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televisione, di cui oggi esistono al mondo più di due miliardi di esemplari. Il primo capitolo mira
quindi ad una descrizione dei media nel suo complesso, e del loro contributo allo sviluppo delle
società moderne.
Nel secondo e terzo capitolo viene invece presentata un’analisi delle peculiarità che
contraddistinguono l’evoluzione di due sistemi radiotelevisivi profondamente diversi fra loro,
come quello italiano e britannico. La storia dell’industria culturale italiana, ed in particolare dei
suoi principali media dal dopoguerra ad oggi, si svolge all’interno di un quadro normativo e
strutturale che rappresenta un esempio unico nel contesto europeo, con peculiarità che
difficilmente si ritrovano negli altri grandi Paesi del vecchio continente e, come illustrato nel
terzo capitolo, ancor meno in Gran Bretagna, che rappresenta un altro caso singolare per quanto
riguarda la storia dei media.
Nel ripercorrere le tappe principali che nel nostro Paese hanno portato il piccolo schermo
da un ingresso in punta di piedi, a consacrazione come principale fonte di informazione (e di
intrattenimento), verranno evidenziate le caratteristiche – di natura economica, politica, culturale
– che rendono il sistema della comunicazione italiano un modello piuttosto avulso dalla logica
evolutiva generale non solo della Gran Bretagna, ma anche del resto d’Europa.
Storia dei media e giurisprudenza in Italia sono indissolubilmente intrecciate: il
legislatore italiano, come vedremo, nel corso degli anni è intervenuto più volte, sia per
regolamentare situazioni anomale, sia per “fotografare” situazioni già esistenti de facto, e ancora
per recepire gli interventi del legislatore comunitario. Inoltre, si sono verificate diverse pronunce
della Corte Costituzionale, e recentemente una del Presidente della Repubblica Ciampi, in merito
ai temi del pluralismo e della concentrazione del mercato radiotelevisivo, che farebbero del
nostro un caso unico in Europa. Gli esperti di comunicazione definiscono tale fenomeno
“deregolamentazione selvaggia”.
Per pura convenzione, è stata effettuata in questa sede una suddivisione della storia del
servizio radiotelevisivo italiano in tre tappe principali. La prima comprende un ventennio che va
dalla nascita del sistema radiotelevisivo in Italia al 1974, anno che precede la sua prima grande
riforma. All’interno di questa prima fase, dedicheremo uno spazio all’analisi dei telegiornali
RAI: lo scopo è quello di mettere in risalto i meccanismi e le logiche che hanno caratterizzato
l’informazione attraverso il nuovo mezzo di comunicazione. La seconda ha inizio con la legge
n.103 del 1975, ovvero la prima riforma del sistema radiotelevisivo, e termina con la
promulgazione della legge Mammì del 1990, ripercorrendo quindi una delle fasi più delicate
dell’evoluzione del nostro sistema, legata in particolare alla fine del monopolio RAI. La terza
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infine arriva fino ai giorni nostri, ed in particolare ha per oggetto la legge Gasparri, e
l’introduzione in Italia del “digitale terrestre”. Dedicheremo una breve riflessione ai contenuti di
quest’ultima legge che più hanno preoccupato (e preoccupano ancora, al momento in cui si
scrive) la nostra Corte Costituzionale, giuristi e studiosi, nonché il legislatore europeo, diversi
osservatori dei media ed altre associazioni (come ad esempio “Articolo 21. Liberi di”), circa la
deficienza di pluralismo e la concentrazione del mercato radiotelevisivo italiano, alla luce
dell’attuale congiuntura politica.
Alcuni degli interrogativi posti da questo capitolo sono i seguenti: come si è evoluto il
sistema televisivo Italia? Quali sono le leggi che disciplinano tale sistema? Esiste, ed in che misura,
una compenetrazione tra partiti politici e televisione di stato nel nostro Paese? Quali sono le
maggiori preoccupazioni dell’Unione Europea riguardo il nostro modo di fare informazione
attraverso la televisione?
Per analizzare lo sviluppo di radio e televisione in Gran Bretagna è stata effettuata un’altra
suddivisione storica convenzionale in tre parti principali. Una prima comprende il periodo 1926 –
1955, ovvero dalle prime trasmissioni radio fino alla nascita della TV commerciale, passando
attraverso la fondazione della BBC (1929), e le prime trasmissioni televisive nel 1936 (e la loro
ripresa dopo la fine del secondo conflitto mondiale nel 1946). Focalizzeremo la nostra attenzione su
come la BBC sia nata sotto stretto controllo governativo e come essa stessa sia riuscita, nel giro di
soli dieci anni, ad affrancarsi nominalmente da tale controllo.
Attraverso i principi sanciti dalla BBC stessa, e cioè informare, istruire, intrattenere (in
rigoroso ordine), il servizio pubblico britannico si è poi ampliato, nel 1955, con la prima TV
commerciale, ITV, cui furono trasmessi gli stessi identici principi. Il nuovo quadro, ed in particolare
la commistione tra pubblico e privato nella sfera televisiva (che ha trasformato il sistema televisivo
britannico da monopolio in duopolio simmetrico), rientra nella seconda fase della nostra
suddivisione, e comprende il periodo storico 1955 – 1982. Di particolare interesse in questa fase
risultano le modalità attraverso cui si è deciso di gestire il network commerciale, ovvero il sistema
delle franchigie, nonché i principi del regionalismo e della concorrenza interna.
La terza fase analizza invece il periodo che dagli anni ottanta arriva fino ai giorni nostri, e
tiene conto dei cambiamenti avvenuti nella società britannica in tale periodo. In particolare il
quadro politico, segnato dal lungo periodo di Governo da parte del Partito Conservatore (1979 –
1997), ha contribuito attraverso la deregulation a minare le basi del duopolio che aveva
efficacemente retto per oltre venticinque anni. In questi anni viene allocato un secondo canale ai
privati, Channel 4 (1982), rivelandosi come un prima crepa nel sistema. In secondo luogo, il
Broadcasting Act del 1990 ha portato ad una intensificazione della concorrenza interna per
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l’accaparramento delle franchigie di ITV, cancellando molte delle garanzie che avevano tenuto in
piedi il sistema, in nome di una concorrenza più aperta fortemente voluta dal Governo Thatcher.
Infine, le sfide poste negli anni novanta dalle nuove tecnologie, ovvero la TV via cavo e satellitare,
hanno fatto il resto, portando alla proliferazione di nuovi gruppi industriali di proprietà spesso
straniera che, liberi da ogni vincolo legislativo, hanno incrinato il principio di identità nazionale che
i loro predecessori avevano contribuito a costruire fin dalla stesura del Royal Charter nel 1935.
Come vedremo, tutti questi fattori hanno avuto delle ripercussioni sul servizio pubblico
radiotelevisivo in Gran Bretagna, portando ad un nuovo quadro profondamente diverso da quello
ideato dai padri fondatori della BBC.
Per quanto riguarda invece la relazione tra censura televisiva e servizio pubblico,
anticipiamo che essa non è affatto totalmente assente nel modello britannico, ma si colloca in un
contesto socio – politico che verrà analizzato solo nel corso del quarto ed ultimo capitolo, in
prospettiva comparata con il modello italiano. Tuttavia, un esempio molto recente di controversia
tra Governo e televisione, rivelatosi emblematico e senza precedenti nella storia della BBC, si è
verificato solo due anni fa culminando in tragedia, ovvero con la scomparsa dello scienziato David
Kelly. Dedichiamo a questa vicenda una sezione a parte, che verrà affrontata in fondo al terzo
capitolo.
Il quarto capitolo è invece suddiviso in due parti: una prima dedicata al “sistema
informazione” in generale, alle sue peculiarità ed a suoi limiti; ed una seconda, rivolta ad
un’analisi dei modelli di giornalismo italiano e britannico in particolare.
La prima parte è dedicata quindi a chi produce informazione, e punta all’individuazione
delle cause della debolezza del sistema; e a chi viene informato, attraverso l’analisi della pratica
della propaganda e dello slogan a fini persuasivi. Alcuni degli interrogativi posti riguardano: i) in
quale contesto oggi i produttori dell’informazione, i giornalisti, svolgono il proprio lavoro; ii)
con quali strumenti, essi operano quotidianamente; iii) quali si rivelano gli ostacoli più alti ad
un’informazione libera e corretta; iv) quali le cause per il singolo utente quando tali condizioni
non vengono soddisfatte.
Ciò perché il modo di informare, e di informarsi, è cambiato nel corso degli anni: dalle
forme più tradizionali di comunicazione si è giunti fino a quelle oggi in progressiva diffusione,
grazie alle tecnologie più avanzate. Si cercherà pertanto di fornire al lettore un sintetico quadro
di tale cambiamento, verificando se alcune regole che stanno alla base della formazione del
consenso abbiano resistito o meno al progresso tecnologico. Dopo aver dedicato una piccola
sezione di questa prima parte al fenomeno comunicativo rappresentato da Internet, dedicheremo
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uno spazio alla manipolazione delle informazioni, attraverso un case study assai delicato come la
Guerra del Golfo del 1991.
La seconda parte tratta invece i sistemi italiano e britannico in particolare. Nel corso della
ricostruzione storica affrontata nel secondo e terzo capitolo, si è tentato di verificare l’esistenza
di una compenetrazione tra partiti politici e Governo da una parte, e televisione dall’altra. A
differenza dei due capitoli precedenti, in questa sede non ci limiterà a una ricostruzione storica,
ma si effettuerà un’analisi di tipo giornalistico. Più precisamente, i sistemi italiano e britannico
verranno inquadrati all’interno dei rispettivi modelli Mediterraneo e Nord Atlantico. Come
abbiamo visto i due sistemi presentano profonde differenze: sebbene sia possibile giungere ad
alcune conclusioni circa la maggiore o minore influenza esercitata dai rispettivi governi sul
medium televisivo, non va dimenticato che i due servizi radiotelevisivi operano in due Paesi
molto diversi tra loro. Cercheremo di spiegare tali differenze afferendo al sistema partitico così
come al retaggio storico, sociale e culturale, nel tentativo di stabilire un nesso tra tali fattori ed i
modelli di giornalismo oggetto di questa analisi.
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