uno scopo benigno o altrimenti la
polis non sarà una vera polis. La democrazia, quindi, ha rappresentato il
compimento della polis: la polis compiuta della democrazia ateniese classica
rappresentò anche il compimento della cittadinanza. Dal punto di vista della
forma costituzionale, infatti, il governo del popolo incarnava l’unità tra lo
Stato e i suoi cittadini. La cittadinanza, dunque, cominciò ad esistere in una
forma ragionevolmente definita intorno all’anno cinquecento.
Intorno al settimo secolo lo sparpagliato mosaico sociale caratteristico dei
precedenti Secoli Bui cominciò a cambiare: lentamente gli stili di vita
individualistici condotti dai numerosi villaggi e corporazioni della regione
vennero messi in ombra dallo sviluppo di unità embrionali e da un crescente
senso di autodefinizione tra la popolazione dell’Attica. Tale evoluzione in
direzione di una crescente centralizzazione segnala una accelerazione in
direzione della nascita della città-stato, con la quale inizia la vera storia
della cittadinanza.
3
Ivi, p. 58: Ancora Aristotele, nel definire la cittadinanza, propone una concisa definizione della città – stato: “La
polis, nei termini più semplici, è un corpo di persone tali da essere adeguate in numero a raggiungere un’esistenza
autosufficiente”. Il filosofo non precisa quanti cittadini esattamente siano necessari per raggiungere l’autarkeia, sebbene
suggerisca che il numero minimo potrebbe essere rappresentato da “svariati villaggi riuniti in un’unione politica”
10
1.2 La città-stato romana e la città medievale
In primo momento si è portati ad applicare all’esperienza storica di Roma
quello che abbiamo verificato per la Grecia, cioè credere ad un’identità
dell’esperienza greca e di quella romana. Ma, le due realtà storiche
procedono per vie diverse.
Come abbiamo visto, La polis è una creazione esclusivamente greca: uno
Stato retto dal principio di autonomia, fondato su un patto liberamente
stretto tra i suoi costituenti. Polis, abbiamo già osservato, è la forma di vita
sociale che faceva veramente liberi gli uomini e permetteva loro di ottenere
una certa forma di perfezionamento morale. La religiosità ne è condizione
necessaria e preliminare: sopravvivono i culti gentilizi, spesso controllati
dalla polis, che ha una sua propria e distinta protezione divina.
Anche Roma è una polis, comunità non fondata su legami di consanguineità
destinati ad attenuarsi e dissolversi di generazione in generazione.
La città romana, urbs, nasce come orbis, circolo e diventa l’ecumene in
rapporto al provvedimento di Caracalla grazie al quale qualsiasi abitante
libero dell’impero è fatto cittadino.
4
Già da questa differenza si possono cogliere quelle ragioni di fondo idonee a
mostrare lo svolgersi di storie diverse nel costituirsi e nell’organizzarsi della
dimensione politica della polis e della civitas e a segnalare la conseguente
diversità della nozione di cittadinanza in Grecia e a Roma.
4
Ma tornando ad un confronto del rapporto tra Grecia ( più concretamente Atene ) e Roma, risulta interessante lo studio
dell’autore Grifò, il quale dice: G. Grifò, Civis. La cittadinanza tra antico e moderno, Editori Laterza, Roma – Bari
2000, pp. 23 – 25:“ mentre in Grecia il cittadino nasce dalla città, per la città e nella città, a Roma, invece, vale il
contrario, è dal cittadino e per il cittadino che nasce la città”.
11
Nell’esperienza romana fin dall’età arcaica vi è il pomerium, che distingue
la sfera domi da quella militiae.
Qui il diritto di cittadinanza è anzitutto il diritto di cittadino della città. Lo
Stato romano non sono i Romani, ma la res publica, res populi. Quel che
conta a Roma è l’imperium e la maiestas populi romani.
Si è civis anzitutto per nascita da giuste nozze di un padre cittadino al
momento del concepimento, anche se la madre non è cittadina; nel caso di
matrimonio non conforme al diritto romano il figlio segue la condizione
della madre: è cittadino se la madre è cittadina al momento del parto, non lo
è se la madre lo era in gravidanza, ma ha cessato di esserlo al momento del
parto, ne lo sarà, alla fine della repubblica, se nasce da una cittadina e da un
Latino o peregrino.
Diventa cittadino anche il figlio di peregrini ai quali, antecedentemente alla
nascita, sia stata concessa la cittadinanza, sia a entrambi i genitori, sia al
solo padre, purchè la madre abbia ottenuto almeno il conubium, condizione
necessaria per il matrimonio legittimo. Chi non nasce cittadino, può
diventarlo o per concessione o per conseguenza automatica del verificarsi di
certe condizioni (per esempio domicilio a Roma di un Latino; o denuncia
vittoriosa di un magistrato concussionario da parte di un peregrino o di un
Latino ) o per manomissione da parte del dominus.
Questa disciplina subisce variazioni nel tempo e comunque, dal punto di
vista della sua estensione, nell’89 a.C. la cittadinanza è accordata a tutti gli
uomini liberi dell’Italia, la si concede generalmente ai non cittadini a
conclusione del loro servizio militare, è conferita collettivamente a tutto un
complesso di città, fino a giungere a una misura generale di conferimento
12
della cittadinanza romana alla quasi totalità degli abitanti liberi dell’impero
con l’editto di Caracalla del 212 d.C..
Chi venga riconosciuto come cittadino può essere il capo di una famiglia,
avere quindi la titolarità della patria potestas, della manus delle donne, del
dominium su cose e schiavi. Ha il diritto di istituire un culto privato, di cui è
il sacerdote; può offrire protezione e assistenza a stranieri e concittadini;
può agire processualmente, votare nelle assemblee popolari e partecipare
alle decisioni sulla pace e sulla guerra, sulla concessione o meno della
libertà, ecc. .
Questa nuova figura del pater familias ci conduce dalle originarie polis e
città-stato romana alla vera e propria città medievale. Ora la città prende
forma e diviene il fulcro di tutta l’organizzazione politica, civile, religiosa,
militare del cittadino.
La città medievale, infatti, non è solo un luogo simbolico. Essa nel XII
secolo, non è semplicemente la realtà urbana alto-medievale che, grazie alla
favorevole congiuntura socio-economica, vede potenziata la propria vitalità;
è una formazione politico-giuridica che si organizza con caratteristiche
peculiari.
In tale città il momento associativo è fondamentale:essa prende forma e si
sviluppa come associazione di cittadini, sulla base di un atto di fondazione,
la coniuratio, che sancisce un legame forte e sacro tra cittadino e città. E’ a
partire da questo nucleo che la città alimenta la civiltà comunale. Il mondo
medievale include la città come una propria componente essenziale, ma non
si identifica con essa:non solo perché il fenomeno città ha una rilevanza
diversa e caratteristiche specifiche a seconda della zona dell’Europa che
viene considerata,ma soprattutto perché nella prassi come nel discorso
13
politico-giuridico la città è parte di un universo più complesso entro il quale
deve essere collocata. Le città come specifici e autonomi ordinamenti sono
dunque realtà che il discorso politico-giuridico medievale contempla
collocandole entro una trama di relazioni di carattere universale,che
vengono continuamente attivate per descrivere la
cittadinanza,l’appartenenza,i privilegi,gli oneri.
L’universo medievale è un cosmo ordinato. La rappresentazione del cosmo
e, in esso, della società umana,implica l’idea di ordine. Che l’universo sia
ordinato significa che la parte,il singolo elemento non è comprensibile se
non lo si riferisce ad una totalità che lo include e assegna ad esso la sua
collocazione e la sua destinazione.
L’ordine è composizione delle disuguaglianze,presuppone la disparità dei
suoi elementi. Un ordine siffatto tematizza e valorizza le
disuguaglianze:forte/debole,uomo/donna,adulto/bambino.
5
In quanto gerarchia di posizione e insieme strutturato di relazioni
diseguali,l’ordine medievale racchiude un concetto – chiave di grande
rilievo:dominium. La teologia dell’ordine è anche una teologia del
dominium,di un dominio che trova in Dio la sua fonte e si traduce nelle più
diverse relazioni di comando e obbedienza. Dominio,ordine e gerarchia si
implicano a vicenda e non costituiscono un’alternativa globale alla
rappresentazione organicistica del gruppo. La struttura ordinante che
sorregge l’intera fabbrica del mondo si manifesta anche come legge
intrinseca delle azioni umane e reciprocamente la vita del gruppo sociale
può essere descritta come corpo per sottolineare la gerarchia delle parti. Il
5
Aristotele, analizzando questo argomento, dice: Aristotele, La Politica, Libro primo, op. cit., par. 2, p. 31: “ Prima di
tutto è necessario unire i termini che non possono sussistere separatamente, per esempio la femmina e il maschio in
quanto strumenti di generazione, e chi è naturalmente disposto al comando e chi è naturalmente disposto ad essere
comandato…perché chi per le sue qualità intellettuali è in grado di prevedere per natura comanda ed è padrone,
mentre chi ha doti inerenti al corpo per natura deve essere comandato ad esercitarle ed è naturalmente schiavo”
14
corpo è unità delle parti,quindi è elemento di ordine,unità ordinante nei
riguardi delle parti di cui valorizza e utilizza le diversità,e insieme un’unità
ordinata in quanto tenuta in ordine, disposta secondo l’ordine naturale delle
parti, da una superiore istanza dominativa. E’ grazie alla stretta
complementarità di ordine, dominio, corpo che il linguaggio politico -
giuridico medievale si rende capace di parlare della città, dei cittadini, della
cittadinanza.
Se vi è un profilo generale attribuibile alla cittadinanza medievale è proprio
il suo legame costitutivo con la disuguaglianza delle situazioni soggettive.
Già nel momento delle origini,con la partecipazione giurata alla fondazione
del comune e poi nei momenti di successiva immissione nella compagine
comunale, soggetti socialmente diversi compiono il loro ingresso nella
società comunale ottenendo in essa posizioni differenziate. Diviene
cittadino, in origine, chi partecipa al giuramento istitutivo del
comune,divengono cittadini, successivamente,coloro che con analogo
giuramento si uniscono al comune già esistente, ed è comunque su base
patrizia che i diritti e i doveri dei cittadini vengono determinati. Non vi è
una cittadinanza, ma una pluralità di condizioni soggettive differenziate e
gerarchizzate. La cittadinanza non è uno status uniforme: i suoi contenuti
sono determinati da parametri volta a volta diversi che danno luogo a
complicate tipologie: cittadini originari o acquisiti, cittadini di antica o
recente immigrazione; ancora cittadini che abitano prevalentemente in città
o cittadini residenti per lungo tempo fuori città, e allora dotati di minore
tutela. E’ possibile in termini generali indicare i diritti e gli obblighi più
ricorrenti: sono i diritti di cui parlano le Carte di cittadinanza, i Brevi e gli
Statuti, diritti che vanno dall’adire i tribunali cittadini al possedere immobili
15
nel territorio comunale, dalla protezione contro le aggressioni esterne
all’iscrizione alle Arti e alla partecipazione politica. E poi gli obblighi:
obbedire alle istituzioni, collaborare attivamente al bene della città,
partecipare alle milizie cittadine, dare il proprio contributo al fabbisogno
finanziario del comune.
In realtà una semplice elencazione di diritti e doveri rischia di comunicare
un’immagine troppo modernamente giuridicista della cittadinanza
medievale.
Per il cittadino medievale contava il suo radicamento in una relazione di
appartenenza: era questa che generava per il soggetto, assegnando ad esso la
sua peculiare posizione, vantaggi e oneri congiuntamente. Il comune
cittadino si alimenta di un forte coinvolgimento dei suoi membri nella vita
della città; la struttura portante della vita pubblica implica una presenza
attiva e partecipe dei cittadini. Inoltre la partecipazione del popolo del
comune non è la partecipazione di tutti, è una partecipazione
necessariamente differenziata e gerarchizzata, segnata dalle differenze del
censo e dello status.
6
La partecipazione come diritto di eleggere e/o di essere eletti è quindi uno
dei molti aspetti del pacchetto di oneri e privilegi che chiamiamo
cittadinanza: un contenitore generico che si sostanzia in status differenziati e
gerarchizzati, dove oneri e onori, diritti e doveri, obbedienze e supremazie,
attività di partecipazione e obblighi di astensione sono inscindibilmente
connessi.
La cittadinanza medievale si presenta insomma come un insieme di pratiche
e di discorsi difficilmente riducibile ad un profilo giuridico - formale.
6
Aristotele, La Politica, Libro terzo, op. cit., par. 1, p. 56 : “ in alcune città non c’è funzione politica del popolo, né si
raduna l’assemblea popolare, ma vengono solo diramate delle convocazioni straordinarie e anche l’amministrazione
della giustizia viene affidata ad organi competenti”
16
Il discorso politico-giuridico medievale dispone la cittadinanza nella trama
disegnata dall’ordine come struttura portante del cosmo e della vita
sociale,come disposizione delle parti secondo relazioni di dominio e
obbedienza, e dal corpus come espressione dell’unità del corpo politico,
della solidarietà dei suoi membri.
Nel quadro medievale della cittadinanza la visibilità del soggetto è dunque
mediata dalla sua appartenenza al corpo: il tema portante è la relazione tra
l’individuo e la comunità politica e il discorso corre dai termini della
relazione alla relazione stessa e da questa ancora a ciò che si potrebbe
chiamare la sua matrice, appunto il linguaggio dell’ordine, del dominio, del
corpo. Proprio perché la città è un corpo, i suoi membri sono tenuti a
rispettare il primato del tutto sulla parte.
La città dunque in quanto ordine e corpo fonda e rende possibile l’azione dei
suoi membri e questa a sua volta trova nell’ordine la propria regola e la
propria finalità. La cittadinanza medievale è appunto la simultanea presenza
delle due componenti, il tutto e le parti, e proprio per questo, nel momento
in cui valorizza il primato dell’insieme, si presta anche a descrivere e
celebrare la convergenza delle parti verso il tutto, la loro ordinata
appartenenza. La cittadinanza come appartenenza e inclusione trova
espressione in un termine che il mondo antico trasmette al discorso politico
medievale: il termine “patria”.
7
La virtù della concordia e della pace, l’ordinato cooperare di tutti nell’unità
del corpo politico indicano dunque nel simbolo della patria il suggello
dell’appartenenza. Al forte legame oggettivo, naturale del singolo con la
7
P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa dalla civiltà comunale al Settecento, Editori Laterza, Bari 1999,
vol. I, cap. 1, p. 21: “ Per ogni città il vincolo di appartenenza dei soggetti al suo ordine corporatista può essere
chiamato patria. Tale termine accompagna l’intero dispiegarsi dei significati di civitas : la città sarà patria singularis,
distinta da una possibile patria communis e Roma in particolare, la città universale, il simbolo dell’Impero, varrà come
patria di tutti”
17
città corrisponde, come riflesso soggettivo l’amor patriae. Il rapporto del
cittadino con la città è un rapporto di amore. Lo zelo per la collettività,
l’impegno per il bene comune sono la conseguenza soggettiva del
necessario radicamento dell’individuo nel corpo politico e si avvalgono, per
esprimersi, del linguaggio civile dell’ordine e del corpus, ma anche del
linguaggio religioso del sacrificio. Il sacrificio e l’amore di Cristo
divengono modello di un sacrificio e di un amore che viene espresso dal
cittadino verso la città-patria.
Sorretto dalle idee-guida del corpo solidale e dell’ordine gerarchico, il
discorso della cittadinanza per un verso si incontra con quel modo di
pensare la politica come arte del buon governo, mentre, per un altro verso,
tende a valorizzare e a legittimare le differenze di status attribuendo a
ciascuna di esse un ruolo insieme civile e sacrale. La città appare così
composta di ceti diversi e tra loro complementari. L’immagine medievale
della cittadinanza rinvia dunque ad una molteplicità differenziata di
soggetti, che trovano nella concordia, nella pace, nell’amor patriae gli
strumenti simbolici di celebrazione della comunità politica e della sua unità.
Se dunque le parti e il tutto si implicano vicendevolmente nel discorso della
cittadinanza, resta comunque fermo che solo la visione della totalità offre ad
esso le sue indispensabili coordinate: è dalla città che l’individuo riceve il
dono di una vita civile, la destinazione e l’alimento del suo patriottismo, la
fonte dei suoi obblighi e dei suoi privilegi. Proprio per questo il percorso
che conduce alla rappresentazione del doveroso amor patriae è analogo a
quello che permette di tematizzare i privilegi del cittadino: un percorso che
raggiunge l’individuo a partire dalla città, che riverbera sul cittadino i
vantaggi connessi alla posizione eminente della città. Uno dei termini più
18
suggestivi in questo senso è “libertà”. La libertà della città è lo spazio entro
il quale essa riesce ad affermarsi e svilupparsi. In questo contesto la libertà
si inserisce in una serie di dipendenze e costituisce una zona di relativa non
ingerenza da parte dell’ente o soggetto gerarchicamente superiore. La libertà
medievale, in questo senso, si associa quindi all’idea di una zona franca, di
uno spazio immune da ingerenze esterne. La città rivendica la propria libertà
come diritto ad un proprio spazio sociale e istituzionale entro l’ordine
universale della cristianità. La libertà come spazio vuoto e protetto e
l’autonomia come potere di determinare il proprio ordinamento sono certo i
tratti principali che il discorso politico-giuridico medievale riconosce alla
città. Quando poi il soggetto libero e autonomo è un ente collettivo, le
prerogative dell’ente si riverberano implicitamente sui suoi membri.
Entro la catena delle giurisdizioni si forma uno spazio, la città, che agisce
come centro di attrazione di una pluralità di soggetti. Nel momento in cui i
soggetti costituiscono il comune cittadino e ne divengono parte, la loro
libertà non è concepibile separatamente dalla libertà della città , perché la
sua libertà coincide con la libertà della comunità: la libertà della città è la
libertà dei cittadini. La libertà del soggetto coincide con l’inclusione del
soggetto nella città, con la sua sottoposizione ad una diversa giustizia:la
città non è solo uno spazio immune, protetto dall’esterno; è anche
giurisdizione, autonomia, potere di ordinarsi giuridicamente, di costituire un
diritto proprio, di eleggere proprie magistrature. E’ a questo ordinamento
giuridico che il cittadino partecipa insieme agli altri membri della città. Ciò
non significa che si creino rapporti di perfetta eguaglianza giuridica: la
cittadinanza è un contenitore di oneri e privilegi diseguali ed è pensata nel
rispetto delle differenze delle parti. Queste però trovano un loro momento di