38
Alla luce della funzione dell’art. 21, la Corte elaborò una nozione di
identità della cause, di tale ampiezza da considerare tra loro identi-
che un’azione di condanna in cui si faceva valere un credito derivan-
te da un contratto, e un’azione di accertamento dell’inesistenza del
medesimo contratto.
La ratio dell’art. 21, quale individuata nel caso Gubisch, venne poi
utilizzata dalla Corte per risolvere altre questioni relative
all’interpretazione dell’art. 21 a essa deferite in sede di rinvio pre-
giudiziale. Si ricordino il caso Tatry
3
concernente l’identità delle
cause, il caso Overseas Union
4
, relativo all’irrilevanza del domicilio
del convenuto ai fini dell’applicazione della norma sulla litispen-
denza, e infine il caso Von Horn
5
, riguardante l’applicazione dell’art.
21 ratione temporis.
La dottrina prevalente, in sostanziale sintonia con la Corte di Giusti-
zia, ha individuato nell’esigenza di evitare contrasti fra decisioni
emanate in differenti Stati contraenti la funzione primaria della liti-
spendenza comunitaria
6
.
3
CGCE, 6.12.1994, The owners of the cargo lately laden on board the ship Tatry c.
The owners of the ship Maciej Rataj, C-406/92, in Racc. giur. CGCE 1994, I-5439.
4
CGCE, 27.06.1991, Overseas Union Ltd e Deutsche Ruck UK Reinsurance Ltd e
Pine Top Insurance Company Ltd c. New Hampshire Insurance Company, C-351/89,
in Racc. giur. CGCE 1991, I-3317.
5
CGCE, 9.10.1997, Elsbeth Freifrau von Horn c. Kevin Cinnamond, C-163/95, in
Racc. giur. CGCE 1997, I-5451.
6
Cfr. DI BLASE, Connessione cit., 81; CAMPEIS–DE PAULI, La procedura civile inter-
nazionale, Padova, 1996, 2
a
ed., 218-219; CANO BAZAGA, La litispendencia cit., 74;
MARENGO, La litispendenza cit., 50; M. A. LUPOI, Conflitti cit., Tomo II, Parallel
39
E’ da notare che, nelle recenti sentenze Gantner
7
e Mærsk
8
, sembre-
rebbe ravvisarsi un mutamento di indirizzo da parte della Corte di
Giustizia. Questa, infatti, senza negare che la ratio dell’art. 21 della
Convenzione sia quella individuata nella sentenza Gubisch, ha tutta-
via deciso i casi sopra citati senza far riferimento all’esigenza di evi-
tare contrasti fra decisioni, quale fondamento della litispendenza
comunitaria.
La causa Gantner riguardava due giudizi nel secondo dei quali, in-
staurato in Austria, era stato eccepito in compensazione un credito,
che era stato fatto valere in via principale nel primo processo, in-
staurato davanti al giudice olandese.
La causa Mærsk si riferiva a una domanda di limitazione della re-
sponsabilità in ordine ad un determinato fatto, presentata al giudice
proceedings, 636, trattando della litispendenza internazionale in generale;
KERAMEUS, Problemi attuali della litispendenza internazionale nel processo civile, in
Riv. dir. proc., 1990, 1018 ss.; più in particolare BRIGGS, The Brussels Convention, in
Yearbook eur. l., 1991, 522-23, ritiene che l’art. 21 sia volto ad evitare la duplicazio-
ne dei giudizi, il contrasto tra decisioni ex art. 27, punto 3 e l’ulteriore confusione che
si verificherebbe a seguito della richiesta di riconoscimento o esecuzione di uno o di
entrambe le decisioni in un terzo Stato contraente.
7
CGCE, 8.12.2003, Gantner Electronic GmbH c. Basch Exploitatie Maatschappij
BV, C-111/01, in Racc. giur. CGCE 2003, I-04207.
8
CGCE, 14.10.2004, Mærsk Olie & Gas A/S c. Firma M. de Haan en W. de Boer, C-
39/02, (consultabile all’indirizzo web http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/form.pl?
lang=it, ricerca per numero di causa, come anche nell’appendice di questo lavoro,
pagg. 412 ss.).
40
olandese e un’azione di risarcimento del danno cagionato dal mede-
simo fatto, successivamente esperita davanti al giudice danese.
E’ evidente che in entrambe le ipotesi vi era la possibilità che fosse-
ro pronunziate decisioni tra loro contrastanti. In particolare, nel pri-
mo caso tale possibilità si sarebbe concretizzata qualora la sentenza
austriaca avesse dichiarato estinto per compensazione il credito fatto
valere in via principale, e quella olandese avesse condannato al pa-
gamento del credito, eccepito in compensazione dinanzi al giudice
austriaco, o qualora il giudice austriaco avesse respinto l’eccezione
di compensazione ritenendo inesistente il controcredito e invece
quello olandese condannato all’adempimento del medesimo
9
. Nel
secondo caso si sarebbe verificato un contrasto decisorio, a parere
dell’ Avvocato Generale Léger, qualora fossero state emanate una
decisione che avesse limitato la responsabilità dell’attore per il fatto
dannoso ad una determinata somma e una decisione che avesse ac-
cordato un risarcimento del danno più elevato
10
.
9
Queste sono le ipotesi, che si possono dare nel caso Gantner, di contrasto tra deci-
sioni, inteso come “conflitto ‘pratico-funzionale’ di pronunce, individuate da MERLIN,
Art. 21 Conv. Bruxelles e compensazione: una battuta d’arresto nella nozione comu-
nitaria di litispendenza, in Int’l Lis, 2004, 18.
10
V. CGCE, 14.10.2004, Mærsk Olie & Gas A/S c. Firma M. de Haan en W. de Boer,
C-39/02, conclusioni dell’Avvocato Generale Léger, § 45 (consultabili all’indirizzo
web http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it, ricerca per numero di pagina).
Per un esame dettagliato dei contrasti decisori che si possono verificare nel caso
Mærsk rinvio al § 2.5 del Capitolo V, pagg. 158 ss.
Questo passaggio delle conclusioni dell’Avvocato Generale non è stato ripreso dalla
Corte di Giustizia nella sua sentenza che, per il resto, ha seguito, quasi pedissequa-
41
Se la Corte di Giustizia avesse seguito il suo costante orientamento,
avrebbe dovuto concludere per l’identità di cause in entrambi i casi,
con conseguente applicazione dell’art. 21. E invece, in ambedue le
ipotesi, la Corte ha negato l’applicabilità della norma sulla litispen-
denza: nel caso Gantner affermando che nella determinazione
dell’identità di cause si dovesse aver riguardo esclusivamente alla
domanda dell’attore e non ai mezzi di difesa del convenuto (quale
era da considerarsi l’eccezione di compensazione); nel caso Mærsk
basandosi su una puntigliosa analisi sulla causa e l’oggetto delle
domande proposte dinanzi ai giudici olandese e danese, onde desu-
merne la non identità.
La mancata applicazione dell’art 21 poteva essere giustificata nella
sentenza Gantner tenendo conto dell’incongruità del risultato cui a-
vrebbe condotto l’applicazione della norma sulla litispendenza
11
, tut-
tavia non altrettanto si poteva dire riguardo alla causa Mærsk, nella
quale l’applicazione di detta norma non avrebbe dato luogo ad alcun
diniego di giustizia.
La Corte di Giustizia, dunque, senza mettere apertamente in discus-
sione la ratio dell’art. 21 da essa stessa elaborata, né tanto meno in-
dividuarne una di diversa, ha manifestato una certa insoddisfazione
mente, la falsariga delle conclusioni dell’Avvocato Generale, evidentemente per non
rendere così manifesto il contrasto tra tale sentenza e la linea interpretativa inaugurata
con il caso Gubisch. L’Avvocato Generale, una volta esclusa l’applicazione dell’art.
21, riteneva che il rischio di decisioni contrastanti potesse essere evitato mediante
l’art. 22, disciplinante la fattispecie della connessione tra cause.
11
Cfr. MERLIN, Art. 21 Conv. Bruxelles e compensazione, cit., 18-19.
42
verso i risultati cui conduceva l’applicazione dell’art. 21, alla luce di
tale ratio. Tale insoddisfazione, peraltro, è stata condivisa anche da
una parte della dottrina, che da lungo tempo ha messo in luce le ne-
gative conseguenze cui l’interpretazione dell’art. 21 operata dalla
Corte conduceva, in particolar modo in materia di identità delle cau-
se
12
.
Tale dottrina ha fatto notare che ogni qual volta il giudizio preve-
niente sia di minore ampiezza rispetto a quello prevenuto e tuttavia
tale da poter sfociare in una decisione in contrasto con quella che
porrà termine al giudizio prevenuto, si devono considerare identici
tali giudizi con conseguente chiusura in rito del secondo, dopo che
nel primo sia stata accertata la giurisdizione del giudice adito. In
questo caso si determinerebbe, dunque, un sostanziale diniego di
giustizia non potendo, nel primo giudizio, l’attore del secondo otte-
nere tutto quanto egli aveva chiesto, stante la differente ampiezza di
questi due giudizi.
Parrebbe pertanto necessario, onde evitare siffatte conseguenze, ri-
costruire una differente ratio della litispendenza comunitaria.
12
V. DI BLASE, Connessione, cit., 96 ss; LUPOI, Conflitti transnazionali, cit., Tomo
II, 765; ATTARDI, Prime considerazioni sulla nozione di litispendenza nella Conven-
zione di Bruxelles, in AA. VV., Scritti in onore di Crisanto Mandrioli, Milano, 1995,
1020-1021; ONNIBONI, Litispendenza e connessione comunitarie (artt. 21 e 22 con-
venzione di Bruxelles del 1968) in un caso di cumulo oggettivo di cause per accesso-
rietà presso il giudice adito per secondo, in Giur. It., 1996, IV, 38-39; CONSOLO,
Profili cit., 28.; CANO BAZAGA, La litispendencia cit., 97.
.
43
A tal fine si deve considerare cosa accadrebbe qualora non vi fosse,
in ambito comunitario, alcuna disciplina della litispendenza.
In questo caso, qualora dinanzi a giudici di Stati membri differenti
venissero instaurate due cause tali che la pronuncia di merito su una
di esse costituisse la definizione anche dell’altra, i giudizi prosegui-
rebbero autonomamente il loro corso finché uno dei due non sfoce-
rebbe in una decisione, avente efficacia di giudicato. Tale efficacia
potrebbe essere fatta valere nell’altro giudizio, in quanto l’art. 33
Reg. 44/2001 assicura il riconoscimento automatico, in tutti gli Stati
membri alle decisioni emesse dai giudici di ogni altro Stato membro,
così da determinare, in tal giudizio, l’emanazione di una pronuncia
di absolutio ab instantia per ne bis in idem
13
. Ma, se si permettesse
13
Cfr. CGCE, 30.11.1976, Jozef De Wolf c. Harry Cox B.V., C-42/76, in Racc. giur.
CGCE 1976, 1759, riguardante il caso di un creditore che dopo il passaggio in giudi-
cato della sentenza belga di condanna a lui favorevole, fece valere il credito oggetto
di tale sentenza davanti al giudice olandese. La Corte statuì che la causa olandese era
incompatibile con la Convenzione di Bruxelles, pertanto la relativa domanda doveva
essere dichiarata irricevibile, per evitare che tale processo si concludesse con una de-
cisione di segno contrario rispetto a quella belga, precludendone il riconoscimento. E’
da notare che la Corte di Giustizia affermò la necessità della chiusura in rito seguendo
un percorso argomentativo differente rispetto a quello illustrato nel testo: infatti essa
non rilevò che il giudicato belga esplicava nell’ambito dell’ordinamento di origine ef-
ficacia di giudicato e che tale efficacia, in forza della norma della Convenzione che
assicurava il riconoscimento automatico delle decisioni emanate dai giudici degli Sta-
ti contraenti, potesse essere fatta valere nel giudizio olandese, in modo da determinar-
ne la chiusura in rito per ne bis in idem. La Corte invece ritenne che il giudizio dove-
va essere definito con una pronuncia di absolutio ab instantia, in quanto incompatibi-
44
ad entrambi i giudizi di continuare fino a che uno dei due non per-
venisse ad una decisione di merito tale da determinare la chiusura in
rito dell’altro, l’attività processuale svolta nell’ambito di questo se-
condo processo si rivelerebbe del tutto inutile. Ecco dunque interve-
nire, onde evitare tale dispendio di attività processuale, la norma sul-
la litispendenza, che blocca sul nascere uno dei due processi: quello
successivamente instaurato, ragionevolmente confidando che il pri-
mo giunga in più breve tempo ad una decisione definitiva. E’ pertan-
to in un’ottica di economia processuale che trova il suo fondamento
la norma sulla litispendenza
14
, che opera come un’anticipazione del
ne bis in idem
15
. Dunque si può affermare che l’art. 27 del Regola-
le con lo spirito delle norme della Convenzione e, in particolare, con la finalità della
libera circolazione delle decisioni.
14
Anche MARENGO, La litispendenza, cit., 50, fa riferimento al principio di economia
quale fondamento della litispendenza comunitaria, accanto alla funzione di prevenire
contrasti decisori.
15
Cfr. M. A. LUPOI, Conflitti transnazionali, cit., Tomo II, 627 e 706, il quale affer-
ma che l’eccezione di litispendenza, anche nell’ambito comunitario, rappresenta
l’anticipazione dell’eccezione di cosa giudicata.
DI BLASE, Connessione, cit., 81, ritiene invece che la norma sulla litispendenza co-
munitaria “ non possa essere ricondotta sic et simpliceter al principio ne bis in idem”,
che costituisce il fondamento della regola della litispendenza interna. Ciò viene af-
fermato in base alla “non perfetta equivalenza tra l’esercizio della funzione giurisdi-
zionale nell’uno o nell’altro Stato contraente” (DI BLASE, ibidem), data dal fatto che
differenti sono le normative che regolano il processo nei vari Stati, e differenti sono le
norme interne sulla competenza giurisdizionale, applicabili nei confronti dei convenu-
ti domiciliati in Stati terzi.
45
mento CE 44/2001, alla luce di quella che deve ritenersi la sua ratio,
si applica ogniqualvolta la decisione di merito in cui sfocerà il giu-
dizio preveniente, di qualsiasi segno essa sia, fatta valere, in base al-
le norme del Regolamento che ne assicurano il riconoscimento au-
tomatico, nel secondo processo, cui sia applicabile il Regolamento
stesso, ne determini la chiusura in rito per ne bis in idem.
Una volta individuata la ratio dell’art. 27, si può pure affermare, as-
sieme alla Corte di Giustizia, che esso persegue lo scopo di evitare i
contrasti tra decisioni, ma con le seguenti precisazioni: tale scopo è
perseguito soltanto in via mediata e cioè solo in quanto la norma sul-
la litispendenza costituisce un’anticipazione del ne bis in idem, la
cui precipua funzione è quella di evitare i conflitti fra giudicati, e del
resto tale norma viene indirettamente ad evitare non già tutti i con-
Tali differenze sono innegabili, bisogna tener conto, tuttavia, che la Convenzione ha
previsto una disciplina che accorda alle decisioni emanate negli Stati contraenti, e
cioè ai risultati dell’esercizio della funzione giurisdizionale, il riconoscimento auto-
matico, senza che abbiano rilievo le norme processuali che regolano i giudizi che in
tali decisioni sono sfociati, salvo il loro eventuale contrasto con l’ordine pubblico del-
la Stato richiesto del riconoscimento. Ciò significa che si è voluto non dar rilevanza,
ai fini della Convenzione, a tali differenze, pur esistenti, che assumono dunque un ri-
lievo di mero fatto. Invece da un punto di vista giuridico, e cioè alla stregua della
Convenzione di Bruxelles, deve considerarsi come equivalente l’esercizio della fun-
zione giurisdizionale nei differenti Stati contraenti (v. per l’equiparazione delle giuri-
sdizioni quale presupposto dell’integrazione giudiziaria che la Convenzione è venuta
a determinare MARENGO, La litispendenza, cit., 48; CONSOLO, Profili cit., 21).
Alla luce di queste considerazioni cade l’argomento in base a cui l’autrice affermava
l’impossibilità di ricondurre la norma sulla litispendenza comunitaria al principio del
ne bis in idem.
46
trasti fra decisioni contemplati dall’art. 34 punto 3) Reg. 44/2001
(riproduttivo dell’art. 27, punto 3, della Convenzione di Bruxelles),
ma soltanto quelli che si concretano in conflitti di giudicati
16
.
16
Quanto detto necessita di essere precisato.
La Corte di Giustizia nel caso Horst Ludwig Martin Hoffmann c. Adelheid Krieg (sen-
tenza del 4.02.1988, C-145/86, in Racc. Giur. CGCE 1988, 645) affermò che sussi-
steva contrasto fra decisioni ai sensi dell’art. 27 n. 3 della Convenzione di Bruxelles
quando queste fossero produttive di effetti giuridici tali da escludersi reciprocamente.
La dottrina tedesca (v. riferimenti in CONSOLO, MERLIN, Conflitto fra provvedimenti
sommari cautelari e diniego di riconoscimenti: la Italian Leather segna una forzatu-
ra, in Int’l Lis 2003, 111-112) attribuì due differenti significati a tale affermazione.
Secondo una prima tesi il contrasto sussisteva quando le due decisioni producevano
effetti processuali tra loro contrastanti e dunque, in primis, quando vi era contraddit-
torietà tra gli effetti d’accertamento delle due sentenze.
Una seconda tesi riteneva che il contrasto, rilevante ai sensi dell’art 27, punto 3, fosse
quello tra sentenze i cui effetti sostanziali fossero inconciliabili, ipotesi che si dava
nel caso di “offensività (o almeno distonia) dell’una [scil. decisione] rispetto al bene
della vita assicurato dall’altra” (CONSOLO, MERLIN, Conflitto cit., 112) e nel caso di
“disarticolazione dei nessi di coerenza interni della relazione sostanziale tra le parti”
(CONSOLO, MERLIN, ibidem).
E’ chiaro che, qualora si accolga la prima tesi, l’interpretazione della norma sulla liti-
spendenza comunitaria individuata nel testo, condurrebbe ad affermare, almeno di
primo acchito, che tale norma verrebbe indirettamente ad evitare tutti contrasti fra de-
cisioni di cui all’art 34, punto 3 Reg. 44/2001, eccetto quelli che si verrebbero a de-
terminare a seguito dell’instaurazione di due processi nel secondo dei quali si debba
conoscere di una questione pregiudiziale (e tuttavia tale che la sua soluzione si debba
considerare coperta dal giudicato, alla stregua della legge che ne disciplina i limiti
oggettivi) dedotta in via principale nel primo giudizio.
Qualora invece si accolga la seconda tesi, che parrebbe preferibile perché corroborata
da precisi elementi testuali e da quanto pare doversi desumersi dalla giurisprudenza
47
E’ chiaro che l’interpretazione dell’art. 27 alla luce di una siffatta
ratio conduce ad una nozione di litispendenza non autonoma dai di-
ritti nazionali. Ciò è di immediata evidenza ove si consideri che
l’art. 27 risulta applicabile ogni qualvolta la decisione destinata a
porre termine al giudizio preveniente possa esplicare un effetto ne-
gativo-preclusivo nel giudizio prevenuto e che gli effetti delle deci-
sioni sono determinati dai diritti nazionali
17
.
della Corte di Giustizia (v. Hoffmann, cit.; Gubisch, cit.), l’ambito dei contrasti deci-
sori aumenterebbe sensibilmente la sua ampiezza, con conseguente riduzione dei con-
trasti che l’art. 27 Reg. 44/2001 verrebbe indirettamente a evitare.
A questo punto del lavoro non è tuttavia possibile pervenire alla precisa determina-
zione di quali siano i contrasti decisori che l’art. 27 è indirettamente destinato a evita-
re, determinazione che sarà effettuata nei §§ 2.6 ss. del Cap. V dedicato all’identità
delle cause.
17
Se è certo che sia compito dei diritti nazionali determinare gli effetti delle decisio-
ni, controversa è invece l’individuazione dell’ordinamento che ha un simile compito.
V. per questa problematica DROZ, Competence cit., 282 ss.; GAUDEMET-TALLON,
Competence cit.., 282; BARNETT, Res judicata, estoppel, and foreign judgments : the
preclusive effects of foreign judgments in private international law, Oxford, 2001,
250 ss.; ATTARDI, La nuova disciplina in tema di giurisdizione italiana e di ricono-
scimento delle sentenze straniere, in Riv. dir. civ., 1995, 768 ss., nota 53; CONSOLO,
Evoluzioni nel riconoscimento delle sentenze, in ID. Nuovi problemi di diritto proces-
suale civile internazionale, Milano, 2002, 26 ss. La dottrina è divisa tra chi ritiene che
tale determinazione spetti all’ordinamento cui appartiene il giudice che ha pronuncia-
to la decisione (teoria della estensione degli effetti) e chi invece sostiene che essa
spetti alla legge dello Stato in cui la decisione viene fatta valere (teoria definita da
CONSOLO e GAUDEMET-TALLON dell’assimilazione degli effetti, e da BARNETT della
equalisation of effects). Vi è infine chi ritiene che tale determinazione, almeno per
quel che riguarda i limiti oggettivi del giudicato, debba essere compiuta in concorso
48
E’ necessario ora chiedersi se ciò costituisca motivo sufficiente per
rigettare la ratio de qua e preferire invece quella proposta dalla Cor-
te di Giustizia, sul cui fondamento è stato delineato un concetto au-
tonomo di litispendenza, che ha il pregio di garantire a priori
l’uniforme applicazione della norma sulla litispendenza senza che
assuma rilievo il differente modo di disporre degli ordinamenti degli
Stati in cui i procedimenti paralleli sono stati instaurati
18
19
.
dall’ordinamento di origine e da quello in cui la decisione è fatta valere, in modo che
essa produca nel secondo i soli effetti, previsti dalla legge dello Stato d’origine che la
legge dello Stato del riconoscimento attribuisce alle decisioni dei suoi giudici (tale te-
si è stata definita da CONSOLO, Evoluzioni cit., 31, che la sostiene, come teoria della
doppia confinazione degli effetti).
La Corte di Giustizia, nella sentenza Hoffman c. Krieg, cit., § 11, ha affermato che
“una decisione straniera riconosciuta in forza dell’art. 26 della Convenzione deve a-
vere nello Stato richiesto in linea di massima la medesima efficacia che essa ha nello
Stato d’origine”. Dunque la Corte, pronunciandosi in materia di effetti esecutivi della
decisione straniera, ha preso posizione a favore della teoria della estensione degli ef-
fetti, stabilendo un principio che potrebbe essere applicato alla generalità degli effetti
prodotti da una decisione.
18
La Corte di Giustizia ha messo più volte in luce che l’interpretazione autonoma del-
le nozioni e qualificazioni giuridiche presenti nella Convenzione garantisce
l’uniforme applicazione delle norme convenzionali e con essa l’eguaglianza e
l’uniformità dei diritti e degli obblighi derivanti dalla convenzione agli Stati contraen-
ti ed ai soggetti interessati” (CGCE, 14.07.1977, Bavaria e Germanair c, Eurocon-
trol, C-9,10/77, in Racc. giur. CGCE, 1977, 1517).
19
E’ da notare, peraltro, che le sentenze della Corte in materia di litispendenza non
hanno tutte perseguito l’obiettivo di configurare una nozione autonoma della stessa.
Infatti ciò non è avvenuto con la sentenza Zelger che ha lasciato ai diritti nazionali la
determinazione del momento iniziale di pendenza della lite. Pertanto dal complesso
49
A tal riguardo si deve tener conto che anche una nozione non auto-
noma di litispendenza, che pur non garantisce in astratto
l’uniformità applicativa, può condurre a risultati applicativi unifor-
mi, una volta che si adottino adeguate soluzioni interpretative.
Queste saranno esaminate in dettaglio nei prossimi capitoli e in par-
ticolare in quello dedicato ai presupposti di applicazione dell’art. 27:
lì si mostrerà in concreto che anche un concetto non autonomo di li-
tispendenza possa non pregiudicare l’uniforme applicazione
dell’istituto nei diversi Stati membri.
Pertanto non sussistono ragioni per sostenere la preferibilità di una
nozione autonoma e anzi tale nozione, almeno per come elaborata
dalla Corte, produce dei risultati incongrui, di cui già da tempo si è
accorta la dottrina e di cui paiono ora accorgersi anche i Giudici di
Lussemburgo, risultati che invece sarebbero esclusi qualora si acco-
gliesse l’interpretazione dell’art. 27 sopra proposta.
delle decisioni della Corte esce una nozione di litispendenza sotto certi aspetti auto-
noma e sotto altri dipendente dai diritti nazionali.
Del resto, anche in materia di identità di causa, l’autonomia di tale nozione resta fer-
ma soltanto qualora si accolga la seconda delle tesi esposte alla nota 27 circa il con-
cetto di contrasto fra decisioni, cioè solo qualora si abbracci una nozione a sua volta
autonoma di contrasto decisorio. Qualora invece si accogliesse la tesi che risolve il
contrasto fra decisioni in un conflitto di giudicati, la sussistenza o meno del contrasto
verrebbe necessariamente a dipendere dalle discipline nazionali in tema di limiti og-
gettivi del giudicato, e la non autonomia della nozione di contrasto decisorio si river-
bererebbe su quella di litispendenza, che un tale contrasto è destinata, secondo la
Corte di Giustizia, a evitare per quanto possibile e sin dall’inizio.
50
E’ chiaro infatti che quest’ultima escluderebbe in radice il rischio di
quei dinieghi di giustizia, cui può dar luogo invece l’applicazione
dell’art. 27 alla luce della ratio individuata dalla Corte di Giustizia,
dato che condurrebbe ad applicare la norma sulla litispendenza solo
nei casi di perfetta identità delle due cause o di maggiore ampiezza
di quella preveniente.
Sembra dunque che l’interpretazione che ravvisa la ratio dell’art. 27
nell’anticipazione del ne bis in idem, possa non solo costituire una
valida alternativa a quella della Corte di Giustizia, ma anzi essere a
questa preferibile.
E’ alla luce di tale ratio che in questo lavoro si affronteranno le va-
rie questioni interpretative che si pongono a riguardo di quello che
era l’articolo 21 della Convenzione di Bruxelles e ora è l’articolo 27
del Regolamento 44/2001.