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In secondo luogo, si analizzerà la situazione occupazionale dell’Unione Europea
per stati e macro-aree, discutendo le caratteristiche del mercato del lavoro attuale
e cercando di abbozzare delle previsioni future.
In terzo luogo, si valuterà compiutamente il “National Reform Programme” (o
PICO) italiano, provando a ricercarne le ripercussioni sull’economia e
sull’occupazione nazionale. Verranno studiate le caratteristiche storiche del
mercato del lavoro italiano e si esamineranno le nuove forme d’impiego flessibile.
Infine, astraendosi dal NAP e dal “National Reform Programme”, si analizzeranno
i dati sul mercato del lavoro del Friuli Venezia Giulia e della provincia di Udine.
Questo, a grandi linee, il progetto del lavoro che mi appresto a svolgere.
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2. COSA SONO E QUANDO NASCONO IL “NATIONAL
ACTION PLAN” E IL “NATIONAL REFORM
PROGRAMME”?
In seguito al “Consiglio straordinario Europeo sull’Occupazione” svoltosi in
Lussemburgo il 20-21 novembre 1997, che ha dato avvio alla cosiddetta
“Strategia Europea per l'Occupazione”, furono adottate, il 15 dicembre 1997, le
prime linee guida dell’occupazione per l’anno 1998.
Si organizzò una struttura comune per i “National Action Plan” (NAP), finalizzata
a promuovere ed implementare una strategia coordinata per l’occupazione,
all’interno degli Stati membri.
Tale struttura prevedeva l'articolazione dei NAP in quattro pilastri, miranti alla
promozione:
• dell’occupabilità;
• dell’imprenditorialità;
• dell’adattabilità;
• delle pari opportunità.
Il NAP era un documento base, dunque, per le strategie occupazionali europee.
Il “National Reform Programme” nasce invece dalla parziale difficoltà di
raggiungere gli obiettivi della strategia per l’occupazione e dalla conseguente
riformulazione degli obiettivi a livello di Unione.
Più precisamente, l’obiettivo fissato dalla “Strategia di Lisbona” (svoltasi nel 2000
e ideale prosecuzione del Consiglio straordinario lussemburghese) riguardo
all’Unione Europea era di diventare entro il 2010 “l’economia basata sulla
conoscenza più dinamica e competitiva del mondo”. A tutt’oggi tale obiettivo è
stato perseguito dagli stati membri in maniera non del tutto soddisfacente.
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Ciò può imputarsi ad un’agenda sovraccarica, ad un coordinamento insufficiente e
a priorità in conflitto fra loro.
Ma attuare la “Strategia di Lisbona” oggi è ancora più necessario, alla luce della
crescita del divario con il Nord America e l’Asia e all’annoso problema della bassa
crescita della popolazione europea ed del suo invecchiamento.
Si ricorda che gli obiettivi dell’Unione Europea-25 (a cui si farà riferimento
continuamente nel lavoro) da raggiungere entro il 2010 a livello occupazionale
erano i seguenti:
- Livello di occupazione generale al 70%: i dati aggregati dell’UE-25 nel
2004 ci indicano un dato del 63,3 %;
- Livello di occupazione femminile al 60%: i dati più recenti (anno 2004) a
livello di UE-25 si attestano al 56,1% e sono in rapido aumento;
- Livello di occupazione degli “anziani” (lavoratori di entrambi i sessi
tra i 55 e i 64 anni di età) al 50%: gli ultimi dati dell’UE-25 (anno 2004) ci
forniscono un dato di pochissimo superiore al 40% e con deboli segnali di
crescita.
Affinché migliorino gli standard di vita in Europa è necessario accelerare il
processo relativo alla crescita dell’occupazione e della produttività.
Non si avranno risultati apprezzabili se le azioni saranno portate avanti
singolarmente e senza coordinamento; solo una serie di iniziative interconnesse
fra loro, nell’ambito di una cornice macroeconomica europea, potranno dar vita a
cambiamenti strutturali.
Sono urgenti azioni in favore di cinque aree politiche:
• La società della conoscenza: è necessario che l’Europa divenga un polo
di attrazione per i ricercatori e gli scienziati, che vengano promosse R&D
(ricerca e sviluppo) ;
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• Il mercato interno: è fondamentale completare il libero movimento dei beni
e capitali nel mercato interno e la creazione di un mercato unico per i
servizi;
• La situazione delle imprese: è necessario ridurre i cavilli burocratici,
migliorare la qualità della normativa, facilitare la creazione di nuove
imprese e creare un ambiente di supporto ad esse;
• Il mercato del lavoro: è necessaria una rapida acquisizione delle
raccomandazioni della “Taskforce Europea per l’Occupazione”, lo sviluppo
delle strategie per un invecchiamento attivo e l’ impulso al partenariato per
la crescita e l’occupazione;
• Lo sviluppo sostenibile: è essenziale diffondere le innovazioni ecologiche
e dar vita ad una eco-industria prevalente, perseguendo politiche a lungo
termine che portino a miglioramenti nella produttività attraverso una
efficienza “ecologica”.
Si capisce subito (e sarà ancora più evidente dallo studio di guidelines ed
orientamenti) che il “National Reform Programme” è un documento che meglio si
aggancia a tutti gli obiettivi di Lisbona 2010 e tratta vari ambiti, dall’ambiente alla
ricerca e sviluppo, dalla situazione imprenditoriale all’istruzione, mentre il NAP si
dedicava quasi esclusivamente al mercato del lavoro e ai problemi occupazionali.
Di conseguenza l’evidenza sarà posta sulle parti del “National Reform
Programme” dedicate all’occupazione.
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3. LE DEFINIZIONI BASE DELL’OCCUPAZIONE E I
LORO RISVOLTI MACROECONOMICI
Si presentano delle definizioni cardine del mercato del lavoro, che stanno alla
base del lavoro d’analisi (definizioni ISTAT).
POPOLAZIONE TOTALE E ATTIVA
La popolazione totale è costituita dall’insieme di persone che, in un dato
momento, risiedono stabilmente in un determinato Paese.
Ad esempio in Italia la popolazione totale corrisponde oggi a circa 57 milioni di
individui.
La popolazione attiva rappresenta quella parte di popolazione che è compresa
entro l’età lavorativa (dai 15 anni all’età della pensione, 64 anni a livello di ISTAT
ed Unione Europea), mentre la popolazione non attiva è composta da quegli
individui che non hanno ancora raggiunto l’età lavorativa, oppure l’hanno
superata. Ad esempio in Italia oggi la popolazione attiva ammonta a circa 38
milioni di persone, mentre la popolazione non attiva è di circa 19 milioni.
FORZE DI LAVORO
Non tutti gli individui che fanno parte della popolazione attiva hanno a che fare
con il mercato del lavoro. Si pensi, ad esempio, a molte donne che, per scelta o
costrizione, né hanno un lavoro, né lo cercano. Un altro esempio potrebbe essere
rappresentato dagli studenti oltre i 15 anni. Le persone che né cercano lavoro, né
hanno un’occupazione entrano a far parte del gruppo degli inattivi.
Si definiscono quindi Forze di lavoro quella parte di popolazione attiva che entra
nelle dinamiche del mercato del lavoro. Si tratta di coloro i quali o hanno
un’occupazione o la cercano attivamente.
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Si possono distinguere tre sottogruppi:
1. gli occupati sono quelli che hanno un lavoro. Secondo le ultime
direttive ISTAT comprendono le persone tra i 15 e i 64 anni che nella
settimana di riferimento rientrano in una di queste tipologie:
- hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività
che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
- hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella
ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
- sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia).
2. i disoccupati sono quelli che avevano un lavoro, ma l’hanno
perduto e ne stanno attivamente cercando un altro;
3. i soggetti in cerca di prima occupazione, cioè quelli che stanno
cercando lavoro e non hanno mai lavorato (nemmeno per brevi
periodi) in precedenza.
Il rapporto tra la forza lavoro e la popolazione attiva definisce il tasso di attività il
quale è tanto maggiore quanto maggiore è la propensione al lavoro della
popolazione attiva.
DOMANDA DI LAVORO
La domanda di lavoro è rappresentata dal totale dei posti di lavoro creati da un
sistema economico. In altre parole, si tratta dell’insieme delle richieste di lavoro
fatte dai datori di lavoro, quindi da aziende, imprese, enti, amministrazioni
pubbliche, ecc.
L’esistenza della domanda di lavoro deriva dal fatto che il lavoro umano risulta un
elemento indispensabile per poter svolgere qualsiasi tipo di attività
economicamente rilevante.
Il mercato del lavoro è il luogo in cui i soggetti vengono reclutati.
La domanda di lavoro non è statica e fissa, bensì è soggetta a variazioni notevoli.
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Dipende infatti:
- dall’andamento generale dell’economia;
- dall’andamento degli specifici comparti economici;
- dalla produttività del lavoro (che a sua volta dipende dalle tecnologie
disponibili, dalle forme organizzative adottate, dalle condizioni normative,
dai valori sociali interni ed esterni all’impresa);
- dalla disponibilità di tecnologie in grado di sostituire il lavoro;
- dalla disponibilità di manodopera, a più basso costo, in altre aree
geografiche;
- dalla cultura di cui gli imprenditori sono portatori (norme sociali, valori,
schemi di comportamento, ecc.).
OFFERTA DI LAVORO
L’offerta di lavoro è data dall’insieme degli individui che si offrono sul mercato
del lavoro e che sono quindi disponibili a prestare il proprio lavoro in cambio di
una remunerazione.
In sostanza, si tratta della complessiva dotazione di Forze di lavoro di cui dispone
un paese.
Nell’offerta di lavoro sono quindi compresi i lavoratori dipendenti e quelli autonomi,
i lavoratori occupati e quelli disoccupati.
L’offerta di lavoro, per ciò che riguarda gli aspetti quantitativi, dipende da tre
fattori principali:
• la struttura demografica della popolazione appartenente ad un sistema
economico (rapporto tra giovani, adulti ed anziani);
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• la presenza di flussi migratori in entrata (immigrazione) o in uscita
(emigrazione);
• i valori sociali prevalenti (i quali incidono ad esempio sulla propensione al
lavoro delle donne o dei giovani in età scolare).
Non bisogna però sottovalutare la grande importanza che riveste il profilo
qualitativo dell’offerta di lavoro. Non è importante infatti solo la disponibilità di
manodopera, ma anche il fatto che la manodopera disponibile possieda
determinate qualità.
In tal senso è cruciale:
• il livello di scolarizzazione;
• il livello di qualificazione professionale;
• l’adeguatezza delle competenze ed abilità incorporate dall’offerta di lavoro,
rispetto alle esigenze dell’economia;
• la presenza di determinati tratti culturali (cultura del lavoro, propensione
sociale a relazioni di tipo cooperativo, senso diffuso della responsabilità,
ecc.).