5
Trapani, Caltanissetta, Catania, Agrigento), i contadini e i pastori
sardi (Nuoro e Cagliari). Vaste zone dell’Italia meridionale appaiono
inesplorate: rimangono in ombra Calabria, Basilicata, Puglia, Lazio,
Molise e Abruzzi. Ma, al di là di queste mancanze, le Monografie ci
offrono una straordinaria varietà di immagini; i climi, i cibi, i
linguaggi mutano insieme alle aree geografiche e alle zone rurali, alle
forme di organizzazione del lavoro e alla struttura della famiglia. Di
luogo in luogo cambiano le colture, dai cereali agli ortaggi, alla frutta,
ai fiori, alla bietola da zucchero, alla canapa, al tabacco. La struttura
della monografia ricalca quella di un questionario appositamente
elaborato dall’INEA e quindi i diversi curatori descrivono i caratteri
geografici e socio economici delle aree in cui vivono le famiglie, le
condizioni abitative fornendo anche la planimetria della costruzione, si
soffermano sul numero dei pasti consumati nelle diverse stagioni dai
componenti della famiglia e presentano un inventario estremamente
particolareggiato delle suppellettili, del mobilio, ma anche del vestiario
e dei pochi gioielli posseduti dai singoli. Sono messi a confronto le
capacità di produzione e quelle di consumo e un’attenzione particolare
è posta sulle caratteristiche morali e religiose della famiglia
proponendone un modello temprato “dal lavoro e dalla fede”
2
.
Nella molteplicità delle situazioni esaminate, l’universo
6
mezzadrile riceve dalle indagini dell’INEA un’attenzione particolare.
Delle 94 famiglie analizzate, ben 37, cioè il 40%, appartengono alla
categoria dei mezzadri; questa prevalenza si riflette anche sulla
distribuzione geografica delle indagini, 31 delle quali sono condotte
proprio nella “patria” della mezzadria, la Toscana. Minore è
l’interesse verso i piccoli proprietari, i salariati e i braccianti; infatti
troviamo solo 19 famiglie appartenenti alla prima categoria, 15 alla
seconda e soltanto 4 a quella degli avventizi
3
.
All’Umbria sono dedicate due Monografie: entrambe si
occupano dei mezzadri
4
, la seconda analizza tre famiglie di piccoli
proprietari coltivatori
5
. Nella prima si fa riferimento a quattro famiglie
coloniche della Media valle del Tevere, facenti parte della Tenuta di
Casalina. Per Media valle del Tevere s’intende il tratto compreso fra
Umbertide e Todi, fra i crinali delle colline a destra ed a sinistra; la
tenuta di Casalina, condotta col sistema di mezzadria, si estende nel
territorio dei cinque comuni: Marsciano, Deruta, Collazzone, Gualdo
Cattaneo, Bevagna.
La seconda monografia sull’Umbria prende in considerazione
due famiglie coloniche, stanziate rispettivamente nel colle-piano del
Trasimeno e nell’altipiano eugubino, e tre famiglie di piccoli
proprietari dell’Appennino di Norcia.
7
Questi lavori costituiscono una fonte assai ricca per una ricerca
che tenti di ricostruire la multiforme realtà del mondo rurale, perché
consentono di osservare più da vicino i singoli gruppi familiari,
esaminando il diverso rapporto dei loro membri con il processo
produttivo, le relazioni interne ed esterne al gruppo di ciascuno dei
suoi componenti, i condizionamenti storici e geografici con cui le loro
strategie si misurano.
Le Monografie di famiglie agricole fanno parte di un vasto
progetto di indagine messo in moto dall’Istituto nazionale di economia
agraria e finalizzato ad una conoscenza approfondita dell’economia di
produzione agraria. I ricercatori dell’INEA insistono sull’importanza
di assumere la famiglia come soggetto primario di un’indagine volta a
individuare i fenomeni che agiscono all’interno della società. I
presupposti teorici delle Monografie vanno ricercati nel pensiero e
nell’opera di Frederic Le Play, che nella seconda metà dell’Ottocento si
era affermato in quanto “inventore” della monografia di famiglia
intesa come strumento di ricerca. Le Play, infatti, aveva elaborato
l’indagine monografica nella convinzione che i popoli si compongono di
entità organizzate fin dall’inizio in famiglie. Allo stesso presupposto si
richiama anche Arrigo Serpieri, colui che fu la mente e l'anima
originaria dell'INEA. Secondo questa concezione la popolazione non è
8
un'insieme di individui ma di famiglie, e a sua volta la famiglia, non è
un aggregato di singole persone, ma un'entità non ulteriormente
scindibile. Le monografie offrono una descrizione minuziosa, attenta e
particolareggiata insistendo sulla compattezza dell’unità familiare.
Una lettura più attenta consente invece l’emergere delle individualità
che tendono a scomparire nella soluzione familiare totalmente
armonica .
Nell'Italia fascista l'inclusione delle monografie di famiglia tra le
indagini condotte dall'INEA e il richiamo a Le Play da parte di
Serpieri esprimono il riallacciarsi ad una tradizione che oppone il
mondo rurale a quello urbano, mettendo al centro del primo la grande
famiglia contadina, legata alla terra e capace di provvedere con le
proprie forze al lavoro dei campi
6
. Occorre ricordare infatti che, a
partire dalla metà degli anni Venti, il regime fascista attua una serie di
leggi, e veicola messaggi di propaganda che mirano a ricomporre
l’economia rurale, le istituzioni sociali, la vita familiare e le relazioni
tra i sessi. La politica di ruralizzazione, portata avanti dal fascismo,
cerca principalmente di frenare il processo di abbandono delle
campagne e il conseguente aumento di disoccupazione in città. Per la
pianificazione economica del regime è importante ridurre la
dipendenza dalle importazioni di prodotti esteri, specie frumento, e
9
scoraggiare il flusso della popolazione rurale verso le città, che avrebbe
allungato le liste dei disoccupati e fatto crescere il malcontento sociale.
Con il famoso discorso dell’Ascensione del 26 Maggio 1927, Mussolini
introduce la campagna contro le città a favore di un ritorno ad una
condizione di vita più rurale
7
. In realtà la ruralizzazione provoca
l’isolamento della famiglia coltivatrice, rinchiudendola in se stessa,
confinandola in zone dove i livelli di consumo erano bassi, dove manca
la copertura della legislazione sociale. Si sfrutta la solidarietà
familiare, enfatizzando l’unità della famiglia e il ruolo primario che i
ceti rurali devono svolgere nelle strategie di crescita demografica del
fascismo.
Le donne delle campagne sono indispensabili per la realizzazione
delle strategie ruraliste, costituiscono l’elemento centrale della politica
demografica fascista poiché rappresentano il cardine dell’economia
familiare essendo una notevole riserva di forza lavoro. Il regime
fascista si impegna notevolmente per promuovere le nascite con una
serie di incentivi come l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia
(fondata nel 1925), la riduzione dell’imposizione fiscale diretta (1928),
le allocazioni familiari (1934-37), le preferenze nelle assunzioni
(1934,1937) ed i prestiti matrimoniali (1937). Tutto ciò contribuisce a
modificare il tasso di natalità nelle aree rurali ma questo risultato
10
deriva anche dal persistere, in certe zone, di forme di conduzione
poderali, in particolare la mezzadria, che ha bisogno di famiglie
numerose
8
.
Prendendo spunto dalle Monografie di famiglie agricole ci si può
fare un’idea dei vincoli familiari contadini esistenti in Italia tra la fine
del secolo scorso e l’inizio di questo secolo. La famiglia contadina ha
una grande importanza all’interno di quella particolare forma di
conduzione agraria che è la mezzadria, diffusa su quasi tutto il
territorio nazionale, in particolare modo nelle regioni dell’Italia
centrale, in Emilia ed in alcune zone del Veneto.
Il contratto di mezzadria viene stipulato dal proprietario in
persona, o da chi per esso, col capo della famiglia colonica. Alla
firma del contratto, però, debbono intervenire tutti i maggiorenni
componenti la famiglia colonica, allo scopo di confermare la delega
al loro capo. Il capo di casa assume così la rappresentanza
dell’intera famiglia e la rappresenta in tutti i rapporti che sorgono
con il proprietario derivanti dal contratto di mezzadria. La
direzione della famiglia spetta al capo di casa che è, in genere, il
genitore od, in mancanza di esso, il più anziano tra i figli. La
mamma della famiglia fa la massaia ed, in sua mancanza, la
moglie del figlio più anziano; collabora con il capoccia nell’opera di
direzione, riservando per se l’impresa domestica con le annesse
piccole industrie famigliari, pollaio ecc. Le altre donne aiutano la
massaia nelle diverse faccende domestiche, ma gran parte della
loro attività la dedicano alle operazioni colturali. Il capo di casa è
sempre il consegnatario degli eventuali risparmi della famiglia.
Alla massaia spettano i redditi delle piccole industrie coi quali
provvede alle piccole spese giornaliere, a quelle di manutenzione,
e, talvolta, al rinnovamento della biancheria e dei vestiti
9
.
11
Esisterebbe, secondo l’estensore della monografia, un’armonia
familiare sulla quale vigila l’autorevolezza del capoccia. Egli è l’unico
autorizzato a trattare direttamente con il proprietario del fondo e
rappresenta l’intera famiglia. Anche la parte femminile della famiglia
è ordinata gerarchicamente: su tutte veglia la massaia che gestisce
anche i redditi che le derivano dalla gestione degli animali da cortile e
dall’orto. Si deve occupare delle spese di manutenzione ma anche della
preparazione del corredo e del rinnovo della biancheria.
Si comprende come, all'interno della famiglia mezzadrile, i ruoli
dei singoli componenti siano determinati, anche se, in particolari
situazioni, come vedremo in seguito, la separazione non è così netta.
Dalle Monografie dell’INEA si apprende che generalmente:
la famiglia contadina è numerosa, può essere costituita anche di
11 o 12 individui, rappresenta un nucleo, un aggregato di operai
fissi, un’unità economico-sociale ben definita, retta da
un’organizzazione gerarchica, che impiega il suo lavoro in una
unità tecnico-economica (il podere), legata all’imprenditore da un
contratto tipo detto capitolato colonico
10
.
In particolare la famiglia mezzadrile, di cui ci occupiamo, è una
famiglia multipla, a carattere patriarcale, composta di un numero
elevato di membri che lavorano una terra di proprietà altrui.
Essa è dunque un’unità economica, di riproduzione e di
residenza composta dai discendenti maschi, con le rispettive mogli, figli
12
e figlie nubili, tutti soggetti all’autorità del capofamiglia; le femmine
non sono elementi strutturali e stabili della famiglia, esse ne fanno
parte solo fino al matrimonio, momento in cui vengono assimilate alla
famiglia del marito. Su queste caratteristiche si basa l’organizzazione
della vita e del lavoro della famiglia mezzadrile, il cui carattere
patriarcale si riflette sia sulla discendenza e trasmissione dei beni, sia
sui rapporti e funzioni d’autorità, sia sull’organizzazione familiare del
lavoro.
La famiglia risulta così governata dal reggitore, vergaro o capoccia,
e dalla massaia, vergara o azdora. Il primo firma il contratto con il
padrone, impegnando il lavoro dell’intero gruppo familiare,
assumendo il ruolo di caposquadra-organizzatore dell’attività
operativa sul fondo. La seconda gestisce la casa, governandola
specialmente sul lato femminile: figlie e mogli dei figli. In genere, il
più idoneo tra i figli, a volte detto “boaro” o “tabacco”, segue la
stalla e conduce l’aratro, l’erpice, la treggia, il carro; gli altri, su
indicazione dei primi, provvedono al resto
11
.
L’obiettivo strategico di molti mezzadri è quello di mantenere
“gratuitamente” la famiglia, cioè di vivere con i prodotti del podere e
ricavare da essi un minimo di sussistenza. Il lavoro mezzadrile è stato
regolato fino alla fine dell’800 da contratti individuali, e la situazione
economica per le famiglie coloniche è rimasta invariata. Le lotte
mezzadrili del primo ‘900 e del secondo dopoguerra sono appunto
caratterizzate dalle rivendicazioni per il contratto collettivo che
significa maggiori possibilità per le famiglie di garantirsi la sussistenza
13
economica, tramite una ripartizione più equa dei prodotti, con obblighi
meno gravosi e abolizione delle regalie. Per adempiere agli obblighi del
contratto dunque la famiglia deve assicurare una prestazione
lavorativa continua e svariata che le nega un proprio spazio autonomo
e comporta disponibilità permanente al lavoro di ogni suo membro.
Resta comunque il fatto che nei poderi della mezzadria l’interna
organizzazione domestica regge ad ogni tipo di vicenda che possa
colpirla senza particolari drammi
12
.
Nel secondo dopoguerra, quando la struttura economica agricola
entra in crisi e aumenta la distanza sociale tra la città e la campagna, la
mezzadria si estinguerà portando con sé anche la famiglia patriarcale
sulla quale si poggiava, caratterizzata da rapporti gerarchici e
paternalistici anacronistici.
Quali fattori sociali hanno portato alla fuga da questo tipo di
famiglia e poi dalle campagne? E' possibile rintracciare già nelle
monografie i primi mutamenti che il mondo rurale stava vivendo
anche attraverso i suggerimenti che l'autore della monografia propone
per tamponarli.
Leggendo in controluce l'immagine tranquilla, compatta,
armoniosa della famiglia proposta dalle monografie, si possono far
emergere le singole figure con i propri problemi, con le proprie
14
soddisfazioni. E il sistema, che pure è un sistema elastico, sembra aver
esaurito le sue risorse, non riesce a rispondere adeguatamente alle
nuove opportunità che la città propone.
Le famiglie mezzadrili non sono più analfabete, nonostante la
difficoltà di raggiungere la scuola durante l'inverno, quando le strade
sono impraticabili; tutti sanno per lo meno comporre la propria firma,
molti sanno leggere e scrivere. E i racconti non sono più affidati solo
alla memoria, le giovani, nelle serate fredde, leggono alla loro platea
familiare racconti d'amore capaci di ispirare commozione. La giovane
Candida risponde agli intervistatori a nome della famiglia con acume e
sicurezza.
I giovani, ma soprattutto le donne desiderano abiti nuovi, un
arredo per la casa più ricercato. Tutto ciò mentre si preferisce affidarsi
alla capacità empirica delle donne anziane per partorire per il costo
proibitivo della levatrice o del dottore.
E molti cercano la soluzione nell'abbandono della terra,
definitivo:
Difficilmente i figli del XX secolo dopo trascorso qualche
anno in città, sentono ancora la dolcezza del ritornello caro ai
vecchi tradizionalisti: l'aria della montagna me ritira la voce del
mio amore me richiama. Il fatto suona come un monito: curiamo
di più la nostra montagna perché una volta abbandonata per
qualche anno, ad essa più non si torna.
13
15
1. b La mezzadria in Umbria
Le condizioni bio-ambientali della Provincia, se si fa eccezione per
alcune parti più elevate del territorio, si presentano spiccatamente
favorevoli alla condizione colonica; ed invero la mezzadria, da gran
lasso di tempo, occupa il posto d’onore fra le forme di conduzione
della terra. Si è largamente generalizzata la policoltura che, in
genere, coincide con la coltura promiscua di legnose, fra le quali le
più diffuse ed estesamente coltivate sono, nell’ordine, la vite e
l’olivo, e di erbacee, come grano, granoturco, barbabietole,
tabacco, foraggere diverse, fra le quali, in questi ultimi tempi, è
andata sempre più diffondendosi l’erba medica. Questo fatto,
unitamente alla morfologia del terreno, prevalentemente collinare
e montuoso, che indirizza le imprese locali verso forme di
agricoltura più attive ed intensive, è la causa che ha favorito il
consolidamento dell’istituto della mezzadria
14
.
Ciò è quanto scrivevano negli anni Trenta i relatori delle
Monografie dell’INEA sull’Umbria e può introdurre il nostro discorso
sulla mezzadria.
Come è stato più volte sottolineato, l’Umbria si presenta come una
regione prevalentemente agricola ed ancora quarant’anni fa il 60%
della popolazione della provincia di Perugia era impegnato in
agricoltura e i modi di vita erano caratterizzati dal legame con la
terra
15
.
Sicuramente il sistema mezzadrile ha influito notevolmente nel
perdurare di questa situazione ed ha, per certi versi, ostacolato il
progresso industriale della regione, giunto in ritardo rispetto a quanto
accadeva nelle vicine Marche e Toscana.
16
L’assetto mezzadrile per anni ha garantito cibo, tetto e la possibilità
di vendere in città beni di pertinenza colonica ed ha resistito a lungo,
soprattutto nelle regioni collinari, perché è convenuto a padroni e
contadini dando luogo ad un esteso mercato del grano, delle altre
derrate agricole, della canapa, della seta e della carne, conservando il
“capitale terra” meglio che altrove
16
.
Tutto ciò spiega il sopravvivere della mezzadria ma non può
oscurare la durezza quotidiana della vita colonica, gli abusi di potere e
le richieste negate dei contadini.
Il patto mezzadrile è tra i più duri dell’Italia centrale, più affine al
toscano che al marchigiano: il mezzadro, che ha di suo solo gli
strumenti di lavoro, è in condizioni di maggior debolezza. Pur nella
varietà degli accordi locali o addirittura singoli, quasi ovunque, in
pianura e in collina, il contadino, cui spetta metà del raccolto,
mette interamente il seme, paga sempre per l’uso del bestiame,
sovente partecipa alle tasse fondiarie e del bestiame stesso, spesso
prende un terzo dell’uva e due quinti dell’olio. Nelle terre più alte,
dove la resa del grano non supera di cinque volte la semente, la
quota colonica di questo prodotto può salire ai due terzi.[...]
Come nel resto del continente mezzadrile anche in Umbria, nel
corso dell’Ottocento, il patto subisce delle trasformazioni che
corrispondono a una presa più forte della controparte padronale
sulla terra, a un accentuarsi della volontà direttiva. Esempi
salienti: la durata del patto diventa di un solo anno contro i tre
precedenti, l’articolazione degli obblighi sempre maggiore e più
specificata, tanto più se ci sono innovazioni e se ne vuole garantire
l’applicazione
17
.
E’ bene sottolineare che non si può parlare in modo generale di
mezzadria in Italia poiché il contratto è così vario ed elastico che va
esaminato nel tempo e nello spazio per comprenderne i diversi tipi di
17
rapporti di produzione e di situazioni sociali.
Indipendentemente dall’estensione aziendale il sistema prevalente
della mezzadria è stato quello del podere a dimensione abbastanza
flessibile sulla base del principio 1 ettaro, 1 uomo, 1 bovino,
applicato senza eccessiva rigidità, ma senza sbavature e
approssimazioni, almeno là dove hanno prevalso cereali, foraggi,
uva e olivi sparsi nell’ambito urbano-rurale dell’articolata
economia domestica, volta a soddisfare il più possibile le esigenze
del consumo interno delle famiglie e aperta al mercato, che
assorbe (tranne situazioni di particolare miseria) parte delle quote
di pertinenza colonica dei generi chiave e soprattutto del
frumento. Si è accennato al principio dell’1 a 1 a 1, caratteristico
delle mezzadrie grasse, ove la famiglia colonica è ben calibrata
sulla dimensione del podere, in sé più rigida di quella del nucleo
familiare. Occorre chiarire: nei terreni grandissimi e di scomoda
lavorazione questo rapporto nato dall’esperienza realizzata sulle
terre migliori non funziona, o meglio non può funzionare, perché
un grande predio in area montana, ad esempio, non assicura
bastante e vario nutrimento per tutti i componenti della famiglia.
Qui la mezzadria (contratto flessibile per eccellenza) assume tratti
particolari che ne deformano l’attuale perfezione. Lo stesso può
essere detto per i terreni di valle, bene irrigati o irrigabili, ove si
lavora quasi a orto. La manodopera per coltivarli, secondo il
criterio sopra enunciato, risulta insufficiente, implicando l’ortivo
consistente forza-lavoro, mentre sulla linea colturale di fondo,
tipica delle aree mezzadrili, il contadino vuole produrre tutti i
generi che gli occorrono quotidianamente, non potendosi nutrire
sempre di verdure, cosa del resto impossibile per gli andamenti
stagionali [...]. La colonia media dell’Italia mezzadrile oscilla sui 4-
10 ettari, è provvista di casa e di annessi, non è lontana dalle
strade. Questo accade tra fine Settecento e primo Novecento. E’ un
universo che si configura come insieme di minuscole economie-
mondo, nelle quali le famiglie, attraverso una consolidata strategia
di innesti e potature, conservano finché possono il rapporto
ottimale 1 a 1: “bocche da sale per bocche da latte”, donne per
uomini, anziani per giovani, essendo consolidato l’assunto del
consumare per quel che si può produrre. Individui deboli, invalidi,
incapaci, costituiscono “disgrazia” e inopportuno risulta l’eccesso
di proliferazione al femminile, dato che le donne varrebbero meno
e vanno a vivere e a lavorare in casa degli sposi, con esborso di
dote
18
.