8
Nell’estate del 2003, durante un soggiorno nei Paesi baltici, ho potuto assistere
ad una delle fasi più spettacolari delle manifestazioni di protesta della comunità
russofona in Lettonia. Reduce da un anno in cui avevo portato a termine una
ricerca proprio sulla popolazione russa, mi colpì molto la differenza in termini di
visibilità e mobilitazione delle due comunità: da una parte, in Finlandia,
un’assimilazione societaria di fatto quasi completa, ed un discorso culturale in
sordina, dall’altra, in Lettonia, una forza che non mi attendevo ed un potere
contrattuale ingente.
Durante la mia permanenza in una Riga maestosa ma al contempo accogliente,
alle mie orecchie quasi solo russofona, dai negozi, agli uffici, ai teatri, ebbi
l’impressione di trovarmi in una grande città russa, dopo un salto nel tempo, in
un futuro di armonia sociale, democrazia e di rispetto per natura ed arte.
Passando alcuni giorni da osservatore tra picchetti e cortei di scolari e genitori
russi che chiedevano una moratoria sulla riforma scolastica, mi venne il
desiderio di penetrare più a fondo una realtà che, dall’esterno, faceva intuire,
tramite quello stesso brulicare e attivismo così palese, una stratificazione ed una
complessità maggiori e forse più stimolanti che nella “mia” pacifica Finlandia.
Una delle esperienze più importanti, durante quella prima visita, fu
l’esplorazione del Museo dell’Occupazione, Latvijas Okupācijas muzejs, situato
nel centro della città, in un edificio volutamente imponente e lugubre. La prima
sensazione all’entrata è scioccante. Dal caldo miscuglio di gotico nordico e art
nouveau di una delle piazze più belle di Riga, entrati nel museo si piomba in
un’oscurità ferma, quasi soffocante. Nei suoi quattro piani, il museo, lungo un
percorso labirintico, espone con dovizia di dettagli e freddo rigore il doloroso
percorso di una nazione martoriata nei secoli e devastata da vicini potenti e
terribili. Il messaggio al visitatore passa chiaro: la Lettonia è stata sempre un
Paese oppresso. Il fatto che si insista così tanto nel fondare l’identità di un
popolo come ciò che ne rimane dopo aver provato una sofferenza terribile, a
causa di attori esterni, mi colpì molto e mi fece riflettere. Da quel momento
guardai le transazioni della vita quotidiana in Lettonia attraverso un’ulteriore
9
angolazione: quella della frattura nell’identità e nell’immaginario di un popolo
che si proietta all’esterno come ingiustamente angariato dalla storia.
Una volta tornato in Italia, al momento della scelta del tema per la tesi finale, ho
deciso di approfondire quella realtà che mi aveva recentemente tanto toccato,
facendo nascere in me il desiderio di saperne di più. Forte dell’esperienza
acquisita con la ricerca finlandese pensavo che avrei avuto una base di partenza
avvantaggiata, ed un punto di appoggio in più per orientarmi nelle ricerche. La
situazione in Lettonia invece, si è rivelata talmente complessa e difficile da
districare che anche il taglio della tesi, che voleva all’inizio essere più
sociologico e con una parte riservata alla ricerca sul campo, ha poi
necessariamente dovuto orientarsi verso un’enucleazione storica dei maggiori
temi e avvenimenti, quanto più possibile ordinata, prendendo in considerazione
il ruolo degli attori, interni ed esterni, che hanno influito sul destino della
popolazione russofona lettone.
In particolare, mano a mano che raccoglievo materiale documentario,
diventavano più chiari i temi che sarebbe stato imprescindibile trattare, ovvero
la questione centrale della cittadinanza ed il ruolo delle organizzazioni
internazionali nel direzionare il processo legislativo interno. Mi chiedevo come,
innanzitutto, la popolazione russofona avesse potuto raggiungere posizioni quasi
predominanti all’interno della società lettone negli anni prima dell’indipendenza,
e quali fossero stati i cambiamenti della struttura demografica dal 1920 fino
all’ultimo censimento del 2002.
Ho cercato di indagare se ed in che misura trovassero riscontro le teorie dei
maggiori studiosi dello spazio post-sovietico, soprattutto per quello che riguarda
le affiliazioni identitarie della popolazione non-lettone. Ho poi cercato di
analizzare in dettaglio, prendendo in considerazione gli anni dal 1989 al 1998, lo
sviluppo del dibattito sulla cittadinanza, e l’equilibrio nel gioco dei decisori
politici interni sotto la diversa pressione ed influenza degli attori esterni. In
particolare, notando l’incredibile dinamicità della figura dell’Alto commissario
sulle minoranze nazionali della CSCE/OSCE, negli anni che abbiamo preso in
10
considerazione, ho dedicato un’attenzione particolare all’interazione di questa
figura con le autorità lettoni e ai risultati che questo dialogo ha portato nel
tempo.
Per la ricerca, oltre alla consultazione di risorse informatiche (in particolare di
saggi e articoli su riviste scientifiche, accessibili on-line per le annate più
recenti), la parte più consistente del lavoro è stata portata avanti grazie allo
studio e alla consultazione di fonti documentarie ed archivistiche non disponibili
in Italia. Si sono così utilizzate le risorse di svariate biblioteche all’estero,
avvalendosi della possibilità di accedere al materiale necessario in lingua
originale (russo, lettone, polacco, inglese, francese, …). In particolare, i dati più
importanti sono stati raccolti nella Biblioteka Jagiellońska a Cracovia, presso la
Det Kongelige Bibliotek a Copenhagen e nelle biblioteche parigine, soprattutto
alla Bibliotèque Publique d’Information.
Durante i mesi di ricerca e di stesura della tesi ho continuato a collaborare,
all’interno delle strutture didattiche del Polo Universitario Forlivese, Facoltà di
Scienze Politiche, al progetto dell’Osservatorio sulla Politica Internazionale
(OPI), per il quale tuttora mi occupo, come responsabile, della Redazione
Europa. Nel portare avanti l’attività di raccolta del materiale giornalistico ho
inserito a mano a mano gli articoli più interessanti e salienti all’interno
dell’archivio OPI, disponibile on-line dal sito di facoltà e dal link diretto:
http://www.media-conflict.org/opi.
Riassumendo, il presente elaborato cercherà quindi di rispondere alle seguenti
domande.
Primo, che cosa rende specifico il caso lettone, confrontato con altre repubbliche
ex-sovietiche dove si registrano percentuali altrettanto alte di popolazione non-
autoctona, ed in particolare una consistente minoranza russofona?
Secondo, qual è stata l’evoluzione storica della popolazione in Lettonia nel XX
secolo e perché il dibattito sull’identità nazionale è diventato così importante
dopo l’indipendenza?
11
Terzo, perché la Lettonia ha scelto di adottare una politica sulla cittadinanza così
esclusiva e avversata a livello internazionale?
Quarto, in che modo le organizzazioni internazionali, in primo luogo la CSCE,
sono riuscite ad influenzare la politica sociale lettone e ad avvicinare le
istituzioni del Paese alle pratiche internazionali? Come ha funzionato la
conditionality europea rispetto ad un tema tanto delicato come la protezione dei
diritti delle minoranze?
Quinto, che cosa ha pesato maggiormente sul progressivo cambiamento delle
modalità e accelerazione nel processo di naturalizzazione dei non-cittadini?
Sesto, come si è svolta e cosa ha significato la crisi nelle relazioni russo-lettoni
del marzo-aprile 1998?
Settimo, che cosa ha comportato il fallimento nel 1998 del referendum indetto
dalle forze nazionaliste per abrogare gli emendamenti alla legge sulla
cittadinanza? Come ha pesato questo passo sull’immagine della Lettonia
all’estero?
12
1. Lettonia caso limite? Il problema della popolazione russofona
1.1 Chi sono i russofoni? Alla ricerca delle cause della loro
straordinaria consistenza numerica. Precisazioni terminologiche
La Lettonia presentava nel 2005 una popolazione di due milioni e trecento mila
persone
1
. Secondo dati statistici del 2002
2
, la popolazione lettone o titolare
(ossia il gruppo etnico autoctono che dà il nome al Paese)
3
ammontava solo al
58% del totale. La minoranza che noi definiamo russofona, nel 1992
rappresentava circa il 40%, e nel 2002 circa il 35% della popolazione totale
4
.
Che cosa intendiamo col termine “minoranza russofona”?
Il termine russo, russko-jazychnye (русскоязычные) “di lingua russa”, viene
usato comunemente per indicare le persone non residenti nella Federazione
Russa, per cui il russo costituisce la lingua madre
5
. Allo stesso modo russko-
govorjashie, русскоговорящие, “parlanti russo”, che conserva un significato
neutrale
6
.
Kuznecov scrive: “[In Lettonia] si aggiungono alla popolazione russa anche
coloro per cui il russo è la lingua madre, benché di altra nazionalità (Lettoni,
1
Secondo i dati del Central Statistical Bureau of Latvia, Iedzîvotâji (Perioda Sâkumâ),
aggiornati al 30 novembre 2005, 2.296.600. Si veda la bibliografia, al punto 8- “Risorse web”.
2
Le ultime serie di dati complete di cui disponiamo che dividono la popolazione per gruppi
etnico-linguistici. Central Statistical Bureau of Latvia, censimento del 2000 e stime successive;
Demographic Yearbook of Latvia 2002, Riga.
3
Per le precisazioni terminologiche valga da ora il glossario contenuto nell’appendice 7. Si
vedano: “Titular Nation”, “Titulars”, “Titulaires”.
4
Secondo i calcoli fatti confrontando le rilevazioni linguistiche con i dati dei censimenti
nazionali. Piotr Eberhardt, “Sytuacja Narodowościowa w Republice Łotewskiej”, in Przegląd
Wschodni, Tomo IV, Vol. 3, No. 15, 1997, pp. 510-511. Latvija Skaitlös, Central Statistical
Bureau of Latvia, Demographic Yearbook of Latvia 2001, Riga, 2001. Central Statistical Bureau
of Latvia, Demographic Yearbook of Latvia 2002, Riga, 2002. Per maggiori dettagli si veda il
capitolo 1.2.9 “Dopo il 1989: cosa cambia con l’indipendenza”.
5
“Русскоязычный, -ая, -ое. Относящийся к людям, живущим вне России, для к-рых
русский язык является родным или вторым родным языком […]”. Толковый словарь
русского языка С.И. Ожегова и Н.Ю. Шведовой.
6
Si vedano, per le precisazioni terminologiche, i dettagli riportati nell’ appendice 7 – “Glossario
terminologico”.
13
Latgalli, Bielorussi, Polacchi) e che vengono chiamati ‘russkogovorjashie’ e
‘russkojazychnye’”
7
.
Nelle lingue europee il discorso si fa più complesso. Per quello che interessa qui,
ossia per la popolazione parlante russo, ma non necessariamente di etnia russa,
residente negli Stati Baltici e in particolare in Lettonia, troviamo soprattutto
russophones
8
nella terminologia francese; mentre in quella inglese
Russophones
9
, Russophonic o Russophone
10
, Slavic speakers
11
, Russian-
speaking minorities
12
, Russian-speakers
13
.
Galbreath scrive: “È evidente che il vocabolo ‘Russi’ è spesso usato per
convenienza, sebbene non renda l'eterogeneità delle minoranze presenti negli
7
A. M. Kuznecov, “Perspektivy russkovo jazyka v Latvii” (Prospettive della lingua russa in
Lettonia), in E. Brasauskene, S. Evstratova, E. Kostandi, Ju. Kudrjavcev, I. Kjul'moja, T. Liguta
(eds.), Jazyk diaspory: problemy i perspektivy (La lingua della diaspora: problemi e prospettive),
Trudy po russkoj i slavjanskoj filologii, Lingvistika, Novaja serija III, Tartu Ülikooli Kirjastus,
Isdatel'stvo Tartuskovo Universiteta, Tartu, 2000, p. 77.
8
Ad esempio in Plasseraud, Nies, Tinguy. Yves Plasseraud, Pays baltes, Estonie, Lettonie,
Lituanie: le réveil, Autrement, Paris, 1991; Yves Plasseraud, Les États baltes, Montchrestien,
Paris, 1996; Yves Plasseraud, Les États Baltiques, Les Sociétés Gigognes: la dialectique
Minorités-Majorités, Armeline, Paris, 2003; Susanne Nies, Les États baltes, une longue
dissidence, Armand Colin, Paris, 2004; Susanne Nies, Stratégies et sécurité en région balte
après le retour aux indépendances, 1991-2004, L'Harmattan, Paris, 2004; Anne de Tinguy,
L'effondrement de l'empire soviétique, Bruylant, Bruxelles, 1998; Anne de Tinguy, La grand
migration: La Russie et les Russes depuis l’overture du rideau de fer, Plon, Paris, 2004.
9
Robert Schafer, Elizabeth Schafer and Signe Dobelniece, “Latvia in transition: A study of
change in a former republic of the USSR”, in Journal of Baltic Studies, Vol. 24, No. 2, 1993, p.
172, nota 9.
10
David Galbreath, “The Politics of European Integration and Minority Rights in Estonia and
Latvia”, in Perspectives on European Politics and Society, Vol. 4, No. 1, 2003.
11
Walter C. Clemens, Jr., “The Baltic Republics, Russia, and Energy: From Dependency to
Interdependence?”, in SAIS Review, Vol. 19, No. 1, 1999 ed anche in Walter C. Clemens, Jr.,
“Complexity Theory as a Tool for Understanding and Coping with Ethnic Conflict and
Development Issues in Post-Soviet Eurasia”, in The International Journal for Peace Studies, Vol.
7, No. 2, Autumn/Winter 2002.
12
Stephanie Ricken, “Multi-Organisational Response: The Case of the Russian-speaking
minorities in the Baltic States”, in European Soft Security Policies: The Northern Dimension,
Ulkopoliittinen Instituutti (The Finnish Institute of International Affairs), Helsinki, Institut für
Europäische Politik, Berlin, 2002.
13
Jekaterina Dorodnova, “Challenging Ethnic Democracy: Implementation of the
Recommendations of the OSCE High Commissioner on National Minorities to Latvia, 1993-
2001”, Working Paper No. 10, in Wolfgang Zellner, Randolf Oberschmidt, Claus Neukirch, and
Katri Kemppainen (eds.), Comparative Case Studies on the Effectiveness of the OSCE High
Commissioner on National Minorities, Institute for Peace Research and Security Policy at the
University of Hamburg, Zemtrum für Osze-Forschung, Hamburg, 2003.
14
Stati Baltici. La comunità ‘russa’, in realtà, è formata da Russi, Bielorussi,
Ucraini ed altri”
14
.
Galbreath sceglie poi di usare il termine Russophonic o Russophone, perché,
scrive, “i Russi sono la comunità numericamente più consistente e la più attiva
nel rivendicare i diritti che spettano alle minoranze”.
La questione più importante tuttavia, ed il motivo per cui noi parleremo di
“minoranza russofona”, è che il russo, essendo stato lingua franca nell'Unione
Sovietica, lingua del prestigio, dell'avanzamento sociale, lingua della
comunicazione inter-etnica, inter-repubblicana e dell'accesso alle scienze, è la
lingua che è diventata lo strumento di socializzazione preferenziale delle
minoranze in Lettonia
15
. Bielorussi, Ucraini, ma anche Polacchi, Ebrei, Tatari,
Armeni e persone di altre nazionalità, trasferitisi in Lettonia durante il periodo
sovietico, parlavano già (o imparavano) il russo, non il lettone
16
.
Adesso che abbiamo circostanziato i termini di riferimento, possiamo chiederci
come sia possibile che dopo più di dieci anni dall’indipendenza dello Stato
lettone, nel 1991, la popolazione russofona rimanga ancora così numericamente
consistente. Per fare questo analizzeremo dettagliatamente l’evoluzione
demografica, a partire dal primo censimento disponibile nel XX secolo, ossia
quello del 1920.
14
David Galbreath, op.cit., p. 38.
15
N. P. Trofimova, “Russkij jazyk v shkolah Latvii” (La lingua russa nelle scuole in Lettonia),
in E. Brasauskene, S. Evstratova, E. Kostandi, Ju. Kudrjavcev, I. Kjul'moja, T. Liguta (eds.),
Jazyk diaspory: problemy i perspektivy (La lingua della diaspora: problemi e prospettive), Trudy
po russkoj i slavjanskoj filologii, Lingvistika, Novaja serija III, Tartu Ülikooli Kirjastus,
Isdatel'stvo Tartuskovo Universiteta, Tartu, 2000, p. 279.
16
Per gli aspetti specifici della socializzazione linguistica russa si veda il capitolo 1.4.1
“L’immigrazione russa”.