5
Nel primo, l’attenzione si sofferma sul termine cultura, sulla sua etimologia, sul
suo nuovo significato nell’era digitale, sui differenti approcci di studio.
Nel secondo capitolo, invece, il tema identità/ tolleranza viene riflettuto
attraverso le problematiche del riconoscimento e della tolleranza che, da sempre,
determinano ed influenzano le interazioni in tutti i sistemi sociali.
L’ ultimo capitolo, infine, tratta del multicultiralismo e del ruolo che i mezzi di
comunicazione di massa svolgono nei diversi contesti.
Un’ indagine sui media, poi, rileva il modo in cui la stampa ha monitorato
argomenti che riferiscono sulla presenza straniera in Italia, confermando una
superficiale conoscenza dell’altro ed una mancata disponibilità.
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CAPITOLO I
LA CULTURA
7
- I.1 ETIMOLOGIA DEL TERMINE
Il termine “cultura
1
”, deriva dal latino. Precisamente dal verbo
“colere”, coltivare la terra.
Possiamo distinguere due diverse concezioni di cultura, l’una che
possiamo definire umanistico-spirituale e l’altra che deve essere definita
antropologica.
La sociologia utilizza, nelle sue riflessioni, questo secondo profilo.
Tuttavia, darne una definizione univoca non è semplice, considerate sia la
sua complessità sia il suo grande utilizzo.
Esiste comunque un certo grado di consenso nel concepire la
cultura come tutto ciò che deve la sua creazione all’azione cosciente e
tendenzialmente libera dell’uomo, cioè il patrimonio intellettuale e
materiale, relativamente stabile e condiviso, proprio dei membri di una
determinata collettività.
Ne faranno parte, di conseguenza, valori, norme, definizioni,
linguaggi, simboli, segni, modelli di comportamento, oggetti materiali.
1
Cesareo V., “Sociologia. Teorie e problemi”, Vita e Pensiero, Milano, 1993, pp
8
Gli esseri umani nascono con uno scarso corredo di comportamenti
innati, ma con grandi capacità di apprendimento.
I comportamenti innati si limitano, infatti, ad alcuni riflessi — cioè
risposte automatiche a stimoli — come l’atto del succhiare nei neonati, e
a certe pulsioni — cioè bisogni biologici innati — come per esempio la
fame.
Questi comportamenti sono sì presenti nell’essere umano fin dalla
sua nascita, ma — diversamente da ciò che succede negli animali — non
sono sufficienti a garantirgli la possibilità di vita: così un bambino non
sarà capace di badare a se stesso fin quando non avrà acquisito abilità e
modelli capaci di far fronte a questo bisogno.
Ed è proprio tale capacità di apprendimento a prendere il posto
dell’istinto che regola la vita animale e a consentire a donne e ad uomini
di appropriarsi degli strumenti necessari alla sopravvivenza, ma anche la
facoltà di imparare a pensare, sentire, credere in un certo modo. La
cultura è lo strumento attraverso il quale questa conoscenza appresa si
esprime e si esplicita.
Quanti ‘strumenti’ diversi esistono o potrebbero esistere?
9
Un numero pressoché infinito.
Ogni cultura è, infatti, un prodotto storico, ed è formato da
innumerevoli elementi che, anche se hanno raggiunto un certo grado di
integrazione, hanno comunque in gran parte origini eterogenee, essendosi
formati nell’incontro tra società e culture remote nel tempo e nello
spazio.
Al riguardo è utile ribadire la relatività del grado di condivisione del
patrimonio culturale all’interno della stessa collettività: la lingua è uno dei
tratti culturali che fino a oggi sono stati maggiormente condivisi dai
membri di una stessa società ma, se per esempio consideriamo la
collettività Italia, si può vedere come accanto alla lingua ufficiale si
utilizzino ben altri dieci idiomi.
La cultura è, inoltre, un prodotto in parte cumulato perché il volume
complessivo della cultura che un individuo o una generazione ha a
disposizione è enormemente superiore al volume che producono.
Essa è — infine — un prodotto in continua elaborazione, che può
avere ritmi più o meno veloci a seconda dei tipi di componenti: si pensi a
quelli, rapidissimi, delle conoscenze tecnologiche nel XX secolo.
10
L’enorme varietà delle forme culturali fa sì che non sia sempre agevole
confrontare culture diverse, anche perché c’è sempre il rischio
dell’etnocentrismo
2
, e si cerca allora di collocarsi in una prospettiva di
relativismo culturale che comporta l’idea che una cultura possa essere
compresa solo sulla base dei valori che le sono propri, nel suo contesto e
analizzata nella sua globalità.
I tentativi di interpretazione di questo concetto in questo secolo si
sono succeduti numerosi, mettendone in evidenza la multidimensionalità
ovvero la molteplicità dei parametri (analitici e funzionali) occorrenti a
precisarne i significati e, ponendo l’accento ora su una ora sull’altra di
queste dimensioni.
A. La dimensione soggettiva: ogni individuo ha un proprio, particolare
modi di pensare, sentire, credere e considerare ciò che lo circonda.
B. La dimensione oggettiva: l’idea che la cultura esiste al di là
dell’individuo, lo precede e lo supera come maniera d’essere collettiva,
eredi sociale, deposito del sapere, memoria e tradizione codificate e
accumulate nel tempo, la cui durata supera la vita del singolo e la
trascende perché, appunto, si oggettivizza.
2
Cesareo V. L’etnocentrismo è la tendenza a giudicare le altre culture nei termini della propria cfr.
11
La cultura viene dunque concepita, questa accezione, come autonoma
e costrittiva rispetto al soggetto individuale.
C. La dimensione di riduzione della complessità: di fronte all’infinita
complessità della realtà e alla sua indeterminatezza, la cultura, fornendoci
le risorse necessarie, ci permette di dare senso e significato determinati a
ciò che ci circonda; opera cioè un processo di selezione tra le infinite
possibilità di azione e di esperienza.
Ciò spiega la molteplicità del forme culturali e la loro mutabilità
(accumulazione o cambiamento) nel tempo.
D. La dimensione cognitiva: in quanto definisce e spiega la realtà.
La cultura consente di acquisire informazioni e conoscenze, di stabilire
modelli di pensiero in grado di soddisfare l’esigenza dell’essere umano di
dare forma e significato al mondo; attraverso la formazione delle
credenze, delle immagini del mondo, delle rappresentazioni sociali, degli
schemi interpretativi che sono prodotti da una società o gruppo sociale
storicamente determinati.
E. La dimensione prescrittiva: perché la cultura assolve il compito di
regolazione dei rapporti tra i membri di una determinata collettività
12
Così, valori e norme orientano il modo in cui individui e collettività
agiscono, rendendo prevedibile e integrabile il loro comportamento
affinché sia possibile l’instaurarsi di un ordine sociale, qualunque esso sia.
Regole e valori condivisi contribuiscono a rispondere a domande
quali: che cosa è buono e che cosa è cattivo? Che cosa è utile, adeguato,
giusto? Come si definiscono i ruoli? Cosa è legittimo fare e cosa non lo è?
La cultura da dunque significato, orientamento, contenuto ed efficacia
all’azione umana; essa è il fattore di superamento dei vincoli imposti dalla
natura, ma anche il maggiore fattore di regolazione e controllo (la
dimensione prescrittiva) di ogni tipo di comportamento e di relazione
sociale.
Attraverso essa, inoltre, gli esseri umani, in quanto esseri coscienti di
sé, mediano simbolicamente le loro conoscenze e le loro relazioni.
Molto importante è, quando si parla di cultura, il simbolismo.
Diversamente dagli animali che reagiscono automaticamente e
univocamente, gli uomini e le donne hanno la possibilità di elaborare in
maniera relativamente autonoma gli stimoli a cui sono sottoposti.
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Questi stimoli possono provenire dall’interno dell’organismo, ad
esempio la fame, e dall’ ambiente esterno all’organismo.
Il risultato è comunque lo stesso: gli esseri umani possono stabilire, in
base alla loro esperienza e alla riflessione, in maniera relativamente
autonoma e scegliendo tra più possibilità, quale sarà la loro reazione allo
stimolo in arrivo.
Gli esseri umani elaborano gli stimoli interni ed esterni al loro
organismo attraverso segni e simboli, che nel loro insieme costituiscono
il sistema simbolico.
Tramite quest’ultimo, gli uomini e le donne conoscono e costituiscono
la realtà. Segni e simboli sono elemento saliente della realtà.
Secondo la definizione di Hegel, il segno «rappresenta un contenuto
del tutto diverso da quello che ha per sé», cioè tra il segno e ciò che esso
significa vi è un rapporto di reciproca indifferenza e convenzionalità; il
simbolo invece «è più o meno il contenuto che esso esprime come
simbolo»: qui infatti il contenuto non è indifferente, poiché tra simbolo e
oggetto simbolizzato si pongono relazioni di somiglianza o analogia (per
14
esempio la bilancia per simboleggiare la giustizia e simili
3
).
Essi, in generale, sono qualcosa che rappresenta qualcos’altro: il segno
rimanda a qualcosa di concreto; il simbolo rinvia a entità complesse di
significato, non direttamente legate all’oggetto concreto che
rappresentano.
Ad esempio, una pietra — si sarebbe portati a dire — non è che una
pietra, ed invece può assumere significato simbolico, come nel caso del
trono usato negli ultimi sette secoli — dai tempi di Edoardo I — per
l’incoronazione dei re inglesi e che contiene la cosiddetta «pietra di
Scone», su cui erano incoronati i re celti e per questo simbolo
dell’indipendenza scozzese.
Il linguaggio, è l’ elemento essenziale di ogni cultura.
Esso è costitutivo della realtà sociale in quanto è codice stabilizzatore
di significati condivisi e veicolo — attraverso l’impiego di segni — degli
stessi significati, dei simboli, delle rappresentazioni collettive; è forma di
mediazione simbolica, dunque, mezzo di comunicazione per eccellenza e
primaria fonte di socializzazione.
3
www.riflessioni.it/enciclopedia/simbolo
15
Quando si parla di linguaggio si pensa immediatamente al linguaggio
verbale (orale, parlato), cioè alla facoltà, tipica degli esseri umani, di
trasmettere messaggi attraverso l’utilizzo di parole (segni vocali
4
).
Mediante questo strumento gli uomini e le donne hanno la possibilità
di fare riferimento a oggetti o a concetti lontani nel tempo e nello spazio,
di imparare lingue diverse e anche di formulare enunciati volutamente
falsi.
Le parole non sono, ovviamente, solo segni vocali, ma anche grafici; è
quasi inutile soffermarsi sull’importanza che per lo sviluppo delle culture
ha avuto e continua ad avere il linguaggio che utilizza la parola scritta,
che consente la sua fruibilità nello spazio e nel tempo, un migliore
accumulo della memoria collettiva e la stabilizzazione delle tradizioni.
Il linguaggio che impiega le parole è quello che consente la maggiore
complessità informativa in quanto è capace di trasformarsi all’infinito, di
esprimere un’enorme varietà di concetti, sensazioni, emozioni e di
riflettere su di essi; consente anche la maggiore rapidità di trasmissione
delle informazioni e inoltre influenza (si pensi a quante maniere ci sono
per descrivere la stessa cosa) il modo in cui la realtà può essere percepita,
4
Giddens A. Il mondo che cambia, Il Mulino, Bologna, 2000
16
ricordata, pensata.
Vale la pena il caso di specificare che per quanto riguarda la rapidità di
trasmissione di messaggi, la parola scritta ha ormai acquisito la stessa
rilevanza dell’oralità: la diffusione sempre più capillare delle reti
telematiche fa sì che un numero sempre maggiore di persone nel mondo
sia in grado di scambiarsi informazioni scritte in tempo reale.
Gli esseri umani hanno la facoltà di esprimersi anche attraverso altri
tipi di segni, come per esempio la motricità facciale (mimica) o quella
dell’intero corpo (pantomimica) o, ancora, servendosi di suoni
(espressione fonica).
Possono anche utilizzare gesti (il linguaggio dei sordomuti ne è un
esempio altamente complesso in cui il gesto sostituisce la parola) o
simboli (che cosa significa, nella nostra cultura, regalare un mazzo di rose
rosse? I fiori d’arancio sono, qui da noi, simbolo delle nozze e della
purezza: questo è il linguaggio dei fiori; il verde simboleggia la speranza, il
giallo la gelosia, anche i colori possono parlare).
Sono stati descritti i segni vocali, i segni grafici, la mimica, i gesti, i
simboli, ma vi sono anche segni visivi: è il cosiddetto linguaggio iconico;
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per esempio un quadro, una fotografia, un film sono oggetti esterni
all’individuo che permettono la fruizione di un messaggio veicolato anche
in assenza della persona che li ha prodotti.
Altresì molto importante è il concetto di valori di una data collettività
5
.
Essi sono l’insieme delle opinioni condivise su ciò che è ritenuto
buono, giusto, desiderabile, sia esso da raggiungere o da conservare,
opinioni in base alle quali viene espresso un giudizio sulla correttezza,
l’adeguatezza, l’efficacia delle azioni proprie e altrui.
I valori sono criteri simbolici di valutazione dell’azione sociale e in
quanto tali influenzano il comportamento, le modalità e le finalità
dell’azione sociale stessa.
Così, se una data collettività condivide l’idea che sia importante
conservare integro l’ambiente naturale nel quale vive, adotterà i mezzi
necessari per raggiungere questo scopo: per esempio si darà leggi che
regolamentano la produzione e lo scarico dei rifiuti tossici.
Il contenuto dei valori può essere affettivo, cognitivo o morale a
seconda che definiscano stati desiderabili in termini di gratificazione
psicofisica (provare un senso di benessere, per esempio), condizioni da
5
Cesareo V., “Sociologia. Teoria e problemi”, Vita e Pensiero, Milano, 1993
18
rispettare per fare apparire valida una credenza (il valore «verità» oppure
«rispetto per la logica»), i problemi più importanti della convivenza e
dell’ordine sociale
6
.
Le norme sociali di una certa collettività sono gli strumenti necessari
per attuare i valori cui in varia misura la collettività aderisce ed essenziali
per regolare i comportamenti, le azioni, le relazioni dei suoi membri.
Le norme sono dunque il prodotto di un intervento più o meno
consapevole volto a regolare e a integrare il funzionamento della società,
ma sono anche il prodotto della tradizione, dell’autorità, della
consuetudine.
Si possono definire le norme come prescrizioni di dover essere che
intervengono nel regolare l’azione, ovvero prescrizioni cui attenersi in
una determinata situazione (norme prescrittive) o azioni da evitare
(norme proscrittive), anche a costo di eventuali costi o sacrifici.
La maggior parte delle norme sociali sono caratterizzate dall’uso
(implicito o esplicito) di espressioni quali «si deve», «è fatto obbligo di»,
«è giusto che», «non bisogna», «non si può
7
».
6
Ibidem
7
Romano B., Filosofia del diritto, Roma – Bari, Laterza, 2002