Introduzione
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Al fine di approfondire la tematica, di verificare lo stato attuale della diffusione di
progetti di raccolta differenziata all’interno di enti pubblici/privati presenti sul territorio
modenese e di fare conoscere le “buone pratiche” in uso, ho cercato di presentare alcune
delle esperienze più significative in questo senso, anche se profondamente diverse fra loro.
Non è possibile in questo caso operare confronti diretti ma è comunque importante
illustrare le diverse motivazioni che convergono in un obiettivo comune: la promozione di
una gestione dei rifiuti più responsabile, un impegno che nella realtà modenese è più
concreto e diffuso di quanto possa apparire.
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1. QUADRO NORMATIVO
1.1 Alcune considerazioni introduttive
Le problematiche connesse alla produzione di rifiuti hanno assunto negli ultimi decenni
proporzioni sempre maggiori in relazione al miglioramento delle condizioni economiche,
al veloce progredire dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle
aree urbane; la generazione di materiale di scarto è infatti progressivamente aumentata
quale sintomo della crescita economica e dell’aumento dei consumi. La diversificazione
dei processi produttivi ha inoltre moltiplicato le tipologie dei rifiuti, generando impatti
sempre più pesanti sull’ambiente e sulla salute.
Una volta prodotti, si pone il problema della gestione e dello smaltimento
ecocompatibile; problema complesso da affrontare in chiave sociale, economica, ed
ambientale, con l’obiettivo generale dell’uso razionale e sostenibile delle risorse. Una
corretta politica di gestione deve essere globale, attenta cioè a tutto il ciclo del prodotto che
a fine vita diventa rifiuto, e fondata su principi di responsabilità estesa e condivisa; per
questo è importante agire sin dalla progettazione del bene e, successivamente, nelle varie
fasi della sua vita: produzione, distribuzione e consumo.
A livello europeo [1] nel 2001 è stata stimata una produzione annuale di rifiuti urbani
pari a 210 milioni di tonnellate, con una media pro capite di circa 550 kg/abitante per anno.
Il Lussemburgo fa registrare il pro capite prodotto più alto (673 kg/abitante per anno), la
Grecia quello più basso (431 kg/abitante per anno); l’Italia si colloca al decimo posto con
516 kg/abitante per anno, un valore che è cresciuto del 30% circa rispetto al 1993.
Quadro normativo
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398 398
450
452
462
466
492
501
516
0
100
200
300
400
500
600
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
k
g
a
b
i
t
a
n
t
e
-
1
a
n
n
o
-
1
Fig. 1.1: Trend di produzione dei rifiuti urbani in Italia (1993-2001)
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, nonostante il fatto che le normative
vigenti nei diversi paesi europei pongano limiti sempre più severi allo smaltimento in
discarica, questa rimane purtroppo l’opzione maggiormente diffusa (impiego nel 54% dei
casi); seguono l’incenerimento (16%), il riciclo (14%) ed il compostaggio (10%).
Dall’analisi di tali dati risulta evidente la necessità di azioni preventive finalizzate a
diminuire la produzione dei rifiuti alla fonte, incoraggiare il recupero nelle forme del
riutilizzo, del riciclaggio e del recupero energetico, in particolare incentivando le raccolte
selettive. Parallelamente, è comunque sempre indispensabile garantire la sostenibilità dello
smaltimento attraverso una rete di impianti dotati delle migliori tecnologie disponibili e di
forme di recupero.
La politica ambientale dell’Unione europea si fonda pertanto sui seguenti principi
fondamentali:
• Principio di prevenzione: ridurre al minimo ed evitare per quanto possibile la
produzione di rifiuti;
• Responsabilità del produttore e principio “Chi inquina paga”: chi produce rifiuti
o contamina l’ambiente deve pagare interamente il costo di queste operazioni;
• Principio di precauzione: prevedere i problemi potenziali;
• Principio di prossimità: smaltire i rifiuti il più vicino possibile al punto di
produzione.
Quadro normativo
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Questi principi sono stati resi più concreti nella strategia generale sui rifiuti dell’UE
(1996) che stabilisce la gerarchia preferenziale delle operazioni di gestione: prevenzione,
riciclo e riutilizzo, smaltimento finale ottimale e migliore monitoraggio.
Coerentemente con gli indirizzi comunitari, da un sistema incentrato prevalentemente
sullo smaltimento, l’assetto normativo nazionale e le conseguenti scelte economiche si
stanno lentamente orientando verso la gestione integrata delle diverse fasi del ciclo dei
rifiuti (raccolta, trasporto, recupero e smaltimento) imperniata prevalentemente su obiettivi
di efficacia ed economicità, ferma restando l’esigenza della tutela della salute e
dell’ambiente.
1.2 Il decreto Ronchi e le sue conseguenze
La norma quadro nazionale di riferimento in materia è indubbiamente il decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti,
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),
che introduce un ordine di priorità per le diverse fasi di vita dei rifiuti secondo il principio
delle 3R:
1. riduzione della produzione e della pericolosità;
2. riutilizzo e riciclaggio;
3. recupero, nelle sue diverse forme (materia, energia);
4. smaltimento in condizioni di sicurezza quando tutte le altre alternative non sono
praticabili.
Il decreto promuove un nuovo concetto di rifiuto, inteso come una risorsa da gestire in
modo “integrato”, ossia efficiente dal punto di vista economico e corretto dal punto di vista
ambientale.
Lo schema seguente illustra in estrema sintesi i principi del decreto (art. 2, 3, 4, 5).
Quadro normativo
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Fig. 1.2: Principi fondamentali del decreto Ronchi
All’art. 6 vengono fornite una serie di definizioni tra le quali sono fondamentali quelle
di:
• Rifiuto: “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell’Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi”;
• Detentore: “il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene”;
Gestione dei rifiuti
Principi generali
• La gestione dei rifiuti è attività di pubblico interesse e deve assicurare un elevato livello di
protezione ambientale e controlli efficaci
• I rifiuti devono essere recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza
causare danni all'ambiente
• La gestione dei rifiuti deve avvenire nel rispetto dei principi di responsabilizzazione e
cooperazione di tutti i soggetti coinvolti
Priorità
• Prioritaria è la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti
• La gestione dei rifiuti viene suddivisa nelle fasi di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento
• Il recupero è prioritario rispetto allo smaltimento
Riduzione produzione
• Sviluppo di tecnologie
pulite e tecniche per
l’eliminazione delle
sostanze pericolose
• Promozione di ecoaudit,
analisi del ciclo di vita,
strumenti economici
• Sviluppo di prodotti eco-
compatibili
• Promozione di accordi e
contratti di programma
Recupero
Lista delle priorità:
• Riutilizzo
• Riciclaggio
• Recupero di materia
• Recupero energetico
Il recupero viene
incentivato attraverso
procedure semplificate
Smaltimento
• Ha carattere residuale
all’interno delle attività
di gestione
• Obiettivi primari:
riduzione e gestione
integrata, autosufficienza
nello smaltimento dei
rifiuti urbani non
pericolosi in ambiti
territoriali ottimali
Quadro normativo
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• Produttore: “la persona la cui attività ha prodotto i rifiuti e la persona che ha
effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che
hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti”.
L’analisi delle “Categorie di rifiuti” presenti nell’Allegato A porta ad evidenziare 3
generi di rifiuti: prodotti (che possono essere fuori norma, scaduti o non più utilizzati),
sostanze (qualsiasi materia organica o inorganica) e residui. Il decreto lascia comunque
aperta la possibilità per un numero non definito di rifiuti.
Con la distinzione tra produttore e detentore, il decreto si propone di attribuire rilievo
esclusivo alla relazione materiale con il bene che costituisce rifiuto, al fine di garantire che
nessuno possa sottrarsi agli obblighi previsti per legge per i rifiuti.
Le attività sui rifiuti citate dal decreto sono diverse: trasporto, raccolta, raccolta
differenziata, smaltimento (operazioni previste nell’Allegato B), recupero (operazioni
previste nell’Allegato C), stoccaggio, deposito temporaneo.
All’art. 7, il decreto introduce inoltre un nuovo sistema di classificazione dei rifiuti che
si basa sulla loro origine (distinguendo tra rifiuti urbani e rifiuti speciali) e sulla
pericolosità (distinguendo tra rifiuti pericolosi e non pericolosi).
I rifiuti urbani sono composti sostanzialmente dai rifiuti provenienti dalle attività
domestiche, dallo spazzamento delle strade, dalle aree verdi, da attività cimiteriali e da
quelli non pericolosi, assimilati agli urbani, provenienti da altre attività; la definizione di
quest’ultima categoria è di competenza delle amministrazioni locali. Fanno parte invece
dei rifiuti speciali quelli provenienti dalle attività produttive (agricole, agro-industriali,
artigianali, commerciali, di servizio, sanitarie), quelli derivanti dalle attività di recupero e
di smaltimento dei rifiuti e i fanghi derivanti dal trattamento delle acque o
dall’abbattimento di fumi.
Sia i rifiuti urbani, sia quelli speciali, possono essere pericolosi o non pericolosi; questo
dipende dalle sostanze in essi contenute. I rifiuti pericolosi sono elencati nell’allegato D
del decreto.
Dal campo di applicazione del decreto sono esclusi ad esempio (art. 8) gli effluenti
gassosi emessi nell’atmosfera, i rifiuti radioattivi, quelli provenienti dalle attività estrattive
e le acque di scarico.
E’ ribadito il principio comunitario del “chi inquina paga”, in virtù del quale i produttori
e i detentori di rifiuti speciali devono provvedere a loro iniziativa e spese alla gestione dei
rifiuti stessi.
Quadro normativo
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Tra le conseguenze organizzative derivate dal decreto, in aggiunta all’assegnazione di
precise competenze a Stato, Regioni, Province e Comuni (art. 18-21), sono fondamentali:
• la predisposizione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti (art. 22);
• il concetto di gestione dei rifiuti urbani in ambiti territoriali ottimali (art. 23);
• l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti (art. 26) e del Consorzio
Nazionale Imballaggi (art. 41), che a sua volta raggruppa diversi consorzi di
filiera
1
;
• la sostituzione del precedente sistema di tassazione con un sistema tariffario (art.
49) che prevede che una quota della tariffa sia rapportata alla quantità di rifiuti
effettivamente prodotti; la tariffa deve essere in grado di coprire integralmente i
costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Il sistema sanzionatorio (art. 50-55) prevede sia sanzioni penali, sia sanzioni
amministrative; sono considerati reati i comportamenti che ledono l’interesse ambientale
mentre sono illeciti amministrativi le violazioni di natura strumentale.
Un aspetto molto rilevante del decreto è l’attenzione posta sulla raccolta differenziata; il
decreto segna il superamento per la raccolta differenziata di una logica di tipo
“aggiuntivo”, caratterizzata dalla presenza abbastanza sporadica di punti di raccolta, a
favore di una logica di tipo “integrato” flessibile ed articolata, tesa a creare efficienti
impianti di recupero e a consolidare la diffusione dell’utilizzo dei prodotti recuperati.
All’art. 24 vengono indicati degli obiettivi minimi da raggiungere in tutti gli ambiti
territoriali ottimali.
Tab. 1.1: Obiettivi minimi di raccolta differenziata da raggiungere in ogni ATO
Anno Obiettivo minimo
1999 15%
2001 25%
2003 35%
Per quanto riguarda i risultati ottenuti [1], tra il 1999 ed il 2003 la raccolta differenziata
ha fatto registrare, a livello nazionale, un incremento pari a 2,7 milioni di tonnellate (da 3,7
a 6,4 milioni di tonnellate) corrispondente ad una crescita percentuale del 73,3%.
1
CIAL per l’alluminio, CO.RE.PLA per la plastica, CO.RE.VE per il vetro, RILEGNO per il legno,
COMIECO per la carta, Consorzio Nazionale Acciaio per l’acciaio.
Quadro normativo
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Nello stesso periodo la produzione complessiva dei rifiuti urbani ha fatto rilevare un
aumento inferiore ad 1,7 milioni di tonnellate, equivalente, in termini percentuali, ad una
crescita del 5,9%.
Nel 2002, la raccolta differenziata era pari al 19,2% della produzione totale dei rifiuti
urbani e nel 2003 al 21,5%. A livello nazionale, l’obiettivo fissato dal decreto Ronchi per il
2001 non era ancora stato conseguito.
Analizzando l’andamento della raccolta differenziata nelle tre macroaree geografiche
italiane, si rileva che il Centro, la cui percentuale di raccolta differenziata si collocava al
14,6% nel 2002 ed al 17,1% nel 2003, ha raggiunto con quattro anni di ritardo il target del
15% individuato per il 1999. Il Nord, che aveva raggiunto nel 2001, il target del 25% di
raccolta differenziata, si collocava nel 2002 e nel 2003, a valori percentuali pari,
rispettivamente, al 30,6% e 33,5%; non è stato quindi raggiunto l’obiettivo del 35% fissato
dal decreto Ronchi per il 2003.
Decisamente inferiori erano i tassi di raccolta nel sud Italia; la percentuale si collocava
al 6,3% nel 2002 ed al 7,7% nel 2003.
Fig. 1.3: Percentuali di raccolta differenziata per regione 2003 [1]
Quadro normativo
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Purtroppo la percentuale media nazionale di raccolta differenziata nel 2004 [2] si attesta
sul 23,5%, un valore ancora lontano dall’obiettivo di legge. Questo risultato è
indubbiamente influenzato dalle criticità di numerose province del Centro-Sud, che
continuano a smaltire in discarica l’80-90% del rifiuto urbano prodotto.
L’applicazione della tariffa sui rifiuti urbani può costituire un forte incentivo alla
prevenzione e alla raccolta differenziata; se ben proporzionata alla quantità di rifiuti
generati, specie se indifferenziati, può favorire la nascita di comportamenti virtuosi: quanto
più la tariffa sarà direttamente collegata ai comportamenti individuali, tanto più essa potrà
risultare efficace nella promozione della raccolta differenziata e di comportamenti
maggiormente responsabili da parte dell’utenza.
Il decreto pone giustamente grande attenzione alla problematica della gestione degli
imballaggi (art. 34-43). Per avere un’idea dell’entità del problema, nel 1998 ben 7,2
milioni di tonnellate di imballaggi erano smaltite in discarica; nel 2004 tale valore è stato
pari a 4,4 milioni di tonnellate.
Un elemento ben evidenziato dal decreto Ronchi è che il consumatore finale non dovrà
sostenere alcun costo diretto per la raccolta e il recupero dei rifiuti da imballaggio; i costi
della raccolta e delle successive operazioni di recupero devono infatti essere sostenuti dalle
aziende produttrici ed utilizzatrici di imballaggi, riunite nel CONAI. Infatti, in base
all’articolo 38 del decreto: “i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta
gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei
propri prodotti”; inoltre “i produttori e gli utilizzatori adempiono all’obbligo della raccolta
dei rifiuti di imballaggi” e a tal fine “sono obbligati a partecipare al Consorzio Nazionale
Imballaggi” (CONAI).
Il Contributo Ambientale CONAI, stabilito per ciascuna tipologia di materiale di
imballaggio, rappresenta la forma di finanziamento attraverso la quale CONAI ripartisce
tra produttori e utilizzatori i costi della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero
dei rifiuti di imballaggi primari, secondari e terziari. Tali costi, vengono ripartiti “in
proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del materiale di imballaggio
immessi sul mercato nazionale”.
Quadro normativo
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Nell’allegato E del decreto sono fissati precisi obiettivi di recupero e riciclaggio per gli
imballaggi, da raggiungere entro il 2002. I nuovi target, da raggiungere entro il 2008 per
l’Italia
2
, vengono definiti dalla direttiva europea 2004/12/CE, che modifica la direttiva
94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio. La direttiva fissa obiettivi differenziati
per i vari materiali, ma stabilisce anche target complessivi di recupero e riciclo che
risultano maggiori della media ponderata degli obiettivi delle singole filiere: ne consegue
che ogni materiale dovrà compiere uno sforzo maggiore rispetto ai singoli target al fine di
contribuire al raggiungimento del risultato di sistema.
Tab. 1.2: Nuovi obiettivi della direttiva europea 2004/12/CE (% in peso)
Tipologia di operazione Obiettivi
Recupero dei rifiuti di imballaggi Minimo 60%; nessuna soglia massima.
Riciclaggio dei materiali di imballaggio
Nel loro complesso:
minimo 55%, massimo 80%.
Per ogni materiale:
minimo 60% per vetro, carta e cartone;
minimo 50% per i metalli;
minimo 22,5% per la plastica;
minimo 15% per il legno.
Tali obiettivi appaiono raggiungibili; alla fine del 2004 [3] il sistema consortile aveva
raggiunto un recupero complessivo pari al 62,6% dell’immesso al consumo
3
, ed un
risultato di riciclo del 53,7%. Il dato del recupero è gia superiore all’obiettivo stabilito
dalla nuova Direttiva imballaggi per il 2008, mentre quello del riciclo è solo di poco
inferiore all’obiettivo complessivo da raggiungere in tale anno.
2
I target della direttiva sono da raggiungere entro il 2008 per Austria , Belgio, Danimarca, Finlandia,
Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Regno Unito; entro il 2011 per
Grecia, Irlanda e Portogallo; entro il 2012 per Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania,
Slovacchia, Slovenia; entro il 2013 per Malta, il 2014 per la Polonia ed il 2015 per la Lettonia.
3
Per “imballaggi immessi al consumo” si intendono quegli imballaggi che, utilizzati sul territorio italiano,
divengono a fine vita rifiuti sullo stesso territorio (al netto degli imballaggi a rendere).
Quadro normativo
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53,7%
54,5%
45,5%
62,4%
56,2%
24,8%
59,7%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
Totale Acciaio Alluminio Carta Vetro Plastica Legno
Fig. 1.4: Risultati riciclo 2004 (totale e per le diverse frazioni)
Tra gli strumenti legislativi più forti introdotti per raggiungere i target fissati dal decreto
Ronchi, vi sono il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (attuazione della direttiva
1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) e il decreto ministeriale 3 agosto 2005
(definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica). Tali normative si
prefiggono, coerentemente con gli obiettivi comunitari, di privilegiare quanto più possibile
il recupero di materia ed energia dai rifiuti, ponendo limiti sempre più severi sullo
smaltimento in discarica. In particolare mirano a limitare il contenuto organico dei rifiuti
destinati alla discarica dal momento che il materiale biodegradabile, oltre a essere causa di
cedimenti e instabilità nel corpo della discarica, rende difficile mantenere l’integrità del
sistema di copertura, e rappresenta una delle principali fonti di emissione di metano,
responsabile del riscaldamento dell’atmosfera; viene inoltre vietato lo smaltimento di
rifiuti che non abbiano subito un trattamento volto a ridurne la pericolosità e a migliorarne
le caratteristiche meccaniche.
All’art. 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003 vengono definiti precisi obiettivi di
riduzione del conferimento di rifiuti biodegradabili in discarica; a tale proposito le Regioni
sono tenute, entro un anno dall’entrata in vigore del decreto, all’elaborazione di uno
specifico programma ad integrazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti.
Quadro normativo
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Tab. 1.3: Obiettivi del conferimento di rifiuti biodegradabili in discarica da raggiungere in ogni
ATO
Anno Obiettivo
2008 < 173 kg/anno per abitante
2011 < 115 kg/anno per abitante
2018 < 81 kg/anno per abitante
All’art. 6 viene introdotto, a partire dal 1/1/2007, il divieto di smaltire in discarica i
rifiuti con potere calorifico inferiore maggiore di 13.000 kJ/kg; tale disposizione imporrà la
ricerca di forme alternative di smaltimento per quei rifiuti, quali, ad esempio, il fluff di
macinazione degli autoveicoli, dotati di un buon potere calorifico.
Viene espresso (art. 7) il divieto di conferire rifiuti non trattati in discarica; per
“trattamento” si intendono: “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le
operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il
volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di
favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”.
Il decreto legislativo introduce requisiti tecnici e modalità operative molto stringenti per
tutti gli impianti di discarica che dovranno conformarsi alla nuova disciplina anche per
quanto attiene il nuovo regime delle garanzie finanziarie. L’obiettivo è quello di
riequilibrare i costi di smaltimento in discarica rispetto ai costi relativi ad altre forme di
smaltimento e/o recupero; un costo eccessivamente basso della discarica ha infatti
comportato un ricorso assai diffuso a tale forma di gestione dei rifiuti.
La nuova disciplina ha previsto anche le modalità di adeguamento al nuovo sistema per
gli impianti esistenti; in particolare (art. 17), il titolare dell’autorizzazione, era tenuto, per
poter continuare ad operare, a presentare all’autorità competente, entro il 27 settembre
2003, un piano di adeguamento della discarica alla prescrizioni del decreto, incluse le
garanzie finanziarie. Tale obbligo ha indotto molti gestori di impianti in via di esaurimento
a valutare l’opportunità economica di continuare l’attività, a causa soprattutto della
necessità di presentare nuove garanzie finanziarie in grado di coprire i costi della gestione
post operativa almeno trentennale.
I rigidi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica fissati dal decreto ministeriale 3
agosto 2005, soprattutto per quanto attiene al contenuto di sostanza organica, non
consentiranno più lo smaltimento in discarica di molte tipologie di rifiuti ad elevato
contenuto di sostanze organiche, avviandole verso altre forme di trattamento.