3
2. L’ordinamento italiano
2.1. L’evoluzione del diritto alla privacy
Tra gli autori italiani, le prime elaborazioni in tema di diritto alla privacy compaiono solo
mezzo secolo dopo lo studio di Warren e Brandeis; ritardo attribuibile al diverso sviluppo socio-
industriale rispetto a quello americano.
Il primato di aver proposto una teoria in tema di tutela della riservatezza figura attribuito
2
a
Ferrara Santamaria che ne ha fornito la seguente definizione: “diritto contro le indiscrezioni e curio-
sità altrui; una specie di diritto all’inedito applicato alla sfera dell’intimità della persona, ed esclu-
dente in vario grado l’ingerenza di estranea conoscibilità e pubblicità, oltre i limiti imposti da ragio-
ni di ordine pubblico”
3
.
A partire dagli anni ’50 sono molti gli studiosi che si sono occupati di questo diritto della
personalità; v’è chi lo ha definito come “ diritto alla segretezza della propria vita privata”
4
oppure
chi ha preferito sintetizzarlo parlando di “diritto ad essere lasciato in pace”
5
. Altri hanno parlato di
“quel modo di essere della persona il quale consiste nella esclusione dall’altrui conoscenza di quan-
to ha a riferimento la persona medesima”
6
. Nonostante le pagine del tempo ne offrano definizioni
fra loro difformi – legate alle diverse opzioni adottate proposte dai vari autori – l’aspetto comune è
rappresentato dalla visione dell’interesse alla riservatezza come legato all’atteggiamento negativo
della persona rispetto alla conoscenza di fatti della sfera privata da parte di altri soggetti
7
.
Ed è appena il caso di ricordare come, non solo in Italia, il dibattito – vivace in dottrina – si
sia svolto per lunghi anni nel totale silenzio del legislatore.
2
Ubertazzi, Il diritto alla privacy, CEDAM, Padova, 2004, p. 49.
3
Ferrara-Santamaria, Il diritto alla illesa intimità privata, in Riv. dir. priv., 1937, I, p. 168.
4
Traverso, Riservatezza e diritto al rispetto della vita privata, nota a Cass. 20 aprile 1963, n. 990 in Riv. dir. ind., 1963,
II, p. 30. In particolare questo autore ha evidenziato la differenza che intercorre tra il diritto alla segretezza, che mira a
difendere la persona contro le attività di terzi dirette a violare la sfera della sua vita privata, e il diritto alla riservatezza,
che invece difende la persona dalla divulgazione di notizie private.
5
Romagnoli, Feudalesimo industriale e diritti della libertà, in Quale giustizia, 1971, p. 261.
6
De Cupis, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu, Messineo, continuato da
Mengoni, Giuffrè, Milano, 1982, p. 326. Egli ha inizialmente individuato il fondamento positivo del diritto alla riserva-
tezza nel diritto all’immagine sancito nell’art. 10 c.c., prospettandone l’estensione analogica a interessi della persona a
cui ritiene sia sottesa una eadem ratio. Posta infatti tale omogeneità socio - giuridica tra l’interesse tutelato dal diritto
all’immagine e di "tutta una serie di altri fatti concernenti la persona, può ritenersi, secondo questo autore, che la tutela
ad esso esplicitamente accordata costituisca manifestazione di una più ampia tutela implicitamente accordata a tutto
questo complesso di interessi"; ne deriva, nella concezione di De Cupis, una struttura pluralistica dei diritti della perso-
nalità risultante da una molteplicità di aspetti e interessi della persona ognuno con caratteristiche peculiari e dotato di
una propria autonomia.
7
De Cupis, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu, Messineo, continuato da
Mengoni, Giuffrè, Milano, 1982, p. 283. Secondo il quale il rifiuto a consentire la conoscenza di informazioni sul pro-
prio conto soddisfa “quel bisogno d’ordine spirituale che consiste nell’esigenza di isolamento morale”; in particolare la
4
Quanto alla giurisprudenza, nel corso degli anni ’50 e ’60 – pur parlando esplicitamente
dell’interesse al riserbo e della sua tutela – si assiste al fiorire di soluzioni per così dire mediate, nel
senso che la tutela del diritto in questione figura assicurata per il tramite di altri principi costituzio-
nalmente garantiti e protetti
8
.
Si può citare, a questo proposito, la sentenza della Cassazione n. 990/1963
9
, che – pur in
maniera implicita – compie un passo preliminare verso la tutela del diritto alla privacy, riconoscen-
do che l’art. 2 Cost. tutela un diritto alla libera autodeterminazione nello svolgimento della propria
personalità.
A partire dagli anni ’70 il dibattito mostra un’accelerazione. Possiamo citare l’intervento di
Rodotà
10
, il quale definisce il diritto alla privacy come la possibilità di ciascuno di controllare l’uso
delle informazioni che lo riguardano. La tutela dell’interesse della persona ad “essere lasciata sola”
– come nell’originaria versione di Warren e Bradeis – non appariva infatti più corrispondente alle
nuove esigenze di riservatezza, soprattutto a causa della diffusione progressiva dei computer; da qui
la proposta di Rodotà, di passare da una visione della privacy puramente “individualistica e negati-
va” ad un’impostazione “collettiva e positiva”.
Successivamente, la dottrina italiana ha iniziato a considerare l’interesse dell’individuo alla
riservatezza non più come esclusivamente rivolto alla protezione della sfera privata da ingerenze e-
sterne, bensì quale potere di controllo sui propri dati personali: potere di vietare qualsiasi circola-
zione di informazioni, di vigilare su di essa, di rettificare e all’occorrenza di cancellare i dati anche
dopo la loro pubblicazione.
dottrina ha inquadrato questa ambizione come una posizione giuridica soggettiva diretta ad escludere qualsiasi ingeren-
za estranea all’interno delle mura domestiche.
8
Cass., 22 dicembre 1956 n. 4487, in Foro it., 1957, I, 4, nella cui massima viene stabilito che “… nessuna disposizio-
ne di legge autorizza a ritenere che sia stato sancito, come principio generale, il rispetto assoluto dell’intimità della vita
privata. Sono stati solo riconosciuti e tutelati, in modi diversi, singoli diritti soggettivi della persona.”. Le prime pro-
nunce della giurisprudenza di merito, risalenti agli anni ‘50, scaturirono da opere cinematografiche e pubblicazioni rela-
tive a vicende personali di personaggi noti, che portarono gli interessati ad invocare il diritto alla riservatezza dinanzi ai
giudici. Il primo caso riguarda due film sul tenore Enrico Caruso. Il relativo giudizio fu promosso dai familiari del teno-
re defunto i quali chiedevano al giudice di ordinare l’inibitoria circa la rappresentazione dei film in questione perché
ritenuti lesivi della riservatezza del congiunto. Tra le altre questioni giudiziarie si possono menzionare quella di Claretta
Petacci e di Giacomo Puccini. Ma, al di là del riferimento particolare, si può affermare che nel primo caso giudiziario,
così come in quelli immediatamente successivi , emerge l’esigenza di ponderare i contrastanti interessi riconducibili per
un verso al diritto di cronaca, alla libertà dell’informazione e di espressione artistica e per l’altro al diritto dell’individuo
di conservare un potere di esclusione dei terzi circa le vicende della sua vita privata. Il giudice opera un bilanciamento
per valutare quale interesse prevale nel caso concreto.
9
Cass., 20 aprile 1963, n. 990, in Giur. it., 1964, I, 1, 469 in cui i giudici continuarono ad escludere un diritto alla riser-
vatezza autonomamente considerato ma comunque affermava che: “… la tutela giuridica deve ammettersi nel caso di
violazione del diritto assoluto della personalità, inteso quale diritto erga omnes, alla libertà di autodeterminazione nello
svolgimento della personalità dell’uomo come singolo. Tale diritto è violato se si divulgano notizie della vita privata, le
quali per loro natura, debbano ritenersi riservate, a meno che non sussista consenso anche implicito della persona, de-
sunto dall’attività in concreto svolta o, data la natura dell’attività medesima e del fatto divulgato, non sussiste un preva-
lente interesse pubblico di conoscenza che va considerato con riguardo ai doveri di solidarietà politica, economica, so-
ciale inerente alla posizione del soggetto.”
10
Rodotà, La privacy tra individuo e collettività, in Politica del diritto, 1974, p. 545.
5
In questo contesto, nel 1975 la Corte di Cassazione – nel famoso “caso Soraya”
11
– ha co-
minciato ad abbandonare la concezione precedente è ha affermato che “il diritto alla riservatezza
consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche
se si verificano fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente ap-
prezzabile”.
In questa sentenza la Corte afferma – raccogliendo finalmente i suggerimenti della dottrina –
l’esistenza di un diritto alla riservatezza il cui fondamento normativo risiede negli articoli 2, 3, 13,
14, 15, 27, 29 e 41 della Costituzione.
La decisione risulta però ancora lontana dalla concezione di privacy proposta da Rodotà,
poiché configura il diritto in senso negativo, accentuando il profilo del potere di vietare comporta-
menti di terzi, senza affrontare la questione del potere positivo di controllo e utilizzo dei dati perso-
nali (lacuna peraltro dovuta all’oggetto del contendere, che riguardava esclusivamente l’accezione
domestica del diritto alla riservatezza). Il caso, ricordiamo, era sorto in seguito all’azione esercitata
dalla principessa Soraya nei confronti di un reporter che aveva pubblicato alcune foto della stessa
mentre si trovava insieme al suo compagno del tempo.
Occorre rilevare, comunque, come la definizione proposta da Rodotà – influenzata
dall’esperienza statunitense e dalle teorie di Westin e Miller
12
– poteva apparire a quel tempo anco-
ra troppo avanzata per un Paese come il nostro, nel quale le nuove tecnologie non avevano ancor
11
Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, in Foro it., 1976, I, 2895 rinvenibile anche in www.ricerchegiuridiche.it visitato il 20
marzo 2006 in cui i giudici stabiliscono: “Il diritto alla riservatezza consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende
strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un
interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusi-
vamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non siano tuttavia giustificate da interessi
pubblici preminenti. Esso non può essere negato ad alcune categorie di persone, solo in considerazione della loro noto-
rietà, salvo che un reale interesse sociale all'informazione od altre esigenze pubbliche lo esigano. Tale diritto non solo
trova implicito fondamento nel sistema, ma trova una serie di espliciti riferimenti nelle norme costituzionali e ordinarie
e in molteplici deliberazioni di carattere internazionale.” Inoltre affermano che: “Il generale divieto di divulgazione del
ritratto di una persona, senza il suo consenso, può essere derogato solo quando la notorietà della persona effigiata spie-
ghi o giustifichi un effettivo pubblico interesse ad una maggiore conoscenza di quella persona e ad una più completa
informazione, sempre che non ne derivi pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro della persona stessa. Ne con-
segue che il limite connaturato al pubblico interesse di soddisfare l'esigenza di informazione nei suoi vari aspetti con-
sente pur sempre di invocare la tutela del diritto all'immagine quando questa sia utilizzata - senza offesa all'onore, alla
reputazione o al decoro - per un fine, esclusivo o fortemente preminente, di mero lucro, in quanto ne il diritto alla libera
manifestazione del pensiero, ne il principio di libertà della iniziativa economica possono giustificare l'utilizzazione della
immagine altrui per scopi prettamente commerciali.”
12
A partire dalla fine degli anni Sessanta la dottrina ha cominciato ad elaborare una nozione unitaria del diritto alla ri-
servatezza, infatti Westin (Privacy and Freedom, Atheneum, New York, 1967, p. 7) ha definito per primo il diritto alla
privacy come “la pretesa degli individui, gruppi, istituzioni di determinate loro stessi quando, come ed in che misura le
informazioni sul loro conto sono comunicate ad altri”. Secondo questa definizione il diritto alla privacy non è volto alla
esclusione e non è un diritto attribuibile solo al singolo ma anche dei gruppi, Westin estende il contenuto del diritto del-
la privacy non solo con riferimento al contenuto stesso ma anche ai soggetti protetti.
Altri studiosi hanno formulato definizioni simili; ad esempio Miller [Personal privacy in the computer age: the chal-
lenge of a new tecnology in an information-oriented society, in 67 Mich. L. Rev. 1107 (1969)], secondo cui “l’attributo
di base per un difetto effettivo è la possibilità dell’individuo di controllare la circolazione delle informazioni che lo ri-
guardano”.
6
raggiunto un grado sufficiente di espansione da rendere percepibili le minacce che essere possono
comportare per la privacy.
Da canto suo il legislatore comincia, proprio in quegli anni, a lanciare timidi segnali di at-
tenzione verso le prerogative in questione. Possiamo citare l’art. 4 della legge 300/1970, che vieta
l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza
dell’attività dei lavoratori. Una regola importante, anche se la ratio dello Statuto dei lavoratori ap-
pare maggiormente orientata a vietare controlli vessatori capaci di instaurare un rapporto di timoro-
sa subalternità piuttosto che a tutelare il diritto alla privacy. Si arriva così agli anni ’80. Anche in
Italia si diffonde l’uso delle prime banche dati informatiche e si avverte l’esigenza – già conosciuta
in altri Stati europei – di una legislazione volta a tutelare la privacy degli individui. Le proposte di
legge si accumulano, e alcune di esse si traducono effettivamente in leggi che disciplinano – in via
diretta o indiretta – alcuni aspetti del diritto alla riservatezza: dalla legge 241/1990, sull’accesso ai
documenti amministrativi
13
, alla legge 135/1990 in materia di aids
14
. Si tratta di disposizioni le qua-
li – pur menzionando espressamente il diritto alla riservatezza – mirano alla tutela di beni della per-
sona diversi dalla privacy, pur offrendo spunti di protezione dalla invasività di condotte altrui.
A partire dagli anni ’90 il contesto socio culturale italiano viene fortemente influenzato
dall’avvento di internet, che trasforma la società da informatica a telematica, e dalle necessità di in-
tegrazione della normativa a livello europeo. Ciò comporta il recepimento accelerato delle direttive
comunitarie, fra cui la direttiva 95/46 che ha influito sulla concezione italiana del diritto alla riser-
vatezza e sul contenuto della legge 675/1996.
13
Caringella, Il Diritto Amministrativo, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2004, p.745. Questa legge, che reca “Nuo-
ve norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, viene in rilie-
vo con riferimento al diritto alla riservatezza per quanto riguarda l’accesso ai documenti della P.A. In particolare in ma-
teria di accesso si pone il problema se tale diritto è indiscriminato o trova necessariamente un confronto con diritti spet-
tanti a soggetti terzi, come ad esempio appunto il diritto della privacy. La soluzione è che tale normativa sancisce delle
limitazioni a questo diritto.
14
Questa legge, che contiene un programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS, tutela e-
spressamente il diritto alla riservatezza all’art. 5 comma 1°, cioè il diritto del paziente affinché non vengano divulgate a
terzi notizie concernenti il suo stato di salute.
Sul punto occorre tuttavia osservare il particolare rigore adottato dalla suddetta legge a tutela della riservatezza del ma-
lato di AIDS, successivamente all’introduzione della legge è stato contemperato con l’esigenza di preservare comunque
la sicurezza della salute della collettività. Sulla questione si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 218
del 2.6.1994, in www.Cortecostituzionale.it visitato il 27 marzo 2006, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5 della L. 135/90 nella parte in cui non prevedeva accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività come
condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute di terzi; pronuncia della quale si riporta la
massima: “Il legislatore, avendo riconosciuto l’esistenza di attività e servizi che comportano rischi per la salute di terzi,
quando gli operatori siano portatori di una malattia diffusiva quale l’aids, non può non disporre, a tutela del diritto alla
salute, l’obbligo degli addetti ai servizi di sottoporsi ad accertamenti preventivi che rientrano negli accertamenti sanitari
previsti dall’art. 32 Cost.: pertanto è costituzionalmente illegittimo l’art. 5 comma 3 e 5 L 135/1990 per violazione
dell’art. 32 Cost., nella parte in cui non prevede che gli accertamenti sanitari di sieropositività dell’infezione da HIV
debbano essere compiuti, anche senza l’assenso dell’interessato, quando l’operatore debba esplicare attività che com-
portino rischi per la salute dei terzi.”
7
Rilevante, a questo proposito, è l’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Eu-
ropea, emanata il 7 dicembre 2000, secondo il quale: “Ogni individuo ha diritto alla protezione dei
dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di
lealtà, per finalità determinante e in base al consenso della persona interessata o ad un altro fonda-
mento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo a diritto di accedere ai dati raccolti che lo ri-
guardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali leggi è soggetto al controllo di un’autorità indi-
pendente”.
Attualmente, la materia che ci interessa figura disciplinata nel codice sulla privacy (legge
196/2003) che riordina ed aggiorna tutta la normativa che si era andata affastellando nel corso degli
anni, rivelando un approccio alla riservatezza di carattere multidimensionale, cioè come tutela di
beni eterogenei
15
.
A tal proposito, va ricordato l’art. 2, 1° co.: “.. il trattamento dei dati personali si svolga nel
rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali nonché della dignità dell’interessato, con particolare
riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”.
La legge punta quindi a diventare uno “statuto generale della persona”
16
e sembra proprio
considerare il diritto alla riservatezza inteso come complesso di beni eterogenei.
15
A proposito della recente tendenza a considerare il diritto della privacy come complesso di interessi eterogenei molti
sono gli autori che trattano questo tema, soprattutto in relazione agli diversi interessi in gioco; ad esempio Ubertazzi, Il
diritto alla privacy, CEDAM, Padova, 2004, p. 78.
16
Sica, Disposizioni generali, in Sica e Stanzione (commentario diretto da), La nuova disciplina della privacy, Zani-
chelli Editore, Torino, 2004, p. 3.