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tradizionalmente indisciplinati sul fronte della finanza pubblica, una volta
entrati nell’euro, tornassero alle vecchie abitudini con conseguenze per la
stabilità macroeconomica e monetaria dell’UEM e inevitabili ripercussioni sul
tasso di cambio della nuova moneta. L’idea del Patto è di trasformare i criteri
d’ingresso in regole che garantiscono la disciplina di bilancio nell’area
dell’euro.
Il Patto è, nell’opinione prevalente, considerato come una grande innovazione:
“il Patto deve essere considerato come uno dei maggiori tentativi di
coordinamento politico della storia. La sua costruzione lo rende per alcuni
aspetti comparabili all’adozione del sistema di cambi di Bretton Woods”(Artis,
2002).
Come, purtroppo, da più parti era stato preventivato, le condizioni di partenza
di numerosi paesi membri dell’UEM unite al sopraggiunto rallentamento
ciclico della seconda metà del 2001, che ha portato l’economia europea ad una
fase di stagnazione, hanno duramente ostacolato e in diversi casi impedito la
delicata fase che, nel medio periodo, doveva portare i bilanci dei membri
dell’UEM “vicino al pareggio o in surplus”.
Poiché il Patto di Stabilità e Crescita è stato costruito in modo da garantire
l’utilizzo completo degli stabilizzatori automatici, senza alcun pericolo di
violazione del criterio del deficit, solo nel caso in cui il paese abbia raggiunto il
suo “obiettivo di medio termine”, l’allontanamento da questo obiettivo causato
dalle difficoltà economiche nell’UEM e l’impossibilità di affrontare con i
5
mezzi necessari la negativa fase congiunturale, hanno fatto sorgere diversi
dubbi sulla efficacia e sulla saggezza di tale sistema di regole.
E’ da sottolineare che alcune di queste critiche, in particolar modo sul versante
politico, hanno implicitamente lo scopo di negare possibili responsabilità
nazionali nella deludente crescita economica dei propri paesi, e di
conseguenza, nell’eventuale mancato rispetto dei vincoli del Patto. Nonostante
ciò, analizzando i dati di crescita dei paesi dell’area dell’euro con quelli del
resto del mondo, si nota che c’è una netta differenza a favore di quest’ultimi.
Una delle cause che ha determinato la stagnazione dei paesi dell’area euro,
secondo molti, è il Patto di Stabilità che impedisce politiche fiscali espansive a
paesi come l’Italia, la Francia e la Germania che si trovano al limite del
rapporto debito/pil.
Negli ultimi anni sono state avanzate numerose proposte di modifica o
correzioni interpretative delle regole già esistenti, che, prendendo soprattutto
spunto dalle difficoltà riscontrate nell’applicazione del PSC, tentano di
apportare quei miglioramenti ritenuti, oramai, nell’opinione prevalente,
necessari. Le proposte su cui si dibatte sono varie. Secondo alcuni ci sarebbe
l’esigenza di distinguere la componente ciclica da quella strutturale del deficit
ed eventualmente indicare un tetto (oggi soltanto 3%) soltanto per quella
strutturale.
6
Secondo altri bisognerebbe applicare la cosiddetta “golden role”, ovvero l’idea
secondo la quale gli investimenti pubblici dovrebbero essere scorporati dal
computo del deficit.
Altra proposta è quella di spostare l’attenzione dal deficit al debito pubblico, in
quanto ora si tratta allo stesso modo paesi come l’Italia o il Belgio con debiti
pubblici superiori al 100% e paesi come il Lussemburgo che non ne hanno.
Questa proposta è stata portata avanti da Jean Pisani-Ferri e si basa sull’idea di
permettere ai paesi con finanze pubbliche strutturalmente sane - basso debito e
basse passività implicite - di fuoriuscire dal Patto (e dal Trattato) e avere più
flessibilità sul deficit.
Il 22-23 marzo 2005, al Consiglio europeo di Bruxelles, queste proposte sono
sfociate in una riforma del Patto.
La posizione del nostro Paese, in accordo a quella della Francia, è quella di
lasciare nel breve periodo maggiori spazi di manovra alla politica industriale
del singolo paese, e dunque di considerare nella valutazione del rispetto dei
parametri le tipologie di spesa pubblica affrontate (ad esempio finanziamenti
per l'innovazione tecnologica o la Ricerca e Sviluppo) e l'esistenza di riforme
strutturali in corso.
Queste posizioni sono state anticipate già nei lavori dell'ECOFIN (l'incontro
dei rappresentanti dei ministri dell'economia e delle finanze) del 20 marzo del
2005, rispetto il quale la stessa Banca Centrale Europea ha espresso il giorno
successivo alcune preoccupazioni in tema di controllo dei prezzi, tassi
7
d’interesse e spesa pubblica. Il Consiglio europeo, in linea con quanto previsto
dall'art. 104 del Trattato CE che prevede che gli Stati membri debbano evitare
disavanzi pubblici eccessivi, ha ribadito l'importanza del Patto di Stabilità
quale strumento di sorveglianza del bilancio e di gestione coordinata delle
politiche economiche nazionali e ne ha sottolineato il valore in termini di
stabilizzazione macroeconomica a livello dell'intera Unione. La garanzia di
un'inflazione debole, unitamente a tassi d'interesse poco elevati sono ritenuti, di
fatto, come elementi essenziali per il conseguimento di elevati livelli
occupazionali e di alti livelli di crescita economica nel lungo termine. Il
Consiglio europeo ha accolto le proposte del Consiglio ECOFIN destinate ad
essere recepite dalla Commissione europea per una modifica dei Regolamenti
concernenti il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio
nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche
(Reg. 1466/97) e per l'accelerazione ed il chiarimento della procedura per i
disavanzi pubblici eccessivi (Reg. 1467/97). Il Consiglio ha confermato la
necessità di un coordinamento rafforzato tra i vari Stati membri, sia pure nel
pieno rispetto del principio di sussidiarietà. In definitiva, con il nuovo Patto di
Stabilità si terrà conto in misura maggiore della situazione economica generale
e della situazione specifica dei diversi Paesi, nonché della qualità delle loro
spese, in pieno accordo con il rilancio della crescita, della competitività e
dell'occupazione come centro dei futuri sviluppi della costruzione europea.
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Capitolo 1
Cenni storici e fondamenti teorici
1.1 Cenni storici sulla nascita dell’ Unione Monetaria Europea e
sulle trattative sul Patto di Stabilità e Crescita.
Con la nascita dell’Unione Europea e Monetaria e la conseguente liberazione
dei movimenti di capitali, i singoli paesi hanno perso la sovranità sulla politica
monetaria e di conseguenza sono state create la Banca centrale Europea e una
moneta unica.
Per il Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità e Crescita, invece, la politica
fiscale è formalmente demandata agli Stati nazionali, anche se vengono posti
vincoli a livello comunitario per garantire la stabilità macroeconomica
attraverso la disciplina fiscale.
La ragione delle regole fiscali dell’ Unione Europea (EU) possono essere
trovate nella politiche fiscali fallimentari in Europa durante gli anni settanta
quando i deficit di bilancio alti e persistenti alimentavano un enorme debito
pubblico; c’era una tendenza a ricorrere a politiche pro-ciclica che, invece di
ridurre il ciclo congiunturale ha contribuito ad accentuare le sue oscillazioni; e
9
in fine, c’era un' utilizzo elevato del debito pubblico nell'economia che porta ad
un aumento delle tasse che impedivano l’efficienza e la creazione di lavoro
1
.
Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) può essere considerato come una risposta
concreta dell’ Europa alle preoccupazioni sulla continuazione della disciplina
sul budget nell' Unione Economica e Valutaria (UEM).
Adottato nel 1997, il PSC fortificò i provvedimenti del Trattato sulla disciplina
fiscale nell’ UEM previsto dagli articoli 99 e 104, e iniziò ad avere efficacia
con il lancio dell’euro l’1 gennaio 1999.
Il PSC può essere considerato il punto di arrivo di un’integrazione iniziata
molti anni prima.
Il primo passo verso questa integrazione si può notare nel netto cambiamento
durante gli anni nel modo di risolvere i conflitti. Se prima della seconda guerra
mondiale, l’organizzazione e la sanzione delle sconfitte era di tipo vessatorio,
dalla seconda guerra mondiale si iniziò ad entrare in un clima di concertazione.
Un esempio, che può meglio spiegare questa affermazione, sta nel tipo di
sanzioni a cui era costretta la nazione che usciva sconfitta dal conflitto. Prima
della seconda guerra, la nazione era costretta a ripagare la ricostruzione nei
paesi vincitori con una parte del reddito ottenuto negli anni. Questo, secondo
Keynes, portava a due effetti negativi, da un lato si disincentivava la crescita
economica della nazione sconfitta e dall’altro avrebbe portato alla nascita di
forme nazionaliste e scioviniste come la nascita del nazional-socialismo.
1
Buti, M e Giudice, G. (2002) “ Maastricht’s fiscal rule al ten: an assessment” da
http://www.econ.upf.es/crei/activities/sc_conferences/14/buti2.pdf
10
Dopo la seconda guerra mondiale, invece, in Europa si rafforza il concetto di
riparazione, nato con il piano Marshall. Questo piano prevedeva, infatti, una
struttura di aiuti finanziati dagli Stati Uniti attraverso linee di credito da
utilizzare per gli acquisti presso le industrie americane.
Ciò comporta un meccanismo di forte integrazione europea che diventerà
un’integrazione reale, finanziaria e valutaria, che si concluderà con la nascita
dell’ Unione Economica e Monetaria (UEM)
Questa integrazione riguarderà tutti i mercati con cui gli stati hanno a che fare,
dal mercato del lavoro a quello dei beni, da quello finanziario a quello
valutario, perché questo era l’unico modo per avere un’aria valutaria ottimale e
la nascita di una valuta comune. Avvenne in modo graduale, si iniziò
dall’integrazione del mercato del lavoro, per passare a quello dei beni, fino ad
arrivare all’ integrazione finanziaria.
La necessità di costituire un’ Unione Economica e monetaria (UEM), fu
avvertita già nel 1969 nel Vertice dell’ Aja, dai Capi di Stato e di governo.
La fine del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods e la libera fluttuazione del
dollaro decisa nel 1971 dagli Stati Uniti, provocarono un’ ondata di instabilità
sui mercati dei cambi, alla quali i sei paesi fondatori della CEE
2
risposero, in
un primo momento, con la creazione del “serpente monetario”
3
e nel 1979 con
la creazione del Sistema Monetario Europeo (SME). Questo sistema era basato
sul regime di cambi fissi adattato all’interno di bande di oscillazioni
2
Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo.
3
Schema di fluttuazione concertato dalle monete europee aderenti al sistema, con la fissazione
di stretti margini di oscillazione anche rispetto al dollaro.
11
predefinite. Il sistema prevedeva, in sostanza, la fissazioni di parità centrali
rispetto all’ ECU (unità di conto europea), con la determinazione di fasce di
fluttuazioni del 2,25% entro le quali le monete degli Stati Membri erano libere
di muovere il tasso di cambio. Allo SME parteciparono tutti gli Stati Membri
ad eccezione della Gran Bretagna.
In dieci anni lo SME contribuì a diminuire in misura sostanziale la variabilità
dei tassi di cambio: la flessibilità del sistema, unita alla volontà politica di far
convergere le economie, permise di raggiungere una stabilità duratura delle
monete. Già nel 1985, con l’adozione del programma per il completamento del
mercato unico, apparve sempre più chiaro che il potenziale del mercato interno
sarebbe rimasto parzialmente inutilizzato fino a che si sarebbero dovuti
sostenere costi elevati, dovuti alla conversione delle monete e alle incertezze
derivanti dalla fluttuazione, anche se limitata, dei tassi di cambio.
Con il Trattato di Maastricht (1992), vennero fissati i tempi e le scadenze per l’
effettiva attuazione dell’ UEM. Questa doveva avvenire in tre tappe che
dovevano culminare con l’adozione della moneta unica e la creazione della
Banca Centrale Europea (BCE) dal 1999. Vennero anche fissati i “criteri di
convergenza” che gli Stati avrebbero dovuto soddisfare per partecipare alla
zona “Euro” e che sono rivolti a monitorare una serie di parametri
macroeconomici essenziali alla sostenibilità della stessa moneta unica, quali la
stabilità dei prezzi, la situazione della finanza pubblica, il livello dei tassi di
cambio e dei tassi di interesse a lungo termine.
12
Su tali basi gli Stati Membri della zona Euro – Italia, Francia, Germania,
Olanda Belgio, Lussemburgo, Spagna, Irlanda, Austria, Portogallo, Finlandia e
Grecia – hanno adottato una moneta unica al termine di un lungo processo di
preparazione e convergenza delle politiche nazionali.
Con la nascita dell’ UEM e della moneta unica ci furono molti cambiamenti
nella politica economica degli stati europei.
La politica economica può essere divisa in politica economica a breve termine
(congiunturale) e politica economica a lungo termine (strutturale). La politica
strutturale è assicurata in Europa dal Sistema dei Finanziamenti Europei, i
fondi strutturali sono destinati alla costruzione di infrastrutture attraverso le
strutture regionali, servono ad eliminare problemi di monopolio, ma che non
dovrebbero essere destinati ad aiutare le singole imprese.
La politica congiunturale, invece, si basa su tre pilastri:
• Politica monetaria
• Politica Fiscale
• Politica Valutaria
Con la politica monetaria è l’autonomia nella determinazione della quantità di
moneta e dei tassi di interesse. Questa autonomia è tanto maggiore quanto
minore è l’integrazione finanziaria internazionale. In un sistema integrato come
quello che sta nascendo, ogni singolo stato perde la propria autonomia nella
scelta dei tassi di interesse, che saranno stabiliti dai Mercati Finanziari
Internazionali.
13
Con la politica fiscale lo stato stabilisce l’ammontare del disavanzo pubblico,
stabilisce le modalità con cui la spesa pubblica è finanziata attraverso i titoli e
stabilisce il rapporto che deve esserci tra spesa pubblica e tassazione.
Con la politica valutaria, infine, lo stato sceglie il tasso di cambio, queste scelte
influiscono sulle condizioni di competitività e incidono sugli incentivi ad
attirare o far uscire capitali.
Con la nascita dell’Unione Europea, gli stati finiranno per perdere due, di
queste tre politiche e in particolare, la politica monetaria e la politica valutaria.
La perdita delle politica monetaria è dovuta alla nascita di una nuova Banca
centrale, la BCE, che emetterà la moneta unica e stabilirà i tassi. La politica
valutaria andrà persa avendo i paesi partecipanti all’unione valutaria la stessa
moneta e quindi non esistono tassi di cambio tra di loro. L’unica politica
valutaria che rimarrà, sarà una politica valutaria comune di tutta l’area valutaria
nei confronti degli altri paesi.
L’unica politica che rimane nelle mani degli stati membri è la politica fiscale, e
quindi c’era bisogno di alcune regole, per armonizzare la politica fiscale dei
paesi dell’unione.
La proposta di un Patto di Stabilità per l’Europa fu avanzata dall’allora
Ministro delle finanze tedesco Theo Waigel nel Novembre del 1995. La
proposta venne criticamente analizzata dalla Commissione all’inizio del 1996,
che sottolineò, infatti, che le politiche di bilancio erano destinate ad assumere,
nell’UEM, un ruolo determinante ai fini della stabilizzazione ciclica e
14
dell’assorbimento degli shock asimmetrici, a causa della rinuncia, da parte dei
singoli paesi, allo strumento del tasso di cambio ed all’autonomia della politica
monetaria. Secondo la Commissione, quindi, le politiche di bilancio nazionali
avrebbero dovuto mantenere margini adeguati di flessibilità per contrastare
efficacemente gli sfasamenti ciclici e per consentire l’assorbimento dei
“disturbi specifici” nazionali. La Commissione suggerì di prevedere una certa
differenziazione negli obiettivi di bilancio di medio periodo e ritenne che la
proposta tedesca fosse inidonea a garantire un’efficace politica di bilancio
anticiclica e di contrasto delle emergenze economiche.
Mentre i criteri del trattato di Maastricht , rapporto deficit/pil 3% e debito/pil
60%, avevano valore per l’ingresso nell’Unione Economica e Monetaria, il
governo tedesco temeva che una volta entrati nell’euro, i paesi
tradizionalmente indisciplinati sul fronte della finanza pubblica, tornassero alle
vecchie abitudini con conseguenze negative per la stabilità macroeconomia
dell’UEM e inevitabili ripercussioni sul tasso di cambio della nuova moneta.
L’idea del Patto è quella di trasformare i criteri d’ingresso del Trattato in
regole che garantiscano permanentemente la disciplina di bilancio nell’area
dell’euro. Le difficili questioni politiche furono risolte nel Consiglio Europeo
di Dublino nel 1996 e le conclusioni finali furono approvate dal Consiglio
Europeo di Amsterdam nel Giugno del 1997.
L’accordo finale è sostanzialmente diverso rispetto alla proposta iniziale
tedesca: l’accento è messo più sulla prevenzione dei deficit eccessivi che sulla
15
punizione ex post. In particolare, si è ritenuto che l’automaticità delle sanzioni
andasse oltre le disposizioni del Trattato, il quale lasciava, su questo aspetto,
un certo grado di discrezionalità alla Commissione europea ed al Consiglio
Ecofin. Inoltre, l’ammontare delle sanzioni è stato giudicato troppo alto e
quindi dannoso.
Il vincolo sul debito pubblico è stato considerato non necessario, perché un
deficit di bilancio sotto al valore di riferimento del 3% del Pil dovrebbe
automaticamente implicare una progressiva diminuzione del rapporto del
debito pubblico al di sotto del punto di riferimento del 60% del Pil.
Infine, la riduzione della quota del settore pubblico nell’economia, pur essendo
desiderabile per ragioni d’efficienza, non è stata accettata come regola
generale.
Con il Patto di Stabilità ed Crescita (PSC) si intendeva rafforzare la disciplina
fiscale come una caratteristica permanente dell’ UEM. Il sistema di
salvaguarda delle finanze statali era considerato il mezzo per fortificare le
condizioni per la stabilità di prezzo e per ottenere una crescita forte e
sostenibile che avrebbe portato alla creazione di lavoro.
Si riconobbe anche, che la perdita dello strumento del cambio nell’ UEM
avrebbe aumentato il ruolo degli stabilizzatori fiscali ed automatici a livello
nazionale nell' aiutare le economie ad adattarsi a colpi asimmetrici, riducendo
l’esigenza di manovre discrezionali anticicliche.
16
Sulla base dell’esperienza cumulata nei primi dieci anni di gestione della
moneta unica ed a fronte delle difficoltà incontrate in presenza di una fase di
congiuntura negativa e di crescita rallentata, la Commissione Europea ha
presentato, nel settembre del 2004, all’ interno della sua Commissione sul
rafforzamento della Governance economica in Europa, delle proposte per il
riordinamento del Patto di Stabilità e Crescita volte a rafforzare il suo ruolo di
garante del sistema economico e monetario europeo e ad introdurre elementi di
flessibilità che ne consentano un’ applicazione adattabile all’ andamento del
ciclo economico.
A seguito di un lungo negoziato, l’accordo raggiunto dal Consiglio ECOFIN
straordinario del 20 marzo 2005 e successivamente approvato dal Consiglio
Europeo del 22-23 marzo, senza modificare le regole fondamentali dell’
Unione Economica e Monetaria e i parametri di Maastricht (3% rapporto
deficit/pil e 60% rapporto debito/pil), introduce criteri volti a conseguire una
migliore valutazione della situazione economica dei singoli Stati Membri
nell’ambito del processo di sorveglianza multilaterale e, in particolare,
nell’applicazione della procedura di disavanzo eccessivo. La componente
crescita del Patto, ora messa maggiormente in rilievo, stabilisce un migliore
legame con l’agenda di Lisbona sul fronte delle riforme strutturali, definendo
un sistema che permette di tenere in considerazione “gli altri fattori rilevanti”
previsti dall’ art. 104 del Trattato nella valutazione di un superamento
temporaneo del valore di riferimento del 3%. Viene anche conferita maggiore
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flessibilità agli aspetti “ correttivi” e rafforzata la parte “preventiva” del Patto.
Sul debito, il testo accoglie la posizione italiana a favore di una valutazione
qualitativa dell’evoluzione del debito stesso.