9
E’ attraverso il processo di socializzazione che
l’individuo acquisisce tutti gli orientamenti interni, i
sistemi di controlli e le conoscenze che gli permettono di
interpretare il mondo circostante e diventare un membro
della società a tutti gli effetti.
Le prime persone che verranno a contatto con il
bambino, le sue prime esperienze, le abitudini acquisite,
l’ambiente in cui sarà inserito, avranno un ruolo cruciale
non solo nell’infanzia, ma “segneranno” l’individuo per
tutta la vita futura. Durante tale processo si avrà la
formazione della propria identità e della propria coscienza,
in circostanze cariche di componenti emotive.
Particolare importanza acquisteranno, quindi, le
figure socializzanti, che il bambino prenderà a modello
nella prima socializzazione.
Quest’ultime sono state interessate, nel passaggio
dalla prima modernità alla post-modernità, da un radicale
cambiamento.
Se nella prima modernità, il bambino quasi
“ereditava” gli elementi base del processo di
socializzazione dalle due tradizionali agenzie di
formazione, quali la famiglia e la scuola, tale quadro viene
a stravolgersi nella post-modernità con l’introduzione del
mezzo televisivo.
La televisione, infatti, si pone oggi come una vera e
propria istituzione sociale. Ai soggetti in via di sviluppo,
10
quali sono i bambini e gli adolescenti, la televisione sembra
“dischiudere” il mondo, aprire uno “spazio d’esplorazione
a distanza”.
In questa prospettiva, la tv può apparire un’agenzia
di socializzazione sui generis non solo concorrente, ma
addirittura alternativa alle istituzioni tradizionali, non tanto
per i messaggi che veicola, quanto per le modalità in cui
avvengono le esperienze informative e formative delle
nuove generazioni.
La tv consente ai minori di attingere ad un repertorio
pressoché illimitato di informazioni e conoscenze sulla vita
adulta, senza con ciò dover sottostare ai controlli familiari
o sociali.
Per una maggior comprensione dell’argomento
trattato, mi è sembrato necessario specificare l’uso
convenzionale che, in questa sede, si è fatto del termine
“minore”.
Utilizzeremo il termine per indicare la fascia d’età
compresa tra gli zero e i quattordici anni, escludendo tutte
le altre interpretazioni di tipo adultocentriche che da tale
termine potrebbero derivare.
Il termine minore, che spesso verrà sostituito col
termine bambino, dal punto di vista sociologico vuole
individuare quei soggetti in fase evolutiva, il cui processo
di sviluppo non è stato ancora completato.
11
La crescita del bambino in un ambiente familiare
idoneo allo sviluppo della sua personalità è una condizione
indispensabile per un felice completamento del processo di
socializzazione.
La famiglia dovrebbe essere il gruppo sociale in cui
il bambino nelle primissime fasi del suo sviluppo può
“investire” tutte le sue risorse emozionali.
E’ il nucleo familiare che si pone come primo
modello di comportamento per il fanciullo. E’ dai propri
genitori che il bambino trae le prime idee, i valori, i modi
d’esprimersi, le tradizioni.
Non si è potuto trascurare, in ogni modo, la crisi che
sta, da più di un decennio, interessando la famiglia,
determinata principalmente dalla frammentarietà e
contrazione della struttura familiare, dall’attenuazione del
rapporto di coppia, dall’evanescenza della figura paterna.
La televisione ha “approfittato” di questa graduale
perdita dei valori primari per inserirsi come “ospite fisso”
nella vita domestica, contribuendo a modellare i processi di
cambiamento già in atto, per infine rovesciarli in qualcosa
di nuovo ed ulteriore. Per molti fanciulli, quindi, la
televisione rappresenta più che un oggetto, un amico con
cui passare il tempo, quando si è soli ed annoiati.
Ma l’educazione ai valori non può essere delegata
alla televisione, la quale di per sé non ha una valenza
12
positiva o negativa , ma tutto dipende da come viene
impiegata.
Il mio lavoro cerca di dimostrare che la televisione
non ha tutte le colpe che gli vengono attribuite, ma spesso
porta allo scoperto quello che nell’ambito domestico è
latente. La televisione svolge una funzione di supplenza
quando incontra vuoti, mentre la sua azione rimane
circoscritta quando s’inserisce in tessuti forti.
Altra agenzia di socializzazione, seconda solo alla
famiglia, è la scuola.
Un tempo, il compito dell’insegnante era quello di
far sì che i bambini imparassero a leggere, a scrivere, a “far
di conto”. Oggi la scuola si deve porre ambizioni sempre
più vaste. Si tende a trasmettere un “sapere”, un “saper
fare”, e ad approfondire un “saper essere”, in vista
dell’inserimento futuro nel mondo professionale, sociale e
culturale del bambino.
Le finalità dell’educazione rispecchiano, in ogni
tempo, il periodo in cui si vive. La nostra epoca è in veloce
trasformazione, bisogna, quindi, fornire ai bambini i mezzi
per trarre beneficio dagli stimoli posti di continuo
dall’ambiente e per operare su questo con una certa
efficacia.
A tal proposito, ho messo a confronto l’immobilismo
dell’istituzione scolastica con lo sviluppo globale della
13
telematica e della multimedialità. Da questo raffronto la
scuola appare sempre più isolata dal resto della realtà.
Da qui la necessità d’intraprendere, al più presto,
nelle scuole una precoce alfabetizzazione ai media, a
partire da quelli più familiari, come la televisione, per
procedere ad una più ampia esplorazione dell’universo
multimediale.
In Italia, quindi, manca l’abitudine da parte della
scuola di considerare le trasmissioni televisive degne di
studio.
La scuola italiana, anziché aiutare i bambini ad
analizzare e riflettere sui programmi delle varie emittenti,
in modo da cogliere anche i messaggi nascosti, affronta il
discorso dei contenuti televisivi solo per censurare i
messaggi ritenuti pericolosi. In tal modo si coltiva,
inconsciamente, la cultura del proibito e non
s’incoraggiano i ragazzi ad aprirsi con i loro insegnanti.
La famiglia e la scuola devono, invece, aiutare i più
piccoli a capire il linguaggio delle immagini, a diventare
più selettivi e a gestire a proprio vantaggio questa forma di
comunicazione. In questo modo il bambino sarà meno
condizionato dall’esposizione ai messaggi pubblicitari o
alle trasmissioni violente.
L’opinione pubblica, difatti, sta ampiamente
dibattendo sulle tematiche della violenza televisiva e
dell’invasione degli spot pubblicitari e sta valutando in che
14
misura vedere simili spettacoli possa influenzare le
abitudini, i comportamenti, le opinioni e i sentimenti dei
bambini.
Si è, difatti, posto l’accento sui molteplici effetti,
determinati dall’esposizione alla violenza televisiva e il
ruolo che la famiglia, la scuola, ma soprattutto i produttori
televisivi possono avere per limitare gli effetti più
disastrosi.
Non di minore importanza è la pioggia di spot che
invade i programmi televisivi, soprattutto quelli destinati ai
minori.
E’ risaputo che i pubblicitari da sempre hanno
considerato i bambini un target privilegiato. Difatti i più
piccoli, a cui, giorno dopo giorno, con insistenza
martellante, vengono proposti giocattoli, capi
d’abbigliamento, alimenti confezionati, tecnologie,
sviluppano i gusti, le visioni del mondo proposte dalla
pubblicità, oltre che una sottile insoddisfazione destinata a
placarsi soltanto nel momento dell’acquisto.
I bambini tendono a memorizzare i messaggi
pubblicitari in misura superiore a qualsiasi altro messaggio
proveniente dal teleschermo, vuoi perché spesso gli attori
sono altri bambini, favorendo l’identificazione, vuoi perché
di solito gli spot sono costruiti su situazioni eccitanti, con
giochi , suoni e luci, o semplicemente perché gli spot sono
15
facili da memorizzare, essendo brevi, contrassegnati da
canzoncine, ritmi semplici, accattivanti, slogan.
Ma accanto alle mire di vendita e persuasione dei
pubblicitari, abbiamo voluto affiancare anche il ruolo
positivo che la pubblicità sociale può avere sui più piccoli,
sensibilizzandoli, magari sfruttando le stesse tecniche della
pubblicità commerciale, alle campagne a favori di
tematiche sociali.
16
Capitolo primo
Tra apocalittici ed integrati
1.1 Televisione, pericolo da evitare o opportunità
da sfruttare?
Gli studi sulle comunicazioni di massa sono sorti
all’insegna della problematica tra “apocalittici” ed
“integrati”.
1
I primi, gli “apocalittici”, sostennero la pericolosità
della televisione, tacciata di svolgere una “funzione
manipolatoria” della coscienza, tale da prefigurare una
società “amministrata” dai detentori del potere politico.
I secondi, gli “integrati”, al contrario, hanno
sostenuto che la diffusione delle informazioni favorisce la
chiarezza delle scelte e l’assunzione delle responsabilità.
1
Cfr Eco U. (1964), Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e
teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano, in Martelli S. (1996),
Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media, Franco Angeli,
Milano, pagg. 26-27.
17
Sostengono che i massa media
2
sono strumenti di
democrazia, in quanto integrano i cittadini nelle istituzioni,
informandoli sui problemi e le possibili soluzioni, e quindi
consentendo loro di approvare o meno le scelte dei
governanti.
In realtà il dibattito tra “apocalittici” ed “integrati” è
aperto da decenni e si rinnova ad ogni scoperta tecnologica.
Ma è anche vero che la globalizzazione delle
comunicazioni sta rivoluzionando l’ambito comunicativo,
le modalità d’apprendimento e l’elaborazione di saperi
nella società contemporanea.
L’esposizione alla Tv dei bambini, fin dalla
primissima infanzia, per lunghe ore al giorno
3
è un fatto
gravido di effetti sullo sviluppo della personalità.
I fenomeni sociali possono essere osservati da
diversi punti di vista. Uno di questi è la distinzione fra la
prospettiva “ macro-sociologica” e la prospettiva “micro-
sociologica”. Si avrà, quindi, la possibilità di osservare i
mass media sia come una costituzione all’interno della
2
Il termine mass media è utilizzato, comunemente, per indicare i mezzi di
comunicazione di massa. Viene utilizzata anche la forma abbreviata
medium, ereditata dal latino. L’origine delle comunicazioni di massa si fa
risalire all’invenzione del telegrafo e della fotografia, tuttavia soltanto a
partire dagli anni Cinquanta il fenomeno ha dimensioni di massa.
3
I più recenti dati Istat (2005) confermano che il 96,8% dei bambini
italiani, di età compresa tra i 3 e i 10 anni, guardano la tv tutti i giorni;
l’esposizione è massiccia tra i più piccoli (3-5 anni: 81,1%), anche se è
nella fascia in età scolare (6-14 anni) che si raggiunge la percentuale più
alta.
18
società più ampia (livello “macro”), sia come strumenti
nelle relazioni tra individui e gruppi (livello “micro”).
Entrambe le prospettive hanno prodotto contributi
notevoli. Costituiscono il primo punto di vista le teorie e le
ricerche che cercano di spiegare l’influenza dei mass media
sull’organizzazione sociale, la società e la cultura. Sotto il
secondo si raccoglie una varietà ampia di contributi sul
tema dei loro effetti su individui e gruppi, e su come questi
li impiegano nella relazioni sociali.
4
Il lavoro svolto si soffermerà quasi esclusivamente
sulle teorie micro-sociologiche, in quanto il mio obiettivo
di studio è quello di rilevare l’esperienza individuale,
ovvero gli effetti della televisione sui singoli individui o a
livello di audience.
5
Il punto di vista micro-sociologico sembra
rispondere alla domanda: che cosa provoca nella gente
l’esposizione ai mass media?
L’obiettivo è quello di spiegare le relazioni tra i
messaggi dei mass media e fenomeni, come gli
atteggiamenti, i modelli percettivi, l’imitazione di modelli
4
Martelli S. (1996), Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi
media, Franco Angeli, Milano, pagg. 28-34.
5
Dall’inglese, significa uditorio. Usato per la prima volta, nel 1928, per
indicare il numero di ascoltatori di un programma radiofonico, il termine
indicava la quantità di persone raggiunte da un messaggio pubblicitario
attraverso i canali massmediali (radio, televisione, cinema e carta
stampate). Si usa anche come sinonimo d’indice d’ascolto, in altre parole la
quantità di telespettatori che seguono una certa trasmissione.
19
di comportamento, l’elaborazione di decisioni o d’azioni
più esplicite come il voto o l’acquisto.
Esempi di teorie micro-sociologiche sono il modello
behavioristico o comportamentista, basato sul modello
stimolo-risposta, e l’approccio «usi e gratificazioni», che
muove dall’idea di pubblico non passivo di fronte ai media.
1.2 Il modello stimolo-risposta
Nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali si
afferma l’idea che la natura umana sia neutra e che possa
venire modellata in qualsiasi forma. La base della realtà si
trova nel mondo obiettivo e materiale delle azioni fisiche.
Il comportamento direttamente osservabile dall’esterno è
l’unico oggetto d’indagine, senza necessità di cercare le
cause all’interno dell’individuo.
6
Il presupposto comportamentista nega la realtà delle
pulsioni, delle emozioni, dei tratti della personalità, degli
atteggiamenti.
6
Per una trattazione approfondita del modello comportamentista si veda la
rivista bimestrale «Psicologia contemporanea», 49, Giunti e Barbera,
Firenze, dove vengono esposte con minuziosa analisi le tesi dei Skinner B.
F. proposte nel testo Walden II (1948).
20
La posizione sostenuta da tale modello potrebbe
essere sintetizzata con l’affermazione che “ogni membro
del pubblico di massa è personalmente e direttamente
attaccato dal messaggio”
7
.
Quindi il comportamentismo (behaviorism)
8
è la
psicologia dello stimolo-risposta (S-R): esso studia gli
stimoli che sollecitano particolari forme di risposta, intese
come azioni chiaramente osservabili.
L’isolamento del singolo individuo nella massa
anonima è il prerequisito della prima teoria sui media.
Blumer sottolinea che gli individui – in quanto
componenti della massa – sono esposti ai messaggi,
contenuti, eventi, che vanno al di là della loro esperienza.
9
7
Wright C.R. (1975), Mass Communications: Sociological Approach, 2
nd
ed., Random House, New York, in Wolf M., opera citata, pag. 16.
8
Il paradigma psicologico del comportamentismo si può far risalire
all’opera di Watson Psycology as Behaviorist Views It: esso si proponeva
di studiare i contenuti psicologici attraverso le manifestazioni osservabili.
In tal modo la psicologia veniva a collocarsi tra le scienze biologiche. Il
comportamento rappresentava l’adattamento dell’organismo all’ambiente.
Watson fece un famoso esperimento sul figlio Albert, di undici mesi. Il
bambino era abituato a vedere nei topi bianchi un motivo di divertimento,
ma imparò ad averne un vero e proprio terrore a seguito d’alcune prove in
cui ogni volta che gli erano presentati, veniva prodotto un intenso e
spaventoso rumore metallico. Partendo da questa dimostrazione, Watson
sviluppò le prime concezioni, portate poi all’estremo quando, nel 1925,
scrisse “Fatemi allevare col mio metodo una dozzina di bambini sani e
garantisco che ciascuno di essi diventerà il tipo d’individuo che voglio:
medico, avvocato, artista, mendicante o ladro”.
9
Wolf M. (1995), Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano,
pag. 20.
21
Wright Mills afferma che “ciascun individuo è un
atomo isolato che reagisce da solo agli ordini e alle
suggestioni dei mezzi di comunicazione di massa
monopolizzati”.
10
Lo scopo della psicologia behavioristica è quello di
studiare il comportamento umano con gli stessi metodi
dell’esperimento e dell’osservazione, tipici delle scienze
naturali e biologiche.
Nella relazione complessa tra organismo e ambiente,
l’elemento cruciale è rappresentato dallo stimolo (S): esso
comprende gli oggetti e le condizioni esterne al soggetto,
che ne producono una risposta (R).
Lo stimolo, nel suo rapporto con il comportamento, è
la condizione primaria, o l’agente, della risposta.
Il presupposto comportamentista si basava su assunti
che, la teoria generale non considerò più sostenibili e, di
conseguenza, gli studiosi dei mass media dovettero
abbandonarla, sia pure con riluttanza.
Nel frattempo, mentre si ideavano nuovi paradigmi
generali, capaci di descrivere meglio la natura umana, lo
studio delle comunicazioni di massa si dotò di una base
empirica.
11
10
Wright Mills C. (1963), “Power, politics and people”, Oxford University
Press, New York (trad. it Saggi di sociologia della conoscenza, Bompiani,
Milano, 1981, pag. 203).
11
Martelli S.(1996), Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi
media, Franco Angeli, Milano, pagg. 31-33.
22
1.3 Dalla speculazione teorica alla base empirica
Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni
Trenta, gli studiosi s’interessarono ai media come oggetto
di ricerca e incominciarono a passare, dalla semplice
speculazione teorica sugli effetti, allo studio sistematico
dell’impatto di particolari contenuti su determinate
tipologie di individui.
I risultati delle ricerche rivelarono a poco a poco un
quadro che non si conciliava con il presupposto
comportamentista.
Gli studi empirici sugli effetti delle comunicazioni di
massa incominciarono negli anni Venti con le ricerche del
Payne Fund, un programma ad ampio raggio per lo studio
degli influssi del cinema sui bambini.
I film erano un medium nuovo, appena arrivato con
il nuovo secolo e in meno di Venti anni si trasformò in
un’importantissima forma d’intrattenimento familiare.
Le ricerche del Payne Fund studiarono l’impatto
dell’esposizione ai film sui pensieri e il comportamento di
migliaia di bambini. I risultati delle ricerche sembravano
confermare l’idea che i film influenzavano pesantemente il
loro pubblico.
12
12
Charters W. W. (1934), Motion Pictures and Youth, MacMillam, New
York, in DeFleur M. L., Ball-Rokeach S. J.(1995), Teorie delle
comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna, pagg. 183-184.