materiali per la fusione termonucleare controllata. Risulta chiaramente come la
scelta del materiale per la “prima parete” sia molto difficile a causa delle
condizioni estreme di lavoro (calore ed irraggiamento), dovute all’effetto del
plasma. Recentemente sono state ridiscusse le proprietà delle quali dovrebbe
essere dotato il materiale ideale per la “prima parete”; in forma riassuntiva esse
sono:
a) capacità di resistenza all’irraggiamento, tale che il danno inevitabilmente
indotto sia limitato e non dia luogo ad importanti variazioni nelle
caratteristiche meccaniche e dimensionali (swelling);
b) caratteristiche superficiali tali che la prima parete possa resistere
all’azione di danneggiamento derivante dallo “sputtering” e dalla
disruzione del plasma;
c) buona compatibilità e bassa permeabilità nei confronti dell’idrogeno in
modo che si realizzi una effettiva barriera contro quest’ultimo ed i suoi
isotopi;
d) ottima compatibilità nei confronti del liquido di raffreddamento;
e) eccellenti proprietà meccaniche e termiche (in condizioni di materiale non
irraggiato e irraggiato). In particolare sono importanti quelle che
influenzano la capacità di resistenza alla fatica termica originata dalla
natura pulsata del flusso termico proveniente dal plasma (per esempio il
carico unitario di snervamento, il carico unitario di rottura a trazione e
conducibilità termica);
f) buona formabilità e saldabilità. Il “torus” infatti ha una forma complessa
che può essere realizzata solo con la giunzione di un numero elevato di
componenti a mezzo di tecniche di saldatura che garantiscono, nel
metallo saldato, proprietà simili a quelle del metallo base;
g) esistenza di una capacità di sviluppo e di produzione industriale, frutto di
precedenti esperienze relative al materiale considerato;
h) costi non eccessivi;
i) valori ridotti delle principali caratteristiche di attivazione nucleare in
modo che il problema del “waste” (rifiuti radioattivi), visto nell’insieme
delle operazioni legate al ciclo di vita del Tokamak (manutenzione,
raffreddamento dopo lo spegnimento, e riciclo), sia ridotto al minimo.
Il presente lavoro è finalizzato a valutare le interazioni dell’idrogeno con
l’acciaio F82H, progettato in Giappone proprio per costituire la “prima parete”
del reattore nucleare a fusione (DEMO).
-La fusione nucleare-
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Capitolo 1
La Fusione nucleare
1.1 Reazioni e combustibili
Sono gli elementi leggeri ad essere coinvolti nel processo di Fusione, dal quale
si otterranno nuclei pesanti, fig. 1.1
Fig. 1.1 Rappresentazione del processo di fusione
Il processo è analogo a quello che avviene nel Sole e nelle stelle e potrebbe essere
prodotto artificialmente anche sulla terra.
Oltre alla formazione di nuovi elementi, la fusione nucleare comporta la
formazione di una grandissima quantità di energia. Basti pensare che, se si
unissero due protoni e due neutroni tanto da formare una particella α, si
libererebbero 26 MeV. Non è, però, così semplice come sembra; infatti, fondere
due nuclei comporta l’avvicinamento dei protoni dei due nuclei e, come ben noto,
cariche uguali si respingono. Per superare questo ostacolo i neutroni devono porsi
tra i protoni e affievolirne le forze di repulsione; ma ciò non basta. Per far si che
-La fusione nucleare-
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la fusione avvenga, sono necessarie temperature elevatissime, che ancora oggi è
difficile raggiungere.
Dalla fusione nucleare si ottiene un’enorme quantità di energia, dovuta al
“difetto di massa”: una volta che i due atomi si fondono, la loro massa non è pari
alla somma delle masse dei due nuclei, ma minore. La materia non si crea né si
distrugge, ma può convertirsi in energia: questo è ciò che avviene nella fusione
nucleare.
Comunque, la formazione della particella α è più qualcosa di teorico che di
pratico, perché in realtà la fusione di quattro nuclei avviene mediante un ciclo di
reazioni dove determinati elementi si scompongono e poi ricompongono avendo
agito da catalizzatori, ma avendo contribuito alla formazione di enormi quantità
di energia.
Due sono i processi più importanti:
- il cosiddetto Ciclo del carbonio, dal quale si ottengono 25MeV e dove quattro
protoni si combinano a formare 4He;
- il ciclo a due atomi di idrogeno da cui si ottengono 19MeV di energia.
Anche sulla terra si è cercato di riprodurre artificialmente il processo di fusione,
anche se è molto complicato a causa delle elevate temperature che si dovrebbero
raggiungere e poi mantenere. Utilizzando gli isotopi dell’ idrogeno possono
avvenire le seguenti reazioni:
REAZIONI DELLA FUSIONE
D + T ─ ─ ─ ─ ─ ─ ─ → 4He (3.5 MeV) + n (14.1 MeV)
D + D ─ ─ ─ ─ ─ ─ ─ → T (1.01 MeV) + H (3.02 MeV)
D + D ─ ─ ─ ─ ─ ─ ─ → 3He (0.82 MeV) + n (2.45 MeV)
D + 3He ─ ─ ─ ─ ─ ─ ─ → 4He (3.6 MeV) + H (14.7 MeV)
-La fusione nucleare-
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Inoltre i prodotti della fusione non sono radioattivi.
Per quanto riguarda il combustibile utilizzato nei reattori a fusione
sperimentali,questo è composto da una miscela di due elementi che hanno le
stesse caratteristiche chimiche dell’idrogeno, ma sono leggermente più pesanti: il
deuterio e il trizio. Il deuterio ha il nucleo formato da un protone e un neutrone e
si estrae dall’acqua, e pertanto inesauribile. Il trizio, che contiene invece un
protone e due neutroni, si ricava dal litio, un metallo abbondante nella crosta
terrestre.
1.2 Realizzazione della fusione
Sono due le principali tecniche di attuazione della fusione nucleare:
- A confinamento magnetico
- A confinamento inerziale
La prima tecnica, che poi è quella che ci interessa, si basa sull’utilizzo di campi
magnetici così elevati che, per evitare perdite ohmiche proibitive, le bobbine
degli elettromagneti che li generano, devono operare in regime di
superconduttività, con adatti materiali tenuti a temperature prossime allo zero
assoluto. La densità della materia reagente è anch’essa eccezionale. Se si opera in
regime “quasi continuo” , cioè con plasmi contenuti da campi magnetici ed
elettromagnetici poco variabili nel tempo, la densità deve essere dell’ordine di
1014 particelle per centimetro cubo. Non è molto, si dirà, poiché l’aria a pressione
atmosferica e temperatura ambiente contiene circa 3∗1019 molecole (di azoto e
ossigeno). In condizioni standard la pressione sarebbe perciò poco superiore a tre
milionesimi di atmosfera, un grado di vuoto non certo eccezionale. Ma con un
gas allo stato di plasma a 100 milioni di gradi , la pressione da esso esercitata è
-La fusione nucleare-
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dell’ordine di 100 atmosfere , contenute fortemente dalle pareti artificiali
costruite intorno al plasma stesso.
Le pareti più interne non sono neppure sfiorate da tali lingue di fuoco, che
le distruggerebbero all’istante, ma sono attraversate da valanghe di neutroni
veloci (oppure freddi), che portano con sé i quattro quinti dell’energia di
reazione, energia che devono cedere al litio, mantenuto allo stato liquido a 600-
700°C intorno al tubo contenitore del plasma. Tali pareti devono possedere un
certo spessore, non foss’altro per essere maneggiate e resistere alle temperature
del litio liquido.
La seconda tecnica utilizza invece un principio di reazione in base al quale si fa
rinculare su se stessa una sferetta di materiale attivo, avviluppandola con
un’eccezionale densità di potenza, concentrata su di essa da una molteplicità di
laser impulsanti, i cui fasci confluiscono verso il suo centro, ci troviamo in
condizioni fisicamente estreme. Il superfreddo, in tal caso, è di maneggio non
così difficile come nell’altra tecnica; non è però assente , perché il materiale
reagente (deuterio più trizio) deve essere alimentato sottoforma di sferette di
idrogeno solido (freddo).
Dato che il tempo di reazione è ridotto a meno di un nanosecondo, la materia va
compressa a una densità da mille a diecimila volt quella della materia ordinaria.
Per dare un’idea delle pressioni coinvolte , si consideri che, per raddoppiare la
densità dell’acqua ordinaria, è necessario comprimerla con una pressione di
50000 atmosfere. Il generatore “ a confinamento inerziale “ funziona per
esplosioni successive: una specie di motore a scoppio nucleare. E l’enorme
differenza visiva fra i laser di accensione e la sferetta reagente è la dimostrazione
dimensionale della differenza che esiste fra i dispositivi che operano con
l’energia da legame chimico (come i laser) e l’energia nucleare. Un milligrammo
di miscela D + T vale infatti 10 milioni di milligrammi di petrolio, cioè 10
chilogrammi di idrocarburi. Anche riducendo ulteriormente le dimensioni della
sferetta a frazioni di milligrammo, ogni scoppio equivale a quello di parecchi
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chili di tritolo, che devono ripetersi con la cadenza necessaria, per dare la potenza
media voluta. In fig. 1.2 c’è lo schema di funzionamento di tale reattore.
Fig. 1.2 Schema di un reattore a confinamento inerziale
Per contenere una potenza di 5000 MWt e tollerare un flusso di 10
14
n/cm
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s, la
cavità in cui avviene l’esplosione deve avere un diametro di circa 25 m e le
esplosioni si devono susseguire al ritmo di un centinaio al secondo: un regime da
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velocissimo motore a scoppio. In tal caso non si ha a che fare, come si è detto, né
con supercampi elettromagnetici, né con superconduttori, ma la cavità, che
contiene le esplosioni, deve essere foderata con lamiere speciali, lambite con litio
liquido e fluente alla solita temperatura, che asporta il calore e in cui i neutroni
sono assorbiti. Dal litio va poi estratto il trizio. Inoltre la parete di contenimento è
forata in più punti, al fine di permettere il passaggio dei fasci laser che,
collidendo sulla particella di deuterio-trizio solida, ne provochino la tremenda
compressione e successiva esplosione.
L’inconveniente di tale tecnica, per ora, è l’impossibilità di mantenere la
reazione stabile nel tempo. Un istante dopo la fase di contrazione del
combustibile, infatti, i nuclei di deuterio e trizio, liberi dalla capsula che li
conteneva, si disperdono e la fusione cessa. E’ difficile, in tali condizioni,
progettare un impianto per la produzione di energia.
1.3 Confronto fissione-fusione [1]
Al confronto della fisica che governa i reattori a fusione, quella che governa i
reattori a fissione è di una banalità sconcertante, e la corrispondente tecnologia
elementare. Eppure, fra la data della scoperta della fissione e la prima
realizzazione fisica di una struttura moltiplicante autosostenentesi passarono
quattro anni, e altri due prima di produrre energia in quantità apprezzabili. Ci
vollero poi altri dieci anni prima di arrivare alla produzione di energia elettrica; e
altri dieci, perché l’energia elettrica da fonte nucleare divenisse competitiva con
le fonti tradizionali.
I neutroni di fissione sono divorati entro la macchina stessa, per tenerla in vita , e
ciò che si perde, e che si cerca di ridurre al minimo, è si e no un centesimo dei
neutroni reagenti, poiché nei reattori a fissione i neutroni sono un prezioso
“comburente”, da non lasciar sfuggire. Anche nei reattori a fusione basati sulla
reazione D + T , i neutroni sono un prezioso “comburente”, ma sono anche
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portatori della massima parte dell’energia di reazione. Essi devono quindi uscire
dalla zona del plasma, sia per utilizzarne l’energia cinetica ceduta al litio e,
contemporaneamente, per consentire la produzione del trizio (a partire dal litio)
che è essenziale per l’alimentazione della reazione stessa. Si tratta di flussi
neutronici almeno cento volte superiori ai flussi che si riscontrano sulla superficie
esterna dei reattori veloci a fissione. La durata dei materiali investiti da questi
flussi si misura pertanto in qualche settimana e non in anni. Di qui la necessità di
una robotica spinta e di un progetto, predisposto e pronto al rapido smontaggio e
al successivo rimontaggio delle parti avariate.
Nei reattori a fissione la massima densità di potenza dell’ordine di qualche
centinaio di chilowatt per litro, mentre in quelli a fusione con confinamento
magnetico essa risulta forzatamente inferiore, almeno di un fattore dieci. Se
quindi un reattore a fissione produce una potenza specifica media di 50 KW/litro,
in quello a fusione scendiamo a 5. Per fare allora una macchina da 5000 MW/litro
(potenza confrontabile con quella della prossima generazione dei reattori a
fissione veloci autofertilizzanti) è necessario un volume di toro di almeno un
migliaio di metri cubi. Che la fissione veloce raggiunga lo stesso scopo con costi
minori ed in un tempo assai più breve è scontato, ma non è un’ obiezione valida
contro lo sviluppo della fusione. Della fissione ci sarà bisogno per molto tempo,
probabilmente per molto più di un secolo, anche nell’ ipotesi che la fusione si
sviluppi senza incontrare eccessive difficoltà. Ma la fusione, pur introducendo
anch’essa nel processo di rilascio di energia i neutroni, riduce notevolmente il
tasso di produzione dei radioisotopi, che ne sono i velenosi cascami. E’ un
risultato importante, che ha un grande valore e, opportunamente monetizzato, si
traduce in un risparmio, almeno in una delle voci che costituiscono il costo
dell’energia da fonte nucleare. Se si avrà la padronanza della fusione nucleare,
allora il problema delle scorie radioattive assume un significato più caudco:
l’umanità non dovrà più preoccuparsi per l’eternità di immagazzinare ogni anno
scorie radioattive da processi di fissione, che si disattivano mezzo millennio
dopo.